I RITI E I TEMPLI DEI CACCIATORI PALEOLITICI

Maggio - giugno 2004

Di Giandomenico Ponticelli

gponticelli@katamail.it

 

 

Fig. 1; Un indiano Dacota, mentre celebra un antico rituale in cui ringrazia la preda per la sua carne ed il suo spirito. Disegno di: Anna rosa Massafra

 

"Solo chi ha vissuto l'esperienza diretta di una discesa nei recessi delle grotte può comprendere appieno la grande suggestione di questi ambienti minerali sotterranei  e il loro potere arcano di fascinazione. Abbandonato l'orizzonte luminoso del mondo solare e la sua fissità chiara e trasparente, la percezione vacilla, seguendo i bagliori di un'illuminazione radente, discontinua e incerta, alimentata da una fiamma che getta sulle pareti buie ombre improvvise e mobili".

Brusa-Zapellini, Arte delle origini 2004

 

5.0 - L'inizio della cultura

Gli uomini e le donne del paleolitico, diversamente da quanto immaginato comunemente, erano in grado di elaborare strategie complesse e di costituirsi in organizzazioni numerose. Le prime scoperte archeologiche che testimoniano la presenza di un patrimonio culturale simile al nostro risalgono al 1960. Clark Howell scoprì, in Spagna, le tracce antichissime di una società "complesse", nei siti di Ambrona e Torralba. All'interno dell'area di scavo furono scoperte delle tracce risalenti a 300 mila anni fa. Queste dimostrarono che gli uomini che avevano vissuto in quei posti erano capaci di elaborare complicate strategie di caccia, in cui era necessario coinvolte decine di uomini. Tra le loro prede predilette vi erano i temutissimi mammut ed i rinoceronti lanosi. Purtroppo questa gente, nonostante le loro indubbie capacità pratiche, sembravano non possedere particolari capacità culturali. Non hanno lasciarono tracce, che in qualche modo, descrivessero, o lasciassero intuire se nel complesso delle loro conoscenze vi fosse posto anche per le credenze magiche, l'arte, la morale e il diritto. Delle prove utili a dimostrare l'esistenza di uomini capaci di elaborare un attività intellettuale complessa risalgono al paleolitico medio. L'oggetto in questione è uno flauto, costruito da un uomo di Neanderthal, scoperto in una grotta in Slovenia, databile tra il 82.000- 43.000 BP. Ma le prime manifestazioni di arte visiva, come la pittura e la scultura, si ebbero soltanto durante il paleolitico superiore (iniziando dall'Aurignaziano, 35-30 anni fa). In questo periodo furono realizzate le prime statuette femminili e i dipinti francesi di Chouvet. Successivamente si ebbe una fioritura di stili differenti, senza che i soggetti rappresentati subissero grandi cambiamenti. Alcuni erano riconducibili al modo dei cacciatori e alle loro prede, considerabili anche come animali-totemici o animali-guida. Altri erano legati alla fertilità, la procreazione e la sfera domestica. Nel Magdaleniano, tale tendenza era così radicata che nacque, quello che potremmo chiamare, un "dimorfismo culturale". Da una parte si diffuse l'arte parietale, in cui i soggetti principali erano i bisonti e i cavalli, dall'altra si sviluppò la scultura, in cui vi era un'abbondanza di soggetti femminili. Inoltre, in questo periodo, si diffuse l'usanza di arricchire le sepolture con dei bellissimi corredi.

 

5.1 - Le caverne paleolitiche

I segni più evidenti della nascita della cultura si trovano all'interno delle numerose grotte, curiosamente concentrate in alcune aree ed assenti in altre, prova, forse, dell'esistenza di due culture differenti. Una patriarcale, sviluppatasi in Francia e in Spagna, fondata su credenze animistiche, legate al mondo della caccia. Una matriarcale, o matrilineare, dislocata nel centro Europa. Le maggior parte delle grotte dipinte si trovano in un'area ristretta che comprendono il Perigord, i Pirenei e la Spagna Cantabrica (Ponticelli, settembre 2004).

