QUARTO CAPITOLO: UNA NOTIZIA INATTESA.

 

La signorina Robinson si lisciò i capelli rossi e si mise una mano sul fianco, sistemandosi la sciarpa.

- Avanti!! Uno! Due! Tre! Quattro! Mantenete il ritmo! Springer va’ piano! Piano! - gridò.

Eve rallentò il passo, si portò le mani alla bocca e soffiò per riscaldarle un po’. Il fiato caldo passò attraverso ai guanti neri e la ragazza si fece schioccare le dita.

- Certo che è un supplizio! - mormorò una delle sue compagne di squadra. – Perché con questo freddo ci devono far allenare ugualmente? Sto congelando! - .

- Davis! 300 metri in più!! - vociò l’allenatrice. Lena sbuffò e si distanziò dal gruppo, mantenendo un ritmo stabile.

- Avanti!! Ancora venti giri e abbiamo finito!! - la signorina Robinson si portò il fischiettò alla mano.

- Abbiamo!? - mormorò una sua compagna accanto a lei. Eve le sorrise. L’altra ricambiò.

Faceva un freddo terribile, sebbene non avesse né piovuto né nevicato la rugiada congelata sulle foglie, sull’erba e dappertutto fuori era il segno della temperatura gelida che c’era in quel giorno di dicembre. Ci voleva proprio una bella gita alle terme! Ovviamente Marica diceva che il suo piano aveva funzionato a meraviglia, invece i professori avevano già deciso di portare in gita quasi tutte le classi del corso superiore, ovvero la D, la E, la F e la G. Naturalmente Marica era strafelice e non vedeva l’ora di mettere in atto il suo piano. Sarebbero partiti la settimana successiva, di venerdì e avrebbero passato quattro giorni alle sorgenti termali di Onsensawa [w la fantageografia!!... Ho ideato il nome da “Onsen”= “Terme” in jap e “Sawa”, che è un suffisso comune a parecchie città giapponesi... ma che mente acuta!! Ok, ok... la smetto!! ^^ n.d.author]. Eve si sistemò il cappellino da baseball e continuò a correre.

 

- Allora, che ne dici? - le chiese Kim.

- D’accordo. Ci si vede! - salutò Eve.

- Ciao! - l’altra ricambiò il saluto e si allontanò dal campo. Le aveva appena proposto di passare la serata a casa di Danny, tutti assieme. Eve aveva accettato, doveva solo tornare a casa, farsi una bella doccia e indossare qualcosa di decente.

Fece per aprire la porta quando notò che la cassetta delle lettere era piena. Sua madre si dimenticava spesso di prendere la posta, era una donna distratta ma non per questo era una cattiva madre, anzi. Eve le voleva molto bene, anche se a causa del suo lavoro e dei propri impegni la poteva vedere sì e no qualche mattina e alcune sere. Era molto giovane, aveva partorito la prima volta a diciotto anni. Ora ne aveva trentasei e per una donna di quell’età avere già una figlia maggiorenne era raro. Le due si consideravano un po’ come sorelle che come madre e figlia, a causa della breve differenza d’età. La ragazza prese la posta e posò tutto sul tavolo della cucina. Cominciò a guardare le lettere: già le bollette, alcune riviste indirizzate a sua madre, e i vari volantini pubblicitari... tra questi vi stava una lettera. Una piccola busta candida. Eve guardò il recapito... era stato barrato il vecchio indirizzo e un’altra persona, molto probabilmente un segretario delle poste, aveva scritto quello nuovo a fianco. Eve girò la lettera. Non c’èra il nome del mittente, ma doveva provenire da molto lontano perché i francobolli non erano quelli giapponesi e inoltre era stata timbrata più volte. Finalmente si decise ad aprirla. Non appena lesse le prime righe, la sua espressione cambiò da incuriosita a turbata... aggrottò le sopracciglia spalancando gli occhi, ma non smettendo di leggere...

 

“Cara Eve,

sono sicuro che mamma non leggerà mai queste righe, per questo mi rivolgo solo a te.

