DICIASSETTESIMO CAPITOLO:
Sì... infondo dietro a quell’aria da vagabondo
si nascondeva una persona molto ponderata e di buon
senso... c’era da aspettarselo, Mark era cresciuto
con quell’uomo ed era venuto su bene, sicuro di sé e
autoritario. Strano che le avesse parlato così...
forse era uno di quelli che non nascondevano i propri pensieri... o forse era
solamente sotto l’effetto di quella roba che stava nella bottiglia. Però era
una personcina interessante, dopotutto era stato lui
a formare i caratteri dei suoi ragazzi, o almeno per quanto riguardava il
calcio... Ed, come Mark e Danny,
era motivato da una spinta in più quando giocava; le
sue spettacolari parate erano frutto di un duro allenamento sia nel dojo sia sui campi verdi... ed era veramente diverso. La
gente lo giudicava presuntuoso e arrogante solo guardandolo giocare nel suo
ruolo di estremo difensore... era altezzoso, come se
solo lui fosse capace di parare un pallone, davvero deciso. Non sembrava
nemmeno lui, per questo le piaceva: la grinta che gli si leggeva negli occhi,
quella luce che brillava nelle sue iridi scure era la voglia di vincere ad ogni
costo... quello che provavano anche Mark e Danny... erano tre campioni... non aveva mai visto nessuno
più motivato a vincere di loro, davvero dei fuoriclasse, e portavano la palla
con una classe da far invidia anche ai più grandi giocatori. Però Ed aveva
qualcosa in più... no, non erano le sue parate acrobatiche ad attrarla... beh,
certo anche quelle facevano la loro parte... tuttavia il carattere forte e
dolce allo stesso tempo era per lei irresistibile... il modo in cui l’aveva
trattata sin dal primo momento in cui si erano incontrati... non era cambiato,
era rimasto tale durante tutti quei mesi... era una persona semplice,
ma contorta allo stesso tempo e ogni giorno era un piacere scoprirlo...
e poi quel viso perfetto, gli zigomi alti e la bocca sempre sorridente... il
taglio degli occhi, così profondi e espressivi... i lunghi capelli morbidi, e
neri... il fisico atletico e i muscoli tonificati... tutto di lui la faceva
impazzire... nulla era sbagliato... non era né troppo schivo e scontroso come Mark, né troppo bambino come Danny...
lui era Ed Warner... davvero il più bel ragazzo che
avesse mai incontrato...
Per l’ennesima volta stava andando al campo per gli allenamenti,
però quel giorno lo aspettava una sorpresa. Aveva appena salutato Eve che era rientrata a scuola per la lezione di specializzazione grafica. Si portò il borsone sulla spalla
ed entrò in spogliatoio.
- Salve ragazzi! - salutò aprendo il suo armadietto.
- Hey, Ed! Hai saputo la novità? -
chiese Eddie tutto eccitato.
- Mh...? No, quale? - rispose il
portiere togliendosi velocemente la casacca della divisa.
- Da oggi abbiamo una manager tutta nostra!!
- saltò su Spencer, euforico. L’espressione stranita
di Ed non cambiò.
- Che ce ne facciamo di una manager? -
chiese guardando il suo compagno.
- Ma come, non sei contento?! Dicono che sia uno schianto! Pensa, ha
perfino la nostra età! - .
- Ah, ecco...! - buttò lì Mark, spazientito alzando gli occhi al cielo.
- Su capitano, non fare così, siamo tutti contenti di avere una
ragazza che si occupa del nostro team, e non più i
soliti responsabili fannulloni! - .
- Dite un po’, a voi interessa solo perché avete sentito dire che è una bella ragazza? - chiese il cannoniere.
- Non lo abbiamo sentito! - intervenne Eddie.
– Io l’ho vista! È davvero carina!! - .
Ed sbuffò in un sorriso... sempre i
soliti! I suoi compagni non cambiavano mai! Si infilò
i pantaloncini della divisa della squadra di calcio.
- Basta con queste scemenze!! - sbottò Mark. – Avanti, tutti fuori!! - .
