DICIOTTESIMO CAPITOLO: IL SANGUE DI
EVE.
OKINAWA – QUALCHE ANNO PRIMA
L’aveva notata da un po’, quella ragazza. L’avevano notata in
molti, per il suo carattere duro, egoista e arrogante. Non c’era voluto molto
perché fosse sulla bocca di tutti anche quella volta, una nuova rissa in cui
lei era presente. Le dava di santa ragione, non le importava di farsi male, ma
picchiava veramente pesante! Era arrivata qualche mese prima,
ma non aveva tardato a farsi riconoscere. Alex la
guardava seria, fissava i suoi occhi di ghiaccio mentre
scendevano dall’autobus. L’altra non si curò minimamente di lei e cominciò a
camminare verso la scuola. Chissà a cosa stava pensando... aveva uno sguardo
severo e perso...
- Ragazzi!! Ragazzi!! Correte!! Stavolta Eve
ce l’ha con Mick!! - gridò
la voce squillante del suo compagno, al di là della
porta. Alex si alzò di scatto e raggiunse i suoi
compagni affacciati alla ringhiera fuori, per assistere alla scena.
- Io non picchio le ragazze! - disse il bulletto
mettendosi le mani ai fianchi. La ragazza fece una smorfia e alzò il mento al
cielo, in segno di superiorità.
- Tsk! Che
vigliacco! - sibilò.
- Vigliacco, a me?! - fece Mick alterandosi. Eve non
rispose, mantenne la sua espressione altezzosa e lo fissò di nuovo con uno
sguardo pieno di cattiveria.
- Beh, non rispondi, ragazzina!? Odio
chi non risponde alle mie domande!! - .
- Sei noioso. - esclamò l’altra senza dare tono alle parole. -
Levati dalle scatole. - .
- Ma come... come diavolo ti
permetti?!?! - gridò lui al limite.
- Oh, devo anche chiedere il permesso? Mi scusi tanto signore,
ma non sei stato forse tu a dirmi che se non ci stavo
con te me l’avresti fatta pagare? E allora, sto
aspettando. - .
Delle risatine sommesse si alzarono dai presenti, alcuni
guardavano la scena allibiti, infondo Mick era conosciuto come il bullo d’eccellenza della scuola
e nessuno gli aveva mai risposto così. Il ragazzo aveva perso la pazienza e ora
la fissava con odio. Troppo per lui, mai nessuna si era rivolta così a lui,
nessuna l’aveva respinto e quella sciocca si era anche permessa di fargli fare quella figura davanti a tutta la scuola.
- E va bene, come vuoi, ma poi non dirmi
che non ti avevo avvertita! - le si avvicinò di corsa
e la colpì allo stomaco. Eve si piegò
in due dal dolore, fissò in basso con gli occhi spalancati. Un dolore
lancinante, Mick non si era fatto scrupoli; bene,
proprio quello che voleva, farla pagare a quello sciocco presuntuoso una volta per tutte. Il suo sguardo si fece duro e la rabbia
si impadronì di lei.
- Figlio di un cane... - urlò a denti stretti prima di
restituirgli un calcio nello stomaco e un pugno sulla bocca. Forte, era troppo
forte. Così cadde per terra, tenendosi l’addome e il viso, mentre lei gli
sferrava un calcio nella schiena.
- Non toccarmi mai più. Nessuno può farlo. - sussurrò duramente
accanto al suo orecchio, abbassandosi. Poi si rialzò e senza nemmeno guardarsi
intorno, senza curarsi delle decine di occhi che la
fissavano, si spolverò la gonna della divisa blu e riprendendo la sua cartella,
uscì dal cancello.
Mick era rimasto a terra di sasso. Non gli
bruciavano più le ferite, ma le parole che gli aveva
rivolto quella ragazza... e lo sguardo di ghiaccio che si era sciolto in un
odio profondo, pieno di rabbia e cattiveria. Se n’era accorto.
Quello era un diavolo, non una ragazza normale. E non
gli importava di essere stato battuto, di aver fatto una figuraccia davanti a
tutta la scuola, ciò che aveva peso per lui era solo non avere mai più a che
fare con quella tipa violenta.