È passato da poco il mio sedicesimo compleanno, forse ti ricordi che sono nato il 10 di giugno e volevo augurare a te un buon diciottesimo compleanno! Così anche la mia sorellina è diventata maggiorenne! Come ci si sente?...

Credo di dover smettere con questa commedia e dirti subito il motivo per il quale ti ho scritto.

Papà sta molto male. Gli è stato riscontrato un cancro al fegato. I medici dicono che si potrebbe guarire, con un trapianto ma lui è fermamente convinto che morirà tra qualche mese e non vuole farsi operare. Ora siamo in Olanda, ma sta peggiorando. Continua a ripetere nel sonno il nome di Nicholas e dice non preoccuparmi per lui.

Eve, ho paura. Tu sei l’unica a cui possa rivolgermi, ho provato di tutto ma non ho combinato nulla. Ti prego, non buttare via questo foglio di carta e appena puoi chiamami, in fondo ho scritto il numero del cellulare di papà.

Ti voglio bene,

Dex.”

 

La ragazza lasciò cadere la lettera e deglutì. Stette per qualche secondo con gli occhi fissi sulla busta, senza pensare a nulla, poi raccolse quel foglio di carta e lo rimise tranquillamente nella busta. Si scostò dal tavolo e salì in camera sua e appoggiò la lettera in un cassetto. Mentre si muoveva non alzava gli occhi, vuoti. Spenti.

Aprì l’acqua calda e il vapore cominciò a formarsi. Mentre si immergeva nella vasca stracolma d’acqua fumante cominciò a riprendere contatto con la realtà...

Papà... a stento ricordava la sua faccia... eppure non erano passati dei secoli!... aveva voluto dimenticarlo... non era possibile che stesse per morire anche lui... perché diavolo non si faceva operare?... Nicholas... no!! Nicholas era soltanto suo!! Le veniva da piangere... no, non doveva! Aveva fatto una promessa a stessa... già... quante promesse si era fatta... non ne aveva infranta una ma sentiva che ciò che aveva costruito stesse crollando di nuovo. E poi c’era Dexter... le faceva tanta pena... che avrebbe fatto se papà fosse morto?... conoscendolo era un ragazzo sensibile, non avrebbe retto se l’avesse lasciato... suo padre era l’unica persona che aveva vicino... contava su di lui, era un esempio, gli voleva un gran bene. Invece Eve... sì, era affezionata alla madre ma aveva imparato che non bisogna dare fiducia alla gente, a contare solo sulle proprie forze... e così tirava avanti. Il mondo intorno a lei stava crollando... che doveva fare?... che diavolo doveva fare?!... chiamare il fratello?... o fare finta di non aver mai ricevuto quella lettera?...

No, non poteva rimanere in casa... avrebbe riflettuto a lungo e non voleva rimanere sola con i suoi pensieri. Prese la giacca ed uscì. Voglia di camminare tra persone che non conosceva... voglia di stare tra la gente... e non da sola.

 

Si sentiva la testa pesante. Ma dove diavolo era? Chi se ne importa... continuava a camminare e basta. Si fermò conto un muro e sospirò. Era stata in tre bar diversi di cui ignorava addirittura l’esistenza e ora camminava lungo una strada ampia e deserta. Strano per essere sabato sera, chissà dove si trovava?... scosse forte la testa per levarsi di dosso quella sensazione di confusione ma fu ancora peggio, il mondo girava intorno a lei e solo quando chiuse forte gli occhi si fermò. Si mise le mani in tasca alla ricerca di qualcosa e poco dopo estrasse il pacchetto di sigarette. Se ne portò una alle labbra e sospirò di nuovo, mentre l’accendeva con mano tremante. Si rimise l’accendino in tasca ed inspirò forte il tabacco.

Guardò fisso davanti a sé. Attraversò la strada a passi lenti e strascicati, appoggiandosi poi al parapetto della strada. Fissò giù, in basso... un dirupo piuttosto scosceso... e poi le luci della città. Tirò di nuovo e si sedette dando le spalle al centro abitato. Si sentiva felice, felice e triste allo stesso tempo, la sua mente non ragionava più, non sapeva nemmeno ciò che stava facendo.