Sbatté la porta nell’uscire e Ed si
affrettò ad infilarsi le scarpe coi tacchetti e la maglia. Raggiunse
Mark in corridoio e farfugliò qualcosa mentre
armeggiava con la chiusura della felpa sulla spalla, tenendo i guanti in bocca.
- Mh... pian... on...
oro! - .
Mark gli levò i guanti di bocca e gli
permise di ripetere in modo decente.
- Vacci piano con loro! - rise mentre
finalmente chiudeva i bottoni a clip sulla spalla destra.
- Devono pensare ad allenarsi! Tra poco ci sarà una partita
importante e anche se è un’amichevole non devono
sottovalutare il valore che ha per la squadra tutto questo! Oliver
Hutton si batterà di nuovo con noi e lo stracceremo! -
.
Ed ridacchiò.
- Sei proprio inguaribile! Ancora a
pensare a Hutton! - .
Mark alzò gli occhi mantenendo la testa
fissa in avanti, verso quelli del portiere, da quei pochi centimetri d’altezza
che li separavano. Warner sospirò.
- Ad ogni modo, non ci pensare, sarà un
incontro a senso unico, te lo dico io! Non farò passare nemmeno un filo
d’erba! Rilassati, capitano! - .
Lenders strinse con forza ciò che aveva in
mano e il suo viso divenne scuro.
- Hai intenzione di sfasciare i miei guanti? - gli domandò
l’altro sorridendo. Mark fece un lungo sospiro come
per liberarsi dalla tensione e glieli rese.
Quando arrivarono sul campo notarono un
semicerchio che si era formato attorno all’allenatore. Il ragazzo dalla
carnagione scura sbuffò.
- Avanti, andiamo a vedere questa manager!
- .
Warner si portò le mani dietro la nuca e vi
appoggiò la testa, con tutta calma raggiunse i compagni.
- Con comodo, eh voi due! - li rimproverò l’allenatore. Ed non accennò alcuna espressione, se non quella divertita
che aveva da quando era uscito dallo spogliatoio. Mark
non disse nulla, era ancora un po’ nervoso. Il mister scosse la testa e prese a parlare con la squadra.
- Ora che i nostri ritardatari sono qui, posso presentarvi la
nuova manager: Alexandra Boscher. - .
- Chiamatemi pure Alex! - sorrise la
ragazza facendo un piccolo inchino. Lenders la
squadrò da capo a piedi: i capelli lunghi erano castani chiari, raccolti in una
coda di cavallo dietro la nuca, gli occhi azzurro scuro brillavano dietro le
lenti degli occhiali fini ed eleganti e la bocca dischiusa in un dolce sorriso
era leggermente colorata di rosso. Era vestita con una maglietta di cotone
leggera bianca e i pantaloncini della tuta della scuola. Aveva un bel fisico,
nulla di volgare, era semplice e affascinante... tutti la guardavano come se
fosse una dea.
- Iniziamo ad allenarci?! - sbuffò il
capitano.
- Lenders! Un po’ di
educazione! - lo rimproverò di nuovo il mister.
- Alexandra è appena arrivata e ora si presenterà. -
.
La ragazza sorrise all’uomo e poi si rivolse alla squadra,
guardando per bene tutti, mantenendo lo sguardo su Warner
e Lenders, i due ritardatari.
- Salve a tutti! È un piacere essere la manager
di una squadra tanto importante! Io vengo dalla Francia,
lì ci sono un bel po’ di fuoriclasse! Credo che conosciate tutti Pierre LeBlanc... è veramente fantastic... - .
- Adesso basta! Di LeBlanc non ce ne
importa un bel niente! Tu sei la manager? Bene, allora
fa la manager e non la giornalista! Muoviamoci! - .
Mark prese a correre seguito dai compagni,
un po’ titubanti, e per ultimo Warner in compagnia di
Mellow, che chiedeva spiegazioni.
Alex rimase un po’ stranita, però poi
sorrise e si mise a sedere sulla panchina, accanto al mister.