Si ravviò i capelli dietro la schiena e continuò a camminare.
Quella sera era proprio stanca, andava a prendere le schede per l’iscrizione al
club di atletica, quell’anno
aveva deciso di iscriversi anche se non era molto motivata. Ad un tratto la
vide. I capelli lunghi, biondi e setosi stavano
raccolti in una treccia che ondulava dietro le sue spalle. Il corpo perfetto si
muoveva fasciato dai pantaloncini e dalla maglia corta rossa. Era velocissima.
Un fulmine, correva come se avesse le ali ai piedi. Rimase incantata nel
vederla così concentrata, così motivata e così impegnata nel fare qualcosa che
non fosse prendere a pugni o insultare qualcuno! E poi era così bella... era stupendo quel paradosso: così
bella ma così violenta. Sembrava uscita da una di quelle favole antiche di cui
non si conosce l’origine, ma il cui finale lascia
sempre senza fiato. Eve. Si chiamava Eve. Come la prima donna. Le mancava solo un serpente per
completare l’opera. Ecco cosa la affascinava tanto!...
lei, Eve... eppure così pericolosa e schiva come un
serpente... era un paragone perfetto. Nel frattempo si era fermata. Ora stava
bevendo da una borraccia presa proprio dalla panchina che le stava di fronte.
Le perle di sudore le scendevano sul collo, per poi essere assorbite
dall’asciugamano che portava sulle spalle.
- Vuoi levarti dai piedi?! - disse. Alex sussultò e si rese conto di essere stata proprio colta
in flagrante, mentre la fissava.
- Emh... no... cioè
volevo dire... sì... insomma... scusami... - riuscì a dire alla fine, non
riuscendo a riordinare i suoi pensieri. Si mosse ed entrò sulla pista.
- Posso... posso allenarmi con te? -
chiese timidamente.
- No. - fu la risposta secca dell’altra. Ecco. Il discorso era
caduto lì. Non aveva più nulla da dire... beh, in verità aveva mille pensieri
in testa ma non riusciva a formulare quello giusto...
era a disagio in sua presenza... come se fosse troppo superiore.
- Eh... – cominciò. - ...andiamo... una corsetta veloce... - .
- Mi alleno sempre da sola io, non ho
bisogno di mocciose tra i piedi. - tagliò corto l’altra.
- Ma... ma non ti sarò d’impiccio...
io... sono brava, sai? - .
- Non m’interessa. - .
Già... sembrava disinteressata a tutto, quella
ragazza. Era strafottente e sdegnosa, come se non fosse in grado di
provare dei sentimenti.
- Ma a me sì!! Voglio correre con te, Eve! - insistette, aggrappandosi all’ultima spiaggia.
- Ma che razza di invasata sei? Ti ho
già detto di no. - .
- Perché... sei così cattiva? - le uscì
di bocca, rassegnata. L’altra non rispose,
le aveva voltato le spalle da un pezzo. - Tu sei...
sei così refrattaria... ribelle... se hai qualche problema... affidati a
qualcuno... affidati a Dio... - .
L’aveva osservata ed era giunta a queste conclusioni, doveva
avere per forza qualche grave problema, o non si sarebbe
comportata così. Ora che gliel’aveva detto stava aspettando una sua
risposta, così praticamente in trepidazione... forse
non avrebbe dovuto dirlo... ora l’avrebbe riempita di pugni... aveva un timore
e un’ansia indescrivibile... poi Eve si voltò verso
di lei con un sorriso ostile sulle labbra, lo stesso che aveva quella mattina.
- Affidarmi a qualcuno? Tsk! Mai
sentita una scemenza simile! Perché mai dovrei fidarmi
di persone che non conosco, persone opportuniste e infime? Che
stronzata! - .
La bionda si voltò di nuovo e mosse due passi verso l’uscita.
Poi girò la testa in modo da incrociare gli occhi di quella ragazza che aveva
assunto un’espressione afflitta.
- Ah, e per quanto riguarda quel Dio, rassegnati dolcezza, non
esiste nessun Dio che ti para il culo.
Quello in cui credi tu è veramente un gran bastardo. - .
