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Come stà l'Italia?

  Ultimo aggiornamento: 04-02-04

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Attualità 2003
Come stà l'Italia?

Come stà l'Italia?

Bartolomeo Sorge S.I.

4-2-04


Giunti a metà legislatura e chiuso il discusso «semestre europeo» dell’Italia, il Bel Paese rimane un rebus complicato non solo per chi lo considera dall’esterno, ma anche per gli stessi italiani che vi abitano. A sbrogliare almeno in parte la matassa può aiutare il confronto tra i due tradizionali messaggi di fine d’anno del 2003: la conferenza stampa del Presidente del Consiglio del 20 dicembre (cfr Corriere della Sera e La Stampa, 21 dicembre 2003) e il messaggio del Presidente della Repubblica del 31 dicembre (cfr <www.quirinale.it/Discorsi/Discorso.asp?id=23858>). Berlusconi ha impiegato due ore e mezzo per dimostrare che l’Italia «sta bene»; Ciampi diciassette minuti per dire che l’Italia «potrebbe» stare bene, ma che purtroppo «le preoccupazioni certo non mancano».

1. Berlusconi: l’Italia «sta bene»
– Per quanto riguarda l’economia — spiega Berlusconi —, se qualcosa in Italia non va, come l’inflazione, la colpa è dell’introduzione dell’euro, voluta dal precedente Governo. Se i prezzi sono aumentati, la colpa è dei commercianti che li hanno ritoccati al rialzo, approfittando del cambio della moneta. Se la produttività ristagna, la colpa è dell’apprezzamento dell’euro sul dollaro che penalizza i prodotti italiani.
Reagisce il Presidente della Commissione europea: «Dare la colpa all’euro del disagio economico che l’Italia sta vivendo è un’assoluta falsità. Occorre ricordare che la moneta unica esiste da quattro anni. E che da due anni l’euro è in circolazione. In dieci dei dodici Paesi che hanno adottato la moneta europea non c’è stato né l’aumento dei prezzi, né l’impoverimento della classe media e dei lavoratori a reddito fisso che si è verificato in Italia, dove invece osservo che già si annunciano aumenti a raffica di tariffe e di prezzi per l’anno che è appena cominciato. E allora? È sempre colpa dell’euro? L’ho detto e lo ripeto. In Italia è mancato il più elementare controllo sulla dinamica dei prezzi» («Intervista a Prodi», in la Repubblica, 2 gennaio 2004).
L’Italia sta bene — insiste Berlusconi —: «abbiamo creato 700 mila posti di lavoro, i dati sulla sicurezza sono ottimi, il calo del carico fiscale per le famiglie è stato del 7,5%»; e poi, nonostante l’aumento del fabbisogno di cassa del settore statale, il deficit tra conti pubblici e PIL è rimasto al 2,5%, sotto la soglia del 3% fissata a Maastricht.
Il Cavaliere, però, non dice ai cittadini che (con un PIL praticamente stagnante, cresciuto di un modesto 0,5%, e in presenza di un aumento del fabbisogno di cassa e di una riduzione del carico fiscale) il deficit dei conti pubblici si può stabilizzare solo tagliando le spese sociali, imponendo nuovi ticket e aumentando le tariffe.
– Per quanto riguarda il «semestre europeo» — commenta Berlusconi —, la presidenza italiana «ha prodotto risultati assolutamente positivi». Il fallimento della Conferenza intergovernativa per l’approvazione della Costituzione europea era inevitabile: «Lo sapevamo già dall’inizio».