- Mark non è il
massimo dell’accoglienza, scusalo. - disse l’uomo.
- Non importa, ce la metterò tutta per
diventare una brava manager! - .
- Non occorreva essere così duro! - sbuffò Danny.
- Non dirmi cosa devo fare, Mellow! -
proruppe l’altro sempre camminando. Il ragazzo zittì e continuarono a camminare
in un silenzio strano, finché non intervenne il portiere.
- Ascolta, Mark. Tra
tre settimane si giocherà contro Hutton. Tre
settimane, capito? Non due giorni! Non serve agitarsi prima del tempo. Ti
conosco e so che sei impaziente di batterlo ma se cominci così non otterrai
nulla. – sospirò. - Siamo tuoi amici, ricordi? E ti
saremo vicini. Ma ora basta fare il nervoso! - .
Silenzio... Lenders
stava riflettendo... già, amici... erano suoi amici... e lui si era comportato
da idiota... era solo nervoso perché tra non molto si sarebbe scontrato con Oliver... di nuovo... e moriva dalla voglia di trionfare.
Perché doveva sempre comportarsi in modo avventato...?
Aveva approfittato dell’arrivo della nuova manager per
dare una strigliata ai suoi compagni... Sospirò e rivolse un sorriso amichevole
al portiere.
- Grazie, Ed. D’ora in poi ci
alleneremo come in preparazione ai mondiali! - .
- Ma certo! Siamo noi i più forti! - .
Erano passati solo pochi giorni e non aveva più visto Eve. Di mattina andava a scuola sempre prima per gli
allenamenti e finiva tardi per lo stesso motivo. Per di più quella tipa, Alex, cominciava ad essere un po’ appiccicosa, portava le
salviette direttamente negli spogliatoi, non sapeva se lo faceva apposta per
vederli in mutande o perché era sbadata di suo... gli mancava Eve... l’aveva sentita la sera prima per telefono
ma era durata tre minuti perché poi sua madre era rientrata... però
l’unico momento in cui aveva potuto chiamarla era stato all’ora di cena! E ora stava tornando a casa per l’ennesima volta dai pesanti
allenamenti. Quattro giorni che non parlava con la sua ragazza! Incredibile!
Alzò lo sguardo in direzione della strada e sul cancello vide
una figura piacevolmente conosciuta. Le corse incontro
mollando il borsone accanto all’uscita e la prese per i fianchi abbracciandola
forte.
- Mi sei mancata tanto!! - .
- Hey, hey!
Mi sei mancato anche tu... ma non stringere così forte! - .
- Oh... scusa! - disse allentando la presa. Eve
sorrise felice e gli prese il viso tra le mani, posandovi un bacio sulla punta
del naso.
- Non fa niente... scherzavo! Resisto a
ben altro, io! - .
- Hah! Presuntuosa! - la prese in
giro. Lei fece un sorrisetto compiaciuto e poi
scoppiò a ridere.
- Ti devo dire una cosa... - fece poi seria. Ed
s’impensierì.
- Oh, ma quanto sei carino quando ti
preoccupi!! - ridacchiò Eve... poi
si ricompose. – Ad ogni modo... non te l’ho mai detto ma... - .
Ed stava sudando freddo... perché
parlava così lentamente?? Era veramente preoccupato! Che cosa poteva dirgli di
così importante?!...
- Ma...? - riprese lui.
- Ma quando parli al telefono hai davvero una voce da maniaco!! - scoppiò in una risata divertita.
- Che... cosa ci trovi di tanto divertente!?!?
Mi hai fatto venire l’ansia!! - la strigliò lui,
prendendo ad inseguirla per il cortiletto.
- Come ai vecchi tempi, eh? - Eve non
aveva smesso un attimo di ridere.
- Se ti prendo...!! - .
Gli era mancata davvero... e fare il cretino in quel modo era
giusto per dimostrarglielo! Si mise a sedere sul divano e le accarezzò le
spalle giocando con le spalline del reggiseno. Lei si strinse al suo petto e
chiuse gli occhi.