Rise come se fosse soddisfatta delle cattiverie che aveva appena
detto e si allontanò sulla strada, con lo zaino su una spalla e la solita
espressione dura e determinata.
Era rimasta senza parole per un giorno intero. Quella tipa era
stata capace di smontarle in un attimo tutta la sua
vita, tutto ciò in cui credeva, negli amici, in Dio. Non sapeva che fare, che
dire e soprattutto aveva voglia di rivedere quella Eve e dirgliene quattro ma... ma non ce la faceva. Quando
fissava i suoi occhi spenti leggeva una tremenda
tristezza, forse era quello che non le permetteva di tornare a provare a
parlarle. Oppure... il suo carattere troppo legato alla fiducia degli altri...
forse si sarebbe dovuta guardare un attimo intorno e capire come Eve che il mondo non era tutto rose
e fiori. Ma ciò che non comprendeva era perché Eve era così cattiva? Forse solo per mettersi in mostra,
per farsi notare... no, c’era qualcosa di più... altrimenti non avrebbe visto
una scintilla di odio nei suoi occhi, il giorno prima.
Si trovò a pochi metri da loro, ma se ne accorse
troppo tardi per cambiare strada. Stava entrando a scuola
quando incontrò lo sguardo gelido di Eve che
rideva insieme a Mick. Sgranò gli occhi. Ma com’era
possibile?! Prima si prendono a pugni e poi ridono?? Che razza di storia c’era sotto?!
Ma... dopotutto che c’entrava lei?...
non voleva entrarci ma non poteva perdonare quella ragazza per le parole che le
aveva rivolto il giorno prima. Doveva avere nuovamente occasione di parlarle. Ma certo! Agli allenamenti!!
La sera stessa si fermò qualche minuto di più, per aspettare Eve che usciva dal campo. Aspettò a lungo
ma non arrivò nessuno, così decise di andare a dare un’occhiata dentro,
per controllare che lei fosse ancora lì. E la trovò.
Piegata su sé stessa con la mano su un braccio. Che
stava succedendo?... non si avvicinò oltre, il campo
era deserto e Eve se ne stava accovacciata a terra
con la mano sul braccio sinistro e gli occhi chiusi. Forse stava male... stava
per muovere qualche passo quando l’altra tolse le dita
dal braccio e lasciò che il sangue gocciolasse sulla salvietta bianca
colorandola di porpora. Alex trasalì... sangue... il
braccio di Eve... stava
sanguinando... e le lacrime... si mescolavano al denso liquido rosso che aveva
sulla mano. Si fissava le dita sporche ma non disse
nulla. Rimaneva lì in piedi e perfino i singhiozzi erano muti. Le lacrime le
scendevano dal viso come un ruscello ma non c’era
alcun suono, né il respiro pesante di chi piange. Sembrava... morta. L’altra
non poté vedere altro, strinse i pugni e gli occhi,
rimanendo lì impalata a fissare il buio delle sue palpebre chiuse.
- Certe persone non si fanno mai gli affari propri... - disse ad
un tratto una voce. Alex spalancò gli occhi e trovò
quelli di Eve a fissarla
duramente. - Che diavolo vuoi? - .
- ... i... io... e... Eve... stai
sanguinando... - riuscì a dire cercando di formulare una frase adatta. Ma in
quel momento proprio non c’erano frasi opportune da dire, il silenzio, gli
occhi taglienti di Eve erano
una cosa dannatamente terribile. L’altra le si avvicinò,
Alex fece un passo indietro ma sbatté la schiena
contro il muretto. Non poteva muoversi più in là. Si accorse che Eve stringeva un coltello a serramanico nella mano destra,
la cui punta luccicava nei suoi occhi e le dava fastidio il riflesso che aveva
preso dal sole rosso. Rosso... come sangue. Per poco non le venne un infarto.
La ragazza che le stava davanti conficcò il coltello ancora sporco di sangue
tra due mattoni del muretto, pochi millimetri più in là della sua tempia. Aveva
gli occhi sbarrati a pochi centimetri dai suoi e stava sudando freddo. Paura...
ecco... sentiva paura... una paura mai provata prima. Quelle lame così maledettamente vicine da trapanarle il cranio...
dio quanto avrebbe voluto essere in un altro posto...
