NONO CAPITOLO: DOPO LA MORTE, LA VITA.

 

- Ancora Mark!! Tirane un altro!! - .

- Ne sei sicuro? Io comincio ad essere stanco... - il capitano si mise una mano dietro la nuca.

- Sicuro! Tira!! - gridò Ed. Lenders fece partire l’ennesimo Tiger Shot, che si fermò tra le braccia di Warner, saltato per afferrarlo e atterrato a terra in piedi, con uno scatto agilissimo.

- Ormai sai a memoria i miei tiri! Dovresti allenarti con qualcuno di diverso! - Mark raggiunse la porta. Ed sospirò. Erano entrambi sfiniti, si stavano allenando da quattro ore e si lasciarono cadere sull’erba.

Accidenti quel portiere stava diventando troppo forte... sarebbe stato un altro rivale come Price?? Forse non doveva dargli una mano ad allenarsi... era diventato perfetto! Conosceva la tecnica dei suoi tiri alla perfezione... però questo lo spinse a voler raggiungere un nuovo traguardo: anche quell’estate il capocannoniere sarebbe stato lui, Mark Lenders! Se non riusciva a battere Ed di sicuro si sarebbe dovuto allenare come un pazzo per superare il portiere tedesco... e addirittura quel fenomeno di Dario Belli...

- Sono passati quattro mesi, eh... - disse il capitano.

- Quattro... - ripeté Ed col fiatone. - Tra un mese ce ne andremo anche noi... - .

- Così ci potremo allenare con tutta la squadra. - aggiunse l’altro.

 

Il vento caldo di maggio soffiava tra i capelli della ragazza che entrò in fretta in casa.

- Sono qui. - si annunciò Kim, togliendosi la giacca leggera.

I ragazzi si accalcarono sul telefono, che cominciava a squillare. La tariffa internazionale fu annunciata da una voce femminile.

 

- La signorina Springer? Sì, stava uscendo un momento fa, un attimo. - la donna lasciò la reception e si affrettò a raggiungere Eve.

- D’accordo. - fece la ragazza rivolta alla signora, poi prese la cornetta e se l’avvicinò all’orecchio. – Pronto? - .

- Auguriiiiiiiiiiiiiiiiii!!! - Eve scostò il ricevitore massaggiandosi l’orecchio.

- Come stai?? Da quanto tempo!! - disse Danny.

- Danny...? - Eve riconobbe la sua voce. – Io sto benissimo e tu? - .

- Anche noi stiamo a meraviglia! - esclamò Marica dal viva voce.

- Marica!! Chi altro c’è? - sorrise chiedendole di farle sentire le voci di tutti.

- Ci siamo tutti! - si annunciò Eddie.

- Per farti gli auguri! - sorrise Kim.

- Buon compleanno, Icaro!!!! - gridò ancora Marica.

- Sì però non distruggermi il telefono!! - protestò Danny. Il gruppetto rise.

- E Ed?? Mark?? Ci sono anche loro? - .

- Siamo qui anche noi. - disse il capitano con un sorriso.

- Eve... - nel sentire la sua voce, quasi le venne da piangere... tre mesi che non sentiva la sua voce... l’ultima volta l’aveva chiamata lui... eppure l’emozione era sempre uguale...

- Ed... - sussurrò stupita dal sentire la sua voce così debole... fece un colpetto di tosse e cercò di riprendere padronanza di stessa... mentre il cuore le batteva forte.

- Indovinate un po’ chi ho incontrato?? - rise.

- Chi?? - chiese Marica. – Qualche bel ragazzo??... Ahio!! - Danny le aveva tirato una gomitata.

- È carino... - rispose Eve mordendosi un labbro... ma che aveva detto?? In presenza di Ed!!! - ...sì però i miei gusti sono diversi... - .

- Beh, chi è? - chiese Mark.

- Vi dice niente il nome Karl Heinz Schneider? - sorrise.

- Schneider?!? - disse incredulo il portiere.

- Quel magnifico biondino??!! - strillò Marica. – Come vi siete conosciuti??? - .

Eve si bloccò... e ora... non poteva certo raccontare di Price...

- Così, per caso. Lui correva con il pallone e io per i fatti miei... e così ci siamo incontrati... nulla di speciale. Però l’ho visto giocare: è un vero fenomeno! Attento Mark o potrebbe superarti! - .