Oggi è opinione, abbastanza, diffusa che questo tipo di espressioni artistiche avevano in passato un significato magico-religioso legato ai vari aspetti della vita del clan. Purtroppo, non è possibile dare una motivazione certa, all'esigenza di effettuare  i rituali del clan in aree  situate all'interno di alcune caverne o in punti particolari di esse (Campbell, 1990). L'interpretazione più interessante è quella di Brusa-Zappellini, secondo cui nell'intento dell'artista era si esaltare i rituali attraverso le suggestioni scaturite dall'oscurità e  dal silenzio. Dai vari giochi di luce ed ombra, dagli echi della musica e dei canti. Tutto in complesso di sensazioni che è impossibile riprodurre altrove. Non è da escludere, citando nuovamente Brusa-Zappellini, che la scelta di questo contesto avesse lo scopo non di celebrale il mondo animale, ma l'unione del primo con quello minerale, attraverso una prospettiva animistica (Brusa-Zappellini, 2002; Ponticelli, settembre 2004). Un'ulteriore ipotesi, non ancora approfondita, potrebbe riguardare il culto degli antenati e la posizione del mondo dei morti, che molte culture posizionano nelle viscere della terra.

L'analisi statistica dei soggetti offre la possibilità di capire meglio quanto fossero frequenti alcuni tipi di comportamenti. Andrè Leroi-Gourhan, che fu tra i primi a svolgere questo tipo di indagini, studiò 77 opere differenti, distinguendo: 27 opere realizzate all'entrata o in una zona illuminata. 30 erano situate all'interno, ma in aree di facile accesso ed a meno di 50 metri dall'entrata. 5 erano localizzate vicino all'ingresso, ma di difficile accesso. 15 si trovavano in gallerie interne molto profonde (Collins, 1980). In uno studio più recente, comprendente 153 casi, si apprende che in 88 di essi gli artisti si trovavano immersi nella completa oscurità, mentre in 65 era disponibile la luce del giorno (Clottes, 1997). Dal primo studio si apprende che soltanto il 19 % delle opere erano realizzate in aree non illuminate, nel secondo la percentuale sale al 57 %. In entrambi i casi si ha la dimostrazione che la posizione delle opere non sempre è determinata da motivazioni ideologiche, ma anche da esigenze tecniche. I lavori più impegnativi, come graffiti e i bassorilievi, sono stati scoperti all'ingresso delle grotte, o in luoghi molto illuminati. Molti dipinti, invece, si trovano in luoghi oscuri e difficilmente raggiungibili. Non è da escludere che molte pitture venissero realizzate anche all'esterno ma l'azione degli agenti atmosferici ne ha cancellato ogni traccia. Spesso le rappresentazioni femminili, o dei suoi attributi, furono realizzate nell'area in cui il clan abitava. Va osservato, che l'arte "an plain air" e quella "in-door", probabilmente non avevano lo stesso grado di sacralità, poiché le immagini delle caverne quasi mai furono deturpate, distrutte o cancellate. (Clottes, 1997).

Non bisogna sottovalutare la possibilità che determinate "usanze" variassero molto da zona a zona. In generale i contesti dell'arte rupestre utilizzati in tutta Europa sono tre: caverne profonde, ripari e luoghi all'aria aperta. In Spagna e nel Portogallo sono molto frequenti gli ultimi, mentre in Francia è conosciuto un unico caso, la roccia incisa a Campome nei Pirenei Orientali. L'utilizzo di gallerie profonde era diffuso in alcune aree della Francia, come i Pirenei, ed a determinati periodi, Magdaleniano medio-finale (Clottes, 1997).

 

5.2 - I temi della rappresentazione.