- Lo vedo che sanguino. – sibilò. – A che cosa credi mi serva
questo coltello? Vuoi assaggiarlo anche tu un po’ di sangue? - sorrise
malignamente. Ad Alex era parso di vedere il diavolo
in persona in quel momento. Non sapeva dove aveva trovato le forze, ma si era
messa a correre il più veloce possibile, il più lontano possibile da quel
demonio...
- Faceva la superiore... non parlava
con nessuno se non per dare ordini, per insultare o per umiliare. E poi c’era ancora Mick che se
l’era ingraziata per non essere preso in giro. Ma Eve lo sapeva fin troppo bene e lo usava come suo
schiavetto. Avevamo paura di lei... già, paura. Poi se
ne andò, non disse nulla a nessuno, semplicemente un
giorno smise di venire a scuola e scoprimmo che si era trasferita a Tokio. - .
Ed rimase zitto. Non era
incredulo, lui sapeva della ferita al braccio. Ciò che non comprendeva
era il motivo perché era così cattiva, maligna. Voleva che Alex
gli avesse raccontato una balla. Non poteva vedere Eve senza il suo sorriso, non la poteva credere
così. Stava per aprire bocca quando una voce li
interruppe. In quel momento udirla era come ricevere un pugno in pieno stomaco.
- Hey, Ed! Che
ci fai qui? Pensavo finiste prima, oggi! - sorrideva. Era un sorriso pulito e
sincero. Non appena Alex la vide fece un passo
indietro, come se avesse paura di starle vicino, di guardarla. Ma non poteva distogliere lo sguardo da quel sorriso. Era
troppo strano vederla sorridere, per un attimo fu come se pensasse che quella
non era Eve Springer.
- Ed? Che c’è?
- lo scosse. Il portiere si mise una mano dietro la nuca e sorrise.
- Eh? Niente, sono solo un po’ stanco!
Avanti, andiamo! - fece due passi avanti e la prese per le spalle, come per
evitare di farle guardare Alex. Ma
Eve la notò e sorrise.
- Non la saluti? - chiese.
- Eh? - rispose stranito lui.
- Guarda che ho visto che ci stavi
parlando fino a due minuti fa! - .
- Amh... ciao manager.
- .
Alex fece un debole gesto con la mano,
sforzandosi di sorridere, ma in realtà era stranita... sembrava che Eve non si ricordasse di lei... e aveva
spinto Ed a salutarla...
I due ragazzi si allontanarono e lei rimase lì in piedi sola con i suoi pensieri.
Si alzò e indossò la maglietta. Uscendo sul balcone diede un’occhiata al ragazzo che stava disteso sul suo
letto. Dormiva. Quella sera non era riuscita a farci
l’amore... non aveva voluto. L’aveva visto strano per tutto il
pomeriggio e ci aveva messo poco a capire cosa era successo. Rivedere quella
ragazza era stato come se il sangue del passato ritornasse sulle
sue mani più rosso che mai... si appoggiò alla ringhiera e sospirò. Si sentiva bene, dopotutto... non aveva mica ucciso nessuno.
Quella ragazza era debole, non avrebbe certo avuto il
coraggio di rinfacciarle ciò che aveva fatto...
Ad un tratto sentì il petto caldo di lui sulla sua schiena, e le
sue braccia intorno alla sua vita. Non si mosse. Solo
percepiva quel calore tenue e stava bene così.
- Tu sapevi chi era quella ragazza, vero? - sussurrò Ed sul suo collo.
- Ti ha raccontato tutto... - rispose. Lui fece un cenno con la
testa. Eve lo percepì sulla sua pelle.
- È strano... - .