- Non succederà, ci stiamo allenando duramente anche qui! - rise.

- E poi tra un mese arriviamo! - aggiunse Ed, speranzoso.

- Sì, lo so, portiere! Non vedo l’ora! Vi aspetto! - .

 

Chiacchierarono ancora un po’, poi si salutarono e Eve uscì e raggiunse Lena, che l’aspettava fuori.

Danny spense il viva voce e spinse il tasto dello spegnimento. Il telefono cominciò a fare quel fastidioso “tu tu tu tu...” e riattaccò la cornetta.

- Però che fortuna!! - sbuffò Marica. – Voi ve ne andrete in Europa e noi qui a vedervi in Tv!! - .

- Beh, non sarà grave... per lo meno li vedremo! - disse Kim.

- Ma io volevo gustarmi dal vivo quel bellissimo biondino di Schneider!!! Non è giusto!! - si lamentò l’altra.

- Uffa, possibile che pensi sempre e solo a quello?? - Danny si mise le mani ai fianchi.

- Ma non è vero!! - gemette Marica. Gli altri scoppiarono a ridere.

 

Si fermò in salotto e prese quella busta sul tavolo indirizzata a lui. Poi salì in camera e la aprì.

 

“Ciao portiere!

Ti avevo promesso che ti avrei scritto ed infatti eccomi qui! Io mantengo sempre le promesse!

Sai, è il primo giorno che sono qui... però mi mancate già tanto! Scusa se ieri, all’aeroporto me ne sono andata così. Non volevo davvero. Lo sai che odio gli arrivederci lunghi ma mi ha fatto piacere che tu sia venuto a salutarmi e che mi abbia detto quelle parole.

Pensavo di scrivere a tutti ma le lettere sarebbero arrivate con mesi di ritardo, quindi ho deciso di scrivere a te, infondo ti sento più vicino degli altri... senza nulla togliere a loro.

Ho intenzione di telefonarti tra poco, e se le linee funzionano ci sentiremo.

Ora ti saluto... e scusa se la lettera è corta ma non amo scrivere... volevo solo scusarmi e dirti che anche io ti voglio bene.

Con affetto,

Eve

PS. Guarda un po’ cosa ti ho allegato!!

 

Ed aprì la busta e poté vedere con sua sorpresa il disegno che gli piaceva tanto... Eve l’aveva rifinito e migliorato, ora poteva averlo per sé e appenderlo in camera sua. Allora non l’aveva buttato via... l’aveva tenuto... per lui... Rilesse ancora una volta la lettera, poi si stese sul suo letto e pensò...

Non riusciva a tranquillizzarsi, era molto felice che gli avesse scritto... ma aveva incontrato Schneider... chissà cosa si erano detti... e se quei due si fossero piaciuti?... in fondo Eve era molto bella e Schneider non era da meno... anche se al telefono gli aveva detto che i suoi gusti erano diversi non era rilassato... certo, anche lui era stato con altre ragazze ma non si era preoccupato mai così tanto... ogni giorno che passava sentiva la passione aumentare sempre di più e se non l’avrebbe rivista al più presto gli sarebbe scoppiato il cuore. Aveva passato quasi cinque mesi senza di lei e si sentiva vuoto come non mai... desiderava di nuovo vedere il suo viso... il suo sorriso e i suoi occhi...

Mai nessuna gli aveva fatto provare simili sentimenti... credeva di essere già stato innamorato e invece... solo ora se ne rendeva conto... si rendeva conto di amare Eve più di ogni altra cosa. Ci era voluto poco perché succedesse... ma ora era dannatamente perso di lei e non c’era giorno che non la pensasse... tra poco l’avrebbe raggiunta e le avrebbe dimostrato quanto era migliorato... tanto da essere titolare e battere Price... sì, l’avrebbe fatto per sé... e per lei...

 

Si era sentita male e ora sognava distesa sul letto dell’infermeria. Stava correndo come sempre, ormai pensava di aver acquisito un ritmo stabile e invece... un calo di pressione diceva il medico. In effetti era così. Stava correndo nei pressi del campo, prima di entrare. E si era appoggiata al muro con il fiatone. Anche Karl che la stava accompagnando si era fermato, chiedendole se c’era qualcosa che non andava. Ma lei non aveva risposto ed era svenuta così. Lui l’aveva  portata dentro al campo della federazione e dopo che il medico l’aveva visitata, stava dormendo ancora, su quel lettino, dietro la tenda bianca. Karl era rimasto lì. E ora la guardava mentre i suoi occhi erano chiusi e la sua mente altrove... in un sogno che al risveglio sarebbe stato dimenticato.

