il Rimino - Riministoria
Dossier sulla massoneria riminese [2003, agg. 2014]

Che cosa c’è dietro l’attacco a Pietro Corsi, per quella recensione dantesca?
C’è un personaggio della Chiesa e della diocesi che per colpire il direttore del Ponte ha utilizzato (pure) uno strumento massonico, quel centro studi danteschi di cui lo stesso Ponte ha documentato l’ispirazione in un articolo, A Montefiore un Dante massonico. Che cosa si nasconde dietro le «tre cene») apparso il 14 aprile 2002.
Ecco l'articolo del 14 aprile 2002.

A Montefiore un Dante massonico
Che cosa si nasconde dietro le «tre cene»

L’esoterismo è pagano, al pari della mitologia (che giustamente Manzoni rifiutava in quanto tale). E l’esoterismo è propagandato sotto subdole forme anche a casa nostra: si mescola il profano al sacro, profittando di espressioni innocenti della vita culturale locale. Così s’inganna chi non può distinguere il veleno dell’errore dal miele della Verità.
Ad esempio le «tre cene» programmate per aprile a Montefiore con nomi suggestivi (Mystica, Silentiosa e Gaudiosa), altro non appaiono se non un’occasione di propaganda di temi esoterici, massoni e, quindi, pagani sotto le mentite spoglie di una commemorazione dantesca.
Abbiamo appreso dai giornali che la «lectura Dantis» da svolgere nella seconda serata o cena, quella Silentiosa, avrà per tema «per Crucem et Aquilam ad Rosam».
E’ proprio questa frase oscura per i non addetti ai lavori, che riassume e rappresenta il taglio esoterico-massonico impresso alla manifestazione di Montefiore. Troviamo questa frase collegata alla cosiddetta setta medievale dei «Fedeli d’Amore»: la Rosa (Chiesa) era considerata l’insegna sovrana alla cui luce gli stessi «Fedeli d’Amore» avrebbero voluto vedere armoniosamente risplendere quelle della Croce (Fede) e dell’Aquila (Impero). Si auspicava cioè l’alleanza della Rosa e dell’Aquila, fra la Chiesa e l’Impero.
Di «Fedeli d’Amore» parla Dante nella «Vita Nova» (VIII 7 [3. 7]), ma le sue parole sono state piegate da alcuni vaneggiamenti ad una lettura esoterica di quest’opera, fino al punto di vagheggiare una vera e propria setta eterodossa. Secondo la dottrina esoterica, l’amore per la donna angelicata coprirebbe nient’altro che l’iniziazione ai riti della «dottrina segreta».
Il testo su cui oggi si basano queste interpretazioni è un vecchio volume, «Il linguaggio segreto di Dante e dei "Fedeli d’Amore"» di Luigi Valli, del quale nel 1929 René Guénon scrisse: «Le differenti figure femminili celebrate dai poeti che si ricollegano alla misteriosa organizzazione dei "Fedeli d’Amore", a partire da Dante, Guido Cavalcanti e i loro contemporanei per giungere fino a Boccaccio e a Petrarca, non sono donne che siano vissute realmente su questa terra; sotto differenti nomi, esse tutte sono soltanto un’unica e stessa "Dama" simbolica, la quale rappresenta l’Intelligenza trascendente (Madama Intelligenza di Dino Compagni) o la saggezza divina».
Proprio Valli spiegava che i «Fedeli d’Amore», come società iniziatica medievale, andrebbero inquadrati nella strage degli Albigesi, nonché collegati allo sterminio dei Cavalieri Templari. Valli precisava che i «Fedeli d’Amore» tendevano a scardinare il potere temporale dei papi, auspicando l’intervento dell’imperatore per la restaurazione dell’antica potenza imperiale di Roma. Ma questo è proprio tutto l’opposto del pensiero politico di Dante (riassumibile nella teoria dei «due soli»)! Dove sta il pensiero ‘segreto’ dell’Alighieri? In un rovesciamento di quello consegnato ai suoi scritti («Purgatorio» XVI, 107 e segg.)!
Le correnti esoteriche contemporanee considerano la «Commedia» dantesca il capolavoro dell’iniziazione: si ricorre ai Padri della Chiesa per individuare ipotetiche «nicchie esoteriche» in cui collocare questo poema, considerato «di riferimento dei Fedeli d’Amore e dei Rosacroce».
Appunto i Rosacroce. Il loro simbolo rappresenta una Croce sovrapposta da una Rosa. Ma quanto è lontano questo simbolo dal significato della nostra Fede e dalla vera lettura di Dante: per lui, la Rosa, nel «Paradiso», è Maria Vergine; mentre l’Aquila rappresenta l’Impero (nel bene e nel male: l’Aquila infatti scende anche sul carro del Chiesa, lasciandola «pennuta», cioè corrompendola con la Donazione di Costantino).
La Croce della frase esoterica è all’inizio del discorso iniziatico: nella nostra Fede, invece, è il segno più alto del cammino verso Dio (la Resurrezione passa attraverso la Croce). La Croce della frase esoterica dei «Fedeli d’Amore» (e di Montefiore) non ha nulla in comune con la Croce cristiana ‘teologicamente corretta’. Siamo nel campo dell’eresia bella e buona, sotto le mentite spoglie di un’interpretazione dantesca.
Come arrivano i «Fedeli d’Amore» sino ai nostri giorni? C’è chi li considera antesignani delle sette dell’Ottocento ed odierne, come un tale Alessandrini, il quale poi scrive di Dante: «Egli si salva dal baratro dell’Inferno, sulla cui porta era scritta la sentenza della disperazione, invertendo la posizione dalla testa ai piedi, ovvero accettando l’esatto contrario del dogma cattolico; quindi ritorna alla luce, usando il demonio stesso come una mostruosa scala». Se non è eresia questa...