- No, è la verità. Quella ragazzina non è capace di mentire. Quando l’ho incontrata è stato come vedere la serenità più
incontaminata nei suoi occhi. Per questo ero furiosa. Non poteva essere
felice... nessuno poteva essere felice quando io
soffrivo... sai, non sopportavo di vedere tutti quei ragazzi ridere... non
sopportavo di vederli felici quando il dolore mi dilaniava... per questo li
umiliavo, era come stare su una piramide... e io ero in cima... gli altri, li
guardavo da lassù e quando volevo potevo sputare in testa a chi volevo... era
appagante... mi sentivo grande ed era un modo per non pensare a Nicholas... alla mia famiglia distrutta... e al mio animo
che andava disgregandosi... non riuscivo più ad avere una vita, non riuscivo
più a sorridere... tutti mi credevano maligna... ma in realtà quando scendeva
la notte le lacrime non riuscivano a fermarsi... e ogni notte di più...
piangevo come una bambina... ma in realtà era ciò che ero... una bambina
sola... poi quel giorno... vedere Alex così
spaventata, il suo sguardo era ancora più limpido, i sentimenti trasparivano
come se fosse una sorgente... e io un demonio, ecco cosa mi sentivo... poi
finalmente ho capito... che per essere felici bisogna avere qualcuno vicino e
non isolarsi ed essere cattivi... ho sbagliato... ma non si può tornare indietro...
- .
Ed aprì gli occhi e posò un bacio sulla
guancia della ragazza.
- Ma i tuoi errori ti hanno fatta
crescere, per questo ti amo. - .
Eve sgranò gli occhi, poi sorrise.
- Tu... credi che sia una persona buona? - .
- Ogni volta... che ti bacio, ogni volta che facciamo l’amore... e ogni volta che mi
abbracci mi sento felice davvero. Ognuno di noi dentro possiede una parte buona
e una cattiva, se no non saremmo uomini. I sentimenti
si agitano e formano quella che è l’anima. La tua non è
un’anima malvagia, non lo è mai stata. Era solo sola. Come me. Prima di
conoscerti mi sentivo vuoto. Hai riempito la mia vita. - .
Eve si voltò verso di lui, pronto a
stringerla come sapeva fare. Forte e dolce allo stesso tempo. Per un po'
rimasero sulla terrazza abbracciati l'uno nel calore
dell'altra, poi tornarono dentro e si adagiarono sul letto, addormentandosi
nello stesso abbraccio che li rendeva una cosa sola.
La guardava mentre
dormiva. Strano, si svegliava sempre prima lui. Ma non
gli importava più di tanto, l'importante è che erano insieme per l'ultima
volta. Già... il giorno stesso sarebbe partito con la squadra per andare a Fujisawa, per l'amichevole con Hutton
e non sarebbe tornato prima di tre giorni. Sfiorò le labbra di
Eve con le proprie, eh... già! Non si sarebbe
mai stancato di lei... ripensò a quello che le aveva
detto la sera prima. Mai con nessuno era stato così
sincero... l'amava da morire. Si era sempre stupito di quelle ragazzine
che dicevano "ti amo" con tanta leggerezza. Si poteva amare una volta
sola nella vita. Una volta sola veramente amore. Per lui non esistevano
rispetto, fiducia e amore vero prima di incontrare lo sguardo di quella
ragazza. Solo due anni prima... non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita
così... stavano insieme... da mesi ormai. E non poteva essere più felice. Non aveva paura del passato di Eve, anzi era ancora più
innamorato di lei, sapendo questo. Strano a dirsi... però era vero, la forza
d'animo di quella ragazza la rendevano sempre più
speciale.
Si strinse a lei con il peso del suo
torace finché Eve non si svegliò.
- Ed...? -
mugolò stiracchiandosi.
- Ciao... - rispose lui in un
sussurro. Era così bello vederla tornare a guardare il mondo tra le sue
braccia...
- Volevo salutarti, scusa se ti ho svegliata. - disse lui.
- Non importa. Ora però è meglio che
torni a casa, o arriverai tardi. - .
- Mh... non
ti ho mai vista fare la premurosa... - sorrise.
- Non sono premurosa... solo non
voglio responsabilità, se arriva tardi il portiere titolare e si scopre che era
con me sarebbe controproducente. - .
- Ma tu
guarda che razza di presuntuosa! - scherzò Ed. In
tutta risposta Eve gli fece la linguaccia e gli
lanciò un cuscino in faccia. Lui si liberò in fretta e si mise a cavalcioni sulle gambe di lei,
scrutandola dall'alto. La ragazza si stropicciò gli occhi e sorrise. Lui si
distese di nuovo su di lei sospirando pesantemente una volta di nuovo a
contatto con il suo seno sotto la maglietta.