È opinione comune assimilare tutte le culture in una sola, e considerare secondarie le differenze nelle pratiche rituali, che potevano differire molto al variare della posizione geografica. Ma, un'analisi più attenta, dimostra che la difficoltà di assimilare anche credenze assimilabili al culto della Dea Madre, o Magna Mater, di cui oggi esistono numerose prove. Spesso vengono sottovalutati altri aspetti importanti della vita religiosa del clan, legati ad esempio ai rituali di passaggio. Viene inoltre negata una prospettiva di tipo Totemica, quindi non necessariamente religiosa.

Una corretta interpretazione dei soggetti, dovrebbe prendere seriamente in considerazione tutte queste prospettive, non escludendo quanto non si capisce, come i segni geometrici e non-geometrici. Spesso, più numerosi delle rappresentazioni di animali. Esistono luoghi dove sono stati realizzati esclusivamente segni geometrici, come Cantal e Frayssinet-le-Gelat, in Francia. Spesso, segni ed animali erano associati insieme. Gli animali più rappresentati erano spesso grandi erbivori, sprattutto cavalli e bisonti, ma vi sono anche casi in cui sono stati rappresentati dei carnivori, come rinoceronti, leoni, orsi che insieme ai mammut rappresentano il 63 % delle raffigurazioni di Chauvet.(Clottes, 2002). I cavalli sono dominanti, localmente possono essere superati in numero dal bisonte, dal cervo (Cantabrian Spagna), ed occasionalmente dai rinoceronti (Chauvet) o dai mammoths a Rouffignac (Culottes, 2002).

La predisposizione verso la rappresentazione di animali, e la grande cura per i particolari con cui venivano rappresentati, dimostrano la creazione di un culto legato "all'animale-guida". Considerando che il tema del cavallo è alla base dell'arte rupestre, e che tra i resti di cottura trovati nei vari focolai domestici spesso è il meno abbondante rispetto agli altri, questo animale potrebbe essere alla base del culto. Mentre secondo alcuni, il sistema magico-religioso era comprensivo di due principi complementari, identificati nelle due specie animali più rappresentati il cavallo e il bisonte (Ramirez, 1994). Un interpretazione originale è quella di vedere in questa coppia, una rappresentazione particolare della donna e del'uomo.

Secondo Frobenius, queste scene non costituivano, soltanto, la scenografia di una "semplice cerimonia", ma rappresentavano la consacrazione dell'animale, attraverso la "descrizione di un concetto", a simbolo-guida (Campbell, 1990). Si trattava soprattutto di quegli animali che erano le prede favorite degli uomini. Di conseguenza il culto era legato al mondo dei cacciatori ed era probabilmente riservato ai maschi adulti (Collins, 1980; Campbell, 1990). L'accuratezza con cui venivano realizzati tali disegni, esprimevano, l'importanza della caccia, e la sua tendenza a dominare l'attenzione e l'immaginazione dell'uomo preistorico (Pfeiffer, 1971). Diversamente, il motivo che spingeva gli uomini a non rappresentarsi, o comunque, a dare poca importanza alla rappresentazione degli uomini, non ci è noto. Erano forse superstiziosi? I cacciatori pensavano che, disegnare l'immagine di un uomo avrebbe portato alla morte o alla disgrazia degli altri membri del gruppo? Ancora Pfeiffer osserva, "Egli raramente disegnava la figura umana, né mai tracciò qualcosa che su possa riconoscere come un paesaggio... Il suo interesse si concentrava sugli animali che cacciava, visti come individui, chiaramente definiti e isolati dal loro ambiente naturale" (ibidem).

