Memorie riminesi.
A proposito di Massoneria.

Il tema massonico ritorna in due capitoli delle mie Memorie riminesi (2000-2001). Eccoli.

Cattiva educazione
Nella puntata n. 786 del mio "Tam Tama", pubblicato sul Ponte n. 45 di domenica 17 dicembre 2000, sotto il titolo di "Perseverare", ho scritto quanto segue:
"In ormai diciannove anni di stesura di questa rubrica, credo di essere stato sempre limpidamente aperto nell’esprimere le mie opinioni, senza secondi fini o scopi nascosti. Quando nel settembre 1982 accettai la proposta di don Piergiorgio Terenzi di comporla settimanalmente, ho commesso un errore della cui gravità mi sono dovuto accorgere lentamente mentre passava il tempo. Se il lettore scorre queste righe, e si diverte o s’arrabbia, resta un fatto privato tra noi due, me e lui. Ma c’è sempre un terzo, un Grande Fratello che s’impersona in varie sedi, in quelle sedi che, per fare un giornalismo decente e non da tappetino scendiletto, si vanno a punzecchiare, disturbare o semplicemente a citare, provocando reazioni nascoste, carsiche, che prima o poi riaffiorano. Credetemi."
Nella parte iniziale dell'articolo, ero partito da una citazione relativa ad un volume "(pressoché massonico) su Bertòla": si tratta degli "Atti "del Convegno del 1998 sul grande poeta riminese, presentati il 16 dicembre "in un incontro pubblico il cui titolo è tutto un programma: 'Amante più dei salotti e delle alcove che dei chiostri…'".
E scrivevo a commento del fatto:
"La sacrosanta verità biografica rischia di tramutarsi in uno slogan da filmetto porno, mettendo in ombra figura, ruolo e caratteristiche del grande poeta concittadino. Pazienza, così vanno le cose nella società dello spettacolo."
Perché mi sono soffermato, sia nella puntata del 17 dicembre sia in quella precedente del 10 dicembre, con tanta attenzione sul volume bertoliano, è presto spiegato con quanto avevo osservato appunto il 10 dicembre, sotto il titolo: "Caduta massi":
"Voi non lo sapete, ma il Tempio Malatestiano fu dedicato ad un culto massonico. Non impazzisco, il discorso è serio, la teoria è di una persona che, stando a voci circolanti in città, dovrebbe allo scopo produrre il suo bravo libro, con la dimostrazione che anche Sigismondo era iscritto ad una qualche Loggia, come alcuni nostri contemporanei. Non sono un esperto dell’argomento, ma ora ne so qualcosa di più grazie ad un bel volume appena pubblicato anche a spese del nostro Comune, cioè gli Atti del Convegno su Aurelio Bertola, tenutosi due anni fa. Tutto quanto, o quasi, si trova in questo testo è un inno alla Massoneria. Vedere ad esempio il secondo saggio dove si citano riflessioni non del nostro poeta ma che "debbono averlo accompagnato tra Pavia e Milano" (in mancanza della Settimana enigmistica): qui leggiamo che nel 1785 la Chiesa era accusata di non far più miracoli e che lo Spirito Santo dopo, aver abbandonato i preti, attraverso percorsi nascosti, aveva illuminato la Massoneria. Il gioco è pesante e scoperto in quasi tutta l’opera. Innegabilmente, Bertòla è stato uno dei massoni del 1700, ma nello stesso tempo era un uomo religioso, per quanto egregio peccatore. Perché si dimenticano gli aspetti religiosi delle sue "Notti" in onore di papa Ganganelli? Perché crollerebbe la mitologia massonica, e di conseguenza cadrebbe la falsificazione del suo discorso."
Se chi consulta queste pagine di "Riministoria" va a leggersi nel mio sito qualcosa su Aurelio De' Giorgi Bertòla, capirà perché ne parlo con tanta insistenza. Su Bertòla ho composto qualcosa di un certo significato, se alcune mie operette sono state citate nel volume degli Atti.