- No-no!- rise Eve.
- Devi andare a giocare! Ti aspetterò. - .
A quelle parole il ragazzo sgranò gli
occhi... ti aspetterò... lo avrebbe aspettato... e lui
sarebbe tornato vincitore...
- Ok... ci
vediamo lunedì. - disse un po' a malincuore, scendendo dal letto.
- Mi raccomando, fa' vedere chi è Edward Warner! -
sorrise lei mettendosi a sedere facendo il segno della vittoria con le dita.
Lui ricambiò, si infilò i jeans e la maglietta e la
baciò lievemente, accarezzandole le guance.
- Ti amo. - sussurrò.
- Ti amo. - fu la risposta della
ragazza.
Uscì da casa di Eve con il sorriso sulle labbra. Ora doveva pensare solo a
vincere. Tornò a casa sua, si fece una doccia e prese il borsone, diretto verso
l'istituto Toho.
- Salve a tutti! - salutò
allegramente.
- Era ora, Ed! Sono anni che ti
aspettiamo! - fece Mark piuttosto nervoso. -
Piuttosto, dov'è Danny? - .
- E io che ne
so! – rise. - Sarà in ritardo come suo solito! - .
- Accidenti!! Voi due siete sempre i
soliti! Sempre in ritardo, oggi è una giornata importante!!
- .
- Ehi, Mark... ricordi? Stai calmo. - .
Ed si fece serio. Lenders
colse lo sguardo di rimprovero ma non poteva
replicare. Il suo amico aveva ragione, la calma era
l'arma migliore! Nel frattempo di Danny non c’era
traccia...
- Quel cretino! Chissà dov’è andato a cacciarsi!! - .
- Ascolta Mark, e se lo chiamassimo? - fece Eddie. Lenders afferrò il telefonino dalle mani del compagno e cercò
nella rubrica il numero di casa di Danny. Dopo pochi
squilli rispose la madre che lo avvertì che il ragazzo aveva
già lasciato casa da un po’.
- Come sarebbe è uscito!? E dove cavolo
è?! - saltò su Milton. Ed
sbadigliò. Eh, già... quello scemo di Danny doveva
sempre farsi riconoscere! Mark l’avrebbe gonfiato di
botte appena sarebbe arrivato!
- Beh, non ci resta che aspettare un altro po’... vedrai che arriva. - disse Eddie.
Il capitano si appoggiò con la schiena al muretto, chiudendo gli occhi...
probabilmente meditando vendetta.
Passarono altri dieci minuti, ma niente.
- Adesso lo vado a prendere!! - esclamò
Mark.
- E dove? A casa non c’è. - fece calmo Ed.
- Accidenti!! - fu la risposta del capitano. – Ma dove diavolo è
andato a cacciarsi?! - .
- Sentite, - intervenne il mister –
inutile aspettare ancora. Se non si fa vedere non
verrà e tra dieci minuti abbiamo il treno. - .
- Ma... ma mister!! Danny
è uno dei giocatori più validi della squadra!! -
intervenne Eddie.
- Lo so bene. - fece gravemente l’uomo. – Ma
non possiamo rischiare di saltare una partita così importante per Mellow, il vostro capitano lo sa bene. - lanciò un’occhiata
a Mark, che afferrò di nuovo il telefono dalle mani
del compagno.
- Ma... e ora chi vuoi chiamare? - gli
chiese.
- Casa mia. Può darsi che si sia fermato
lì. - .
Di solito quando andavano ad allenarsi Danny
passava da casa di Mark e poi da Ed, così insieme arrivavano al campo. Quella mattina Lenders
era uscito presto, non aveva aspettato nessuno dei due, era in trepidazione per
una partita così importante! E adesso quel deficiente
si permetteva anche di arrivare in ritardo!
Premette il tasto di fine chiamata. Niente. Non era passato
nemmeno a casa di Mark.
- Ma dove cavolo è!?!? - chiese
nervosamente Spencer.