Lena Vanzi

A questo articolo risposero da Montefiore con questa lunga lettera («Ponte», n. 16/2002 28.4.2002):

IN RIFERIMENTO all'articolo apparso su "Il Ponte" sotto il titolo "Dante in zuppa massonica" esprimiamo vivo rammarico per le gravi inesattezze che contiene e per il tono con cui tratta le iniziative del Mese Dantesco Montefiorese.
Inoltre, precisiamo quanto segue:
1) Il Mese Dantesco Montefiorese, organizzato in collaborazione con il Centro Dantesco "S. Gregorio in Conca", il Lions Club di Cattolica e l'Istituto di Istruzione Secondaria di Morciano, non nasconde altro che una precisa e decisa intenzione di diffondere cultura e di evidenziare i legami dell'Alighieri con le nostre Terre e la Romagna.
b) Le serate del programma, presentano ufficialmente attraverso una conferenza stampa in Comune, sono due e non tre, come incredibilmente riferisce "Il Ponte" parlando anche dello svolgimento di una cena mistica (faccia fede il cartoncino d'invito che avete ricevuto).
c) La Lectura Dantis tenuta dal prof. Angelo Chiaretti, Presidente del Centro Dantesco, ha evidenziato i percorsi mistico-ideologici danteschi della formula "Per Crucem et Aquilam ad Rosam", senza alcun riferimento ai significati attribuibili nel XVIII secolo, prima, da Luigi Valli, poi da Rene Guenon e dal "Ponte" infine.
d) La II parte della Lettura è stata tenuta da don Piergiorgio Terenzi, sacerdote di Montefiore, il quale ha meravigliosamente e magistralmente commentato i versi del canto XXXIII del Paradiso, incentrando il discorso sulla figura di Maria, madre di Cristo. I versi sono stati letti dalla dott.ssa Chiara Russo.
e) La serata mirava, per un verso, a recuperare la capacità delle persone di meditare in silenzio sul valore della vita del cibo (sono stati serviti orzo, formaggio, uova benedette da don Piergiorgio e Vin Santo!) e dell'insegnamento cristiano di Dante Alighieri, e per l'altro ad attirare l'attenzione sulla necessità di restaurare gli affreschi dell'Oratorio dell'Hospitale in cui si svolgeva la cena silenziosa.
f) Alla serata hanno preso parte circa 40 persone, ma altrettante sono rimaste escluse per mancanza di posto. Fra i presenti, oltre a semplici cittadini, studiosi, componenti di associazioni, operatori turistici, industriali e culturali, spiccavano il dott. Umberto Calandrella, prefetto della provincia di Rimini, e gentile signora Beatrice, una rappresentanza delle Maestre Pie dell'Addolorata, il Sindaco e l'Assessore alla Cultura del Comune di Montefiore, il Maresciallo Comandante della locale Stazione dei Carabinieri, il celebre pittore fiorentino Raffaello Mori, giunto appositamente da Firenze, studenti delle Scuole Superiori ed Universitari di Rimini ed Urbino.
g) La serata si è svolta in un'atmosfera di grande serenità e pace, che tutte le persone di buona volontà dovrebbero impegnarsi a costruire, senza cadere, come ha fatto "Il Ponte", in tentazioni inquisitorie di triste memoria.
Nell'augurio che la presente venga pubblica da "Il Ponte", quale smentita e precisazione de suddetto articolo, siamo certi che non si ripeteranno infortuni simili, poiché certamente non contribuiscono a costruire ma piuttosto distruggere il quieto vivere civile ed il progresso culturale.
L'Assessore alla Cultura
del Comune di Montefiore Conca
(dott. Pietro Cipriani)
Il Presidente del Centro Dantesco
(Chiaretti prof. Angelo)

