CAPITOLO 7
Dionisio e gli stratagemmi

Leggendo il Trattato sull'economia di Aristotele ci si rende conto dei metodi talvolta molto sbrigativi coi quali chi gestiva il potere e la moneta cambiava il valore delle monete per sopperire alle necessità più disparate, anche se in prevalenza si trattava di esigenze belliche o di interesse personale del monarca, che si voleva togliere qualche sfizio. Uno dei primi fruitori dei poteri della moneta fu Ippia, tiranno di Atene dal 527 al 514 avanti Cristo e figlio di Pisistrato, quello che disilluse le aspettative democratiche di Solone. Pisistrato che, tra le altre cose fu il primo ad introdurre la zecca cittadina unica ad Atene, mentre ai tempi di Solone ve ne erano di numerose gestite dai nobili, fu anche il primo a coniare le famose monete attiche contrassegnate dalla civetta, le quali ebbero grandissimo successo come moneta internazionale in tutto il bacino mediterraneo. Suo figlio Ippia, racconta Aristotele, "svalutò la moneta che era in uso presso gli ateniesi e stabilita la tassa per il nuovo conio comandò che la portassero a lui. Ma quando si radunarono per coniarle nel nuovo modo, egli restituì a loro le stesse monete" . Uno dei più sfrontati manipolatori dell'antichità fu probabilmente Dionisio I , che governò su Siracusa a cavallo del 400 avanti Cristo. La sua egemonia sulla città siciliana durò per quasi quarant'anni, ed egli rappresenta, nella letteratura politica greca, "il prototipo stesso del tiranno odiato e temuto" . Conscio che i suoi sudditi non sempre fossero desiderosi ch'egli vivesse una lunga vita, era costretto a portare sempre una corazza di ferro sotto la veste per salvarsi da un eventuale cittadino che, con un pugnale in mano, non avesse intenzioni propriamente innocue. Come se non bastasse aveva un amico, un certo Eloride, che non sempre portava allegria e ottimismo da camerata, un giorno gli profetizzò: "La tirannide è un bel lenzuolo funebre" . La prevedibile reazione di Dionisio non è tuttavia pervenuta ai posteri. Gli inganni escogitati da Dionisio per fare soldi sono innumerevoli quanto incredibili: di preferenza dichiarava l'apparizione di qualche dea o si inventava il conio di nuove monete. Questo episodio potrebbe fornire una vaga idea del personaggio di cui si sta parlando: un giorno in cui decise che aveva bisogno di denaro, convocò l'assemblea a cui disse che gli era apparsa la dea Demetra. La dea chiedeva, anzi imponeva, che le si portassero tutti gli ornamenti delle donne. Dionisio disse che per quanto riguardava le sue donne si era già sollevato da questo sacro dovere, e invitava tutti a fare altrettanto per non scatenare l'ira della dea e per non essere considerati rei di sacrilegio. Al ché tutti portarono ciò che avevano, ma Dionisio incamerò le preziose gioie asserendo che la dea gliele aveva personalmente affidate in custodia. Un altro episodio dimostra come già a quell'epoca la moneta fosse utile per le necessità belliche. Dionisio voleva costruire delle navi da guerra, ma non aveva il denaro per farlo. Per guadagnarsi la fiducia dei suoi cittadini "disse che gli era stata offerta una città e che aveva bisogno di denaro per ottenerla: riteneva perciò opportuno che i cittadini gli versassero ciascuno due stateri" . Da bravi cittadini, tutti versarono i due stateri, la moneta d'argento in uso a Siracusa. Dopo un paio di giorni Dionisio, ringraziando tutti calorosamente fece credere che l'affare della città non era andato a buon fine e quindi restituì a tutti il denaro versato. Che brav'uomo, pensarono i cittadini: onesto. Aristotele ritiene che "con questo si guadagnò la confidenza dei cittadini" . Poi Dionisio si fece prestare un'altra somma, che tutti versarono ritenendo che l'avrebbero riavuta come nel caso precedente. Malauguratamente, questa volta Dionisio se la tenne e costruì le navi. Al momento di ripagare il proprio debito ecco cosa fece: "Non avendo a disposizione monete d'argento, ne coniò di stagno, e, raccolta l'assemblea, esaltò a lungo la moneta coniata ed essi votarono, sia pur contro voglia, che avrebbero riguardato come argento e non stagno ciò che ciascuno avesse preso" . Come si è visto, a Dionisio non mancava certo l'ingegno per trovare il modo di pagare i debiti, così, un'altra volta che i suoi cittadini gli richiedevano quanto dato, ordinò che ognuno gli portasse tutto l'argento che possedeva, a meno che non volesse passare velocemente all'altro mondo: "Quando l'argento gli fu portato, egli lo coniò in dracme ciascuna del valore di due dracme e le dette a loro e così ripagò il debito antico e quello recente" . Un'operazione talmente semplice da lasciare sconcertati. Certo, il contributo di Dionisio alla storia della moneta è più accostabile alla figura di un grandissimo truffatore che a quella di un innovatore, del resto si può dire che da molte innovazioni monetarie si sono velocemente sviluppate delle truffe. Tutta la vita di Dionisio è costellata da inganni e crimini, da comportamenti tanto esagerati da apparire ridicoli. Ebbe il merito di sconfiggere i Cartaginesi, salvando la Sicilia dalla loro egemonia, di fondare nuove colonie come Ancona e Adria nell'Adriatico, e Porto Vecchio in Corsica ; proprio durante i preparativi della guerra contro Cartagine sfoderò tutta la sua tenacia, chiamò tutti gli artigiani più bravi che gli costruissero armi sofisticate, e infatti uno di essi gli inventò la catapulta, e fece allestire navi sempre più grandi: navi a quattro e a cinque