Fu un istante. Il ragazzo si chinò su di lei e sfiorò le sue labbra con le proprie, con una leggera pressione, chiudendo gli occhi. Poi, quando si discostò, la fissò ancora un attimo, prima che lei si rigirasse dall’altro lato, infastidita nel sonno e lui lasciò la stanza.

 

I risultati dell’anno scolastico erano favorevoli. Già, Eve credeva di non potercela fare, e invece era stata promossa!! Uscì per l’ennesima volta dal campo, dove l’aspettava la signorina Robinson.

- Eve! - .

- Oh? Salve! - era molto felice quel giorno, sia perché aveva passato l’anno, sia perché tra una settimana sarebbero arrivati i giocatori di calcio giapponesi.

- Ascoltami, volevo dirti due parole. - .

- Mh? - fece lei con un sorriso. Ma l’allenatrice non sorrideva, anzi.

- Voglio che tu la smetta di allenarti per una settimana a partire da oggi. - .

- Ma che...? Non posso!! Tra quindici giorni ci sono le gare! - .

- Ti rendi conto che se ti capitasse un calo di pressione simile a quello dell’altro giorno, rischieresti di non parteciparvi proprio!?! E fortuna che c’era Karl Heinz con te, a portarti dentro al campo! - .

- Che?? Karl ha...? Beh, non è questo il punto! Se io mi rifiutassi?? - .

- Saresti fuori! Non sto scherzando, non posso rischiare la tua salute e se tanto vale tanto, posso anche escluderti! - .

Eve non disse più niente. Ecco come rovinare il buonumore!!... Sbuffò, camminando sulla strada. E va bene, non si sarebbe allenata per una settimana, se era questo che voleva la Robinson! Ma avrebbe assolutamente partecipato al campionato!!

Salì in albergo e si distese sul letto... beh, infondo non le avrebbe fatto male distrarsi un po’. Certo, come no! E dove poteva andare??... Tutt’un tratto un baleno... Olanda... sì, sarebbe andata a trovare Dex e suo padre! Una settimana era più che sufficiente! Si alzò con un salto e frugò nella borsa alla ricerca della lettera. La trovò un po’ spiegazzata tra le pagine di un manuale di atletica. La guardò per qualche istante, poi la aprì e trascrisse il numero su un foglio di carta, che portò con sé nel salone d’ingresso dell’ostello.

Compose il numero lentamente, poi fece un gran sospiro. Stava per risentire suo fratello dopo tre anni... tre... anni...

Primo squillo. Secondo. Terzo...

- Pronto? - la voce suonò profonda e affannata. Che bella voce... la voce di suo fratello...

- Dex...? - disse lei con voce ferma.

- Sì, chi è? - rispose quello un po’ titubante.

- Eve. - fece. Silenzio. Dex non rispose... si udì solo un rumore di diversi passi di fondo e qualche sospiro di lui.

- Eve... - ripeté con voce tremante. -...Pensavo che non avessi più chiamato. - la voce si riprese.

- Beh, lo sai come sono fatta... dimentico sempre tutto! - cercò di sorridere. Dex fece una breve risata in un sospiro.

- Che si dice? - chiese.

- Tutto a posto! Sono in Germania! E tra un paio di giorni vengo a trovarti! Dove sei? - .

- In Germania???... - .

Gli diede l’indirizzo dell’ospedale e si diedero appuntamento per il giorno dopo, davanti al reparto di terapia.

- Chiaro. Allora a domani... - .

- A domani... - .

- Ciao piccolo, sto arrivando. - .

- Lo so... ti aspetterò... ciao. - .

Riattaccò. Era stata una conversazione breve ma tesa. E aveva sentito la tensione nella voce di quel ragazzo... di suo fratello... del suo piccolo Dex... sarebbe partita dopo qualche ora.

 

- Lo so, Lena. Ma ti chiedo di farmi questo favore. - le disse.