- Sai... - cominciò Ed. - ...sto
pensando seriamente di prendere in mano il dojo... - .
Già... ci aveva pensato su molto, il calcio era la sua passione
più grande ma avrebbe sempre potuto aiutare suo padre
in palestra, dopotutto era sempre stato un problema occuparsi da solo di tutto.
Sì, gli aveva fatto da assistente più di una volta e si era anche divertito ma
il karate in fondo gli era
sempre piaciuto, grazie a quello sport era diventato uno dei portieri più bravi
al mondo e non voleva lasciarlo perdere... suo padre lo aveva sempre pregato e
in quei giorni di assenza aveva fatto pratica con l’amministrazione unica e a
dir la verità non gli era affatto dispiaciuto, si era sentito responsabile e
gli era piaciuto allenare quei ragazzi, aiutandoli ad inseguire il loro sogno.
Lei si limitò a sorridere dolcemente mantenendo gli occhi chiusi.
- Mi daresti una mano? - le domandò poco dopo. Eve aprì di scatto gli occhi, voltando la testa verso di
lui e incrociando i suoi begli occhi sorridenti.
- Che intendi per una mano? - .
- Intendo una cosa tipo “palestra a gestione famigliare”, ovvero io e te. - .
- Ahah... questa è bella... a gestione
famigliare: io e te! - .
- Che c’è, non pensi possa andare? - .
- Andiamo, la palestra è tua e di tuo
padre, che c’entro io? - .
- Beh... - fece lui pensoso – Potresti cominciare dal darmi un aiuto con le iscrizioni, mi faresti da
segretaria...? - .
Eve per poco non cadde dal divano.
- Eh? Segretaria, io?? - .
- Sì, esatto. Senti che idea: così avremo più tempo per stare
insieme, mio padre si riposerà, io sarò sempre in superforma e...
resta solo da decidere l’orario e lo stipendio... - .
- E mi vuoi pure pagare?... lo sai che
lo faccio volentieri e poi... mi sembra un po’ strano lavorare per il mio
ragazzo... diciamo che ti do un piccolo aiuto e basta, e poi lo sai bene che
inizio a lavorare alla fine della scuola, di stipendio mi basterà quello di
assistente al Ningyo Hoteru.
Però... - .
- Però... - la riprese lui con uno
sguardo curioso.
- Però se proprio vuoi sdebitarti potresti farmi da istruttore
personale di karate... - .
- Ah! - scattò felice Ed. – Niente di
più bello! D’accordo, ci sto. E ti ringrazio in anticipo, così mio padre potrà
riposarsi!! - .
Eve sorrise dolcemente e si portò una
mano su una spalla, passandosi le dita sul cotone della casacca dell’uniforme
scolastica, giocherellando con l’allacciatura del nastro blu.
- Devi volergli proprio tanto bene... - sussurrò. Ed rimase zitto... eh, già... in primo luogo l’aveva fatto
solo per alleggerire il lavoro a suo padre, era grande abbastanza per gestire
la palestra e suo padre stava diventando troppo anziano per continuare ad
esercitare ogni giorno il mestiere del karateka.
Arrossì e ricambiò il sorriso, penetrando a fondo in quegli occhi blu che gli
stavano davanti. Meravigliosi occhi blu che giorno dopo
giorno diventavano sempre più belli e sinceri...
Si fermò giusto in tempo per riprendere fiato, stava correndo da
chissà quanto tempo, ormai non ce la faceva più. Appoggiò la schiena contro il
muretto e inspirò profondamente.
- Hey, capitano! - lo chiamò una voce
piacevolmente allegra alla sua destra. Mark si voltò
e vide gli occhi semichiusi e il sorriso contento del suo compagno.
- Ciao... - fece respirando a fatica.
- Ancora corsa? - chiese il portiere. Il numero nove annuì e si
discostò dal muretto.
- E tu ancora in giro? Vieni da casa di Eve, mh...?
- sorrise maliziosamente.
- Può darsi di sì, può darsi di no... -
scherzò l’altro.
