DODICESIMO CAPITOLO: ABBANDONO INSPIEGABILE.

 

Non sapeva se fosse venuta... la sua squadra tornava in Giappone il giorno stesso ed era molto probabile che non avrebbe assistito alla finale. Voleva che lo vedesse giocare... quella partita così importante... la più importante della sua vita... la finale dei mondiali in cui lui era finalmente il portiere titolare... desiderava con tutta l’anima che lei lo vedesse trionfare... Sospirò e si infilò i guanti. Ad un tratto una presenza. Aveva sentito la porta dello spogliatoio aprirsi. Si voltò. Eve era in piedi appoggiata allo stipite della porta chiusa.

- Speravo di trovarti... - disse a testa bassa, poi sorrise. - ...non dovrei essere nello spogliatoio della nazionale... se mi avessero vista entrare mi avrebbero presa per maniaca... eppure non mi chiamo Marica! - .

Ed era l’ultimo, aveva aspettato a prepararsi per raggiungere gli altri che stavano facendo riscaldamento sul campo.

- Eve?? - disse incredulo.

- Lo so che ti aspettavi qualcun altro ma... - alzò la testa sorridendo - ... ho lasciato definitivamente la squadra e così sono qui a tifare per te mentre gli altri staranno già volando verso casa! - .

Ed rimase a bocca aperta, immobile... lei era lì... a pochi metri da lui... e aveva rinunciato a tornare a casa solo per vederlo giocare...

- Ti senti bene? - gli chiese avvicinandosi. Gli passò una mano davanti agli occhi e lui fu come svegliato da un sogno... per poi ritrovarsi nello stesso identico paradiso... lei, lì davanti a lui.

Gli prese una mano, quasi involontariamente e allacciò il guanto verde. Al sentire quel contatto con la mano forte fu scossa da un brivido. Ma che stava facendo? Sembrava la mogliettina che consegnava il pranzo al marito prima che andasse al lavoro! Eppure non riusciva a smettere di toccargli la mano, sistemandogli il guanto.

- Sta attento ai tiri di Schneider! - sorrise alzando lievemente la testa.

Non pensò. Fu guidato dal suo cuore. Distaccò la mano dalle sue a circondò il suo corpo con le braccia. Poi chiuse gli occhi e avvicinò velocemente le labbra posandole dolcemente sulla bocca di Eve, che spalancò gli occhi e rimase immobile, con le mani sul suo petto e il cuore che sembrava dovesse uscirle dal torace da un momento all’altro. Con le dita poté sentire il suo cuore battere e socchiuse gli occhi anche lei... percependo quella sensazione forte e dolce che le stava procurando quel bacio. Bacio... la stava baciando... allora non sognava... la stava baciando. Chiuse completamente gli occhi e si lasciò trasportare da quel meraviglioso brivido che le stavano regalando le labbra di Ed... Ed... il suo Ed...

“Perfetto, adesso mi riempirà di pugni!” pensò... ma non ce la fece a staccarsi da lei... non poteva non stringerla... ma tu guarda se proprio in un momento come quello doveva mettersi a fare certe cose!

Furono secondi... che durarono ore... e quando si allontanarono lei stava ancora tra le sue braccia e abbassò la testa, impedendogli di guardare nei suoi occhi. La lasciò andare lentamente, temendo una sua reazione improvvisa e ostile. Invece lei lo guardò senza espressione... prima di sorridere teneramente. Ed la fissò ancora prima di ricambiare il sorriso dolce, prendendole una mano. Gli accarezzò una guancia e riprese la sua sicurezza di sempre.

- Adesso vai prima che vengano a cercarti! - .

- D’accordo... - .

Prima che poté uscire lo chiamò.

- E Ed? - lui si voltò. - ... fai vedere di cosa sei capace a quei tedeschi! - .

Warner annuì convinto e determinato e le sorrise ancora prima di uscire ed andare a raggiungere gli altri.

Sospirò e si sfiorò le labbra con le dita sussurrando il suo nome. Le conveniva uscire prima che qualcuno entrasse e la vedesse lì.

 

Mentre percorreva il corridoio rimase immerso nei suoi pensieri. Perché non l’aveva allontanato?... e se anche lei provasse quello che provava lui?... lo sperava con l’anima. Ma poi cosa gli era venuto in mente di fare??... non aveva saputo resistere, anche se aveva solo accarezzato le sue labbra con le proprie si sentiva felice e più innamorato di prima. Vedendo quel viso, quegli occhi e quella bocca così vicino a sé aveva disperatamente cercato un contatto e l’aveva ottenuto. Meraviglioso... l’avrebbe rifatto mille e mille volte ancora... solo con Eve... solo con lei... ma ora non doveva più pensarci per novanta minuti... avrebbe vinto per lei e sarebbe tornato per sistemare le cose.