 

Passarono un paio d’ore e i ragazzi cominciarono a preoccuparsi.

- A casa non risponde. - annunciò inquieta Kim, riappendendo la cornetta.

- Non ti preoccupare, vedrai che ha avuto qualcosa da fare e non ha potuto avvisarci. È sicuramente così, Eve è in gamba, ci spiegherà tutto domani o dopo. - .

Eddie le mise una mano sulla spalla e Kim sospirò.

Ed invece non era per niente tranquillo.

- Io direi che possiamo tornarcene a casa. È quasi l’una. - fece Mark guardando Danny. L’amico annuì.

- D’accordo. - .

I ragazzi uscirono di casa e salirono in macchina di Eddie.

- Che fai, non vieni? - chiese Kim dal sedile anteriore. Ed scosse la testa.

- No, vado a piedi. Tanto sono subito a casa e due passi non mi faranno altro che bene! - .

- Come vuoi, ci vediamo! - lo salutò il ragazzo che stava alla guida. Mark gli rivolse uno strano sguardo, come per dirgli di stare attento. Ed alzò una mano in cenno di saluto e si allontanò dalla casa di Danny, dopo aver salutato anche lui.

 

Niente. Le luci erano spente e al campanello non rispondeva nessuno. Era di sicuro fuori.

Il portiere si spostò lungo il marciapiede, forse era meglio tornare. Così si allontanò anche dall’abitazione di Eve e si diresse verso casa propria, passando davanti al campo. Fu allora che vide una figura che si trascinava sulla strada nella direzione opposta alla sua. Si avvicinò.

- Eve! Ma dove... - esclamò prendendola per le spalle.

- Non urlare! Mi fa male la testa... - gridò lei appoggiandosi pesantemente al muretto con la schiena, poi si batté una mano sulla fronte.

La ragazza tirò un’ultima volta e poi gettò via il mozzicone. Ed percepì l’odore misto di alcool e fumo e sul suo viso si disegnò un’espressione stranita.

- Sei... sei ubriaca! - .

- Non è vero... mai stata meglio... - balbettò Eve. Ed la fece sedere su una panchina poco più in là, alla fermata dell’autobus. La ragazza emetteva gemiti di dolore, evidentemente si sentiva come se le stesse scoppiando la testa. Frugò nervosamente nella tasca del giubbotto ed estrasse il pacchetto di sigarette, quando lo aprì si accese l’ultima e lanciò l’involucro in mezzo alla strada. Si mise a giocare con l’accendino. Ed non parlava, la guardava e basta.

- Che hai da guardare?... - sussurrò lei. Non aveva ancora capito chi fosse la persona che le stava a fianco.

- Che ti è successo? - ribatté lui con una frase senza tono.

Eve si alzò e cominciò a cantare:

- Io non so come dirgli che non voglio sprecare il mio tempo... Quando mi sentivo così stanca... io non voglio farmi male... Io non voglio sprecare il mio tempo... Non c'è altro, lo giuro... non cambierà la mia vita... - erano parole di una vecchia canzone che le era rimasta impressa, forse per il significato delle strofe attorno a cui si dipingeva la sua vita...

Eve gridava, ora non cantava più. Per Ed era un supplizio sentire la sua bella voce così storpiata e vedere lei talmente ubriaca da non riconoscerlo neppure. Il ragazzo si alzò, e le tappò la bocca con una mano.

- Ma sei matto?... Così mi soffochi!!... mi soffooooochi!!!! - cantò ancora. Ed era a metà tra l’arrabbiato e lo sconcertato. La guardò ancora mentre gli si avvicinava e l’odore dell’alcool e del fumo si fece sempre più intenso.

- Un momento... ma noi ci conosciamo... – gli piantò in faccia quegli occhi blu che lo guardavano da così vicino, quasi con la bocca poteva sfiorare il suo mento.

- Gattino!! - esclamò allontanandosi di scatto e ridendo – Che bello vederti!! Hai fatto i tuoi allenamenti? E gli altri? - .

Eve si fermò di colpo e smise di sorridere.