- E io che ne so!! È inutile che mi urli
nelle orecchie!!!! - rispose con tono aggressivo Lawson. Ed notò che gli animi si
stavano riscaldando e prima che scoppiasse una rissa intervenne, strappando di
mano il telefonino a Mark.
- Dai qua, magari è da me. - e compose il numero di casa. Quando gli rispose quella voce sorrise di tenerezza.
- Eve...? - .
- Ehilà! Salve gattino! - fu la risposta
allegra di lei, poi la voce si fece preoccupata. – Che c’è? Hai dimenticato qualcosa? - .
- No, no... anzi... Danny.
- .
- Hai dimenticato Danny?? - .
- Beh, in verità non si trova più. È tardi per essere in
ritardo, volevo sapere se era passato di lì. - .
- Negativo, capo. - scherzò.
- Va bene allor... - il ragazzo fu
interrotto da una voce maschile in secondo piano. Voce che
conosceva molto bene...
- Chi è? - .
- Suo figlio. Si sono persi un giocatore. - rise Eve. L’uomo si avvicinò alla ragazza e le chiese di dargli
la cornetta.
- Eve? Sei ancora lì? Ev... - diceva il portiere cercando di distinguere i suoni
di sottofondo.
- Ed? - la voce di suo padre lo fece
sussultare.
- Papà... - riuscì a dire.
- Torna vincitore. - furono le uniche parole prima di lasciare
il ricevitore in mano ad Eve con un sorriso. La
ragazza si sentì scaldare il cuore... certo che avere un padre che gli diceva
quelle cose doveva essere bellissimo... aspettò che il signor Warner tornasse dagli allievi.
- Ehi, ehi! Sentito il tuo papino? Io
mi aggrego! - .
- O... ok. Ci
vediamo dopodomani. - .
- Certo. Ciao-ciao! - .
- Ciao... - ma Eve aveva già
riattaccato. Il ragazzo rimase in piedi con il telefonino in mano a fissare il
vuoto finché Lenders non lo riportò alla realtà.
- E allora? - .
Ed si scosse.
- Allora niente. Non è nemmeno da me. - .
- Va bene, corriamo adesso o perdiamo il treno! Non possiamo più
aspettarlo, o salta tutto. - .
E come bambini, i giocatori del Toho
allenatore compreso, si misero a correre per le strade di Tokio diretti verso
la vicina stazione. Per un pelo riuscirono a salire sul
treno.
- Accidenti a Danny e a chi lo veste alla mattina! - Eddie si
buttò sul sedile, esausto. Ed non badò a cos’aveva
detto il suo compagno, semplicemente pensava a ciò che aveva sentito poco fa
dalla voce del padre. Tornare vincitore... allora non era vero che non gliene
importava nulla della sua passione... anzi, era anche
dalla sua parte. Voleva che vincesse... e tutto questo lo caricò
a dovere per la partita. Anche Eve
aveva fiducia, non doveva deluderli! Avrebbe stracciato Hutton
e la sua squadretta, altroché portiere e basta!
Avrebbe fatto del suo meglio... anche con l’arma segreta! [WOW! L’arma segreta?! Che fa si spoglia!? Ditemi di siiiiiiiiiiiiii!! N.d.Author ^^].
Uscì dal dojo. Anche
per quella mattina aveva finito. Quando tornò a casa
trovò il biglietto della madre.
“Ciao-ciao Eve,
purtroppo stamattina non ho fatto in tempo a
fare la spesa.
Compra tu qualcosa da mangiare e mi raccomando,
cucina qualcosa di commestibile!
Bacioni
Mamma”
La ragazza si stiracchiò e
uscì di nuovo. Davvero non aveva voglia di andare a
fare la spesa... soprattutto al mercato... però
infondo le piacevano i mercati, fermarsi alle bancarelle era molto più
divertente che starsene chiusi in un supermercato con l’aria condizionata! Ma a
che cavolo stava pensando!? Così sembrava proprio la
mogliettina perfetta!... arrossì. Oh, beh... non che
le dispiacesse ma non era sicura che a Ed piacesse
quel tipo di moglie... ma che cavolo!! Ancora quei pensieri? Basta!