 

Non pensava che fosse finita così... eppure la reazione di Ed era stata imprevedibile!... beh, in fondo non così tanto... dentro di sé non lo sapeva ma sperava proprio che andasse in quel modo. E ora che gli avrebbe detto?... una volta terminata la partita l’avrebbe rivisto. Forse gli piaceva davvero se aveva avuto il coraggio di baciarla... lo sperava. O magari era soltanto un ripiego per scaricare la tensione pre-partita...

Schneider. Karl Heinz Schneider. Le era parso di capire che dentro quel ragazzo c’era più rabbia e rancore che altri buoni sentimenti. Eppure non sembrava affatto così. Simpatico, un po’ freddo, molto carino. Con gli altri era freddo e scostante ma... perché con lei era stato così amichevole? Aveva assistito ad alcuni suoi allenamenti, davvero un fuoriclasse. Eppure era soltanto un misero allenamento e si capiva benissimo che non faceva sul serio... se avesse voluto... se solo avesse voluto quel ragazzo avrebbe potuto mettere in ginocchio anche un professionista di serie A.

 

Entrarono in campo, finalmente. La tensione era alle stelle. Il sole brillava alto nel cielo estivo e la palla, immobile tra Hutton e Becker attendeva di essere calciata per la prima volta.

L’arbitro fischiò e il gioco cominciò a farsi frenetico già dal primo minuto. Con rapidi passaggi la coppia d’oro della Nankatsu arrivò presto fino in area. Holly tirò di destro un Drive Shot che si fermò tra le possenti mani di Reiner Bauer. Il massiccio portiere guardò con odio il centrocampista e passò il pallone a Strauss. Il tedesco avanzò per qualche metro palla al piede per poi effettuare un rapido passaggio verso il proprio capitano, mentre Becker tentava di prenderne possesso inutilmente. Il sole si riflesse negli occhi di ghiaccio del fuoriclasse tedesco che s’impossessò della sfera, suscitando un clamore esagerato tra gli spettatori.

- A noi, Warner. - sussurrò prima di partire all’attacco.

Eve strinse i pugni guardando la determinazione su quel volto. Schneider si stava avvicinando sempre di più, scartando con facilità anche il campione Lenders. Fece partire una cannonata appena dentro l’area di rigore che sfrecciò a tutta velocità sulla mano destra di Warner, tuffatosi per parare. L’aveva preso... aveva preso il bolide di Schneider! Il tedesco digrignò i denti mentre la palla scivolava dalle dita del portiere e si insaccava in rete con una potenza ancora elevata. Ed cadde in ginocchio. Karl sorrise soddisfatto ed orgoglioso e si voltò per guardarla. Eve...

Quello sguardo... non lo vide rivolto a sé, ma su quel portiere che ora si era rialzato con un’espressione furiosa e determinata.

- Schneider! Il prossimo sarà mio! Non ti lascerò passare! - gridò Ed stringendo i pugni con violenza. Ora quella partita era diventata un duello. Karl si limitò a chiudere gli occhi e voltarsi, per tornare oltre la sua metà campo, mentre gli schiamazzi e le urla del pubblico a favore della Germania si facevano più insistenti.

Eve sospirò... stava accadendo ciò che non doveva... non voleva che accadesse.

Un passaggio lungo di Callaghan arrivò ai piedi di Hutton che si apprestò a correre in porta, calciando il suo tiro più potente verso la rete, sfondando la difesa. La palla continuava la sua corsa, sostenuta dalle preghiere di Holly che gridava di entrare. Bauer si lanciò sulla destra ma il tiro del capitano cambiò tutt’un tratto direzione, affondando nella maglia bianca alle sue spalle.

Dopo i festeggiamenti giapponesi il gioco riprese più agguerrito di prima, mancavano solamente dieci minuti al termine del primo tempo. E durante quei dieci minuti il capitano Schneider riuscì di nuovo ad impossessarsi della palla intercettando un passaggio perfetto per Lenders e cominciando a correre verso Warner. Non disse nulla. Non pensò. Solo tirò quella freccia verso il petto del portiere che stoppò per quanto difficile fosse l’impresa, ma anche questa volta non riuscì a trattenere, lasciandosela sfuggire dalle mani e permettendo alla Germania di passare nuovamente in vantaggio.

- Maledizione!! - imprecò massaggiandosi i pettorali.

Fischio dell’arbitro. Fine del primo tempo.

 

Tappò la penna e si mise in tasca il foglietto. Era veramente infuriata! Ma come diavolo aveva potuto dimenticarsi di una cosa così importante quello stupido???