Anzitutto, nella Biblioteca Gambalunghiana di Rimini ho scoperto l'esistenza di un "Diario inedito" (come l'ho definito io), che ho brevemente annunciato in un "Quaderno di Storia" edito a mie spese. Chi ha poi citato quelle pagine di Bertòla (che sono di un certo peso e di una certa importanza), ha fatto bellamente finta che venissero ricordate per la prima volta da lui stesso. Per il bicentenario della morte di Bertòla l'editore Luisè, ad esempio, ha pubblicato un'anastatica del "Viaggio sul Reno" con prefazione dell'allora sindaco di Rimini, prof. Giuseppe Chicchi, in cui si riportano ampie citazioni da quel "Diario inedito" che contengono molte ‘varianti’ rispetto al testo originale. Non voglio soffermarmi qui, su questi aspetti filologici (dei quali parlerò in altra occasione: accenno solo al fatto che ho ricostruito la vera storia del viaggio sul Reno tratta dal "Diario inedito", usando la cortesia di non rinfacciare a Chicchi ed all'editore, pubblicamente, gli errori compiuti - forse da terza persona che ha consultato il manoscritto originale in Gambalunghiana).
Poi ho pubblicato un breve saggio su "Bertòla redattore anonimo del 'Giornale enciclopedico" di Venezia. Ovviamente senza guadagnarci una lira, perché la rivista "romagna arte e storia" non paga le collaborazioni. Stesso discorso (sul piano economico) per "La filosofia della voluttà" edita da Raffaelli.
A mie spese ho pubblicato la storia delle varie edizioni delle "Notti Clementine" di Bertòla presso le edizioni Il Ponte di Rimini, non mettendola in vendita, ma offrendola in omaggio a chi la chiedeva. Più di cento copie sono state date distribuite (gratis, ripeto), all’Accademia dei Filopatridi di Savignano, in occasione della mia conferenza di presentazione. Venti copie le ho date al museo di Rimini, perché doveva avvenire da parte dell’Assessorato alla Cultura la diffusione della notizia e degli inviti in occasione della presentazione a Rimini al Museo, appunto. Ma l’Assessorato od il Museo non hanno diramato notizie o fatto inviti.
Al Convegno riminese è stata chiamata una studentessa appena laureata a parlare del carteggio che mi è servito per quest’ultimo volume sulle "Notti Clementine" . Sennonché ella si limita a strigliare il povero Giuseppe Pecci per le sue dimenticanze ma non fa il lavoro che ha fatto il sottoscritto. Cioè non stabilisce tutta la complessa genealogia editoria delle "Notti Clementine".
Infine per gli "Studi Romagnoli" (1997, Lugo) ho curato una ricerca sugli ultimi anni di vita del poeta riminese, intitolandola "Bertòla politico, presunto rivoluzionario".
Questo saggio su "Bertòla politico, presunto rivoluzionario" è uscito all'inizio del 2000. Gli Atti, alla fine. Quindi un illustre cattedratico di un saggio in essi pubblicato, ha avuto tutto il tempo di consultare il mio scritto e di ricavarne alcune notizie che ha inserito nelle sue pagine, senza però citare le mie.
Ma che cosa c'entra tutto ciò con la confessione dell'errore di aver accettato di scrivere il "Tam Tama". C'entra, e come!
Se anziché scrivere controcorrente su di un giornale cattolico, avessi corteggiato gli intellettuali di certe correnti dominanti, non sarei stato attaccato, come sono stato, anni fa (1997) da quell'"illustre cattedratico" appena ricordato, che mi diffamò, avendo io sostenuto, contro il di lui parere, che esistevano documenti inediti sugli ultimi anni di vita di Bertòla. L'"illustre cattedratico" diffuse un suo testo, sotto forma di lettera anonima inviata alla Rimini degli intellettuali (absit iniuria verbis) e dei giornali. In esso mi si definiva un "provocatore", citando precedenti attacchi alla sua persona da parte del giornale su cui scrivo, "Il Ponte".