- Fai la spesa e basta, Eve... fai la spesa! - si disse
annodandosi la bandana dietro alla nuca mentre usciva
di casa.
Ok, anche per quel giorno aveva fatto spesa e tutto il resto. Era sulla strada di casa con la
borsa sulla spalla e stava sbadigliando quando vide Danny e Alex fermi al parco. Fu
una casualità che voltasse la testa...
- No, Alex
non chiamare! - .
- E invece sì, Danny ti staranno cercando!! - .
- Ma
che state facendo voi due? - chiese Eve curiosa, avvicinandosi e notando che i due si stavano
contendendo un telefono cellulare. Alex zittì non
appena la vide, Danny abbassò la testa.
- Di’ un po’ ma tu non devi
essere a Fujisawa? - fece sospettosa scrutando
l’amico.
- Sì. - disse tristemente.
- Beh, e allora perché sei
qui a litigare per un telefonino? Non è che volevi
scappare con lei? Guarda che poi Marica si arrabbia! -
scherzò indicando la manager che era ammutolita dalla
presenza della nuova arrivata.
- No... io... - non riuscì
ad andare avanti. Eve notò la sua tristezza e guardò Alex negli occhi. Da quanto non lo faceva...
ma quel giorno le rivolse uno sguardo preoccupato.
- Che
gli prende? - .
- Io... io non lo so... non
me lo vuole dire. - rispose. Eve
si accovacciò davanti al ragazzo, che si era seduto su una panchina.
- I tuoi amici ti
aspettano, stanno per giocare la partita più importante dell’anno e tu che sei
una delle punte del Toho sei qui? - .
- Possono fare benissimo a
meno di me. - ribatté seccamente lui.
- Ah sì? Senti
non è il momento di fare il bambino acido! - esclamò la ragazza
alzandosi in piedi.
- Non faccio il bambino!
Sto solo guardando in faccia alla realtà! Io sono più piccolo
di loro, non gli servo! - .
- E
per una scemenza del genere manchi ad una partita così importante! Guarda che
quelli appena ti vedono ti massacrano di botte! - .
- Non mi vedranno più.
Lascio la squadra! - Danny scattò in piedi. I due si
guardarono duramente negli occhi, poi Eve alzò un sopracciglio.
- Va bene, come vuoi. Se hai deciso di fare il vigliacco ed abbandonare le persone
a cui vuoi più bene per uno stupido capriccio fai pure. Io non starò qui a
perdere altro tempo. - fece una pausa. – E nemmeno Alex. Andiamo? - .
L’altra sgranò gli occhi ma non ebbe la forza di replicare, se ne stette lì
immobile finché la ragazza non la prese per una mano e la trascinò fuori dal
parco.
- Asp...
- fece per dire Danny.
- Aspettarti? Per andare
dove? Hai due scelte: o te ne vai a Fujisawa a
dimostrare a tutti i tuoi compagni quanto vali e a
vincere perché si fidano di te, o te ne resti qui a fare le radici, io e la
vostra manager ce ne andiamo!! - poi si rivolse ad Alex,
ancora esterrefatta. – Tu sai cucinare, vero? - .
- Quell’idiota!
- .
- Mark
basta! - .
- Non dirmi quello che devo
fare, Warner! - .
- Senti, so che hai fiducia
in Danny, e sai che ti dico? - .
- No... - fece il capitano
poco entusiasta.
- Che
arriverà. Io mi fido! - .
- Guarda che se non viene
ci smena solo la tua carriera di portiere!! - .
- Ok.
Scommessa accettata! - .
- Tu ti fidi troppo... - .
- Eheh,
che ci vuoi fare, sono fatto così! E dovresti
dimostrare un po’ più d’affetto a quel poveretto! Ma
non lo vedi che faccia fa ogni volta che lo riprendi? Tu sei il suo idolo! - .
- Ma piantala!
- .
- Uffa!! Inutile ragionare
con te, zuccone! - .
- Che?!
Cosa ti sei permesso di dirmi!? -
.
- Ma
niente, niente! - .
- Vieni qui,
Warner! E non fare quella faccia da indifferente!! - .