 

Stava andando tutto diversamente da come aveva sperato. Gli aveva fatto due gol, quello stupido Schneider! Eppure la partita non era finita, si sarebbero scontrati di nuovo e gli avrebbe fatto vedere lui di cosa era capace! Gli avrebbe fatto fare una tremenda figuraccia e d’ora in poi avrebbe parato tutti i suoi tiri!

- Warner!! Si può sapere cosa diavolo stai facendo??? - .

Si voltò. Accidenti era furiosa! Perché se la stava prendendo in quel modo? Aveva solamente mancato due tiri, non aveva certo fatto crollare il mondo.

- Eve... - fece per cominciare a parlare.

- Che diavolo fai?? - ripeté con rabbia.

- Io... non capisco. Perché te la prendi tanto? - .

- Hai anche il coraggio di chiedermelo??? - sbottò lei aggrottando le sopracciglia e avvicinandosi pericolosamente. – Ora rispondi a una semplice domanda! Chi è stato a dirmi che se si gioca per sé stessi non si ottiene nulla, eh? - .

Ed rimase zitto. Comprese in un attimo la sciocchezza che aveva fatto senza nemmeno rendersene conto. La partita si era trasformata in un duello tra lui e Schneider e non se n’era per niente accorto...

Eve lo guardò con durezza e gli afferrò la mano, posandoci violentemente un pezzo di carta e stringendogli le dita intorno, poi gli voltò le spalle e salì di corsa i gradini degli spalti senza aspettare una sua risposta. Lui rimase lì e si guardò la mano... distendendola scoprì quel foglietto di carta e lo aprì, trovando delle parole scritte di fretta e poté riconoscere il tratto di Eve. Quelle frasi lo fecero sospirare pesantemente, mentre ne comprendeva a poco a poco il significato...

“Non basta aprire la finestra per vedere la campagna e il fiume.

Non basta non essere ciechi per vedere i fiori e gli alberi.

C’è solo una finestra chiusa e tutto il mondo fuori... e un sogno di ciò che potrebbe essere visto se la finestra si aprisse.”

Alzò lo sguardo a lei, sugli spalti e incrociò i suoi occhi duri. Fino a qualche decina di minuti prima lei stava tra le sue braccia e ora... ora lo fissava severamente dal parapetto dello stadio. Era stato un perfetto idiota... credeva di essere un grande campione e aveva finito per sottovalutare l’avversario... e poi Schneider non era solo. C’era tutta la squadra con lui e avrebbe dovuto batterli tutti, ora ricordava che non era solo. Dieci ragazzi... altri dieci suoi amici giocavano con lui e l’amicizia era il filo conduttore che dava la forza alla loro nazionale... non ne aveva tenuto conto... aprì quella finestra, il suo cuore e tornò in campo con un unico scopo.

- Eve. – disse. – Vincerò... - .

 

Quando Schneider tornò in area con il pallone si aspettava di vedere sul volto del portiere nipponico un’espressione di rabbia e invece... invece stava sorridendo con aria altezzosa. Ma a cosa diavolo stava pensando?? Mano a mano che si avvicinava scoprì che in quel sorriso erano celate una determinazione e una forza che non aveva mai visto. Aveva tutta l’intenzione di non fare più passare un solo pallone oltre le sue spalle. Non riuscì a capire da dove era nata quella convinzione e tirò ugualmente in porta.

Il Fire Shot si fermò tra le mani di Warner. Era stato un gioco da ragazzi. L’aveva parata. Quel ragazzo era un campione ma nessuno poteva battere la sua forza di volontà e l’amicizia che lo legava agli altri. E ora il Giappone avrebbe dominato!

 

E per l’ultimo secondo trattenne il fiato prima che la sfera si conficcasse tra i pali. Lenders. Quarto gol.

Schneider era furibondo, l’arbitro segnò la fine dell’incontro. 4 a 2 per il Giappone. Avevano vinto la coppa del mondo juniores! Ce l’avevano fatta, ancora una volta l’amicizia aveva trionfato. Si riunirono tutti in area per festeggiare il capocannoniere Mark Lenders e tutto il resto della squadra.

- Sei stato straordinario Lenders!!! - gridava Marica dagli spalti, prima di lanciarsi in campo e raggiungere il padre in panchina. Eve sorrise. Aveva capito, Ed era riuscito ad aprire il suo cuore a questo sport meraviglioso... era fiera di lui, voleva gridare, urlare di gioia e stringere quel campione tra le braccia e non lasciarlo più... invece sorrise lievemente e lasciò lo stadio. L’aereo sarebbe partito la sera stessa e non aveva ancora preparato le valigie.

 

- Hai fatto una serie di parate grandiose!! - squittì la ragazza dai capelli ricci sorridendogli entusiasta.