- Ma lo sai che se lo sa la Robinson ti potrebbe buttare fuori dalla squadra?? - .

- Ti ho già detto che lo so, ma infondo sono o no maggiorenne? Sono troppo importante per lei e la sua squadra! Vedrai che mi farà correre. E poi mi ha dato lei una settimana libera! - sorrise prendendo lo zaino. – Beh, ci si vede! - .

Uscì dalla porta facendole un cenno con la mano. Si sistemò la camicia leggera e i pantaloni neri. Fece un altro sospiro profondo e poi si disse:

“Si parte!”

Non voleva avere cattivi pensieri, desiderava solo pensare che suo padre stesse bene, Dex non le aveva detto nulla, quindi la situazione doveva essere più o meno stabile.

Se la prese comoda, aveva un po’ di tempo ancora, quei treni andavano velocissimo... ma eccola davanti a quel padiglione grigiastro, scrutava le finestre, pensando che dietro ad una di quelle c’erano suo padre e suo fratello che la stavano aspettando. Chiuse gli occhi ed attraversò la strada. Il vento caldo le sfiorò i capelli e quando entrò in ospedale si trovò davanti dei cartelli, fortunatamente scritti anche in una lingua comprensibile! Si avviò su per le scale, non prese l’ascensore, voleva camminare, era nervosa.

Terapia intensiva. Ecco fuori dal reparto un paio di infermiere. Si sentiva l’odore acre di medicinali tipico degli ospedali, ma lei non ci fece caso e percorse il lungo corridoio.

- Mi scusi, non si può entrare. - disse una di quelle toccandole una spalla. La ragazza si voltò e annuì,... il suo sguardo sorpassò le spalle della donna e fu allora che vide un ragazzo sui sedici anni, capelli chiari, occhi blu, era vestito con una maglietta aderente azzurra senza maniche e un paio di pantaloni larghi, sotto a quelli un paio di scarpe da tennis... aveva l’aria stanca, gli stessi lineamenti... forse più uomo... le labbra piegate indentro e la testa china, i capelli corti non gli permettevano di nascondere gli occhi, e se ne stava là, appoggiato al muro con la schiena come se aspettasse qualcuno... Dex.

- Mi faccia passare, quel ragazzo è mio fratello. - disse.

- Lei sarebbe la figlia del signor Springer? - le domandò l’altra.

- Esatto. - rispose Eve cominciando a camminare verso di lui. Le due infermiere non si opposero più, notando la grande somiglianza con quell’uomo e quel ragazzo tutto solo. Lo conoscevano bene, Dexter Springer. Se ne stava per la maggior parte del tempo in ospedale... quella non era una vita, l’adolescenza di quel ragazzo se ne stava andando inesorabilmente... avevano spettegolato parecchio su quei padre e figlio...

Alzò la testa, infastidito dai passi che provenivano veloci, quasi correndo verso di lui dal corridoio deserto. E in quell’attimo... occhi negli occhi... blu nel blu... si guardarono... poi anche lui si mosse verso di lei... s’intesero subito... tre anni non bastavano a separare l’istinto di due fratelli... s’infransero petto contro petto in un abbraccio violento e fatto di singhiozzi di quel ragazzo solo...

- Eve...!! - sospirava scosso dai gemiti.

- Sono qui... sono qui. - le ripeteva lei sforzandosi di trattenersi. Una lacrima le rigò il viso perfetto, ma non l’asciugò, stette stretta braccia nelle braccia con suo fratello per lunghi istanti. Poteva sentire il suo calore... il suo fiato caldo sulla spalla... e le sue lacrime... lo circondò con le braccia, voleva proteggerlo fino a quando avrebbe potuto... poi lentamente si separarono. Dex si asciugò le lacrime con le mani, guardando per terra e infilandosi poi le mani nelle tasche dei pantaloni. Quando alzò il capo sorrise... oh, quel sorriso... quanto le era mancato... bellissimo... adorabile angelo... aveva ancora gli occhi rossi che facevano contrasto con il viso sereno e sorridente. La guardò... era cresciuta tanto... la cosa che aveva notato subito era l’altezza... e i capelli ora corti.

- Dov’è la tua treccia d’oro? - le chiese sempre sforzandosi di sorridere e di non cedere all’impulso di gettarsi tra le sue braccia e piangere ancora...