Su questo punto, nella citata intervista, l’intervistatore chiede un chiarimento a Prodi: «Dall’Iraq al patto di stabilità allo scacco sulla Costituzione: dietro i fallimenti europei c’è sempre anche una firma italiana». Risponde il Presidente della Commissione europea: «Purtroppo, sì, anche se non è la sola. Comunque è chiaro che all’Europa è mancata l’Italia, come all’Italia è mancata l’Europa». È insufficiente quindi citare, a riprova del successo italiano, il fatto che l’Agenzia alimentare, inizialmente assegnata alla Finlandia, sia stata portata a Parma. Non è questa una conquista, per quanto vantaggiosa, che possa controbilanciare le falle che si sono aperte nella gestione del bene comune europeo.
– Anche in politica estera — secondo il Cavaliere —, le cose non potevano andare meglio di come sono andate: sposando le tesi di Bush sulla guerra in Iraq, l’Italia non si è piegata di fronte all’asse Francia-Germania e, così facendo, ha impedito che si consumasse un pericoloso «divorzio tra l’Europa e gli Stati Uniti». Anzi l’Italia, «esportando la democrazia con informazione, propaganda, aiuti economici e anche con interventi militari», oggi è in prima fila con altre grandi nazioni nello sforzo di creare un nuovo ordine mondiale e di estirpare il terrorismo (si tratta — specifica Berlusconi — di battere quei «40-45 Stati totalitari che ancora vi sono» e che vanno «eliminati via via»). Purtroppo la strage di Nassiriya, insieme con la tragedia del dopo-Saddam in Iraq, mostra drammaticamente che la democrazia non si esporta con gli interventi militari.
– Infine, in politica interna, il Cavaliere tiene a ribadire che «il conflitto di interessi non c’è. Chi guarda la televisione commerciale sa bene che si tratta di una favola metropolitana. C’è chi crede al gatto con gli stivali e chi crede al fatto che ci sia una stampa o dei media o una televisione favorevole a questo Governo». Se manca una legge che regoli la materia, «la colpa è dell’ostruzionismo parlamentare della sinistra». Sulla riforma della TV era prevedibile — aggiunge Berlusconi — che il Capo dello Stato avrebbe rinviato la legge Gasparri alle Camere; infatti, «c’erano pressioni così diffuse, anche dalla parte della corporazione degli editori, che ho immaginato le difficoltà di Ciampi a non intervenire».
In conclusione: per Berlusconi, l’Italia sta bene e pure il Governo ha agito bene. Se non è riuscito a fare di più, la colpa è della pesante eredità del precedente Governo, dell’euro, dell’ostruzionismo dell’opposizione, delle lobby che condizionano perfino il Presidente della Repubblica. Impressiona la frequenza con cui il Cavaliere si atteggia a vittima. Probabilmente ciò fa parte di quella strategia dell’immagine, tipicamente berlusconiana, che da un lato consente al Premier di addebitare gli insuccessi a nemici esterni, fittiziamente ingigantiti e ideologicamente ostili (ostruzionismo dell’opposizione, «comunisti», congiura della stampa italiana ed estera, euro e lacci comunitari…), dall’altro lo esonera dal fare una seria analisi politica per individuare le vere cause e le vere responsabilità.