- Dalla tua faccia allegra non ci sono no! - rise Lenders. Ed arrossì lievemente e
incrociò le braccia al petto.
- Dai, vieni dentro ti offro qualcosa,
podista! - .
Mark non rifiutò l’invito, dopotutto era
proprio distrutto e bere qualcosa di fresco non gli
dispiaceva affatto. Camminarono per pochi metri ancora e poi entrarono
dal retro, dalla palestra. L’orario era ormai finito e il dojo
chiuso. Ed si fermò un attimo a guardarlo, quei pochi
secondi che bastarono per farlo sorridere dolcemente al solo pensiero che dopo pochi
giorni lui e Eve avrebbero cominciato a lavorare
assieme. Certo, lei all’inizio dell’estate avrebbe fatto le mattine al Ningyo Hoteru, uno degli hotel
più famosi di Tokio, era riuscita a trovare lavoro lì al foyer
dell’albergo per la conoscenza di lingue straniere quali tedesco e inglese,
quelle le sapeva parlare bene e poi la presenza contava molto, già la sua Eve era molto bella e di sicuro avrebbe lavorato come seria
professionista alla reception. Beh,...
a dirla tutta non ce la vedeva proprio in divisa alla hall di un hotel, però
aveva bisogno di guadagnare qualcosa per... per cosa? Non gliel’aveva mai
detto... aveva solo accennato che le serviva qualche soldo ma
nulla di più... bah... gliel’avrebbe chiesto appena fosse capitata l’occasione.
- Hey, ti sei incantato? - Mark gli passò una mano davanti agli occhi.
- Mh?... Ma
no... ci sono, ci sono... - rispose l’altro riprendendo a camminare ed entrando
in casa. Quando furono finalmente seduti al tavolo, Lenders agguantò la lattina di bibita fresca che gli aveva
porto l’amico e cominciò a mandare giù l’aranciata a grandi sorsi. Ed si stiracchiò e si sedette stancamente di fronte al suo
capitano.
- Ti vedo stanco. - fece quello dopo aver poggiato la lattina.
- Senti chi parla! - rise il portiere portandosi una mano alla
testa e passandola sul capo, sollevando lievemente le ciocche nere che gli
poggiavano sulla fronte.
- Guarda che dico sul serio! Agli allenamenti sei sempre
distratto, giochi bene ugualmente però se fosti in
piena forma daresti tre volte una prestazione migliore! Dovresti smetterla di
correre tanto. - .
- L’unico che corre qui sei tu, Lenders!
- Ed continuava a sorridere con le braccia dietro la
nuca.
- Piantala! - sbottò l’altro. - Ed,
ascoltami, so che ti occupi quattro ore al giorno del dojo, e tre le spendi in allenamento con il Toho. Non so nemmeno dove trovi il tempo di stare con Eve e uscire con noi... non voglio saperlo, ti consiglio
solo di darti una regolata. - .
- Senti un po’... non è che ti interessa
solo perché tra poco c’è il torneo distrettuale? - .
- Warner sei proprio un idiota!! - .
- Perché devo sentirmelo ripetere di continuo...? - disse Ed ancora sorridendo.
- Perché sorridi?! Accidenti, e io che
sto anche a preoccuparmi!! Che
cretino! - esclamò il capitano, furioso.
- Mark? - .
Lenders alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Ed. Uno sguardo sincero ma allo
stesso tempo così deciso e non aveva perso quel filo di sorriso.
- Ti ringrazio. Ti stai preoccupando e io ti rido
in faccia. Però non ti impensierire, sto bene. Sì, lo
ammetto, sono stanco ma ci sono persone che sopportano
peggio. Tu per esempio. Ti ricordi quando facevi
quattro lavori alla volta per permetterti l’iscrizione alla Muppet?...