- Grazie... - Ed si mise una mano dietro la nuca e ricambiò il sorriso imbarazzato.

- Avanti, Warner! Non fare il modesto, sei stato fenomenale! - Danny gli tirò una gomitata sul petto.

- Sì, dopo il primo tempo hai giocato benissimo! Hai parato tutti i bolidi di Schneider! - .

Lo stavano coprendo di complimenti, era stato in gamba, finalmente aveva dimostrato ciò che sapeva fare al mondo! Si sentiva al settimo cielo, più felice che mai e tutto il merito... andava  a lei...

Si guardò intorno. Non la vide, dove stava seduta prima non c’era, e nemmeno lì nelle vicinanze.

- Marica? Dov’è Eve? - le chiese preoccupato.

- Ma come, non te l’ha detto? - chiese lei di rimando.

- Detto cosa? - .

- Partirà stasera con il primo volo per Tokio. Torna a casa. - .

- Cosa... e perché?? - domandò tra il confuso e l’agitato.

- Questo non te lo so dire, ho provato a convincerla a restare e poi a partire con noi ma è stato tutto inutile. - .

lo invase una sensazione strana... tutte quelle domande... perché era partita? Perché non lo aveva aspettato? Le costava tanto attendere due giorni e poi tornare con loro? Perché...? Perché...?

- Complimenti a tutti. - uno Schneider sorridente si era avvicinato al gruppetto di giapponesi seguito da Bexter, Strauss e Margas e stava porgendo i suoi complimenti. Aveva lasciato da parte la rabbia, il rancore e tutto il resto, riconoscendo di essere stato battuto da una squadra di veri campioni.

 

- Ed?... Ed?... Ed!!!! - .

- Cosa?? Che c’è!!? - il portiere fu scosso dai suoi pensieri, si voltò per vedere le facce di Price e Hutton in attesa di una risposta.

- Sono ore che ti chiamiamo! Ma ci sei?? - fece Benji infastidito.

- Non ti scaldare, Price! Ci sono!! - .

- Volevamo chiederti se ti andava di venire a fare due passi. - sorrise Holly mostrando il pallone sotto braccio.

- Andate senza di me. - disse Ed voltandosi di nuovo e mettendosi meglio a sedere sulla poltroncina della terrazza.

- Sicuro? - il capitano non aveva smesso di sorridergli.

- Sicuro. - .

Holly si allontanò e Price rimase per qualche istante accanto a Ed, prima di rivolgersi all’amico.

- Va’ pure, ti raggiungo tra poco! - disse appoggiandosi alla ringhiera davanti a Ed. L’altro non disse nulla, chiuse gli occhi e rimase seduto godendosi il vento fresco della sera per l’ultima volta.

- Partiamo tra due giorni. – cominciò Benji. Non gli arrivò nessuna risposta.

Silenzio. I due ragazzi stavano sulla terrazza avvolti da quel vento tiepido che soffiava leggero tra i loro capelli.

- Ed, si può sapere che c’è? - disse Benji voltandosi ma rimanendo appoggiato alla ringhiera con la schiena.

- Non c’è niente. - .

- Avanti, non fare il bambino! Si vede benissimo che qualcosa non va, sono due giorni che sei strano! - .

- Perché lo dovrei dire a te, Price? - .

- Ah-ah! Lo vedi allora che qualcosa c’è? - .

Ed sbuffò scuotendo la testa.

- Hai vinto il campionato del mondo da titolare, non sei contento? E per di più avrai una marea di ragazze ai tuoi piedi, cosa vuoi di più? - .

- Non mi interessa avere milioni di ragazze. - .

Benjamin Price si chinò verso l’altro portiere con un sorrisetto malizioso.

- Eddy, Eddy! Sei innamorato? - .

- Piantala! Non ho detto niente del genere! - .

- E perché ti infastidisce tanto? Dai retta a me, l’amore è un tormento! - .

- Non fare l’uomo vissuto, Benji, la parte ti riesce male! - sorrise Ed. Il portiere ricambiò e tornò serio.

- Allora, mi puoi dire chi è? - .

- Di’ un po’, perché t’interessi tanto? - .

- Siamo amici o sbaglio? - rispose con un’altra domanda. Amici? Benjamin Price che parlava d’amicizia... il mondo era veramente cambiato!

- Allora, che c’è che non va? - .

- Lei è la mia vita... solo questo. - .

- Secondo me dovresti dirglielo e non stare a tirarti troppe paranoie. - .

- Cosa credi che non ci abbia pensato?... È tornata in Giappone subito dopo l’incontro, senza dirmi niente... - .

- Eve... - sussurrò l’altro. Aveva intuito facilmente di chi si trattava. Quei due stavano sempre insieme e poi l’unica ragazza che conosceva che era tornata in Giappone dopo la partita era lei!