Non tutti gli archeologi concordano sull'interpretare le grotte paleolitiche come sede di rituali magico-religiosi. Ad esempio, Pfeiffer pensa che le immagini eseguite sulle pareti delle caverne avessero la stessa funzione della scrittura, cioè tramandare alle genereazioni successive le conoscenze acquisite. Allo stesso modo, Collins crede che lo scopo dei dipinti era quello di far comprendere ai giovani cacciatori, quali animali cacciare e come ucciderli. A tal proposito venivano disposte delle lance lungo la parete. Entrambi pansano che il loro scopo era di conservare la memoria ed il pensiero. L'arte, quindi, aveva una funzione narrativa, e la pittura, in assenza della scrittura, era l'unico strumento utilizzabile (Pfeiffer, 1971; Collins, 1980). Pfeiffer aggiunge, "L'evoluzione umana è fatta di apprendimento, insegnamento, trasmissione di idee da una generazione all'altra. Per queste cose l'uomo moderno ha la parola scritta. L'uomo preistorico [invece] aveva solo la memoria e i simboli, che comprendono le parole parlate e gli unici simboli che abbiamo lasciato traccia, quelli che noi chiamiamo arte. Egli voleva conservare le tradizioni senza [avere la possibilità di] scrivere... E in assenza della scrittura, l'arte portava un pesante fardello culturale in più" (Pfeiffer, 1971).

In effetti è probabile che soltanto alcune caverne venissero utilizzate per l'esecuzione di pratiche magioco-religiose. Tutte le altre, probabilmente avevano un utilizzo diverso, ovvero: archivi preistorici, depositi, scuole o teatri (ibidem).

In alcuni casi venivano realizzate delle rappresentazioni fantastiche di non facile interpretazione. Campbell pose l'ipotesi che alcune di questi disegni, descrivessero lo sciamano durante la trasformazione in "animale-stregone". Precisando che, l'artista paleolitico, piuttosto che rappresentare una divinità, intendesse rappresentare la stregone nell'atto di indossare gli abiti divini (Campbell, 1990). Tuttavia, nota Campbell, che in alcune culture, l'atto della rappresentazione divina equivale alla sua presenza tra gli uomini. "Quando un individuo indossa le vesti sacre, diventa un'epifania dello stesso essere divino. Egli non rappresenta semplicemente il dio, è il dio; è una manifestazione del dio, non una sua rappresentazione" (ibidem). Il famoso stregone di Trois Frères è un esempio calzante. Egli era posto di profilo, nell'atto di danzare. Dalla sua posizione riesce a dominare tutti gli animali raffigurati. I suoi lineamenti erano, in alcuni tratti, simili a quelli umani, ma nella maggior parte di essi, vi erano molti caratteri animali: orecchie e corna di cervo; occhi rotondi di gufo; la coda di lupo o di cavallo selvaggio, zampe di orso e i genitali di felino (fig. 2). Un tipo diverso era presente all'interno della caverna-santuario di Lascaux, in cui vi era rappresentato un animale immaginario, provvisto di un enorme pancia ed un paio di corna, lunghe e sottili, poste sulla testa (fig. 5). Le corna erano simili ai bastoncini che molti danzatori australiani utilizzano durante le loro cerimonie sacre (ibidem). Anche nella grotta di Tuc d'Audoubert furono scoperte delle figure umane con testa d'alce. Un caso particolare poteva essere costituito dalla caverna-santuario della Venere di Laussel, in cui era presente un incisione in bassorilievo (fig. 4), che secondo l'interpretazione di Campbell, rappresentava una divinità femminile della caccia (ibidem). L'archeologo accostava questa raffigurazione alle precedenti, perché, la donna, dai fianchi grandi e seni prosperosi, posta al centro di un complesso di figure femminili, veniva rappresentata nell'atto di sorreggere un oggetto, simile ad un corno di bisonte. Tuttavia vi erano delle discordanze con i siti precedentemente descritti, non notate da Campbell. L'insieme delle raffigurazioni, costituito principalmente da figure femminili, discordavano con le altre in cui la rappresentazione della donna era completamente assente. Inoltre, lo stregone di Trois Frères aveva chiari attributi maschili, mentre in questo sito vi era rappresentata una sola esile figura maschile, senza testa e braccia, nell'atto di lanciare un giavellotto, in posizione marginale. In oltre, l'assenza di scene di caccia rendeva la differenza con Lascoux e Trois Frères troppo marcata. E' Più probabile che la caverna di Laussel, non venisse usata dagli uomini, ma venisse utilizzata per riti riservati alle donne.