- Oh... ma oggi non dovevamo andare da Danny?... mi sono dimenticata!! - scoppiò di nuovo in una risata fragorosa. Ed non aveva parlato, la osservava e sul volto aveva un espressione dura. Ma dentro mentre guardava quella ragazza saliva la rabbia. Cosa diavolo le era saltato in mente di fare?!... La vedeva e pensava solo che si stava rovinando... stava maltrattando il suo corpo, con il fumo, l’alcool... e il suo bel viso, fino ad allora così sereno e il suo sorriso spensierato... quella sera si erano trasformati... il volto era stravolto e il sorriso isterico. Il portiere non poté guardare altro e si avvicinò ancora di più a lei, mentre continuava a ridere. Ora si stava togliendo la giacca e la felpa che aveva indossato quella sera, e le stava gettando sul marciapiede, mentre faceva delle giravolte su stessa e si scopriva le braccia, tenendo la sigaretta stretta tra le labbra.

- Neveeee!!! Neeeeve!!! - invocava al cielo.

- Basta!! Eve, smettila!! - Ed afferrò la sigaretta dalla sua bocca e la gettò via. La scosse, prendendola di nuovo per le spalle. La ragazza perse il suo sorriso e si coprì il viso con i pugni, fissando ancora quegli occhi scuri e arrabbiati sotto la luce fioca di un lampione.

- Fammi male!! Picchiami!! Voglio andare da Nicholas!! - urlò di nuovo. Ed rimase confuso per qualche istante, poi cercò di calmarla.

- Eve, ora basta... l’ultima cosa che farei è picchiarti... - le disse prendendole le mani e abbassandogliele.

- Adesso basta!!!! Non voglio più rimanere qui!! Voglio solo andare da Nicholas... Nicholas... - il tono della voce della ragazza si stava abbassando, ma le mani erano tornate all’altezza delle spalle e ora battevano sul petto di Ed. Il ragazzo non ce la fece più e circondò il suo corpo con le braccia, stringendola forte a sé.

- Non ti farò male, capito?... ora calmati, ci sono io... ci sono io... sempre... - sussurrò chinandosi su di lei e appoggiando la guancia accanto al suo orecchio. Eve sussultò... c’era lui... Ed... era lì con lei, socchiuse gli occhi e si lasciò andare... in un sonno profondo...

 

Arrivò finalmente davanti a casa sua. Le luci erano tutte spente, provò a suonare ma non c’era ancora nessuno. Fece scendere Eve dalle sue spalle e frugò in una delle tasche sperando di trovare le chiavi. Infilò la più grande nella serratura e dopo un po’ di giri la porta si poté aprire.

- Dov’è la tua stanza? - le sussurrò. La ragazza alzò fiaccamente la mano e indicò le scale. Il portiere la aiutò a salire i gradini, finché raggiunsero la prima porta, che fortunatamente era proprio la stanza di Eve. Ed accese la luce e la fece distendere sul letto, mentre lei si copriva gli occhi con una mano.

Il ragazzo si guardò intorno. Eve era davvero brava a disegnare, c’erano un po’ di schizzi sulla scrivania e altri disegni più  belli e rifiniti sulla parete. Vide un personaggio molto particolareggiato sulla scrivania. Era un guerriero, portava un’armatura argentea, ricca di ombre e stemmi medievali. Il suo sguardo si spostò su quel buffo bozzetto in cui erano raffigurati lui, Danny e Mark in versione chibi che si facevano le boccacce. Ed sorrise dolcemente, guardandolo.

- Nevica...? - sussurrò lei.

- No, non nevica. - rispose lui mentre appoggiava il giubbotto su una sedia. Eve era ancora in maniche corte, aveva solo la felpa sulle spalle.

- Peccato... tu dici che nevicherà? - farfugliò ancora.

- Non lo so. - fece Ed mentre prendeva la coperta che stava sulla poltrona e faceva sedere Eve, mettendogliela attorno alle spalle e togliendole la felpa maleodorante di fumo. Le sue mani erano ghiacciate, così la riscaldò sfregando le proprie sulle sue braccia. La ragazza ritrasse di colpo un braccio.