- Che? - .

- Eve. - .

- Tu... come fai a sapere... - .

- Quella ragazza è tremenda. - lo interruppe Benji. – Pensa che un mese fa circa ha voluto provare la mia forza... è venuta al campo con Schneider, è stato lui a dirle dove trovarmi, e... è riuscita a farmi un gol spettacolare. Non sono riuscito nemmeno a vedere il pallone mentre mi scivolava di mano! Poi ho avuto l’occasione di parlarle... è stato lì che ho capito che la mia passione per il calcio si era assopita, era da tempo che giocavo solo per interesse personale, senza tenere conto di quanto sia bello essere in campo per divertirsi con gli amici.... mi ha dato una bella lezione, devo ammetterlo. - .

Ed era senza parole. Aveva ascoltato ciò che Benji aveva detto con attenzione. Aveva dato una lezione non solo a lui ma anche a Price... e più sapeva di lei più si convinceva che non lo meritava.

- Ed? - Benji gli sorrise. – Non fartela scappare, ci avrei fatto un pensierino anch’io se non avessi scoperto adesso che sei innamorato di lei!... beh, a parte gli scherzi, spero che tu riesca a dirle ciò che provi. - .

- Già... - disse soltanto in un sussurro.

- Beh, ora è meglio che vada, Holly da solo col buio si perderà di sicuro!... emh, a proposito... quella tua amica, Marica... è libera per il gala, vero? - .

- Il... il gala...? - chiese Ed, disorientato.

- Certo! Non dirmi che te ne sei già dimenticato! Io sto cercando una ragazza che mi accompagni! - .

- No... non me n’ero dimenticato... comunque... devi chiedere il permesso a Danny... - .

- Danny, mh? - fece Benji pensoso mentre si allontanava. Poi si voltò di nuovo verso l’amico e sorrise, prima di raggiungere le scale e scendere.

Sospirò di nuovo. Già... c’era anche la serata di gala da passare da solo... perché Eve l’aveva lasciato così? Aveva intenzione di invitarla e di essere il suo cavaliere per la sera dopo ma... lei se n’era andata... che idiota! Ancora attaccato ai sogni! Ma quando avrebbe imparato a crescere!?!

 

- Ciao. - .

- Hey! Chi si vede! Fatto la pennichella? - .

- Mh... sì... - rispose la ragazza sbadigliando. Lui sorrise, seduto sulla poltrona della hall.

- Dove sono tutti gli altri? - .

- Alcuni si allenano, altri dormono, altri ancora sono nelle loro stanze e uno è depresso. - sorrise il ragazzo.

- È ancora per Eve? - .

- E per chi se no? - Danny manteneva il suo bel sorriso poi ci fu una pausa di silenzio nella quale riprese fiato e coraggio e si decise di nuovo a parlare. - Ascolta... Marica... che dici, ti va di venire con me domani sera? - .

La ragazza sgranò gli occhi e si bloccò mentre si sfregava le palpebre.

- Senti un po’, Mellow... non è che non ti sei trovato nessuno e io devo fare da ruota di scorta, mh? - .

- Ma guarda un po’! Se non ti va di venire dimmelo subito! - .

- Non è questo, ho solo chiesto un’informazione!! - .

- Alla faccia dell’informazione! - .

- Beh, che c’è?! Non dirmi che hai paura di sentirti dire una semplice domanda!! - .

- Non è così, e tu lo sai!! - .

- Ah, sì?? Dimostramelo!! - .

- E come faccio?!? - .

- Ecco, lo sapevo!! - .

- Ma lo sai che sei proprio insopportabile??? - .

- Tsk! Senti chi parla!! - .

- Io parlo quanto mi pare!! - .

- E allora perché io non posso fare altrettanto?! - .

- Antipatica!! - .

- Scemo!! - .

 

Sì, era un ragazzo davvero forte. Strano che si lasciasse andare così... in tutti quegli anni in cui era stato il secondo portiere non aveva mai desistito e si era allenato per vincere e per superarlo... uno come tanti avrebbe rinunciato ma Ed no, lui aveva continuato a lottare finché il suo sogno non si era avverato. E ora che stava facendo? Si era buttato giù per una ragazza... quella Eve era strana. Dalla prima volta che aveva incontrato i suoi occhi se n’era accorto... aveva sofferto tanto, ma non si era arresa! Proprio come Ed aveva realizzato il suo sogno... non sapeva quale fosse ma era sicuro che aveva lavorato tanto per costruirlo. Non sapeva che il sogno di Eve era semplicemente quello di essere felice. Un sogno semplice, il più semplice di tutti ma tanto difficile da realizzare. Non sapeva nemmeno perché lei era tornata in Giappone così di fretta, né cosa c’era di preciso tra lei e Ed... erano tante le cose di cui non era al corrente... la cosa certa era che Warner si stava tormentando l’anima per spiegarsi il motivo della sua partenza ma non riusciva a trovare né capo né coda... in cuor suo sperava che si sistemassero le cose. Non aveva mai considerato Ed come suo rivale ma quell’estate l’aveva davvero stupito! E si era trasformato nel portiere numero uno in Giappone, letteralmente soverchiandolo. Ma a guardarlo così gli pareva tanto infelice e non poteva vedere le persone con lo sguardo perso e la mente affollata di tormenti. Già, lui: Benjamin Price era sensibile... infondo il suo cuore non era mai stato di ghiaccio.