Da dopodomani Eve verrà a darmi una mano qui. Forse
non avrei dovuto chiederglielo, sai... lei ha trovato
un lavoretto niente male al Ningyo Hoteru che le permetterà di mettere da parte un po’ di
soldi. Ha insistito per lavorare qui gratis, dice che
avremo più tempo per stare insieme e che per lei è solo un piacere. Mi sono
sentito davvero felice quando mi ha detto quelle
parole. E ora tu, il severo Mark
Lenders che viene a dirmi certe cose! Ma ti conosco fin troppo bene, per questo ti ringrazio del
pensiero. Sarò in forma per il torneo, niente paura! - .
Il numero nove rimase senza parole a guardare il suo migliore
amico che parlava con tanta schiettezza e fu come se quel sorriso che gli stava
rivolgendo fosse un diamante prezioso che avrebbe dovuto custodire in eterno.
Fissò quel ragazzo che gli stava di fronte e non poté fare a meno di sospirare
di sollievo e sorridere.
- Sai, Ed... non sono bravo in queste cose ma...
veramente quello che deve ringraziare qui sono io. Per tutte le cose che mi hai
detto, per tutte le volte in cui mi hai dato coraggio, credevo
di essere capace di spaccare il mondo senza l’aiuto di nessuno, ma ho capito
che... che una persona che crede unicamente in sé stesso è solo. Poi mi sono
guardato intorno e ho visto che tu sei sempre stato al mio fianco... per questo
io... io ti considero il migliore degli amici... scusa
se sono un po’ burbero e non faccio trasparire i sentimenti ma credimi... fino
a qualche mese fa avrei preferito ammazzarmi piuttosto che ammettere davanti a
te una cosa simile...!! - .
Warner sorrise di nuovo.
- Già... sei cambiato, però ora almeno ci si capisce meglio. - .
- Sì. - si limitò a dire il capitano. Non aveva proprio nulla da
aggiungere e scese il silenzio. Quel portiere gli aveva involontariamente
cavato le parole di bocca, non che non ne fosse compiaciuto,
anzi, finalmente era riuscito a dirgli quanto contava e di non lasciarlo mai
solo... forse era stato grazie a Ed che aveva sempre avuto la forza di guardare
avanti. Già... non ci aveva mai fatto caso ma quando
era il numero due si sforzava il doppio per battere Price, ci metteva grinta in
quegli allenamenti pesanti, coraggio e tenacia. Si ricordò di
quando, in vista del campionato del mondo, si allenavano insieme con i
palloni pesanti di Turner. Certo, per un cannoniere
era difficile, ma per un portiere sopportare i tiri di Lenders
con quel peso di ferro in più era davvero una tortura; ma Warner
non si era mai lamentato, aveva fatto una promessa a Eve e l’aveva mantenuta. Sorrise. Anche
lui aveva lottato con vigore per una ragazza una volta... già, quella Maki Akamine che giocava a
softball. All’inizio era solo un pretesto per creare il nuovo tiro del dragone,
però poi aveva scoperto di averlo fatto per lei, perché fosse fiera di vederlo
con la maglia della nazionale... però purtroppo
l’aveva capito troppo tardi e lei se n’era già andata... che strano, il cupo e
orgoglioso Lenders che pensava a certe cose,... e
provava dei sentimenti tanto forti anche fuori dal campo di calcio... e questo
Ed l’aveva capito da un pezzo, per questo gli era sempre stato vicino, perché
nessuno merita di stare solo, anche se Mark si era
convinto di doverlo essere per forza, per la sua formazione di bomber mondiale
indiscusso già ai tempi delle elementari.
- Che c’è? - chiese il portiere
riportandolo alla realtà.
- Oh...? Pensavo... - rispose l’altro
alzandosi. – Ora è meglio che vada, avevo promesso a Nathalie di essere a casa per le sette. - .
L’amico si alzò e si stiracchiò.
- Ah... Ed? - fece Lenders
di spalle, sulla porta d’uscita.
- Mh? - .
- Grazie della bibita. – sorrise - ...e di tutto il resto... -
aggiunse uscendo. Warner rimase sulla soglia con una
mano sulla spalla, ancora intento a massaggiarsi il muscolo e richiuse la
porta.
- Forza, portiere! Hai bisogno di una doccia! - esclamò salendo
su per le scale.