- No... non toccare il mio braccio... - mormorò. Ed si ricordò che quell’estate vi portava una fasciatura e allontanò la mano dal braccio, stringendola a sé. Eve si sentì così protetta... tra le sue braccia... non capiva ancora bene ciò che stava succedendo, era in uno stato di confusione... capiva e non capiva... ma sapeva che stare con Ed era la cosa più piacevole che avesse mai provato...

Il ragazzo abbassò lo sguardo e discostò il viso della ragazza dal suo collo. Si era addormentata. Guardò l’orologio, erano quasi le due e mezzo. Decise su due piedi di non tornare a casa. Sarebbe rimasto con Eve tutta la notte, magari avrebbe dormito ai piedi del letto, se ci fosse riuscito. Rimase ancora lì con lei tra le braccia prima di farla appoggiare dolcemente sul materasso e di coprirla bene. Fece per alzarsi dal letto per andare in bagno e rinfrescarsi il viso quando fu preso da una curiosità strana. Scoprì parzialmente il braccio di Eve e poté vedere che cosa nascondeva quella fasciatura che aveva portato fino a qualche mese prima. Una cicatrice. Una profonda cicatrice diagonale proprio sul bicipite. Ma non era recente, era una ferita già rimarginata, come se qualcosa le avesse sfiorato il braccio tanto da penetrare nella carne ma in ogni modo cicatrizzata da qualche tempo. Come le era successo?... Forse quella fasciatura che portava era un modo per nascondere lo sfregio. Fu un attimo, qualcosa lo spinse ad accarezzare quella ferita, a sfiorarla con due dita, tanto dolcemente come se avesse timore di frantumare un cristallo.

- Perché l’hai fatto, Eve? - bisbigliò... già, perché si era ubriacata? Che bisogno c’era di farlo?... Eve... perché si stava rovinando in quel modo?...

 

Sentì dei passi pesanti sul pavimento, come di talloni che battono forte sul pavimento, poi un acuto colpo di tosse e un lamento soffocato. Ed aprì lentamente gli occhi. Il sole inondava la stanza e fu costretto a mettersi una mano davanti agli occhi per il bruciore. Si sfregò le palpebre e si stiracchiò. Poi staccò la schiena dal bordo del letto e si alzò, guardando dietro di sé. Il letto era stropicciato e vuoto, la coperta stava per terra e la porta del bagno semiaperta.

Il ragazzo si avvicinò e sentì il rumore dello scroscio dell’acqua; quando aprì del tutto la porta trovò Eve china sul lavandino che tossiva e si bagnava la faccia con l’acqua gelida. Ed non disse niente, si stava avvicinando con l’asciugamano in mano quando lei lo interruppe fredda:

- Non mi serve aiuto. - .

- Non dire stupidaggini, lo vedi come sei ridotta? - replicò lui senza fermarsi.

- Ho detto che non mi serve aiuto! - ripeté alzando la voce.

- E io ti dico di sì! Avanti, tirati su. - ribatté Ed porgendole l’asciugamano ed aiutandola poggiando una mano sulla sua schiena. La ragazza gli strappò la salvietta di mano e si discostò di scatto.

- Non prendermi per una bambina stupida! Non mi serve il tuo aiuto! Levati dai piedi!! - ora stava gridando.

- Finiscila! Non ti lascio qui in questo stato! - .

- Piantala di fare il premuroso! Non ti ho certo chiesto io di aiutarmi!! E adesso levati dai piedi! Scusa se non ti accompagno, ma tanto sai già dov’è l’uscita!! - .

- Eve tu non sai quello che dici! Non sei ancora del tutto sobria! - l’espressione di Ed si inasprì.

- Ah, sì? Allora immagino che tu ti sia divertito parecchio con me mentre non capivo un accidente!! - le parole le uscirono dalla bocca senza averle pensate. La testa le faceva un male atroce, le pulsavano le tempie, sentiva il battito del cuore a mille, non si ricordava di nulla e mentre gridava pareva che il cervello le stesse per scoppiare da un momento all’altro.