 

E chi ci pensava più al gala? Era stato organizzato dalla Federcalcio, uno di quei ritrovi per i giocatori, allenatori e funzionari vari e si sarebbe tenuto nella sala conferenze dell’hotel in cui alloggiavano i francesi. Avrebbero partecipato tutti i giocatori del torneo internazionale, sarebbe stato un successone anche perché i giornalisti non potevano entrare e di conseguenza rompere l’anima ai presenti! Tutti i suoi compagni erano in procinto di prepararsi; smoking, cravatte, gemelli... non sembravano nemmeno più loro! Mark si affacciò alla porta del bagno allacciandosi la giacca.

- Ed, ci sei? - .

- Sì, quasi. - fece lui raccogliendosi i capelli in un codino dietro la nuca.

- Beh, io comincio a scendere, ti aspettiamo giù. - sorrise il fiero capitano mentre i suoi passi risuonavano sempre più lontani dalle sue orecchie. Quella mattina lo avevano festeggiato come se fosse stato un principe... dopotutto era il suo compleanno... un altro anno era già volato... troppo tempo... aveva già passato troppo tempo in Europa e voleva tornare disperatamente a casa... non lo sapeva... forse aveva fatto male a baciarla... Sospirò e si guardò allo specchio... accidenti! Se solo Eve fosse stata lì sarebbe cambiato tutto! Aveva provato ad andare a cercarla al suo ostello ma gli avevano detto che gli atleti erano partiti tutti. Eppure aveva deciso di non pensarci più... si era quasi dimenticato che ci sarebbe stata la serata di gala, era stato preso dal campionato e ora... si trovava in quell’hotel, davanti a quello specchio con la camicia ancora slacciata sperando di vedere comparire quella ragazza oltre la porta. Fissò l’uscio come se si aspettasse di trovarla ma non c’era nessuno... solo il silenzio rotto dal rumore dello scroscio dell’acqua del lavandino. L’aveva già deciso: non pensare più a lei. Probabilmente si era offesa per il modo in cui l’aveva trattata negli spogliatoi, non l’aveva nemmeno lasciata parlare... e poi aveva giocato un primo tempo da schifo, lei era furiosa... l’aveva sicuramente delusa... si aspettava di più e lui non era stato capace di dimostrarglielo... però qualunque cosa pensasse, Eve era nella sua mente e non voleva uscire... o forse era lui stesso che non voleva lasciare andare quel ricordo... già, perché ora come ora di lei gli rimaneva soltanto il ricordo... era da bambini sentirsi giù per un’idiozia simile ma in qualche modo si era sentito violato... e non poteva fare finta di nulla... non ce la faceva...

 

La nazionale giapponese giovanile fece il suo ingresso nella gran sala illuminata e allestita elegantemente. Poterono notare il raffinato francesino Pierre LeBlanc e alcuni suoi compagni che si erano integrati bene nella miriade di persone che affollavano la sala.

Patricia Gatsby si avvicinò al capitano e gli prese il braccio, fissando a terra, arrossendo.

- Ciao manager! Quasi non ti riconoscevo con quel vestito addosso! - sorrise lui. Come al solito Patty se la prese e per poco non rifilò una cinquina in faccia a Holly, che si scusò immediatamente.

Eccolo là, Schneider, fiero e sicuro di sé si guardava attorno alla ricerca di qualcuno. Ad un tratto li notò e si diresse verso di loro.

- Buonasera, ragazzi. State passando una bella serata? - chiese.

- In verità siamo appena arrivati... colpa di qualche ritardatario... – disse Tom guardando e sorridendo a Ed. Il portiere alzò semplicemente un sopracciglio, senza una parola poi distolse lo sguardo e fissò l’uscita. Il tedesco lo guardò per un istante con aria interrogativa, dopo tornò a parlare:

- Beh, allora vi auguro di divertirvi! - .