 

Fig. 2, stregone della Grotta di Trois Frères; fig. 3, stregone di Grotta Cervi (neolitico); fig. 4, Venere di Laussel; fig. 5, Animale-stregone di Lascaux

 

5.3 - I rituali

In questi luoghi molto suggestivi, gli uomini svolgevano una parte dei rituali della caccia e quelli legati alla pubertà dei più giovani, cioè i riti delle comunità maschili. I riti, avevano lo scopo di accrescere la fiducia e la forza nei partecipanti durante la caccia (Pfeiffer, 1971). Particolare rilievo avevano i rituali legati alla pubertà, in cui gli adolescenti erano tenuti a subire sofferenze e mutilazioni, per dimostrare di essere entrati nell'età adulta. Uno di questi luoghi poteva essere Tuc d'Audoubert, all'interno della sala adibita a templi sono state scoperte delle impronte di fanciulli che sembravano danzare (ibidem).

Le danze ed i canti magici eseguiti nei santuari paleolitici, spesso erano dedicate alle loro prede principali, che in alcuni casi erano i bisonti. Gli uomini si mascheravano con pelli di questo animale e ballavano attorno ad un fuoco scoppiettante. Una testimonianza di quando descritto venne scoperta a poca distanza da "Trois Frères", nella grotta di Tuc d'Audoubert. Nel 1912 i tre fratelli Bégouën scoprirono una camera in cui vi erano due bisonti di argilla posti su un altare (fig. 6). Il gruppo scultorio era posto in modo che la coppia di bisonti sembrava accingersi all'atto dell'accoppiamento. Intorno ad esso furono scoperte una serie di impronte di danzatori, tra cui vi erano anche bambini ed adolescenti (fig. 6). Dalle ricerche sul campo emerse che la danza veniva eseguita non solo appoggiando tutto il piede, ma anche premendo i calcagni, ad imitazione degli zoccoli degli animali.

Altri esempio sono reperebili al difuori del continente Europeo. Esistono almeno altre tre raffigurazione in cui vengono rappresentati degli uomini mentre danzano davanti ad un animale sacro. Nella prima a Ksar Amar, tra le Montagne del Sahara, vi è disegnato un uomo con le braccia sollevate davanti a un bisonte. Nella seconda a Fezzan, Libia, vi si trova una coppia che danza davanti a un toro e la terza nel deserto della Nubia, mostra tre figure con le braccia alzate davanti a un grande ariete (Campbell, 1990).

I rituali magici-religiosi comprendevano, con molta probabilità, atti di masochismo violento nei partecipanti. La prova più tangibile è costituita dalle impronte di mani lasciate sulle pareti delle caverne. Molte di queste mostrano l'assenza delle falangi. Questo tipo di mutilazioni rituali era frequente anche tra gli Indiani delle praterie. Una preghiera degli Indiani Crow, ad esempio, recita: "O nipote della Dea io ti offro questa falange e tu dammi qualcosa in cambio...". Quindi di può concludere, come Campbell fa notare, che tali atti di violenza erano eseguiti da tutti i cacciatori e non soltanto agli sciamani (ibidem).

 

Fig. 6, i bisonti di Tuc d'Audoubert; Fig. 7, impronte di danzatori.

 

5.4 - Lo sciamano e l'animale-guida

I rituali non si esaurivano all'interno delle caverne, ma anche la battuta di caccia aveva le sue pratiche rituali. Erano previste una serie di azioni e di riti come contorno alla caccia vera e propria. La funzione sociale dello sciamano, anche in questa fase, era quella di interprete-intermediario fra l'uomo e i poteri nascosti della natura, spesso identificati in un animale-guida. Una divinità con le sembianze dell'animale sacro.