La risposta del «Ponte» nello stesso numero fu questa:
Le «gravi inesattezze» di cui ci si accusa, non sono altro che un attento, documentato esame, sotto il profilo storico-letterario, di un tema («Per Crucem et Aquilam ad Rosam») che era stato annunciato per la “cena” di Montefiore. (L’oratore ha parlato successivamente al nostro articolo.) Quel tema, ribadiamo, è ancor oggi proposto in ambito massonico per dare un’interpretazione esoterica dell’opera di Dante. Esistono sull’argomento centinaia di libri. (Ignorarli, non significa cancellarli.)
I firmatari della lettera non possono quindi smentire né l’esame dell’argomento, da noi condotto con citazioni incontrovertibili (e ben conosciute proprio da chi, anche a Rimini e Circondario, segue quelle “teorie”), né il contenuto teorico del nostro articolo che ne derivava come logica conseguenze. Hanno soltanto reagito in maniera scomposta: prima inventandosi le citate «gravi inesattezze», e poi accusandoci di «tentazioni inquisitorie di triste memoria». Ci siamo semplicemente comportati come la nostra coscienza ci ha suggerito, illustrando un argomento che tutti possono esaminare ricorrendo alle fonti ricordate nel nostro scritto.
Quanto al numero delle “cene” (tre), ne abbiamo letto sulla stampa locale (non smentita).

Sul «Ponte» del 5 maggio 2002 apparve questa «lettera firmata»:
«In una ben nota "Biblioteca massonica" pubblicata a Foggia da Bastogi editore, c'è un libro, "Dante templare ed alchimista, 1998, di Primo Contro. Sullo stesso tema, Angelo Chiaretti ha presentato nel 1999 (Mediamed, Milano) un testo intitolato "Dante medico, mago, alchimista. Profili ed immagini di un Alighieri sconosciuto".
Per una semplice proprietà transitiva, si vede che l'argomento di Chiaretti è lo stesso della "Biblioteca massonica". Perché protesta con voi per l'articolo pubblicato».

Sull'argomento Chiaretti-Dante medico vedi anche questa pagina.

Alighieri dottor Dante:
medico, mago ed alchimista
per l'Ordine dei Medici di Rimini

L'Ordine dei Medici di Rimini sponsorizza l'alchimia massonica.
Ne «Il Bollettino» a. IV, n. 1 («Annuario 2002») dell'Ordine dei Medici di Rimini, appare un breve resoconto di una conferenza di Angelo Chiaretti tenutasi nel febbraio dello scorso anno, ed organizzata dallo stesso Ordine dei Medici, su «Dante medico, mago ed alchimista».
Un dato è certo, si legge: Dante fu studente di Medicina. La certezza è autocertificata all'italiana: non si spiega da dove essa nasca.
Tale certezza, prosegue la nota, permette di fare chiarezza sulla genesi della sua opera. Che cosa significhi ciò, non è dato capirlo.
Poi, più avanti, apprendiamo che Commedia e Convivio contengono espliciti riferimenti all'Ars curandi.
Infine leggiamo questo passo che riportiamo integralmente:
«Gli studi medici ed alchemici fecero attribuire a Dante anche una certa fama di mago, negromante ed alchimista, che lo spinse a comporre il sonetto "Solvete i corpi in aqua" ed il canto XXIX dell'Inferno, tanto che alcuni documenti notarili testimoniano come egli, ad esempio, nel 1319 su richiesta di Matteo e Galeazzo Visconti, signori di Milano, sia stato coinvolto nel tentativo di uccidere con un sortilegio papa Giovanni XXII, che allora risiedeva ad Avignone».
Giovanni XXII fu eletto il 7 agosto 1316. Dante muore nella notte sul 14 settembre 1321. Dunque l'Alighieri avrebbe negli ultimi anni della propria vita, e dopo aver scritto il «Paradiso», tramato per commettere un omicidio. Come notizia 'gialla' non c'è male.
Vediamo i riferimenti agli studi medici ed alchemici.
1. Per non farla lunga, ricordiamo che Dante s'iscrisse all'arte dei medici e degli speziali perché esisteva un continuum didattico ed intellettuale fra Filosofia e Medicina (proseguirà sin tutto il Settecento: Iano Planco, 'protettore' dell'Ordine riminese si laureò in Medicina e Filosofia).
2. Canto XXIX dell'Inferno.
Le malattie di cui parla Dante servono per rendere allegoricamente il senso del contrappasso che punisce i peccatori della decima bolgia (falsatori di metalli).
Qui incontriamo un dannato, tal Griffolino, «per l'alchimia che nel mondo» usò (v. 119). Ovvero secondo quel conferenziere, la fama dantesca di mago, negromante e d'alchimista troverebbe conferma proprio in un passo in cui Dante stesso condanna l'alchimia.
Al v. 113 Dante ha deriso la magia e la negromanzia del personaggio che presenta, sempre il ricordato Griffolino.
Il quale s'era dichiarato capace di volare (v. 113) con Alberto da Siena. Costui gli disse: provaci. Ma Griffolino (saggiamente) rinunciò, non immaginando però il sèguito: prima si beccò l'accusa d'eresia e poi la condanna al rogo.
Come prova provata del Dante mago, negromante ed alchimista, dunque, siamo proprio fuori di ogni logica.
3. Circa il sonetto «Solvete i corpi in aqua», il cd della «Letteratura Einaudi» dedicato a Dante non lo contiene.
Fin qui la Scienza ufficiale. Proviamo allora con Internet. Dove, oltre alla Scienza ufficiale, c'è pure (ed in abbondanza) anche quella non ufficiale, ovvero inventata.
Unico risultato: «Sonetto Alchemico - Di Frate Elia. Solvete i corpi in acqua e tutti dico. Voi che cercate di far Sole e Luna. Delle due acque ne prenderet'una.
Ecco il sonetto «Solvete i corpi»di Frate Elia (e non di Dante), che riportiamo integralmente.
Sonetto di Frate Elia, secondo la versione del Crescimbeni