Silenzio. Si fissavano negli occhi. Quei pugnali scuri e penetranti erano immobili dentro i suoi occhi. Si udiva solamente il fiato corto che aveva Eve. E rimasero lì. Ed era decisamente arrabbiato, lei non l’aveva mai visto così. Fu un attimo. Si voltò. Se ne andò. Eve restò sola.

Rimase in piedi con quell’asciugamano in mano per qualche secondo, poi quando sentì la porta d’entrata chiudersi sussultò e si svegliò da quella specie di trance. Il mondo intorno a lei ricominciò a vivere. E si gettò in ginocchio con rabbia strinse gli occhi e scagliò un pugno al pavimento.

- Dannazione!! - urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Non le importava del dolore lancinante che aveva alla testa, non le importava del suo corpo che pareva sfaldarsi, non le importava assolutamente di nulla... se non di lui... le aveva voltato le spalle... e se n’era andato. Non una parola. Niente. Era stato orribile... una sensazione orrenda. Lei gli aveva detto parole che non avrebbe mai potuto nemmeno pensare di rivolgergli. Era stata cattiva. E lui? Lui si era occupato di lei, visto che l’aveva trovato in camera sua quella mattina. Si ricordava poco o niente. Solo quella fermata dell’autobus, poi basta. Evidentemente l’aveva portata a casa lui e le era rimasto vicino fino alla mattina. Si era svegliata e l’aveva visto che dormiva ancora appoggiato al bordo del suo letto. Era corsa subito in bagno, dove era rimasta fino a quel momento. Cominciò a tossire più forte nel lavandino, le pareva di vomitare l’anima... ma quanto diavolo aveva bevuto la sera prima?! Ci era decisamente andata pesante. Ma adesso non voleva fare altro che dormire. Quando uscì dal bagno si svestì e gettò gli abiti per terra, nel bagno. Poi tornò nella sua camera adiacente e si distese sul letto, stringendosi nella coperta.

 

Ed aveva l’aria di essere veramente furibondo. Si fermò. Il sole della domenica pomeriggio brillava tenue sulle strade velate di brina. Era uscito a correre un po’, nonostante il freddo. Era da pazzi, ma non voleva rimanere fermo in casa sua o con qualche suo amico.

“Che diavolo devo fare?... Eve...” si domandava soltanto quello, perché se n’era andato così?... sicuramente Eve aveva bisogno di una mano, anche se poteva farcela da sola a rimettersi a letto, voleva starle vicino... ma... perché?... Perché gli aveva detto quelle parole?... Perché si era comportata così?... E soprattutto, per quale motivo si era ubriacata?... Sì, certo, poteva considerarsi benissimo un’evasione che prende tutti prima o poi, ma gli era rimasto impresso il suo comportamento, stava quasi per piangere e l’aveva implorato di farle del male... no, non l’avrebbe mai fatto. E poi chi era Nicholas?... Dove voleva andare? Lo voleva raggiungere. Forse in Europa o magari a Okinawa... erano tutte domande a cui non sapeva rispondere e gli bruciava non poterlo fare. Di sicuro le doveva parlare il prima possibile... forse era meglio di no... non sapeva che cosa fare... e se lo avesse allontanato come quella mattina?... Voleva evitare scenate, sapeva che Eve ne sarebbe stata capace. Sospirò riprendendo a correre.

 

Quella mattina raggiunse la scuola in tutta calma, quasi non avesse voglia di entrarvi. Non era né in anticipo né in ritardo, se l’era semplicemente presa comoda. Ormai si sentiva meglio, a parte l’umore. In verità aveva ancora un po’ di mal di testa, ma non se ne preoccupava. Era stata più di un’ora sotto la doccia, voleva lavare via quel senso di tristezza, rabbia e frustrazione che aveva addosso, ma evidentemente non ci era riuscita. Ripensava a quello che aveva fatto... la lettera, lo smarrimento, lo sconcerto, l’alcool, il fumo,... Ed. Lo aveva davvero trattato da schifo. Si era subito resa conto che lui si era preso troppa confidenza... no,  non le dava fastidio, le faceva tanto piacere ma... ma non poteva permettere a nessuno di entrare nel suo cuore... di guardare ciò che conteneva... di farne parte... no, questo non lo poteva permettere. Lui aveva già visto la cicatrice che aveva sul braccio. Era già troppo. Troppo. Eppure aveva un tremendo senso di colpa.

