CAPITOLO 9
La moneta di carta

 

Solitamente, quando si parla di moneta fiduciaria, si pensa subito alla sua incarnazione più evidente: la carta, "un perfezionamento della moneta fiduciaria", secondo Ernest Babelon. In un periodo storico quale il nostro sarebbe più assurdo pensare di andare per negozi con un borsellino di monete d’oro piuttosto che col portafoglio gonfio di banconote. Eppure, per i primi temerari che maneggiarono della moneta di carta - in Europa intorno al diciassettesimo secolo - dev’essere stato un boccone piuttosto indigesto da ingerire pensare che della carta potesse avere un "valore". Martin Armstrong commenta che "il concetto della cartamoneta che sostituisce l’oro era lontano dalla mente dell’uomo medievale quanto l’atterraggio sulla Luna". E in effetti nessuno si sarebbe mai sognato di dire che quella carta con cui poteva fare i suoi acquisti avesse un valore, semmai era rappresentativa di un valore, quello delle monete di metallo prezioso con le quali potevano in qualsiasi momento essere convertite. Si dovrebbe però fare una precisazione: "Le lettere di cambio, i biglietti all’ordine e strumenti legali simili erano utilizzati dai mercanti e dai banchieri da tantissimo tempo. […]. Ma un carattere essenziale della cartamoneta propriamente detta è che i biglietti avevano un valore stabilito e dovevano essere accettati dappertutto".

Non sorprenderà di certo sapere che i Cinesi hanno scoperto la cartamoneta un bel po’ di tempo prima degli Europei. Questo popolo, sempre incredibilmente innovativo, aveva già tenuto tra le mani delle banconote nel decimo secolo dopo Cristo. Fu sotto la dinastia dei Song che si stamparono i primi biglietti simili a quelli moderni: "Questa cartamoneta portava già delle scritte che ci sono familiari: il nome e il titolo dell’emettitore, la data di emissione, il valore facciale (legale) e anche le penalità in cui incorrevano i contraffattori. La garanzia dello Stato era segnalata da larghi sigilli stampati all’inchiostro vermiglio". Il loro declino fu abbastanza rapido perché in Cina, non diversamente che in Europa, non si resistette alla tentazione di continuare a stamparne, finché divennero troppi in rapporto alle riserve metalliche. Ma ripresero a circolare anche qualche secolo più tardi, e c’è chi afferma che "l’uso degli effetti commerciali e la diffusione della cartamoneta avrebbero contribuito fortemente alla straordinaria fioritura commerciale che la Cina conobbe dall’XI al XIII secolo". L’uso della cartamoneta in Cina, lo tramanda, tra gli altri, il più celebre viaggiatore dell’epoca, Marco Polo. Tornando dai suoi incredibili viaggi da quelle parti, dove soleva rendere visita al Kublai Khan (il Gran Cane), se raccontava della cartamoneta trovava negli Europei incredulità, per non dire la stessa ilarità che avrebbe suscitato una buona barzelletta. Quando fu fatto prigioniero dai nemici Genovesi, in guerra contro la sua Venezia, approfittò del suo soggiorno al fresco per dettare al suo compagno di cella Il Milione , in cui egli narra di tutte le cose straordinarie che ha visto. Letto adesso, ritengo, Il Milione è un libro dal fascino straordinario, così come la descrizione della moneta in uso in Cina che riporta Marco Polo:

 

Or sappiate c’egli [il Gran Cane] fa fare una cotale moneta, com’io vi dirò. Ei fa prendere iscorza d’uno arbore c’ha nome gelso; […]. E colgono la buccia sottile […], e di quella buccia fa fare carte, come di bambagia, e sono tutte nere. Quando queste carte sono fatte così, egli ne fa delle piccole, che vagliono una medaglia di tornesello piccolo, e l’altra vale un tornesello, e l’altra vale un grosso d’argento da Vinegia, e l’altra un mezzo, e l’altra due grossi, e l’altra cinque, e l’altra dieci, e l’altra un bisante d’oro, e l’altra due, e l’altra tre; e così va infino a dieci bisanti. E tutte queste carte sono sugellate col sugello del gran sire, e hanne fatte fare tante, che tutto il suo tesoro ne pagherebbe. E quando queste carte son fatte, egli ne fa fare tutti gli pagamenti, e fagli ispendere per tutte le province e regni e terre dov’egli hae signoria; e nessuno gli osa rifiutare, a pena della vita.