Io non so a chi si riferisse a proposito di questi precedenti attacchi. So solo che un'osservazione esclusivamente scientifica, circa l'esistenza di quei documenti bertoliani, è stata presa come offesa personale, grazie ai buoni uffici di spia locale svolti da persona che ben conosco. E che gli trasmette a Roma tutti i ritagli del "Ponte", come io stesso ebbi modo di vedere a casa dell'"illustre cattedratico", quando andai a fargli omaggio della "Spetiaria del Sole" (su Iano Planco), nell'estate del 1994.
Poco prima, era stata programmata una commemorazione di Iano Planco a cura dell "illustre cattedratico" e del sottoscritto, su iniziativa dell'allora assessore alla Cultura, Massimo Filippini. L'"illustre cattedratico" non si presentò, dicendo di essere gravemente malato. Poi in autunno, la commemorazione ovviamente saltata venne riproposta, ma non dedicandola più ad Iano Planco bensì alla cultura del Settecento riminese, per non far parlare il sottoscritto.
Negli incontri avuti con l'"illustre cattedratico", egli si era sempre dimostrato cortese nei miei confronti, anche perché molto amico di mio zio Guido Nozzoli, scomparso l'11 novembre scorso.
Tornando al Tam Tama del 10 dicembre, scrivevo, dopo l'accenno agli Atti bertoliani:
"Passo ad un altro libro, di un conterraneo dei nostri giorni, Pier Luigi Celli, direttore della Rai, che ha scritto "Passione fuori corso". Ad Alain Elkan (su "Specchio") ha confidato: 'Credo di avere alcune passioni. Una è certamente dire quello che penso, e questo può portare dei guai'. Avere questa passione, è un guaio di per sé. Parlo per esperienza: permettetemelo, in una specie di bilancio non soltanto di fine anno, ma di chiusura di secolo. Se dovessi scrivere una pagina autobiografica al proposito, l’intitolerei "Cattiva educazione", per spiegare che quando ci hanno allevato al non dire bugie, a rispettare sempre e soltanto la verità, ad essere sinceri, a fuggire le ipocrisie, le falsità, le invenzioni mentali, hanno compiuto un’opera di corruzione morale, presentandoci un’immagine del mondo ed offrendoci istruzioni per l’uso, che non corrispondono a gran parte della realtà."
Ecco questa lunga pagina potrebbe essere un capitolo di un libro intitolato appunto "Cattiva educazione".

Questioni di carattere.
A proposito di "Cattiva educazione" e dell’essere sinceri (come ho riportato da un mio Tam Tama, nella precedente pagina di queste "Memorie riminesi": "ci hanno allevato al non dire bugie, a rispettare sempre e soltanto la verità, ad essere sinceri, a fuggire le ipocrisie, le falsità, le invenzioni mentali"), faccio due piccole osservazioni. Non soltanto a livello personale, ma (perdonatemi l’ardire) su di un piano più vasto e direi persino teorico.
Ricordo quel passo del "Vangelo" dove si legge: "Il tuo parlare sia sì sì, no no, tutto il resto appartiene al demonio". Credo che la massima debba e possa valere anche per chi non crede, come passaporto di onestà intellettuale. Si sente dire talora che l’educazione cattolica abitua ad una vita ipocrita. C’è caso. Non nego che il costringere alla castità contrabbandata poi come obbligo del solo celibato, sia uno dei tanti esempi che possano essere presentati. Ma con obiettività mi chiedo se l’ipocrisia non sia il frutto piuttosto dell’uomo (Dio, racconta la Bibbia, si pentì di averlo creato), che dell’idea di uomo che una religione od una filosofia offrono. Sarebbe dunque facile trovare un mondo privo di ipocrisia laddove il Cristianesimo è negato. Credo ciò una pia illusione, un modo immaginario di raccontarci la realtà, una favola bella, e basta.