V.
Solvete i corpi in acqua (1) e tutti dico
Voi che cercate di far Sole e Luna
Delle due acque ne prenderet'una
Quel più vi piace e fate quel ch'io dico:
Datela a bere a quel vostro nemico (2)
Senza darli a mangiare di cos'alcuna
Morto lo troverete in veste bruna
Dentro del corpo del Leone antico (3)
Poi gli farete la sua sepoltura
Per intervallo tal, che si disfaccia
La polpa, e l'ossa e ogni sua giuntura (4)
Questo poi tanto fate che si faccia
Della terra acqua senza far dimora.
La pietra havrete e questo non vi spiaccia.
In un fornello si fa tutta l'arte (5)
Con lento fuoco si dissolve e stilla
In cera, putrefà, calcina, fissa,
Quivi s'uccide, e suscita te ipsum
Questa è la vera pietra, questa è essa.
Note.
(1) Sciogliete in Mercurio (quello dei filosofi).
(2) E' il nostro corpo.
(3) Nel nostro corpo.
(4) E' la morte "Iniziatica".
(5) Nell' "Atanòr".


Per completezza d'infomazione, riproduciamo anche gli altri testi citati in una pagina web [http://space.tin.it/lettura/kbtbarto/sonetti.htm]

Da "Sonetti alchemici di Cecco d'Ascoli e Frate Elia", a cura di Mario Mazzoni, Editrice Atanòr, 1955
Cecco d'Ascoli
Sonetto sulla Pietra Filosofale di Cecco d'Ascoli (1).

Chi solvere non sa, né assottigliare (2)
corpo non tocchi, né argento vivo (3)
per chi non può lo fisso el volativo
tenere chi non sa de duo un fare (4).
Fatelo dunque stretto abbracciare
con acqua viva e sal disolutivo,
tere bene e coque piane sì che sie privo
della terra mama la qual lo fa celare (5)
Allora vedrai fuggire la morte abscura
et ritornar lo Sole lucente e bello
con molti fiori ornato in sua figura (6).
Questa è la pietra, (7) questo è quello
delli filosofi l'antica scrittura
Che sull'incudine batte lo martello (8).
finis.

Note.
(1) Dal codice Magliab. 308.
(2) Cioè a dire che non sa sciogliere dal suo corpo. liberarsi dai e metalli.
(3) Non tocchi il suo corpo, né il Mercurio; cioè a dire, lasci stare l'Alchimia, perché non riuscirà a trasformare mai i metalli soli in « Oro ».
(4) Si tratta di trasformare il Mercurio e lo Zolfo in « uno », trasformarlo in Mercurio Igneo.
(5) Che sia ben cotto, triturato e privo di scorie della terra madre.
(6) Scomparirà il nero (la morte) e splenderà il Sole.
(7) Intendi la « Pietra Filosofale ».
(8) E' il soggetto, l'opera tanto dibattuta e trattata dai Filosofi.