- E chi lo sa... - disse lei con lo stesso sorriso. - ...è più comodo così, non trovi? - .

 

- E così corri... - .

- Già... ma ho intenzione di lasciar perdere. Non mi ispira più così tanto... non posso mangiare quello che voglio, avere delle ore fisse di allenamento è dura e poi mi manca disegnare... - .

- Attenta o diventerai una cicciona se smetti di fare la velocista! - scherzò.

- Che fai, sfotti?? - gli grattò la testa con le nocche. – Non cambi mai, eh!! - .

Dex si stiracchiò e sospirò era passato qualche minuto, ora si era calmato ed era tornato ad essere quello di sempre. Strano come quel ragazzo non avesse perso il sorriso vedendo suo padre in fin di vita in uno squallido lettino bianco...

- E tu che mi dici? - gli aveva raccontato tutto di lei.

- Mh... - alzò le spalle. Eve alzò lo sguardo.

- Ti sei fatto grande, piccolo! - .

- Sì?... ma ora non hai più scusanti, non puoi più chiamarmi piccolo! - .

- Pensavo che ti piacesse! - .

- È da quando avevo cinque anni... - sorrise come un bambino. Anche lei rise, al ricordo di quei frammenti della sua memoria...

- Forse è meglio se la chiamiamo... - .

Dex scosse la testa.

- Non verrebbe. - .

- E invece sì. - .

- Tentare...? - .

- Tentare. - affermò lei.

 

Non le disse nulla di più. Riattaccò il telefono prima che potesse chiedere spiegazioni. Le aveva solo fatto prendere nota dell’indirizzo e le aveva detto di venire il più presto possibile.

- Le hai detto nulla di papà? - le chiese Dex, quando tornò.

- No, non potevo. - scosse la testa... poi lo fissò in quegli occhi così simili ai suoi e annunciò – Voglio vederlo. - .

 

Sì, era malato. Gravemente malato... gli occhi verdi infossati nelle cavità e semichiusi. Era attaccato a delle macchine... pallido, immobile. I capelli chiarissimi stavano quasi scomparendo con il colore di quel bianco cadaverico della pelle. Era dannatamente giovane... eppure sembrava così vecchio e debole...

Si avvicinò al letto, Dex le stava al fianco.

- Nicholas... - sussurrò lui. Eve chiuse gli occhi e si bagnò le labbra ripiegandole all’interno della bocca.

- No, papà... sono Eve. - .

- Eve... - disse lui mettendosi a sedere.

- Ciao... - sussurrò.

- Come stai piccolina mia...? - disse abbracciandola forte. – Sei cresciuta tanto... tanto... - .

- Sto bene. - rispose senza apostrofare un “E tu?” che le sembrò squallidissimo. L’uomo le passò una mano sui capelli e sorrise.

- Sono contento... che tu sia venuta... - .

 

Accidenti che rabbia!! Come poteva vederlo così e non fare nulla!! Sarebbe morto!! A settimane!! Trapianto?? Troppo tardi!! Quell’uomo avrebbe chiuso gli occhi per sempre a giorni!! Aveva aspettato troppo!! E ora...?!... ora non poteva compiangersi! La vita è un brutto giro... ma se non ci entri non esisti... sospirò. Sua madre sarebbe arrivata a giorni. Sì, non poteva restarsene in Giappone dopo quello che le aveva detto. L’aveva fatta preoccupare nominando il reparto di terapia intensiva... e ora era sicura che sarebbe stata da loro tra qualche giorno...

 

- Allora? - .

Dex scosse la testa. Eppure doveva essere lì a ore!!... se la conosceva come pensava di conoscerla non avrebbe tardato. Era già il terzo giorno che stavano in quell’ospedale ad aspettare la madre... stavano per perdere le speranza quando una donna giovane dai lunghi capelli corvini si avvicinò a lei correndo.

- Eve!! Stai bene!! Grazie al cielo!! - la abbracciò, la ragazza non disse nulla. Lasciò che la donna si accorgesse da sola che dietro alle sue spalle... proprio davanti a lei... c’era suo figlio.

- Dexter... - mormorò scoppiando a piangere. Tutte quelle lacrime cominciavano a darle sui nervi... infondo non doveva essere anche lei triste per suo padre??... no, non ce la faceva, lo vedeva come il papà di sempre che l’aveva allontanata perché somigliava troppo a Nicholas... o era Nicholas che somigliava troppo a lei...