2. Ciampi: «le preoccupazioni certo non mancano»
Ovviamente il messaggio augurale del Presidente della Repubblica appartiene a un genere letterario diverso dalla conferenza stampa del Capo del Governo. Ciononostante Ciampi non omette di esprimere un giudizio sullo stato di salute del Paese. A differenza però dell’ottimismo di facciata di Berlusconi, il Capo dello Stato non esita ad ammettere che «le preoccupazioni certo non mancano», che la situazione economica è pesante e, con il disagio sociale, cresce la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Si tratta di preoccupazioni gravi, che attengono «al modello di società basato sulla libertà, sulla democrazia, sulla solidarietà, sulla diffusione del benessere, sullo spirito dell’intrapresa, che abbiamo costruito partendo dagli anni difficili del dopoguerra». Questo richiamo esplicito di Ciampi al modello di società che gli italiani hanno scelto con la rinata democrazia deve far riflettere e marca la differenza dell’analisi del Presidente della Repubblica da quella del Presidente del Consiglio.
– Per quanto riguarda l’economia, Ciampi è lapidario: «So bene che quest’anno molte famiglie hanno avuto difficoltà con il loro bilancio, hanno fatto fatica. Il troppo lungo ristagno dell’economia, in Italia e in Europa, ha colpito soprattutto i più deboli». Stando ai dati Eurostat di fine 2002, in Italia il PIL pro capite espresso in PPS (un indicatore che omogeneizza il potere d’acquisto dei cittadini) è sceso a quota 98, cioè due punti sotto la media dei quindici Paesi dell’Unione, mentre nel 1995 l’Italia era a quota 104, vicina al gruppo di testa.
Ha ragione Ciampi di sottolineare che le conseguenze del ristagno dell’economia gravano soprattutto sui più deboli, le cui retribuzioni o pensioni non tengono il passo con l’inflazione. Viene anche da qui il malessere sociale sempre più diffuso, che crea situazioni di esasperazione, come quelle sfociate, negli ultimi tempi, in alcuni scioperi selvaggi. Né a ridare fiducia può bastare il modesto aumento dell’occupazione, segnalato da Berlusconi, dovuto in gran parte a forme di lavoro precario.
Nonostante tutto, Ciampi non è pessimista: l’Italia potrebbe stare bene, perché non mancano i primi segni di ripresa economica. Occorre però «saperli sostenere con l’azione di tutti: imprenditori, lavoratori, istituzioni di governo centrali e locali». Occorre, cioè, «fare sistema». Ma non ne siamo ancora capaci.
– Per quanto riguarda l’Europa, Ciampi, pur insistendo sulla necessità di «portare a compimento il processo che darà una Costituzione a questa grande Unione Europea», non nasconde — anche qui — le difficoltà del cammino: la divisione tra i Paesi dell’Unione sulla guerra all’Iraq, la crisi del «patto di stabilità», il fallimento della Conferenza intergovernativa sulla nuova Costituzione. Ciononostante, guardando ai «progressi compiuti sulla via dell’unificazione», esorta: «Non lasciamoci ingannare dal mancato successo di una Conferenza: è già accaduto in passato. Abbiamo superato molti ostacoli, e anche questa volta li supereremo». L’importante è continuare a impegnarsi con rinnovata fiducia.
– Per quanto riguarda la politica internazionale, l’impegno prioritario è quello per la pace e contro il terrorismo; occorre perciò rafforzare «le istituzioni che abbiamo creato in applicazione coerente dei nostri valori: la nostra Repubblica, l’Unione Europea, le Nazioni Unite». Ciampi ribadisce, a sua volta, quanto il Papa sostiene nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004: «Il rispetto del diritto internazionale è presidio della pace nel mondo. Questa è la via da seguire, tendendo la mano a tutte le civiltà, a tutti i popoli, per sradicare il terrorismo, per prevenire tragici scontri etnici o insensati conflitti religiosi». Solo una coesione stretta e fattiva all’interno delle istituzioni, nazionali e internazionali, può dare «serenità e sicurezza ai cittadini, e nuovo vigore alle istituzioni stesse». Non vanno certo in questa direzione — conclude amaro il Presidente — «taluni aspri contrasti» che sminuiscono sia la coesione interna, sia la credibilità internazionale dell’Italia.
– Infine, per quanto riguarda la politica interna, Ciampi ovviamente non parla del conflitto di interessi, della legge Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo, della devolution, della riforma dell’ordinamento giudiziario, del super-premierato a cui mira Berlusconi. Si limita piuttosto a ribadire — eloquentemente — che le riforme vanno fatte, senza perdere di vista che la Costituzione «è patrimonio di tutti. Così è sentita dai cittadini»; e che «per mutamenti strutturali, che modifichino istituzioni fondamentali della Repubblica, quale il Parlamento, serve uno spirito costituente, un largo incontro di volontà politiche». «Le istituzioni fondamentali — insiste — non possono certo essere cambiate a ogni mutare di maggioranza».
In conclusione, confrontando i giudizi sulla salute del Paese, contenuti nei due discorsi di fine anno, appare la differenza tra l’ottimismo di maniera, che porta Berlusconi a ingigantire i risultati e a sminuire le responsabilità del Governo, e l’ottimismo realistico di Ciampi, secondo cui l’Italia «potrebbe» stare bene, anche se non sono assenti le preoccupazioni. Infatti — egli sottolinea —, non mancano neppure «le ragioni per nutrire fiducia», e «la fiducia è tutto, è la forza che ci muove, che ci permette di costruire il futuro».