 

Stava... stava camminando verso di lei!!... Oh! Stava fissando proprio lei!!... Marica si stava sciogliendo. Il suo piano infallibile aveva colpito ancora prima di essere messo in atto! Infatti sarebbero dovuti partire per la gita il giorno dopo, venerdì. La ragazza cercò di fare il suo solito sorriso spontaneo, ma l’unico risultato fu questo: Mark le passò di fianco senza nemmeno calcolarla. Marica ci rimase male e aggrottò le sopracciglia. Fece per corrergli dietro quando fu fermata da un ragazzino che le si piantò davanti.

- Hey! - si lamentò Marica, – Vuoi farmi venire un infarto? - .

Il ragazzo socchiuse gli occhi scuri sorridenti e rise.

- Scusa! Non volevo farti spaventare!... - .

- Ci mancherebbe altro! Ora levati! - esclamò lei cercando di seguire Mark.

- No, no! Un attimo! Volevo chiederti una cosa! - le andò dietro fermandola di nuovo.

- Cosa vuoi? - sospirò Marica alzando gli occhi al cielo, mentre Mark spariva giù per le scale.

- Tu sei molto amica di Eve, vero? - domandò Danny, con il suo bel sorriso. L’altra fece un’espressione interrogativa... amica?... Mh, per lei sì certo, Eve era una grande amica... ma non era molto sicura che anche lei ricambiasse... comunque annuì.

- Volevo solo sapere se tu sai cosa le prende. È da lunedì che la vedo così... vuota. Hai notato? - .

Marica annuì ancora, accantonando del tutto il sogno di salutare il bel cannoniere.

- Sì, ma non so che le prende. Però quando è così preferisce essere lasciata sola, non chiederle che ha e soprattutto non offrirti di aiutarla, non lo accetterebbe mai e ti risponderebbe male. È uno di quei periodi no che vengono a tutti, non ti preoccupare. - .

La ragazza stava parlando con tanta confidenza a quel ragazzino... ma accidenti!! Ritornò alla realtà... Mark era sparito!!... Sbuffò.

- Mh... spero le passerà! Comunque grazie!! - sorrise ancora, prima di andarsene. Fece due lunghi passi di corsa lungo il corridoio, poi tornò indietro.

- Scusa, non mi sono nemmeno presentato. Io mi chiamo Danny! - il ragazzo non smetteva di sorridere e se ne andò così come era venuto, non lasciando neanche il tempo a Marica di dirgli il suo nome. La ragazza scosse la testa e tornò seria.

Eve... ancora Nicholas...” pensò dirigendosi a passi lenti verso l’uscita.

 

Era stato tutto un gioco di sguardi per una settimana... lui la guardava, lui distoglieva lo sguardo, lei lo guardava, lei si voltava... Ed sospirò. Non aveva detto a nessuno ciò che era successo, aveva solamente spiegato che Eve non si era sentita bene... Basta, non poteva più reggere quella situazione! Le avrebbe parlato il giorno stesso, non appena sarebbe capitata l’occasione.

Kim camminava accanto a loro, Ed e Mark. Eve se n’era già andata e quel giorno Eddie non c’era. La ragazza non aveva nemmeno provato a parlare con la sua compagna. La vedeva fredda, distaccata. I suoi occhi non avevano espressione, stava male e Kim l’aveva capito. Ma cosa fare?...

 

Eve aveva deciso di partecipare lo stesso alla gita, stare lontano da casa le avrebbe fatto solamente bene. La ragazza sbuffò. Si voltò dall’altra parte e vide Kim arrivare di corsa.

- Ciao!! - esclamò. Si era prefissa di far tornare alle stelle il morale di Eve, cercando di essere il più allegra possibile.

- Hey, che allegria! - l’altra si sforzò di sorridere.