- Ragaaaaazzi!! - Alex
strillava con in mano il megafono.
- Ti sentiamo, ti sentiamo!! - fece uno
stanchissimo Bright avvicinandosi con gli altri. La
ragazza si lisciò i capelli castani.
- Bene! - cominciò. - Come sapete il torneo amichevole
distrettuale si svolgerà a partire da domani, perciò
vi voglio tutti in forma, e per oggi basta allenamenti! - .
Sorrise felice e fece cenno ai ragazzi di andare negli
spogliatoi.
- Tra poco vi porto gli asciugamani puliti! - esclamò al settimo
cielo.
- Senti, non fai prima a darceli subito
gli asciugamani? - chiese Ed un po’ seccato.
- Già... sai com’è... eheh... -
aggiunse Danny in imbarazzo.
- Oh... ma che problema c’è, ragazzi? - chiese quella senza
smettere di sorridere.
- Alex, dacci gli asciugamani e non ci
pensare più. - fece Mark in tono pacato.
La ragazza smise all’istante di sorridere e rimase un po’ stupita.
- Va... va bene, vado a prenderli,
capitano. Aspettate qui. - rispose scomparendo nel corridoio interno.
- Ma capitano!! Perché?? - esclamò Spencer.
- Accidenti a te, Ed! Non potevi stare zitto? - fece un altro.
- Chiudi il becco, Lawson! Ti pare
normale che mentre sei in mutande quella entra spalancando la porta e
distribuendo asciugamani come se fossero mazzi di rose? Andiamo, ma quanti anni
avete?? - ribatté il portiere. Il resto della squadra
zittì. Poco dopo la manager tornò con le salviette
pulite e le distribuì ai ragazzi, che si avviarono negli spogliatoi.
- A domani, allora! Ciao-ciao!! - Alex agitò la mano con gli occhi socchiusi e un gran
sorriso stampato in faccia. - E mi raccomando, in forma!!
- .
Uscirono tra le chiacchiere e le risate poi si
salutarono.
- Ed, vieni con me? Forse siamo ancora
in tempo a incontrare le ragazze che escono. - .
- Ok. - .
Il portiere seguì il suo compagno di squadra fino a scuola, già,
forse avrebbe potuto andare a casa con Eve anche quella sera.
- Devono essere giù al campo. - disse Danny
trotterellando giù per la discesa, fino alla rete del campo della scuola. Ed se la prese comoda, ma quando arrivò per poco non cadde a
gambe all’aria... le voci acute delle ragazze risuonavano nel piano erboso.
- Passami quel pallone!! - .
- Guarda che tu non stai in squadra con me! - .
- Ma se abbiamo lo stesso numero? - .
- Meg, sei un’oca! - .
- Non lo vedi che la maglia è diversa? - .
- Senti chi parla, quella che non sa la tabellina
del due!! - .
- Non mi pare di stare facendo matematica, ora!!
- .
- Ma la volete piantare?? Facciamo
vedere che anche le ragazze del Toho sono capaci di
giocare a calcio!! - .
- Ma Marica, ha cominciato lei!! - .
La ragazza dai capelli ricci sbuffò e prese il pallone con un
piede.
- Ci penso io a giocare, se aspetto voi... - stava per voltarsi quando un’altra ragazza con in testa un cappellino
da baseball color porpora le si parò davanti, rubandole senza sforzo il pallone
e voltandosi, diretta in area. Danny aguzzò la vista,
e spostò gli occhi da Marica all’altra ragazza,
notando quel cappellino, che aveva già visto troppe volte. Poi si voltò verso
Ed, cercando di fare mente locale, e lo vide sorridere dolcemente, fissando
quel giocatore che non aveva una gran tecnica, però di certo era migliore delle
altre, e si faceva riconoscere facilmente.
- Ed ma quello non è il tuo cappellino
da baseball...? Quello che portavi fino a qualche mese fa? - .