- Vieni con me. - le disse Eve prendendola per un braccio, senza darle il tempo di dare un abbraccio decente al fratello. La condusse in quella stanza deserta e bianca... ecco cosa voleva farle vedere...

- Mio Dio... - mormorò bloccandosi.

- Rebecca...? - disse flebilmente quell’uomo disteso sul letto, mentre la vedeva. La donna non si mosse, rimase lì a guardare colui che le aveva parlato... in un silenzio strano e teso... poi scoppiò di nuovo in lacrime.

- Ma che... ma che ti è successo...?? - urlava aggrappandosi alle sue mani bianche. Alcune infermiere accorsero subito, seguite da un medico.

- Che succede qui?? Lo sa che non può... - l’infermiera si bloccò guardando quella scena e riconoscendo i due fratelli... quella doveva essere la madre. Molto bella... era molto bella quella donna, ancora nel fiore degli anni... ma vedendo quel viso straziato dal dolore era inutile tentare di calmarla.

 

Poco dopo tutto le fu più chiaro...

- Eve... perché non me l’hai detto subito? - .

- Perché sapevo che non saresti mai venuta. - .

La donna tacque. Aveva ragione... quella ragazzina aveva ragione... era una vigliacca... non sarebbe mai andata se l’avesse saputo... Dio... quello spettacolo era orribile... quell’uomo ridotto ad uno straccio sul un lettino desolato in una clinica che non aveva saputo ridonargli la vita...

- Mi dispiace infinitamente, signora... ma glielo devo dire... a suo marito non restano che poche settimane, se non giorni di vita... - .

Il medico aveva proferito le parole che l’avevano fatto sentire in colpa già molte altre volte. Si lisciò il pizzetto grigio e la accompagnò fuori.

- Aspetti... - disse debolmente l’uomo. Tutti si voltarono verso il letto.

- Voglio che... che stacchiate queste macchine. - sorrise.

- Cosa? - domandò incredulo lo specialista.

- Ha capito cosa intendo. Ora che siamo qui tutti e quattro insieme vorrei dare l’ultimo addio alla mia famiglia... - gli occhi della moglie si riempirono nuovamente di liquido cristallino.

- Non voglio che restino ancora a lungo per vedermi deteriorare giorno per giorno. Facciamolo oggi, che sono qui con le persone più preziose che ho al mondo... - .

Il dottore e l’infermiera lasciarono la stanza. L’uomo rimase solo con loro...

- Cosa sono quei musi lunghi? - sorrise facendo un grande sforzo. – Sarò felice io! E voglio che lo siate anche voi. Io non ci sarò più ma vivere nell’ombra di questo non vi servirà a nulla... si vive una volta sola, ricordatevelo! Sprecare la vostra esistenza piangendovi addosso non migliorerà le cose... siate come la fenice... risorgete di nuovo... - .

Poi si rivolse alla moglie.

- Sei giovane, affascinante... e intelligente... hai ancora il tempo di essere felice... - .

- Eve, Dex... siete cresciuti più belli di quanto immaginassi... vivete le vostre vite nella gioia più intensa... e quando sarete tristi, ricordate che potete ricominciare quando volete! - .

- Papà... - sussurrò il ragazzo. Lei non disse nulla, solo sorrise.

E rimasero lì... anche il giorno in cui videro i suoi occhi spegnersi per sempre... l’avrebbero ritrovato... nei loro cuori e nel profondo della loro anima, come Nicholas, parti di loro stessi erano solamente un ricordo dolcissimo e incantevole... persone che erano state ma non saranno più.

 

Che discorso da film... aveva fatto suo padre... già, era morto con onore come aveva sempre desiderato... no, non era triste, era felice che lui avesse avuto ciò che voleva... ora comprese il bene che quell’uomo le voleva... infinito come le stelle... grande come il cielo... e lo ringraziò con un sorriso, per averla messa al mondo, per averle regalato la cosa più bella che aveva: la sua vita.

Vivere, ora doveva solo vivere... e lo avrebbe fatto... ora sì che era completamente libera del peso soffocante della morte... e le sembrava di volare se solo avesse avuto un paio d’ali...

- Mamma...? - Dex sorrise. – Ti posso chiamare ancora così? - .