 

Marco Polo ne parla con stupore, del resto si è detto di come un’idea del genere fosse lontana dalle menti degli uomini del suo tempo. In Europa, i primi biglietti nacquero solo nel XVII secolo, principalmente dall’esigenza di risistemare la policromatica monetizzazione allora esistente: nelle città commerciali più importanti convergevano mercanti provenienti un po’ da tutti gli angoli d’Europa, con le monete più disparate; basti dire che il parlamento olandese, nel 1606 pubblicò un manuale ad uso dei cambiamonete, informandoli dell’esistenza di 341 tipi di monete d’argento e 505 d’oro. Queste monete avevano una caratteristica in comune tra loro, quella di essere tutte di pessima qualità. Conseguenza del fatto che "esisteva una tendenza ad accettare le monete sulla fiducia," e dunque "erano invariabilmente le monete cattive che venivano fatte circolare, mentre le buone si preferiva tenerle. Da questa precauzione derivò nel 1558 la durevole constatazione di Sir Thomas Gresham secondo la quale la moneta cattiva scaccia sempre la buona". 

Quindi, con un campionario variegato di monete, quelle di buona lega erano tesaurizzate, e quelle che circolavano, o erano di bassa lega, o avevano subito le angherie di limatori, tosatori, e quanti altri, con i metodi più ingegnosi e disonesti, cercavano di levare qualche briciola di metallo, che tolta a tante monete poteva fruttare un piccolo guadagno. Questa situazione costrinse, alla lunga, a quello che apparentemente potrebbe sembrare un regresso: il ritorno alla pesatura. La pesatura non veniva compiuta dai mercanti, per i quali rappresentava un fastidio e un’incognita per i soliti antichi sospetti nei confronti delle bilance, ma dalle banche: "Questo passo decisivo venne compiuto dalla città di Amsterdam nel 1609 e fu il passo che legò la storia della moneta a quello della banca".

La banca, valutato il peso e la lega delle monete che riceveva, emetteva un certificato che attestava l’avvenuto deposito: "Tale certificato poteva circolare come mezzo di pagamento in quanto rappresentava un deposito di monete metalliche". Chiunque lo ricevesse, quando gli tornava utile, avrebbe potuto convertirlo nelle monete metalliche tornando alla banca. La scritta che compariva su quei certificati: "Pagabili a vista al portatore", era la prova che quel pezzo di carta di nessun valore, poteva invece essere sostituito, a richiesta, dal metallo presente nelle casse della banca. È una scritta che non ha ancora cessato di comparire anche sulle moderne banconote. I biglietti in questione erano originariamente emessi in numero strettamente paritario ai depositi di moneta metallica, inoltre è vero che circolavano regolarmente, ma nessuno era costretto legalmente ad accettarli.

Questi biglietti, che limitavano le truffe intorno alle monete coniate, sono tuttavia i generatori del nuovo miracolo che si può compiere col denaro, cioè la sua moltiplicazione, che in definitiva si è spesso rivelata un’altra truffa: "È infatti una costante nella storia della moneta che ogni rimedio sia generalmente fonte di nuovi abusi". Le cose cominciarono a cambiare nel momento in cui le banche iniziarono a emettere biglietti non solo a fronte dei depositi, ma anche a chi chiedeva un prestito. Scrive Boffito: "Le banche cominciarono allora a emettere attraverso la concessione di credito una quantità di biglietti di valore superiore a quello delle monete depositate". Si cominciarono ad emettere cioè vere e proprie banconote, non dei semplici certificati di deposito. Il meccanismo di cui si servivano le banche è più o meno il seguente: chi doveva aprire un conto portava le sue monete in banca e riceveva in cambio delle banconote. Queste banconote avrebbero avuto corso al posto delle monete fino a quando qualcuno avrebbe deciso di ritornare alla banca, consegnarle e ricevere l’equivalente valore in monete metalliche. Anche a chi chiedeva un prestito venivano date delle banconote, che essi potevano tranquillamente utilizzare per i loro pagamenti e che sarebbero circolate esattamente come quelle emesse a fronte di un deposito in moneta metallica, solo che non esisteva nessuna moneta in più nella cassa della banca per poterle convertire. Nessun problema se le banconote continuavano a circolare, passando di mano in mano senza che nessuno si presentasse alla banca per convertirle in moneta sonante. I problemi nascevano solo se tutti i possessori delle banconote, o per lo meno molti di essi, volevano convertirle contemporaneamente: allora era impossibile accontentare tutti.