- Già! Dovresti sorridere anche tu! Da oggi faremo quattro giorni insieme! Non sei felice? - .

Eve sorrise ancora, ma non parlò.

Quando salirono sul pullman erano divisi per classi. La ragazza si piazzò in uno degli ultimi posti in fondo con Kim, furono raggiunte in breve da Ed e Mark che litigavano tra loro.

- Ti ho detto che non è colpa mia! Finiscila! - .

- Ah, sì? - rispose bruscamente Ed. – E allora a chi vuoi dare la colpa?! - .

- ...Danny!! - esclamò a voce alta Mark. Il portiere si sedette e scosse la testa, ridendo. Mark arrossì.

- Che hai da ridere?!... È... È il primo nome che mi è venuto in mente!!... Piantala di ridere!! - .

Il cannoniere si lanciò contro l’amico che stava morendo dal ridere... Kim era sprofondata nella poltroncina ma sorrideva sotto i baffi. Eve guardava la scena... con la coda dell’occhio. Non rise... non accennò nemmeno un piccolo sorriso. Le sue labbra rimasero immobili e i suoi occhi tornarono a fissare fuori dal finestrino. Quei due litigavano perché rischiavano di fare tardi, uno doveva svegliare l’altro suonandogli a casa. Ma Mark se n’era completamente scordato e a metà strada era tornato di corsa indietro per chiamare Ed, che se non avesse sentito il segnale avrebbe continuato a dormire fino a mezzogiorno.

 

Teneva gli occhi chiusi mentre gli altri parlavano. Fingendo di dormire era immersa nei suoi pensieri... il viaggio era quasi finito, pensava che se avesse avuto gli occhi aperti avrebbe fatto sentire a disagio gli altri. Non era certo facile divertirsi vedendola in quello stato. Ed si sistemò gli auricolari del walkman e sprofondò ancora di più sul sedile, Kim parlava con quel suo speciale sorriso dolcissimo con Mark e a lui sembrava far piacere la compagnia della ragazza. Eddie invece, se ne stava in disparte ad ascoltare il discorso.

Si sistemarono in un albergo lontano dal centro di Onsensawa, immerso nel verde... eh già, i professori avevano scelto bene il posto! Ovviamente ci sarebbero stati un bel po’ di luoghi da visitare. Kim appoggiò il borsone ai piedi del letto in cui avrebbe dormito. Lo stesso fecero Eve e Marica.

- Che ne dite di andare a mangiare qualcosa? - sorrise Kim.

- Ma tu pensi solo a mangiare?? - la riprese Marica.

- Eh??... Ma se è la prima volta che lo dico!! - si lamentò l’altra.

- Finitela voi due. - sbuffò Eve. – Siamo appena arrivati ed è quasi mezzogiorno. Concordo con Kim. - .

Marica sospirò e seguì le altre due in sala da pranzo. Alcuni dei loro compagni erano già lì, seduti ai tavoli per mangiare. Dopo pranzo si cambiarono e uscirono per la prima escursione.

Eve sbuffò continuando a camminare con lo zainetto su una spalla.

“Fantastico! Adesso sto diventando anche insofferente!!

Il sole batteva forte e il tempo era molto caldo, nonostante fosse inverno e non soffiasse un filo di vento. La ragazza diede un’occhiata davanti a sé: ormai dovevano essere quasi arrivati a destinazione.

 

Si gettò sul letto. Accidenti non aveva nemmeno più una sigaretta! Sì, era sicura di averle finite quella sera... poi non ci aveva nemmeno più pensato ma ora... ora le servivano proprio!... quella sera... le ritornò in mente qualcosa di confuso... e le venne un dubbio... e se avesse detto o fatto qualcosa di equivocabile mentre stava con Ed?... oh, maledizione!... si drizzò a sedere di colpo e cercò di ricordare... niente a parte ciò che già vagamente ricordava... forse era anche per questo che lui non le parlava più... no, non voleva perdere Ed... doveva subito parlargli e prima di tutto chiedergli scusa e poi domandargli che cosa era successo precisamente... sapeva che non le avrebbe mentito e così uscì di corsa da camera sua.

 

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