La donna si fermò, mentre stava per salire sul taxi che avrebbe portato tutti all’aeroporto. Eve sapeva che ora non avrebbe pianto, no, non l’avrebbe fatto ora. Sorrise.

- Sei sempre stato mio figlio... - .

Che scene assurde... sembravano uscite da romanzi... eppure erano vere... e lui era felice come mai lo era stato. Sapeva che suo padre l’avrebbe sempre protetto, ovunque fosse...

 

- Sicura? - le chiese la donna aggrottando le sopracciglia.

- Ma certo! Sono grande, ormai! E poi ho già il biglietto! - era la milionesima volta che glielo ripeteva. – Perché non ti occupi un po’ di Dex ora? Preparati a diventare il cocco di mamma! - rise.

- Eheh... non cantare vittoria, ti aspetteremo in Giappone!! - sorrise il fratello.

L’aereo per Tokio partì e lei rimase un po’ di tempo ancora da sola a pensare... seduta su quella poltroncina, aspettando l’aereo per Amburgo.

Strano... il fatto della morte del padre. Sì, era stata triste nell’istante in cui l’aveva visto su quel letto... ma poi, dopo quelle parole, tutto le sembrava chiaro... la vita era il bene più prezioso che si potesse possedere... la vita... si adagiò ancora di più sullo schienale. Non aveva pianto quando lui aveva chiuso gli occhi. Eutanasia. Era serena perché sapeva che era ciò che suo padre voleva. Ormai si era rassegnato al suo tumore incurabile ed aveva respirato per l’ultima volta, con un sorriso sulle labbra secche... felicità... il sogno che aveva da tempo... e ora che lei, la mamma e Dex stavano di nuovo insieme... era divenuto realtà... avrebbero ricominciato... daccapo... di nuovo... ma questa volta per sempre e uniti... e non avrebbe pianto, né abbassato lo sguardo d’ora in poi quando si sarebbe parlato di Nicholas o del padre... avrebbe sorriso... pensando che le vite che avevano vissuto non erano state gettate via... erano state vissute con ardore... e tutto l’amore del mondo... aveva anche passato quel brutto periodo... di sedicenne scontrosa e selvatica... quando credeva che il mondo era nero e buio... atroce e cattivo... e le persone false e bugiarde... quando trattava tutti come piccoli vermi striscianti, umiliava e faceva soffrire le persone... ora avrebbe preso a cuore ogni minimo fatto della sua vita... strano che la morte le avesse portato così grande sollievo e sicurezza... la morte non era sempre orrenda... e lei era una dei pochi esseri umani a esserne al corrente...

 

Era morto... scomparso per sempre da quel mondo... l’aveva amato più della sua stessa vita... non aveva mai smesso di farlo, infondo... ma ora doveva guardare avanti... per il bene di quei due ragazzi e per il suo... felicità... il sogno che aveva da tempo... desiderava realizzarlo in qualunque modo. Aveva vinto la depressione... sconfitto i fantasmi del passato... e ora viveva senza angosce... senza dubbi che le martellavano il cervello... dubbi di non essere una buona madre e moglie... niente era perfetto... ma poteva rendere perfetto ciò che amava di più... la sua vita. E con essa rendere felici i suoi figli... Dex... Eve. Avrebbe dato loro tutto l’affetto che meritavano... così da poter continuare ad esistere con la contentezza nel cuore...

 

Vuoto... si era sentito vuoto per troppo tempo... e ora avrebbe riscattato tutto ciò che si era perso stando in quell’ospedale che non avrebbe mai visto in vita sua... già... vita... ora se ne sarebbe costruita una nuova... avrebbe avuto degli amici... avrebbe pensato alle ragazze... giocato a calcio... uscito di sera come tutti i sedicenni... sorrise mentre una nuvola candida gli passò accanto, al di là del finestrino... quei fatti gli avevano segnato l’esistenza eppure era contento di aver provato simili sentimenti... ora non sarebbe cresciuto vuoto e solo come la maggior parte dei ragazzi che presto sarebbero diventati uomini... non doveva lasciarsi scappare nemmeno un istante della sua giovane vita che germogliava giorno per giorno sempre di più... felicità... il sogno che aveva da tempo... e ora si era realizzato.

 

OTTAVO CAPITOLO

DECIMO CAPITOLO