Dal Codice Magliabechiano della R. Biblioteca Nazionale di Firenze segnato II - III - 308 a carte 406:

Tesaurum rerum di Frate Elia (1):

Colui che sa scoprire del sole e raggi
che il ventre della luna tiene ascosi
farà perfetti tutti i suoi viaggi.
Ma se vuoi fama aver fra i più famosi,
cominci a cimentar Saturno, (2) e faccia
che alcuna umidità più in lui si posi (3).
Col Zolfo fisso et minerale t'impacci,
né per nulla sprezzare di cipri il sale
et fa che ognuno de dua spirti [s'abbracci (4).
Del qual la terra assai minuta vale
per che nel fuoco calcina (5) la stella,
se l'arte tua fra noi niente vale.
Un simil peso fai di questa et quella
et poi riduci in corpo come mai, (6)
e vedrai cosa sopra all'altre bella.
Per che questo fia oro se tu farai
nell'acqua forte l'uno dall'altro torre,
et contento da me ti partirai (7).

Note.
(1) Questa poesia non è stata mai pubblicata, nemmeno dallo Zanatti.
(2) Comincia tu, o lettore e studioso, a cimentare (in contesa, in prova rischiosa), a mortificare Saturno che è simbolo del nostro corpo.
(3) Che si liberi dalle « Acque ».
(4) Cioè abbracci il Sole con la Luna.
(5) Si fa riferimento all'operazione Alchimica chiamata « Calcinazione ».
(6) Qui c'è il riferimento alle dosi ermetiche, al dosamento del Mercurio e del Solfo.
(7) Riuscirai a fare l'oro (quello filosofico).

Dal manoscritto Magliabechiano della R. Biblioteca Nazionale di Firenze segnato II - III - 308 a carte 39:

Terzo sonetto di Frate Elia:

Spiritum volatem càpite
et in radium solis traite
ut fixum debite
et fixum fiat volatile.
Et ipsum suaviter coquite
et de parte terram facite
quam in humido ponite
ut humidetur optime.
Cito humidam coniungite
cum hamalgama terite
super durissimum lapide,
tunc in vase proprio ponite
ut calcinetur optime.
Post ipsum suo lacte imbibite,
ut moltiplicetur utime
quando assatum pro tempore
vestitur alba clamide
et multiplicato regimine
reducitur in cinerem
cui sudorem suum redite
donec regali diademate
rex coronetur debite
et disolutum facillime
ingrediantur in corpore.
Et si subtillius vis agere
fac fixum volatile
cum impetuoso flammine
deinde in terram reddite
cum ignis moderamine
e tali servato ordine
protraetur debite
donec flaut levissime.
Et sic lapidem habebitis
ex quo semper gaudebitis.

Amen.

Traduzione
Prendete lo spirito che vola e spingetelo verso il raggio del Sole (1) affinchè debitamente si fermi e si faccia fisso ciò che è volatile. Poi dolcemente cocetelo e in parte terra fatelo e in luogo umido tenetelo perché si inumidisca bene. Subito l'umido con l'amalgama unite sopra durissima pietra e battetelo e poi in un proprio vaso mettetelo perché completamente si calcini (2). Dopo col suo latte imbevetelo perché finalmente si moltiplichi. Quando sarà cotto a suo tempo si veste di bianco manto e col trattamento raddoppiato si riduce in polvere a cui rendete il proprio sudore finché con regale diadema sia incoronato il re (3). E così sciolto in modo facile entri nel corpo.
E se poi più sottilmente volete agire con spirito impetuoso rendete fisso ciò che vola; quindi con moderazione di fuoco in terra riducetelo e tale ordine osservando si continui finché scorra leggermente. Così la pietra avrete per la quale sempre godrete (4).

Note.
(1) E' bene ricordarsi sempre che tale linguaggio, come quello di tutte le poesie, è convenzionale e nel nostro caso il Sole è l'« oro ».
(2) Mettetelo nel « vaso o forno filosofico » cioè nell'Atanòr.
(3) Qui si accenna ai colori dell'Opera: si fa bianco (dal nero) quindi s'incorona il Re con regale diadema, con corona regale, cioè d'« oro ».
(4) Nell'ultima parte de la poesia si parla, evidentemente, delle « Acque forti » sistema energico per far venire in atto la forza profonda del Mercurio Solare.