I cacciatori legavano l'esito delle battuta di caccia al consenso dell'animale-guida. Secondo le loro credenze, gli altri animali cadevano in trappola perché era la loro guida a chiede loro di farlo. Il frutto della caccia, secondo una leggenda dei Piedineri, veniva considerato un "dono volontario" dell'animale sacro agli uomini, secondo un "ordine magico della natura" (Campbell, 1990). Uccidere una prede non era considerato una cosa contro natura, ma al contrario, era un atto inserito nell'ordine naturale delle cose, ovvero: "una vita mangia l'altra" (ibidem). L'animale era una vittima volontaria, che offriva la sua carne agli uomini per cibarsene. Lo scopo dei rituali dei cacciatori paleolitici, così come per gli Indiani Americani, era quello di riportare alla vita terrena i bisonti uccisi durante le battute di caccia. Attraverso la magia, l'anima della preda sacrificata, ritornava a nascere in un nuovo corpo nelle stagione successiva. "Perché dove c'è magia, là non c'è morte. E dove i riti della caccia vengono convenientemente celebrati degli uomini, esiste un meraviglioso accordo magico tra le bestie e coloro che le devono uccidere. La danza del bufalo, eseguita in modo giusto, assicura che le creature uccise offrano soltanto i loro corpi, non la loro essenza, non la loro vita" (ibidem). L'animale, attraverso il ciclo morte-rinascita, veniva rappresento come un "essenza permanente", un ombra in un mondo fatto di bisogni e di casualità.

La caccia prevedeva l'elaborazione di una complessa strategia, utile ad ingannare gli animali ed a indurli verso strapiombi o paludi. Questo tipo di espedienti, utilizzati già dagli uomini di Torralba ed Ambrona trecentomila anni fa, erano ancora usati in America dagli Indiani "Piedineri" del montana. Il sistema dei cacciatori moderni, molto simile a quello dei colleghi paleolitici, consisteva nell'ingannare i bufali utilizzando un mascheramento. Lo sciamano prima indossava una testa ed una pelle di bufalo, poi avvicinandosi alla mandria cercava di attirarne l'attenzione, inducendoli a seguirlo verso una trappola a forma di V, alla cui estremità vi era uno strapiombo, o un'altra trappola. Quando i bufali erano all'interno della strettoia, gli altri membri del gruppo posti alle spalle della mandria, cercavano attraverso urla e rumori di spaventare gli animali, creando in loro il panico. I bufali, una volta imbizzarriti, correvano verso il burrone, precipitandovi dentro. La pittura rupestre, nota come lo "Stregone di Trois Frères", secondo alcune interpretazioni, piuttosto che rappresentare una divinità con sembianze animali, sarebbe la descrizione di uno sciamano mascherato in procinto di partecipare alla caccia (ibidem).

Purtroppo, non esistono tracce chiare dei rituali successivi, una volta che la caccia è andata a buon fine. Tuttavia esiste una raffigurazione nella grotta di Lascaux, che secondo l'interpretazione di Campbell, descrive proprio uno di questi rituali. Nel dipinto vi era rappresentata una snella figura maschile, durante una trance sciamanica. L'uomo portava sul viso una maschera di uccello e veniva rappresentato con il fallo in erezione. Su di un lato era posta una bacchetta con anch'essa un'immagine di uccello, sull'altro un bisonte trafitto da una lancia che trapassa l'animale dall'ano al pene. Ad i margini della rappresentazione vi era disegnato un rinoceronte che defeca (ibidem). Il costume e la sua metamorfosi in uccello sono simboli caratteristici dello sciamanesimo, anche l'erezione ha un contenuto magico. Il rinoceronte era probabilmente l'animale protettore dello sciamano. La lancia, che trafigge il bisonte passando dall'ano al pene ha un equivalente nel mito "dell'osso magico"dei cacciatori Australiani (ibidem).

 

 

Fig. 8, trance sciamanica di Lascaux;

 

 

 

Fig. 9; principali stazioni paleolitiche in Francia (elaborazione Giandomenico Ponticelli).

 


 

Bibliografia

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