ordini di remi, una cosa eccezionale per il periodo. Egli stesso lavorava indefessamente, "ogni giorno si aggirava tra i lavoratori, rivolgeva loro parole cortesi, premiava i più volenterosi con doni e li accoglieva alla sua tavola" . Tiranno illuminato lo definiscono alcuni storici, ospitò alla sua corte Platone, perché "lo riteneva degno della più alta considerazione, vedendo che si esprimeva con una schiettezza degna della filosofia" , ma poi lo fece portare al mercato per venderlo come schiavo quando gli propose troppo audaci riforme politiche . Era anche appassionato di poesia, ma era meglio non criticare i suoi versi: il poeta Filòsseno che ne ebbe la sfrontatezza, finì ai lavori forzati nelle cave di pietra. Poi Dionisio se ne pentì e offrì addirittura un banchetto in suo onore, al termine del quale lesse altri versi, invitando Filòsseno a giudicarli. Quest'ultimo preferì farsi ricondurre alle cave: doveva trovarli proprio brutti. Dionisio tollerò ancora la franchezza di Filòsseno, ma in una terza occasione in cui gli veniva chiesto un parere, capì che con un tipo come Dionisio avrebbe rischiato grosso e promise ai suoi amici, preoccupati per la sua sorte, che avrebbe dato un parere sincero senza dispiacere a Dionisio. Quando il tiranno recitò alcuni versi che descrivevano sofferenze degne di compassione, Filòsseno tirò un respiro di sollievo, alla domanda: "Come ti sembrano le mie poesie?" poteva rispondere senza ipocrisia: "Sono pietose!" salvandosi sul doppio significato che si poteva attribuire alla sua risposta. Del resto Dionisio, che secondo Diodoro Siculo, "aveva una vera mania per la poesia" , già un'altra volta era stato beffeggiato della sua liricità: "Quando i rapsodi cominciarono a recitare i versi di Dionisio, all'inizio la bella voce degli interpreti richiamò molto pubblico e tutti ne furono estasiati; ma poi, constatando lo scarso valore dei versi, derisero Dionisio e lo disprezzarono" . Eppure una sua tragedia vinse anche il primo premio all'importante concorso delle Lenee di Atene. Dionisio ne fu felicissimo, "offrì agli dei sacrifici di ringraziamento per la bella notizia, organizzò simposi e ricchi banchetti" . In uno di questi immensi banchetti ingerì una tale quantità di sostanze alcoliche che si ridusse in uno stato di pesantissima ubriachezza; poi, con non so quanti litri di vino che gli galleggiavano nello stomaco, ci rimase secco per un colpo apoplettico. Qualche anno più tardi, circa nel 360 avanti Cristo, da un'altra parte del Mediterraneo, precisamente a Clazomene, città costiera dell'Asia Minore, si adottavano non dissimili stratagemmi monetari. Aristotele ci riferisce che i Clazomenii avevano un debito di venti talenti nei confronti dei loro mercenari che non riuscivano mai a saldare. Stanchi di pagare un interesse annuo di quattro talenti, decisero di coniare "una moneta di ferro del valore di quella d'argento per venti talenti. Le distribuirono poi ai più benestanti della città in proporzione [alle loro ricchezze] e ne ricevettero argento nella stessa quantità. In tal modo i privati poterono fronteggiare le loro spese quotidiane e lo stato estinguere il suo debito" . Gradualmente poi, la moneta di ferro fu ritirata dalla circolazione convertendola con i talenti d'argento. Si trattava in realtà, secondo Polanyi, di un prestito forzoso imposto ai cittadini ricchi per rimborsare il debito. Ancora la guerra spinse il generale ateniese Timoteo, a corto di denaro, a coniare una moneta di bronzo. Naturalmente i suoi soldati non fecero i salti di gioia quando ricevettero la notizia, allora Timoteo li rassicurò dicendo che tutti i mercanti e i rivenditori le avrebbero accettate in pagamento. Il passo che segue fa capire come il principio di queste emissioni di moneta fosse simile a quello della cartamoneta convertibile in oro: "Ai mercanti poi dichiarò pubblicamente che con le monete di bronzo che avrebbero preso potevano comprare a loro volta i prodotti del paese e quanto era frutto di preda: le monete di bronzo che fossero rimaste loro, le portassero a lui e avrebbero ricevuto argento" . Sull'attendibilità di questo racconto non sembra ci siano dubbi perché anche lo storico greco Polieno, nella sua opera dall'eloquente titolo Gli stratagemmi, descrive l'episodio in modo analogo, aggiungendo che anche in un'altra occasione Timoteo ricorse ad un trucco fiduciario: distribuì delle promesse di pagamento garantendone la sostituzione con monete, "Regling ha avanzato l'ipotesi che si trattasse di pezzi di terraglia recanti il sigillo personale di Timoteo" . Elencare altri casi analoghi, numerosi, non aggiungerebbe ulteriore significato a questo tipo di manovra: se l'oggetto che circola a guisa di moneta ha un valore stabilito, svincolato dal suo valore reale, significa che è sorretto dalla fiducia che lo si accetti per il suo valore stabilito senza tenere conto di quanto vale realmente. A conferma dell'accettazione fiduciaria delle monete in esame giungono le parole di Polanyi: "Non vi è alcuna indicazione di deprezzamento della moneta o di inflazione dei prezzi o del fatto che la moneta "cattiva" scaccia dalla circolazione quella "buona"; anzi non vi è quasi alcun accenno di opposizioni o agitazioni causate da quelle che noi giudicheremmo audaci manipolazioni" . Rimangono solo le lamentele di Aristofane: "Preferiamo questi pezzi di rame scadente, battuti due o tre giorni fa con lo stampo peggiore" .

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