- Buon divertimento anche a te, a dopo Karl! - . Holly con il suo solito sorriso salutò il cannoniere germanico e i giapponesi si dispersero in breve per la sala.

 

- Ci vediamo... meglio che raggiunga Danny. Ti supplico... non combinare guai! Ci vediamo tra un po’! - Marica le sorrise e si apprestò ad allontanarsi. La guardò andare via... quel vestito nero le stava molto bene, i guanti le arrivavano fino a metà avambraccio e i braccialetti di perle bianche andavano alla perfezione con il colore del fermaglio che portava tra i capelli neri, ora lisci. Aveva un trucco bianco e leggero anche intorno agli occhi ma quel rossetto color mattone stonava un po’ con i colori dell’abito e degli accessori. La gonna non era molto lunga, le arrivava al polpaccio. Il tubino nero terminava con un paio di scarpe dello stesso colore e lucide, aperte e col tacco. Anche suo padre aveva preso parte alla serata, così le aveva accompagnate lui in taxi, anche se erano arrivati qualche minuto dopo la nazionale.

Vide Danny che parlava con una ragazza dall’accento francese e gli fu subito al fianco, tirandogli un orecchio:

- Ma guarda un po’! Non ti si può lasciare solo due minuti e tu subito ci provi con qualcuno! - .

Il ragazzo era un po’ disorientato... ma chi era quella ragazza?

- Ma... Marica? - .

- No, sono la befana! Certo, Marica!! - .

Per poco Danny non cadde all’indietro... se fosse rimasta zitta non l’avrebbe riconosciuta al primo sguardo... era così diversa... con i capelli lisci, leggermente truccata, quell’abito la rendevano più bella che mai ai suoi giovani occhi. Rimase a fissarla per qualche attimo prima che lei gli sorridesse:

- Allora, vuoi ancora essere il mio cavaliere? - .

 

- E tu che ci fai qui??? - .

- Storia lunga... diciamo che ho avuto un piccolo cambiamento di programma! - .

- Fortuito direi! - Mark fece una pausa. -... lui è a fare l’asociale sulla terrazza. - .

- Ma guarda un po’ chi parla di asocialità! - rise.

- Aspetta di tornare a casa e poi pareggeremo i conti! - .

- Mh, la piccola Kim non sarebbe contenta di te! - gli fece la linguaccia e sgattaiolò verso la terrazza di fronte. Mark sorrise al solo pensiero di Kim, ma poi fu distratto da Clifford Yuma che accanto a lui riempiva un piatto di salatini e chiedeva a bocca piena se quella ragazza era impegnata. Il capitano del Toho si mise una mano davanti agli occhi e si allontanò facendo finta di niente.

 

- ...e tutto il mondo fuori. E un sogno di ciò che potrebbe essere visto se la finestra si aprisse. - ripeté quella poesia, ormai quelle parole gli erano rimaste impresse nel cuore come se fossero state incise a fuoco.

- Portiere...? - sorrise alle sue spalle.

Ed sussultò... quella voce... limpida, cristallina, pulita... quante volte aveva sentito pronunciare quella parola da quella stessa meravigliosa voce... eppure ora la sentiva così vicina... gli era mancata come l’aria. Sgranò gli occhi ancora fissando il giardino illuminato sotto di sé... era incredulo... e temeva che voltandosi non l’avrebbe vista lì, che fosse sparita, come se fosse stata frutto della sua immaginazione... e non disse nulla.

- L’hai... imparata a memoria... - fece ancora quella voce alle sue spalle. -... la poesia... - .

Ora era sicuro di non stare sognando... non sapeva come, né perché lei fosse lì, l’unica cosa che gli importava era la sua presenza... e lentamente tolse una mano dalla ringhiera di marmo, leggere come piume le sue dita sfioravano la roccia levigata, mentre si voltava per guardare quegli occhi stupendi.

- Ciao. - disse stringendosi nelle spalle.

- Ciao... - sussurrò lui avvertendo che il suo cuore stava cominciando a battere più veloce di prima. Era lì... la sua Eve era lì sul serio... no, non stava sognando... e ora la guardava estasiato, nulla di più... era bellissima, quell’abito lungo blu le fasciava i fianchi e il seno, lasciandole scoperte le spalle, la scollatura sostenuta da due semplici spalline e la stoffa oltremare arrivava fin quasi a terra, lasciando scoperta la gamba destra da una spanna o poco più sopra al ginocchio. Ai piedi un paio di sandali con il tacco dello stesso colore... e poi... poi quegli occhi profondi erano ancora più belli; le palpebre sfumate di nero e la bocca lucida la rendevano incantevole. Aveva acconciato i capelli dando un effetto bagnato alle ciocche ribelli, fermandole con un paio di forcine bianche.