Dal codice Riccardiano N. 946

Primo Sonetto

Voi pellegrini che andate in romitaso
cercando la scientia excelente, (1)
la vostra serva va con lui in viaggio
monaco bianco pare a chi non sente;
Ma lo re dell'universo spatio
di sciamito d'oro veste la sua gente, (2)
chollui si contrò e folle e saggio;
colerico bianco fa el suo sergente.
Et è cosi benigno a chi l'uccide
che gli fa lume nella casa oscura
e di tristesa fallo ingiovanire. (3)
Chi fa questo è di grande ardire:
Non altro che colui dal quarto cerchio (4)
posto in lo inferno sotto il so martire.


Note
(1) E' necessaria la solitudine.
(2) Il "Sole".
(3) Si riferisce all'interna illuminazione.
(4) Pluto.


Dal codice Riccardiano N, 946

Secondo sonetto

Io son la vera luce a diradare
del sommo archimia ogni rustico e sodo
animo, son colui che senza frodo
dell'arte mostro ciò che si può fare,
Io son colui che chi mi vuole usare
da povertà lo spicho e da suo nodo
co' l'arte, colla regola e col modo,
col suo bel fine, col suo coequare (1).
Corpo disfò e poi rifò un corpo
rimosso da (sua) materia, e dogli forma
sempre sguardando al velenoso scorpo.
Traggo da sua materia e metto in forma
(manca un verso)
coagolando con fuoco e con norma (2).
Giammai non si disforma
dal tuo intelletto, se ben hai inteso
per questi versi quel ch'io ti paleso. (3)


Note
(1) Cocere (filosoficamente, però).
(2) Cioè seguendo la regola dell'Arte e cocendo con Fuoco Filosofico.
(3) Si fissi bene, con precisione, nella tua mente, ciò che ti paleso.


Dal codice Riccardiano N. 946

Terzo sonetto

Geber (1)

Quest'è la pietra magna benedetta
la qual tractò Ermete (2) et Gratiano,
Elit, Rosir, Pandolfo e Ortolano,
Pictagora con tutta la sua secta.
Questa non si concede a gentilesa
nè a bellesa, nè a essere humano,
di questo ogni pensiero torna vano
a chi per sua virtù la gratia aspetta(3).
Di gratia speciale, da Dio recetta
basse vivande, vivere mesano,
sua residensa sta in piccole tetta.
De' tu che miri la figura picta (4)
riman contento, e bastite sapere
quanto el balestro la saecta gitta.
E nello amore di Dio sta felice
e non voler saper quel che non lice! (5)

Note
(1) Forse è stato stampato in un'opera del Geber.
(2) Ermete Trimegisto, Maestro della Scienza Ermetica; seguono gli altri Trattatisti.
(3) Cioè non è manna, non è grazia, ma la « pietra magna benedetta» è dovuta al lavoro alchimico.
(4) Nel manoscritto non c'è nessuna figura picta; forse per una dimenticanza del copista.
(5) Finale molto bello e interessante!


Dal codice Riccardiano N. 946

Quarto sonetto

Questa è la pietra che si va cercando
dagli alchimisti per ogni sentiero
da color che hanno l'animo sincero,
ma non da quei che vanno sofisticando.
A tutti quanti loro vo' dare bando,
però che sono tutti ingannatori,
e non cognoscono e loro errori:
per tutto il mondo vanno trapolando. (1)
Di solfo e di mercurio (ti) farò, quando
io verrò, tutto l'arte a punto;
e co' l'arsenico imbeverando
farò di tutti quanti un congiunto,
putrefaciendo e poi lo calcinando: (2)
E fassi un corpo, et è Elisir perfetto; (3)
dicoti el vero, per Dio benedetto!


Note
(1) Si fa allusione ai falsi alchimisti.
(2) Putrefazione e Calcinazione che si ottiene per mezzo del Fuoco Filosofico; simbolo della Putref. è il Corvo, della Calcinazione la Salamandra, simboli notissimi nel frasario ermetico.
(3) E' 1a "Pietra Filosofale".

Dal codice Riccardiano N. 946

Quinto sonetto

O alchimisti ingrati, incredula gente
più che non fu Thomaso della fede,
andate sofisticando e nessuno crede
la verità mostrata a voi presente.
Al petto vostro recate la mente,
chè, come dice Cristo, più beato
sarà colui che non arà tocato
coi dito la ferita tanto ulenta (1).
Quest'è la pietra ch'è tanto lucente,
la quel trattò la gran Turba magna (2)
e dimostrasi a ciascuno intendente;
la bella Rosa (3) tratta certamente
delle scritture di quella compagna,
la qual parlò sì scuro a ogni gente.
El sole colla luna intendi il mio parlare (4)
E col nostro mercurio seguitare


Note
(1) Attento, lettore a questa quartina che accenna ad un segreto alchimico!
(2) Si riferisce alla «Turba Philosophorum » che è un testo alchimico molto antico.Vedi Il testo preciso nella Rivista «UR » (anno 1928, Roma) - Fascicoli 7, 8, 9, 10, 11, 12.
(3) Si rifersice al trattato alchemico «Rosarium de Lapide Philosophico » di cui ne daremo presto una traduzione.
(4) Finale magnifico, espressivo e chiaro.


