Edizione del 31:05:2011 |
RubricaScientifica |
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L’Anoressia La prima descrizione clinica del termine “anoressia” risale alla fine del 1600, quando il dottor Richard Morton, pubblica un libro, dove illustra il rifiuto di alimentarsi di due suoi pazienti, un maschio adolescente ed una ragazza appena maggiorenne. L’anoressia in pratica è un “disturbo del comportamento alimentare”. Gli antichi greci con il termine “anorexia”, indicavano “una mancanza di appetito”, mentre il significato che gli attribuiamo oggi, cioè “anoressia isterica” o “anoressia nervosa” fu introdotto sul finire del 1800, da Charles Lasegue e William Gull. Da quel momento l’anoressia venne intesa come un “disturbo psicopatologico”. Un evento decisamente importante si verificò agli inizi del 1900, quando Morris Simmods, avanzò la tesi che il tutto nasceva da uno scompenso dell’ipofisi. Così dal 1930, a seguito di una pubblicazione di uno studio su oltre cento pazienti condotto da Berkman, che la ricerca riprende vigore. I progressi principali “sull’interpretazione” della “malattia” sono stati compiuti “solo” negli ultimi trenta anni, grazie alle opere di autori come Bruch, Russel e Crip, ai quali dobbiamo la maggior parte della descrizione ancora attuali dell’anoressia nervosa. Quest’ultima viene diagnosticata per il 95% dei casi a pazienti di sesso femminile. Esperti psichiatri individuano, in una magrezza estrema, una forte paura di ingrassare, una preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico, i criteri standard per diagnosticarla. Abbiamo due sottotipi di anoressia, o ci si limita a digiunare, o si fa uso di medicinali e vomito auto - indotto per mantenere il peso desiderato. Questa differenziazione è fondamentale per stabilire se si è di fronte ad una paziente anoressico o ad uno bulimico. L’età dei soggetti colpiti va dai 14 ai 25 anni, anche se la maggior frequenza si registra tra i 14 ed i 18. Negli ultimi anni sta salendo anche la percentuale dei pazienti di sesso maschile. Le cause che portano all’anoressia sono diverse, cause biologiche, sociali e psicologiche in primis. E’ importante tenere presente se un familiare soffre o ha sofferto di questa “malattia”, o se si appartiene ad un gruppo sociale (modelle, ballerine, ecc.) dove il peso purtroppo è (ancora) fondamentale, o vivere in un determinato contesto dove la magrezza viene giudicata come un “valore positivo”, o il fatto di soffrire di disturbi della personalità. Tra i fattori scatenanti il più noto è quello della “dieta ferrea”, mentre nelle perone “più deboli” anche una delusione amorosa o una bocciatura possono essere considerati fattori scatenanti. Per questo molte volte il rifiuto del cibo non è per forza legato ad un fattore estetico, ma anche a delusioni che gli “regala” la vita, così, dato che il cibo è una delle poche cose che possono controllare, per dimostrare di essere comunque forti, lo rifiutano, per non sentirsi schiavi. |
Per questo, avendo bisogno disperato di tutto, rinunciano a tutto e non accettano il cibo come sostituto. L'anoressia è un tentativo di fare ordine dentro di sé ed intorno a sé eliminando il superfluo. Diventando così “invisibile”, non solo fisicamente, ma anche perché può nascondersi in casa e sottrarsi alla vista. Le terapie cambiano a seconda della gravità dei casi, per questo è importante scindere le terapie ambulatorie da quelle ospedaliere. Anche se ancora oggi non ci sono farmaci specifici per l’anoressia. L’unico “farmaco” è la terapia psicologica, la psicoterapia individuale, la psicoterapia famigliare, la psicoterapia di gruppo. Sicuramente a livello medico si sono fatti passi avanti, purtroppo, a livello mediatico si è ancora a zero, di “super machi” e “lische di pesce” ne appaiono a decine, in Tv e sulle pagine dei giornali, ma la cosa più grave è sentire i colpevoli di questo “bombardamento” cercare di lavarsi la coscienza con le “solite” frasi, che hanno tutto lo stesso ipocrita concetto: “ la vera bellezza è quella interiore”, detta da chi, ha basato sul corpo il proprio guadagno! |
L'embolia è l'ostruzione di un'arteria o di una vena, causata da un corpo estraneo al normale flusso sanguigno, che viene denominato embolo e che può essere un coagulo di sangue, una bolla d'aria o di altri gas, generalmente azoto, o altre formazioni di dimensioni tali da ostruire un vaso arterioso o venoso. Nei casi più gravi in cui essa interessi un'arteria, l'embolia può provocare la morte del soggetto colpito per ischemia cerebrale, polmonare o cardiaca. Per l'embolia da coaguli ematici, che è il tipo più frequente di embolia, vedi trombosi. tromboembolo (vedi trombosi) quando un trombo si stacca dalla parete del vaso che lo contiene e migra in altra regione del circolo potendo ostruire altri vasi in distretti più importanti. Le più frequenti embolie venose sono le embolie polmonari, quelle arteriose sono caratteristiche dell'ictus cerebrale. In generale la causa più frequente di embolia sono coaguli ematici, quali quelli che si formano sulla parete cardiaca che ha subito un infarto miocardico. A seconda dell'apparato colpito: embolia cerebrale, un embolo in un'arteria che irrora il cervello è una delle cause più frequenti di ictus. embolia polmonare, molto spesso una trombosi venosa profonda origina un trombo, una parte del quale si stacca e viene trasportata dal flusso sanguigno fino ad ostruire un'arteria polmonare, provocandovi l'embolia. Sintomatologia : I sintomi connessi all'embolia dipendono molto dal grado di ostruzione provocato dall'embolo e dalla velocità con cui esso entra in circolo. Per l'embolia polmonare il soggetto potrebbe presentare dolori al torace, affanno e svenimenti. Un'embolia polmonare derivante da trombosi agli arti inferiori per esempio, non necessariamente si manifesta negli arti visibilmente e percettivamente e può portare ad un lento affiorare di dispnea sempre più gravosa nell'eseguire lo stesso sforzo fisico come ad esempio salire le scale, in misura della quantità di emboli che col tempo si accumulano nei polmoni. L'embolia cerebrale provoca invece effetti diversi a seconda della parte del cervello che non viene irrorata dal sangue. Terapia : La terapia consiste nel rimuovere l'embolo dove possibile, con un'operazione chirurgica (embolectomia) oppure attraverso farmaci che sciolgano i coaguli di sangue ed evitino il loro formarsi (trombolisi). Nel caso di embolie gassose si attua la terapia iperbarica presso un centro iperbarico, normalmente gestito dalle ASL ma è anche possibile, a volte per i casi di emergenza in assenza di centri vicini, l'utilizzo di un centro militare normalmente gestito dalla Marina Militare Italiana. |