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Crisi Europea

  Ultimo aggiornamento: 10-06-05

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Crisi Europea

UN ESAME DI COSCIENZA

04-06-2005

I cittadini di Francia e Olanda hanno respinto il Trattato Costituzionale che, nelle intenzioni dei suoi costruttori, avrebbe dovuto imprimere un impulso potente al processo di costruzione europea. Io non credo però che francesi e olandesi abbiano votato prevalentemente contro questo documento. Mi pare che in questo voto siano confluite componenti diverse e concludere che si tratta di un "no" all'Europa unita mi pare affrettato e ingiusto. Come persona che ha sempre avuto a cuore la costruzione di una casa comune europea voglio esortare a non drammatizzare la situazione. Si tratta di una battuta d'arresto e non di una catastrofe. Il progetto europeo è cosa di tanta e così grande complessità che immaginarne un percorso lineare sarebbe dare prova di semplicismo. Bisogna semplicemente capire qual è la situazione e quali cause hanno portato a tutto ciò. E' evidente che per milioni di persone, non solo in Francia e non solo in Olanda, l'Europa non è ancora una cosa vitale, vicina ai loro problemi. Certo, anche a causa di una inadeguata democratizzazione delle sue strutture che la fa essere lontana dai suoi cittadini. In altre parole siamo di fronte al segnale di un vuoto inquietante tra la gente e gl'istituti del potere. Ha contato anche il fatto che fino alla vigilia l'Unione Europea è cresciuta, strato dopo strato, a partire da un'unione prevalentemente economica, per arrivare solo alle attuali battute a una unione sempre più politica. Ma tutto ciò si è verificato senza che venisse data attenzione adeguata ai problemi, alle inquietudini e richieste del corpo sociale. Alcuni commentatori dicono oggi che non si sarebbe dovuto portare il Trattato Costituzionale al giudizio referendario. Io, al contrario, ritengo che questo sia stato un atto giusto e coraggioso. E' stato grazie al referendum che la società francese ha potuto essere coinvolta in una discussione senza precedenti per intensità sul futuro dell'Europa. Alla fine dei conti tutto ciò ha dato al processo europeo e a quei Paesi che hanno scelto la strada del referendum assai più di ciò che hanno ottenuto quei Paesi che invece hanno scelto la strada della ratifica all'interno delle mura dei parlamenti. Mi colpisce infatti il dato che sia in Francia, sia in Olanda la maggioranza dei partiti rappresentati nei rispettivi parlamenti fossero a favore del "sì", mentre gli elettori si sono espressi a favore del "no". Cosa significa tutto questo? A me pare che ci dica molto di più del rapporto, non soddisfacente, tra la politica di ciascuno di questi Paesi e la gente, e i suoi cittadini. E penso che i politici di quei Paesi debbano considerare questa come una lezione e un'occasione per profondi riesami. Vedo tuttavia in tutto ciò la manifestazione di tendenze più profonde e più inquietanti: la politica è in affanno, non riesce a fare fronte a situazioni che stanno mutando ad alta velocità. Per questo sarebbe un errore interrompere adesso - dopo due voti negativi - la procedura che consente agli europei di esprimersi. E' importante il contrario: che, in un modo o nell'altro, i popoli di tutti i paesi dell'Unione, i piccoli e i grandi, possano far sentire la loro opinione. E' questo l'unico modo per uscire dall'attuale crisi senza che diventi catastrofe. E qui io voglio arrivare alla questione principale, quella che si presenta sempre quando ci si accinge a qualsivoglia grande trasformazione: la questione della rapidità dei cambiamenti. Quanto ciò sia importante l'ho imparato dalla mia personale esperienza. Allora fui criticato per la lentezza, per quella che fu definita una mancanza di determinazione. Altri, viceversa, mi criticarono perché cercavo di imporre alla società riforme troppo veloci e, per questo, insopportabili. Tornano alla mente le parole del grande pensatore e democratico russo Aleksandr Herzen: "E' necessario procedere con il passo dell'Uomo". Cioè non si devono forzare i tempi, senza tenere conto degl'individui concreti e delle loro possibilità nell'accettare le novità. Mi pare che la direzione impressa dalla politica alla costruzione europea sia stata caratterizzata in prevalenza da indirizzi neo-liberali. Credo che sia proprio questo fatto ad avere prodotto le incrinature più profonde. La storia sociale, politica, sindacale dell'Europa, le strutture, le tradizioni della sua democrazia si stanno opponendo a una logica esclusivamente o prevalentemente liberale e di mercato. Milioni di europei hanno nel loro codice genetico un'idea di solidarietà civile e di compattezza sociale, e non paiono entusiasti di un diluvio di novità che non solo non portano a una crescita del tenore di vita, mentre creano nuovi problemi e producono incertezze per il futuro. Ricavo queste idee dai numerosi contatti e incontri in quasi tutti i paesi europei degli ultimi anni. Questi problemi non si possono risolvere con imposizioni, con forzature. L'allargamento dell'Unione Europea non può essere considerato un obiettivo in se stesso, finalizzato semplicemente al rafforzamento dell'influenza europea in campo internazionale. Questo non significa che io non veda la grandezza del progetto europeo. Al contrario io sono certo che esso andrà avanti e supererà le difficoltà che sorgeranno sul suo cammino. Negli ultimi tempi ho molto riflettuto a come potrà realizzarsi, nelle nuove condizioni, l'idea di una Grande Europa Unita. E sono giunto alla conclusione che un tale processo non è risolvibile semplicemente con l'allargamento dell'Unione Europea. Un processo paneuropeo di questa ampiezza non può essere costruito soltanto dalla parte occidentale. Occorre che vi prenda parte la parte orientale. Gli ultimi eventi rendono questa idea ancora più attuale. L'Europa deve poggiare su due pilastri. Nell'iniziativa volta alla creazione di uno spazio economico comune tra Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan io vedo il progetto della costruzione del pilastro orientale della casa europea. Una tale associazione costituirebbe un forte partner dell'Unione Europea e accelererebbe il processo di costruzione di una Grande Europa come nuovo fattore geopolitico di significato planetario. Bisogna respingere paure e inquietudini ereditate dalla guerra fredda, mostrare comprensione e volontà politica, a nuovi livelli, capaci di favorire la cooperazione con quei paesi. In altri termini: tutti noi europei stiamo vivendo un momento di radicale cambiamento. Il compito dei leader europei è quello di capire, e di dare corso a una svolta più meditata, più efficace, davvero pan-europea.

Mikhail Gorbaciov
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