Dal codice Riccardiano N. 946

Sesto sonetto

Intendi e nota ben quel ch'io ti dico;
l'anima non entra se non col suo corpo
là donde ell'è cavata, senza corpo;
questa è la verità o caro amico.
Se un altro congiungi al suo nimico,
lavori invano e perdi el tempo tuo,
però che l'altro non è fratello suo
E l'opera tua non varrà un fico.
Ma quando si congiunge col suo antico
e tutti due fanno conjuntione
nel ventre del lione a te saputo,
allora ti puoi tocare sotto al belico
e dire: i' son maestro certamente
e nessun altro non vale un lombrico.
Sarà Elisir perfetto (1) in fede mia,
e potrai combattere la Saracinia. (2)


Note
(1) Cioè avrai formato la "Pietra Filosofale".
(2) Sarai forte e potente.


Il 30 giugno apparve sul «Ponte» questa nota:

Montefiore, le streghe e la Massoneria


Montefiore Conca si riconferma capitale romagnola della Massoneria: domenica scorso, 23 giugno 2002, ha infatti ospitato, con il patrocinio dell’amministrazione comunale, la seconda «accademia» del Rito Simbolico Italiano.
L’iniziativa è stata presentata come un appuntamento a cavallo della notte di san Giovanni, «data esoterica per il mondo cristiano e per il mondo massonico».
Libero ognuno di scegliersi sul calendario le occasioni più propizie per manifestare le proprie opinioni, non è però lecito inquinare le acque, mescolandovi sacro e profano. Il mondo cristiano non ha date esoteriche, né tanto meno confonde [cioè, letteralmente: mette assieme] manifestazioni puramente folcloristiche con le ricorrenze sacre.
Su di un foglio locale, alla stessa pagina in cui si trovano le parole appena riportate, c’era anche l’annuncio di una festa di San Giovanni in Marignano, spiegata come «legata ai riti pagani ed alla tradizione popolare cristiana».
Non occorre un particolare acume per comprendere che una cosa è una «tradizione popolare» sic et simpliciter derivante da lasciti di riti pagani, ed un’altra è la «tradizione popolare cristiana» vera e propria. Parlando, nello specifico, di «Notte delle streghe», non sappiamo dove si possa trovare una base religiosa con cui giustificare l’affermazione che abbiamo letto.
Il fatto è che per ragioni di bottega e di folclore (che alimenta quella bottega), si vanno a pescare collegamenti senza dubbio irrazionali, talora puerili e talaltra furbescamente studiati per adescare le persone meno ferrate su certi argomenti.
Il che accade, ancora una volta, pure per le ospitate massoniche a Montefiore, con spiegamento ufficiale delle autorità e, come si è detto, patrocinio comunale.
Per chi volesse saperne di più sulle fantasie del Rito Simbolico Italiano, diciamo che nel suo sito in Internet si leggono anche le cosiddette interpretazioni esoteriche e massoniche sul nostro Tempio Malatestiano. Esse sono ispirate al rifiuto della «mentalità moderna di porre tutto alla portata di tutti», affermando che occorre pervenire ad una «superiore conoscenza», di cui si porta come esempio un «Fratello» che «taoisticamente, alchemicamente, in una parola tradizionalmente, sapeva e non parlava».
Beati i nostri vecchi che invece sostenevano: chi non sa, taccia. Adesso i Massoni ci spiegano che soltanto chi sa, tace.
Infine per comprendere altri aspetti della vicenda, si legga Ma i miracoli non sono leggende. I «misteri romagnoli» secondo Marco Valeriani.
In particolare rimandiamo a questo passo:


Da Montefiore spunta il nome di quel matto di Gabriele Rossetti (1783-1854), carbonaro e (soprattutto) massone, noto per le sue strampalate interpretazioni del poema dantesco, e questa volta responsabile dell'invenzione secondo cui l'Alighieri sarebbe stato rappresentato dal Boccaccio nei panni di Tebaldo degli Elisei, reo di omicidio che viaggiando per forza in incognito si faceva chiamare Filippo da San Lodeccio. Un Eliseo è fratello dell'avo Cacciaguida (Pd., XV, 136-138). La coincidenza però non è una prova per certificare il discorso di Rossetti.
Alla fantasia di Rossetti s'è oggi sovrapposta la 'certezza' che quel Filippo da San Lodeccio dalla città d’Ancona di Boccaccio passò alla Romagna malatestiana, per cui (non si sa in virtù di quale legame logico o fattuale) a Montefiore sarebbe stato rappresentato in affreschi del Quattrocento, con aspetto ben riconoscibile per il suo naso «difficile da dimenticare».
Da Savignano invece arrivano odori sulfurei grazie alla biblioteca dei Filopatridi (che tuttavia non per questo è un covo diabolico, anche se ha densi fumi massonici), dove si dice rinvenuto uno scritto del 1965, siglato «R. C.» e relativo ad un Crocifisso dipinto «demonis manu».
Perché a Valeriani non sia stato spiegato che quel «R. C.» è la sigla di un grande studioso della religiosità popolare romagnola come Romolo Comandini (elogiato ed apprezzato pure da Augusto Campana), lo comprendiamo bene pensando ad analoghi precedenti. L' archivio di Comandini (da lui lasciato ai Filopatridi), è stato ripetutamente saccheggiato, e le sue carte raccolte con fatica sono state presentate come felici e casuali scoperte da parte di chi non voleva riconoscere gli altrui legittimi meriti, impossessandosene fraudolentemente.
A proposito di diavolo. Le pagine sulla Valconca presentano figure settecentesche di animali con una sola testa e due corpi, forse considerate sataniche, mentre appartengono a più pacifici (anche se, allora, controversi) testi scientifici sui mostri.
Alcune informazioni aggiuntive, sempre ricavate da «Il Ponte».
Sul numero del 3 febbraio 2002 concludevo una mia nota con queste parole:


«Consentitemi, in margine, un piccolo memento: di «pietas popolare» e storia religiosa si occupò Romolo Comandini, grande uomo e studioso originario di Roncofreddo, vissuto a Rimini dove insegnò, ora dimenticato, con la grande ricchezza dei suoi documenti d’archivio sepolta a Savignano, non classificati, quasi dimenticati da tutti se non da pochi che furtivamente li leggono e se ne fanno ripetitori, osando persino fingere di ignorare la fonte, e si appropriano così di quello che lui scrisse con passione, scienza e fatica.»

Il 27 febbraio 2002, in «Pagina aperta», il mio pezzo «La politica indossi nuovi panni» conteneva questo passo:

«C'era la massoneria un tempo, c'è anche oggi, forse ancora più forte, meglio mascherata di una volta (nonostante le campagne ‘pubblicitarie’), ma stranamente più agguerrita di prima. C'è il perverso gusto di quasi tutti i politici di credersi onnipotenti (caro Tiziano, non parlo di te, beninteso).
C'è l'assurda, immorale situazione che nulla si può fare nella società italiana, a livello nazionale o a livello locale, senza il sostegno di un partito, di un suo esponente, o dei gruppi massonici (e ‘paramassonici’). Io mi sono sempre e soltanto interessato di questioni culturali: possibile che esclusivamente a politici e massoni sia consentito di agire indisturbati? E che contro chi non appartiene a queste due categorie, si possano commettere impunemente scippi e sgambetti? Occhio, ragazzi: qui ne va di mezzo non la sorte dei partiti (che possono morire o rinascere come i funghi, con rimborsi pubblici anche ai loro giornali che nessuno legge se non chi li compila), bensì la sorte della stessa democrazia.»

Un altro servizio «Sogliano dice sì al Museo della Scienza»(20 gennaio 2002), conteneva questo passo:

«Il nostro augurio è che l’erigenda istituzione abbia sorte migliore di altre vicine, analoghe iniziative, dove agli interessi generali della cultura sono stati anteposti quelli personali, di partito o di massoneria, espropriandone chi li aveva pensati ed avviati.
La figura di Veggiani merita, come uomo e come scienziato, il massimo rispetto. I suoi studi storici e geologici restano a testimoniare un’attenzione amorosa e continua verso la nostra Terra, che auguriamo a Sogliano di coltivare e difendere con la correttezza che è mancata a qualche altro paese (per questioni fluviali) nei confronti dell’illustre personaggio, il quale fu anche vicepresidente della Società di Studi Romagnoli.»

N. B. L’altro paese è ovviamente Savignano.

Dossier sulla massoneria riminese



    Alle altre pagine:
      1. Recensione dantesca, di Pietro Corsi.
      2. Attacco a Pietro Corsi.
      3. Alighieri dottor Dante: medico, mago ed alchimista


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