Seconda osservazione. Ricordo che quando nel 1989 (il giorno stesso in cui Mikail Gorbaciov era ricevuto dal Papa), presentai il mio primo libretto "Rimini ieri 1943-1946", feci questa dichiarazione: leggendo e raccontando le storie di quel drammatico periodo, mi sono chiesto se io avessi avuto il coraggio di compiere una scelta di campo, se avessi accettato la violenza trionfante o avessi fatto ricorso a quella che ad essa si opponeva in nome dei diversi ideali di democrazia che guidarono la lotta contro il nazifascismo.
Quando c’è stato, qualche anno fa, qui a Rimini, un convegno sul mondo ebraico e le persecuzioni da esso sub"te dal 1938 sino alla guerra, in tutt’Europa, ho ascoltato uno scrittore illustre come Furio Colombo affermare che per tutti, una volta nella vita, viene il momento delle scelte, della presa di coscienza, delle decisioni che sono veramente irrevocabili.
Credo che a quel momento si possa degnamente arrivare soltanto se assumiamo come regola esistenziale quella che ci hanno instillato, abituandoci "al non dire bugie, a rispettare sempre e soltanto la verità, ad essere sinceri, a fuggire le ipocrisie, le falsità, le invenzioni mentali". E’ già un modo questo di fare una scelta di campo, anche nelle piccole cose che possono preludere a questioni più gravi.
Sono consapevole che questo abito mentale della verità abbia senz’altro fastidiosi effetti collaterali. Non solo ai fini della carriera. (Sandro Pertini diceva che chi "ha carattere" viene definito "un cattivo carattere".) Ringrazio Iddio di esser vissuto finora in un regime democratico, dove le noie si sono limitate a sgambetti, piccole perfidie ed altre cose peraltro tutte rimediabili. Un amico onesto ha confermato una mia ipotesi diciamo cosi' storica: se fossi vissuto in altri momenti, mi avrebbero come minimo sbattuto dentro.
Una volta scrissi sul "Ponte un articolo relativo ai "sans papier" parigini, aggiungendo che non servono a nulla i gesti umanitari dei personaggi come l’allora moglie dell’erede al trono d’Inghilterra principessa Diana (che doveva giungere a Rimini per il Pio Manzù). Un sicofante telefonò al Pio Manzù, dal cui responsabile Dasi ricevetti una lunga telefonata di rimproveri: dopo 15 minuti, potei dire soltanto al Dasi che lui non aveva letto per nulla il mio articolo. E’ vero, ammise candidamente. La mattina successiva mi richiamò per darmi atto che io non avevo scritto quello che il sicofante mi aveva attribuito nella soffiata che gli era stata cortesemente fatta ai miei danni, con la premessa che io, il Montanari, ce l’avevo con Dasi (che nell’articolo non era nemmeno lontanamente citato o sfiorato).
Gli dissi: "La spia che l’ha informata…", e qui feci il nome della persona che lui stesso mi aveva dichiarata il giorno prima. Dasi m’interruppe: "E’ una brava persona". Gli obiettai: "Non lo metto in dubbio, ma il Vangelo dice che l’albero si conosce dai frutti che dà".
In altri momenti, non mi sarei preso la lavata di testa (successivamente asciugata dallo stesso autore perché il fatto non costituiva reato), ma mi avrebbero accompagnato in qualche luogo poco allegro.


1. Rimando al "Dossier Massoneria riminese" pubblicato da "il Rimino" nel 2003. Lo ripresento integralmente anche qui.
2. Due testi inediti su Cattolici e Massoneria. 2003 e 2007".
3. Massoneria e Bertola.


Alla sezione dell'ARCHIVIO SEGRETO


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