3. Dove va l’Italia?
Il discorso su come sta l’Italia, però, non si può ridurre alla lista delle cose che vanno o che non vanno, delle scelte fatte o ancora da fare. Occorre capire soprattutto «dove va» il Paese, cioè a quale modello di società ci stiamo avviando. Il «rebus Italia» sta appunto nell’incertezza del suo futuro, nella risposta da dare alla «preoccupazione» espressa da Ciampi sul modello di società. Quale Italia vogliamo? Di quale «ammodernamento» parla Berlusconi, quando ripete che vuole rinnovare l’«architettura costituzionale» del Paese?
Ebbene, dall’attenta considerazione delle scelte fatte nella prima metà della legislatura, emergono con chiarezza i tratti essenziali del modello neoliberista di società (diverso dal modello sociale disegnato dalla nostra Costituzione), verso cui il centrodestra sta conducendo il Paese.
– Il primo tratto fondamentale del modello neoliberista di società, al quale punta Berlusconi, è la concezione dell’economia basata sulla mera logica di mercato, con la pretesa di gestire con categorie aziendali anche la politica. È una via senza sbocco. Infatti, la logica di mercato tende di natura sua a favorire i ceti più forti e fa ricadere il peso delle scelte soprattutto sui ceti più deboli; porta allo smantellamento dello Stato sociale, generando tensioni sia sul piano costituzionale, sia su quello sociale. Sul piano costituzionale, perché la logica neoliberista è in contrasto con la ispirazione solidale della nostra Carta repubblicana, che stabilisce: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3). Sul piano sociale, perché — spiega Giovanni Paolo II — «ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono esser soddisfatti mediante i suoi meccanismi [del mercato]; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica» (Centesimus annus, n. 40).
Ora, che il Cavaliere miri a introdurre in Italia il modello neoliberista è apparso chiaro fin dall’inizio: la legge sulla eliminazione dell’imposta di successione e sulle donazioni non può che privilegiare i grandi patrimoni, così come il progetto di riforma fiscale, di chiara impostazione antisolidaristica, non fa che premiare i redditi medio-alti. E così via, fino alle scelte più recenti, il cui peso ricade soprattutto sui più deboli: si pensi — per esempio — all’abbandono del metodo della «concertazione» nel definire i rapporti di lavoro, alla drastica riduzione dei finanziamenti a favore di progetti sociali, alle norme sulla immigrazione, che considerano gli extracomunitari come «merce» (secondo la definizione di un ministro del Governo), da usare finché servono e da respingere ai Paesi di origine appena non servono più.
– Il secondo tratto del modello di società neoliberista, verso il quale il centrodestra ha avviato l’Italia, è la concezione della democrazia, intesa come mera osservanza formale delle regole, quali che esse siano, prescindendo da considerazioni etiche. Si parte, cioè, dall’affermazione dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini, indipendentemente da ogni considerazione sostanziale di reddito, censo, ecc., e vi si aggiunge l’idea della sovranità arbitraria della maggioranza, che può fissare le regole a suo piacimento. Ora, la legalità non si può ridurre alla mera osservanza formale delle regole, prescindendo dalla loro ricaduta sociale e dalle loro implicazioni etiche. Altrimenti una democrazia senz’anima ineluttabilmente degenera nella difesa di interessi di parte (o addirittura personali) e in dittatura della maggioranza.
Come negare che spingano in questa direzione la legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio, quella sul rientro dei grandi capitali esportati illecitamente, nonché la serie continua di condoni e di sanatorie? Come spiegare, se non con l’intenzione di tutelare interessi personali o di parte, le difficoltà frapposte alla ratifica del trattato italo-svizzero sulle rogatorie internazionali o all’accordo sul «mandato di cattura» europeo? Che dire della legge Cirami (definita, non a caso, «salva-Previti»), che autorizza a sospendere o a trasferire il processo per «legittimo sospetto» sulla parzialità del giudice? O del Lodo Schifani che, «congelando» i processi a carico delle cinque più alte cariche dello Stato, ha fermato il processo per corruzione a carico di Berlusconi, alla vigilia del semestre di presidenza italiana della UE? E l’elenco potrebbe continuare, fino a giungere alla legge Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo e al decreto «salva-Rete 4», firmato dallo stesso Berlusconi, dopo il rinvio alle Camere da parte di Ciampi della legge Gasparri.
La preoccupazione di Ciampi, quindi, è quella di tutti i democratici onesti e responsabili: verso quale modello di società stiamo andando? Quale cultura delle istituzioni si promuove nel Paese, se il Presidente del Consiglio arriva a dire che non gli interessa neppure leggere le motivazioni con le quali il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge Gasparri?
– Infine, non possiamo non accennare alla progressiva perdita di credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. L’aspetto più grave è che essa è dovuta non tanto alla poca considerazione di cui gode all’estero il nostro Capo del Governo (le cui gaffe ormai sono divenute proverbiali), quanto — ancora una volta — a una concezione di democrazia, che alimenta l’evidente «euroscetticismo» del Governo, e lo porta ad allinearsi istintivamente alla politica internazionale di Bush. Il comportamento tenuto in occasione della guerra in Iraq ha funzionato da cartina di tornasole.
In conclusione, più che l’attuale stato di salute dell’Italia, è incerto il futuro democratico del Paese. È questa la vera preoccupazione che tutti dovremmo avere e della quale abbiamo il dovere morale di parlare. Non è certo un caso che la legge Gasparri e il Lodo Schifani siano stati dichiarati incostituzionali.


 

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