Esemplificando: un primo signore deposita una moneta e in cambio riceve una banconota. Poi un altro signore chiede in prestito una moneta e la banca gli dà un’altra banconota, la quale rappresenta un valore pari a quello della moneta che egli chiede; circolano due banconote, che rappresentano due monete, ma la banca di monete ne ha una sola. Le due banconote passeranno nelle tasche di tanti altri signori, ma è chiaro che solo uno dei due possessori può ricevere l’unica moneta presente in banca nel caso entrambi si presentino lo stesso giorno a riscuoterla. In sintesi è questo il meccanismo attraverso il quale le banche creano denaro: prima c’era una moneta, adesso ci sono due banconote che valgono due monete, ma la moneta è ancora una sola.

Quello che, forse un po’ pomposamente, si è chiamato il prodigio della creazione del denaro, era "attaccato a un filo di seta. Vale a dire alla condizione che depositanti o detentori di banconote si presentassero relativamente poco numerosi a chiedere il solido contante che la banca aveva l’obbligo di pagare. Se invece fossero venuti tutti insieme, la banca non avrebbe potuto accontentarli. Ora, quando si spargeva la voce che la banca non era in grado di pagare, accorrevano tutti, e spesso con molta urgenza. In questi casi i depositi o le banconote, che sino allora valevano denaro, non valevano più nulla. Potevano convertirli soltanto i primi, mentre per gli ultimi non sarebbe rimasto più niente". Come un debole ascensore che poteva trasportare fino a quattro persone, la banca sprofondava se ne salivano venticinque.

Il problema delle banche era quello di riuscire a limitare la differenza tra le banconote in circolazione e il metallo che le garantiva, un’operazione che risultava quasi proibitiva dal momento in cui esse venivano controllate dallo Stato o nel momento in cui gli Stati stessi iniziavano ad emettere propri biglietti. Era sempre troppo forte la tentazione da parte degli Stati di pagare i propri debiti, solitamente ingenti, con l’emissione di banconote in numero grandemente superiore all’equivalente in metallo di cui potevano effettivamente disporre.

Sismondi, che pubblica i sui Nuovi principi di economia politica nel 1819, vive in tempi in cui questi problemi erano attuali; egli commenta che nessun governo "ha esitato a sacrificare, per i bisogni del momento, la sicurezza dell’avvenire e la giustizia che doveva ai suoi cittadini. Tutti hanno accresciuto volontariamente la loro cartamoneta fino a superare di due, tre, spesso dieci e venti volte il valore nominale della loro moneta". In un certo senso le banche e governi erano degli organismi sinistramente simili al Gatto e la Volpe: tanti poveri Pinocchio sotterravano nelle loro casse i propri zecchini d’oro, andavano a dormire, e, al loro risveglio, delle monete non vi era più traccia.

Bastava poco perché una banca crollasse, infatti "pressoché tutte le principali banche di emissione andarono incontro, nei primi decenni della loro esistenza, a colossali crack le cui conseguenze naturalmente ricaddero sulla testa dei possessori delle banconote che videro, spesso da un giorno all’altro, polverizzarsi il loro capitale".

Ha ragione Babelon a definirle un perfezionamento della moneta fiduciaria, è più che appropriato per le banconote convertibili: tanta, doveva essere la fiducia di chi le accettava.

Torna ad inizio capitolo :: Cap. precedente :: Cap. successivo