L’altro non rispose, ma allargò il sorriso, sempre fissando la
ragazza che ora si stava preparando a tirare in porta. Ecco, i suoi tiri erano
pazzeschi, troppo forti per essere dei semplici tiri
di un dilettante. Beh, c’era anche da aspettarselo, aveva guadagnato l’oro
nella gara a livello mondiale dei
- È... è pazzesco... – mormorò. - ...quella è Eve... - .
- Pazzesco mica tanto... secondo te chi mi ha allenato per i
primi tempi? - .
Danny si voltò ancora stralunato, poi si
ricompose e rise:
- Beh, certo vi siete allenati alla perfezione, visti i
risultati! - si voltò ancora verso il campo e il suo sorriso si addolcì.
- Non starai guardando la mia ragazza
con quegli occhi, vero???? - fece Ed irritato.
- No, no... tranquillo... guardavo il tuo cappello... guarda dove lo tiene. - .
- Danny, sei un maniaco!!! - sbottò l’altro vedendola che lo teneva stretto al seno
mentre esultava. L’altro per poco non cadde a gambe in su.
- Ma io non intendevo quello!! Quanto sei geloso!!... notavo solo che ci tiene un sacco a te, dopo
averlo lanciato, il cappellino, l’ha ripreso e se l’è portato al petto,
stringendolo. Non l’ha lasciato cadere chissà dove... mah, meglio che scenda a
dare qualche consiglio a Marica, vieni? - .
Ed non aveva ascoltato l’ultima frase, e
rimaneva a fissare Eve che rideva felice con il
cappello che le aveva regalato una sera, al ritorno dagli allenamenti. Danny scosse la testa e ci rinunciò, scendendo nel campo da
solo.
- Eve... - sussurrò il
portiere prima di appoggiarsi con una mano alla rete, come per volerla
raggiungere... voleva esultare con lei, ma era così bello vederla ridere da
lassù...
- Conosci Eve Springer?
- fece una voce alla sua destra. Ed trasalì e si voltò
di scatto, incontrando gli occhi indagatori di Alex.
- E tu che ci fai qui?? - le chiese
discostandosi di scatto.
- Passo a prendere la mia sorellina. - indicò una ragazza che
giocava insieme al gruppo, le somigliava molto, non dovevano avere più di un
anno di differenza. Stessi capelli lunghi, stessi occhiali e
lo stesso sorriso delicato. Ed non disse nulla.
- Hey, Warner,
come fai a conoscere quel diavolo? - ripeté serissima,
con due occhi spalancati, come se avesse visto satana in persona.
- Beh, sì Eve è un po’ vivace ma definirla diavolo mi sembra un pochino troppo, mh? - .
- Scherzi?! Allora non la conosci!! -
fece stralunata lei.
- La conosco meglio di quanto pensi!! -
rispose lui, seccato.
- Ah sì? E allora non avresti dovuto stupirti così
tanto. - disse Alex.
- Certo, convinta tu!... e tu come fai
a conoscerla? Sei arrivata da poco. - .
- Io... beh, è una storia lunga... - .
Ed notò che nei suoi occhi c’era
paura... ma che le aveva fatto di tanto orribile Eve?
- Che è successo? -
le chiese con calma, preoccupato per lei, ma anche per la ragazza bionda che
ora si era rimessa il cappellino in testa e correva verso centrocampo.
Un diavolo, lei? Ma se era il suo angelo...
Alex piegò le labbra indentro e poi
sospirò.
- Io... prima di trasferirmi qui stavo a
Okinawa. - .
“Okinawa. La stessa città da dove
viene Eve.” . Ed fece mente
locale, poi tornò ad ascoltare il racconto di Alex.
- Frequentavo il primo anno di scuola superiore, nello stesso
istituto di Eve. La
incontravo sempre di mattina, sull’autobus, per me era come una... beh... una
specie di dea... lo so che è da sciocchi, non la
conoscevo nemmeno ma... quando guardavo i suoi occhi limpidi e il suo viso
perennemente serio e severo mi chiedevo come mai
quella ragazza non sorridesse mai... aveva
una forza d’animo straordinaria, volevo... volevo essere come lei... ma... - .