- Sei... un angelo... - riuscì a dire. Eve sorrise dolcemente e socchiuse gli occhi.

- Grazie... - .

Se l’avesse anche solo sfiorata... avrebbe rovinato quella splendida dea che gli stava di fronte. Si guardarono... ma non dissero nulla... silenzio... silenzio...

Ad un tratto Eve si spostò a destra, sedendosi sulla panchina di metallo verde.

- Scusami. Mi dispiace essermene andata in quel modo. - .

Ed la raggiunse.

- Non fa niente. - .

La ragazza alzò la testa e lo fissò. La luce della sala si rifletteva nei suoi occhi neri e poté scorgere tutta la tristezza che aveva sopportato.

- Non è vero... non mi mentire... non devi farlo. É... inutile che ogni volta che ti chiedo scusa tu mi risponda con un sorriso... questo non lo sopporto... è l’unica cosa che non devi fare... sorridermi. - .

Ed alzò gli occhi e incontrò i suoi, poi le prese il mento con un dito e lo avvicinò al proprio sfiorando ancora le labbra rosse di Eve con le sue.

Morbide... bagnate... soffici... e dolci... era una sensazione stupenda... solo quel leggero contatto lo faceva rimanere inebriato e appassionato... ancora... ne voleva ancora... si strinse di più e assaporò quella bocca, che si apriva leggermente, lasciando che lui potesse assaggiare il suo labbro inferiore, mentre con le mani gli prendeva delicatamente il viso.

Si allontanò leggermente...

- Io voglio sorriderti... e voglio vederti sorridere... perché l’unica cosa che non devi perdere mai è il tuo sorriso... - .

Eve sentì qualcosa dentro di sé... come se volesse scoppiare in lacrime da un momento all’altro... ma in un attimo capì che se avesse lasciato il sorriso e l’allegria di quel ragazzo avrebbe perso anche sé stessa... fu un attimo, lo comprese in pochi secondi... ciò che in mesi non era riuscita a capire... che la sua vita non era ciò che si struggeva per avere... ma era colui che stava accanto a lei... e gli sorrise... curvò le labbra guardando quel ragazzo che amava dal più profondo dell’anima...

- Ma guardati... adesso sembra che ti si sia messo il rossetto... - rise prendendo un fazzoletto dalla borsetta. Anche Ed rise, lasciando che lei sfiorasse le sue labbra con la carta soffice del fazzoletto finché il rosso tenue non scomparve dalla sua bocca.

- Te l’hanno mai detto che col codino sembri quasi un tipo serio? - .

- Ed Warner non è la mia vera identità... in realtà sono Maradona in trasferta! - .

- Mh... complimenti, signore, bel travestimento! - .

I due scoppiarono a ridere, un po’ per la stupidità della battuta, un po’ per scacciare quella tensione insopportabile che si era creata, ma furono interrotti da Danny.

- Hey! - sorrise. I due si voltarono ancora ridendo e poterono vedere anche Marica spuntare sulla terrazza.

- Ecco dov’eravate! - sorrise anche lei.

- Certo che non può dividervi nemmeno una guerra! Sempre a fare casino, anche ad una serata di gala! - Mark Lenders aveva raggiunto gli amici e ora stava ridendo con le mani ai fianchi.

- Senti, senti... c’è una riunione? - anche Eddie fece capolino dalla porta-vetri.

- A quanto sembra il Toho trionfa ancora! - Eve non aveva smesso un attimo di ridere, era troppo felice. Aveva fatto le sue scuse a Ed, l’aveva baciata di nuovo e ora stava ridendo in compagnia dei suoi amici... cosa poteva volere di più?

- Lenders perché sei uscito qui fuori? - Tom sgranò gli occhi nel vedere che oltre a Mark erano presenti altre cinque persone.

- I singing in the rain... –  . Harper uscì sorretto da Callaghan.

- Callaghan? - disse stranito Eddie.

- Aemh... – fece Philip vedendosi arrivare Bruce. - ...sì... il nostro Bruce deve aver alzato un po’ il gomito! - .

- Ma guardatelo! - rise Ed. – Anche meglio di Jeff Turner!! - .

I presenti scoppiarono a ridere di gusto, guardando Mark che faceva di tutto per non ridere... per poi alla fine rinunciare, immaginandosi Jeff e Bruce in osteria a bere Sakè cantando inni folcloristici coreani! [Che immaginazione il nostro Markuccio!! N.D.Author].

Alla fine della lunga risata si scoprì che Philip aveva accompagnato Bruce in terrazza per prendere un po’ d’aria, ma come aveva fatto ad ubriacarsi con mezzo bicchiere di spumante francese?? Doveva aver bevuto per forza di cose qualcosa prima... mah!!

 

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