Rimini ieri. 1944-1945
L'Oberdan della Resistenza.
"il Ponte", Rimini. 21.07.1991
La morte di Carlo Capanna, partigiano con il nome di battaglia dell'irredentista triestino.

Riministoria
il Rimino

«Un uomo molto coraggioso». Così tempo fa definiva il gen. Carlo Capanna, scomparso l'11 luglio a 70 anni, un altro protagonista della storia resistenziale in Romagna, appartenente ad una diversa corrente politica.
Capanna, dopo l'8 settembre 1943, aveva combattuto per la libertà, conquistando la stima di tutti. Il giorno dell'annuncio dell'armistizio, egli si trovava all'Accademia aeronautica di Forlì, dove studiava.
Assieme ad un gruppo di amici, s'impossessa di alcune armi e si dà alla macchia, in attesa di tempi duri che non tarderanno ad arrivare.
Il suo nome di battaglia è Oberdan, lo stesso dell'irredentista triestino condannato a morte nel 1882.
Sino al 10 maggio 1945, Capanna ha poi fatto parte dell'Oss (Office of Strategic Service), il servizio segreto americano.

A quei giorni di grande tensione politica e morale, ma anche di dolore per le giovani vittime che restavano sul terreno, il gen. Capanna ha rivolto sempre il suo pensiero, raccogliendo in molte pagine le sue memorie.
Di quei momenti, gli rimasero una ferita ed una medaglia d'argento al valor militare.
Per «il Ponte», lo avevo intervistato due anni fa, ricavando un'esclusiva apparsa il 29.10.1989, «”Così arrestai Tacchi a Padova”».
Successivamente, nello scorso novembre, ebbi con lui due lunghe conversazioni, sempre di tema storico, sui giorni della Resistenza e del primo dopoguerra: Capanna, con grande lucidità nel ricordo dei singoli fatti, mi ricostruiva episodi noti e meno noti.

Mi mostrò anche alcune pagine delle sue memorie, che convenimmo di pubblicare su «il Ponte».
Purtroppo, per una serie di impegni, questo non è stato ancora possibile, ma desideriamo tener fede alla promessa, come riconoscimento della cortesia che il gen. Capanna usò verso la nostra testata.
Il carattere genuinamente romagnolo di Capanna, tutto teso a far prevalere la verità storica al di sopra degli interessi di parte (e di partito), emergeva dalla sua cordiale conversazione.
Due frasi soltanto, desidero ricordare, di quegli incontri: «Dopo la fine della guerra, chiesi ed ottenni il ritiro della tessera di partigiano a 14 persone» che si attribuivano attività mai svolte.

Sulla cattura dei Tre Martiri, aveva parole dure: «Quando i tre furono trasferiti dalle Grazie alla piazza Giulio Cesare, li accompagnavano soltanto otto soldati tedeschi. Così almeno mi hanno detto, perché ero in montagna. I partigiani di Rimini li ho sempre incolpati, a cominciare da chi, quando presero i tre ragazzi, era sul tetto della casa di via Ducale, a raccogliere rosmarino per cuocere un pollo che aveva rimediato. Se ne è stato buono lì, e non ha fatto niente. A Rimini, i partigiani erano tutti fifoni».

Scheda 2012.
La parole conclusive del mio pezzo, il virgolettato del gen. Capanna sulla vicenda dei Tre Martiri, fecero scalpore.
Protestò l'Anpi per mano del prof. Vincenzo Mascia con una lettera apparsa sul nostro giornale, «il Ponte», il 4 agosto 1991.
Gli risposi citando il mio pezzo dove avevo definito «parole dure» quelle usate dal gen. Capanna, e concludendo: «Il prof. Mascia converrà che il buon gusto ci costringe ad una certa cautela nella polemica verso chi, essendo defunto, non può replicare».

Mascia per sostenere la sua tesi riporta pure una frase dalla memorie di Ugo Ughi, commissario straordinario al Comune di Rimini dal 27 novembre 1943.
A Mascia facevo notare che, per i motivi spiegati in una puntata dei «Giorni dell'ira» apparsa poco prima, bisogna andar cauti nel prendere per oro colato quelle memorie.
[Mi riferivo a questo passo della puntata n. 14:
Il 23 marzo '44, Ughi elogia ancora il comportamento «veramente ammirevole» della popolazione di Rimini che «merita di essere additata ad esempio di elevatezza morale, di sentimento patriottico, di spartano stoicismo non solo alle Città di Romagna, ma a tutta l'Italia». «Serenità e stoicismo», ribadisce tre giorni dopo, quando viene sconvolto il Cimitero: «…oggi anche la maledizione dei morti» perseguita «i selvaggi nemici». «Serenità». La gente vive invece nel terrore. Dal cielo, arrivano le bombe. E sulla terra, ci sono repubblichini e nazisti.]

Dal mio volume intitolato «I giorni dell'ira», al IV capitolo cito quest'altro passo, per documentare l'incertezza delle varie testimonianze.
Quando furono arrestati i Tre Martiri? Il 13 agosto verso le 17.30, secondo un articolo di Montemaggi del '64 in cui si riportava una testimonianza di Paolo Tacchi. Montemaggi nel '94 ha spostato l'evento al giorno 14 in base al "Rapporto riservato" (stilato il 30 agosto), del 471° Gruppo germanico. Nel "Diario di guerra" del Comando Supremo della Decima Armata tedesca, la notizia è registrata il 15 agosto: lì si trova anche scritto che la cattura dei tre "banditen" avvenne "nell'ospizio Marino (poco a sud-est di Rimini)" in località Comasco: è un errore. I tre giovani sono stati catturati nell'Ospedalino Infantile (Aiuto Materno, via Ducale). Padre Carpani ricorda il 14 agosto. In altre fonti si parla di quanto tempo i tre giovani restarono nelle mani dei nazi-fascisti. Secondo Maria Pascucci ("Il ras di Rimini [Tacchi] li tortura per far loro confessare i nomi. Essi tacciono e resistono…"), si tratta di "tre giorni". Essendo stata eseguita l'esecuzione capitale il 16 mattina, la cattura sarebbe dunque avvenuta il 13 pomeriggio. Per Guido Nozzoli, tra l'arresto e l'esecuzione non passarono che trentasei ore. Quindi la cattura sarebbe del 14. Chi vi era presente? Secondo Montemaggi (1994), c'era Alfredo Cecchetti [Cicchetti]. Per Nozzoli, Cicchetti non era nella base di via Ducale al momento dell'irruzione.

Sul tema si veda pure "21 settembre 1944, Rimini liberata", dove si cita dal cap. 17 del volume mio dedicato a don Giovanni Montali.

Alla pagina con l'intervista a Carlo Capanna.

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1588, 07.01.2012. Modificata, 07.01.2012, 18:21

Antonio Montanari

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