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Ortonesi veraci

- Pietro Eramo -

 

 

Pietro Eramo è nato ad Ortona dei Marsi il 24 maggio 1920

 

 

Oggi è il 20 maggio 2006, un caldo pomeriggio di primavera. Il gruppo di amici di ‘Prima Pagina’ va a trovare un altro degli ‘Ortonesi Veraci’, Pietro Eramo, meglio conosciuto come V’rzella, per una piacevole chiacchierata sulla sua vita. Pietro ci aspetta nel cortile della sua casa in via Trieste. E’ seduto su una scalinata, indossa un berretto e dei panni da lavoro, il sole gli illumina la faccia. Ci sediamo intorno a lui intenti ad ascoltare.

 

Pietro Eramo nacque il 24 maggio 1920 a Fontegiusta, dove abitò fino all’età di tredici anni. Fontegiusta allora contava trentasei abitanti. Viveva con i suoi sei fratelli, i suoi genitori e sua nonna Concetta. Andò a scuola fino alla quinta elementare ed era bravo. Pietro ricorda in particolare la bellezza della moglie di un suo maestro, Verzellino. All’età di otto anni una disgrazia colpì la sua famiglia: il padre Aurelio morì cadendo da cavallo, lo stesso animale che, anni prima, aveva ucciso suo fratello Simplicio. A tredici anni partì per Frascati nel mese di Novembre e vi rimase fino alla primavera. A Frascati alloggiava in una “Stenzia”, detta “ La Sciantogna”, con altre quarantaquattro persone di Ortona e il proprietario di camerata “Arculetta”. Lavorava nelle vigne e a giornata presso un colonnello dell’esercito, la cui moglie voleva affigliarselo. Pietro rifiutò la proposta anche se, dice: “Stavo bene, avevo trovato la fortuna…”.

Tornato ad Ortona ad aprile, aiutò la famiglia nell’allevamento e nell’agricoltura. Dopo l’Otto settembre (la festa più importante di Ortona) decise di tornare a Frascati, per guadagnarsi da vivere. Tirare avanti ad Ortona era difficile, Pietro infatti ci confida: “Sono cresciuto a vedere i grilli uscire dai buchi del terreno…”. (Sono cresciuto in mezzo ai campi, a lavorare la terra…..)

 

Il 16 dicembre 1939 Pietro venne chiamato alle armi con destinazione Sulmona. Qui, dopo alcuni giorni, la sua Compagnia venne divisa: alcuni furono mandati in Africa, altri, tra cui il nostro amico,  trasferiti al Celio a Roma. La successiva destinazione fu Gaeta, dove Pietro mantenne lo stesso incarico ricevuto a Roma: faceva l’attendente per il capitano Giuseppe Busacca. Di quei giorni da militare Pietro ricorda in particolare la figura di una monaca sarda, che gli passava qualche rancio in più e che in seguito rincontrò ad Ortona. Dalla caserma Vittorio Emanuele II, in Gaeta, nel giugno del 1940 venne trasferito a Perugia, caserma San Giuliano e in seguito a Torino. Era il 10 giugno 1940: l’Italia entrava in guerra. Seguirono per Pietro una serie di spostamenti: Francia, Cuneo, Alassio, Sanremo, Ventimiglia, ancora Perugia e Bari. Dalla città pugliese venne imbarcato per Durazzo, in Albania e poi presso il campo di aviazione di Tirana, dove lavorò in ospedale come infermiere.

Qui Pietro ritrovò alcuni compaesani. Intanto il conflitto si era inasprito….

Ricorda in particolare la città di Argirocastro e un fiume dove un suo amico di Secinaro fermava i nemici atrocemente. In Grecia, dove Pietro era stato mandato in seguito all’occupazione tedesca, morirono alcuni suoi amici di Sulla Villa. Il conflitto intanto dilagò in Jugoslavia dove le truppe italiane subirono un terribile massacro. Da Berati si spostò a Metkovic’. Qui incontrò Concetto Eramo e altri ortonesi con i quali partì per Mostar. I partigiani di Tito massacravano gli italiani. Purtroppo Concetto si ammalò, ma Pietro, facendo credere al suo capitano che fosse suo “Frat’- Cugin” (cugino di primo grado), ottenne che fosse ricoverato all’ospedale. Dopo venti giorni Concetto poté tornare al fronte e da quel momento i due si rividero soltanto ad Ortona. Nel 1944 a Zara gli italiani capitolarono dinanzi ai tedeschi e fu un vero martirio. Dalla Jugoslavia, Pietro e gli altri soldati furono portati in Austria, dove i tedeschi li presero a mazzate.

Successivamente venne deportato in Germania nei campi di concentramento di Norimberga, Dusseldorf, Felbert e Meppen. Qui Verzella imparò a fare gli impianti elettrici e le granate e apprese qualche parola di tedesco e di russo. A Meppen conobbe un muratore siciliano analfabeta, di nome Pietro, con il quale intrattenne una corrispondenza per sei mesi, fino a quando la mamma e la sorella lo avvertirono della sua morte. I giorni di prigionia furono durissimi: Pietro arrivò a pesare 31 kg. Il sistema del campo prevedeva che l’aumento di peso comportasse la diminuzione della razione di cibo. Di quei giorni ricorda la sveglia mattutina che consisteva in un fischio dei tedeschi per andare a lavorare. Il lavoro era così duro che Pietro quando salutava i tedeschi avrebbe voluto “ Sparargli ‘npronda”. (Sparargli sulla fronte, modo di dire ortonese)

Il 6 settembre 1946 Pietro tornò in Italia con il treno Dusseldorf - Roma, viaggiando tra militari e civili senza documenti. Sul treno Roma - Avezzano gli rubarono una valigetta piena dei “ferri” che aveva usato nei lavori fatti durante la prigionia e che si stava riportando a casa. Ad Avezzano incontrò un uomo di San Benedetto che gli offrì un passaggio fino a Pescina. Da qui, salendo per le “Collecchie”, arrivò finalmente a Ortona.

Era l’8 settembre 1946. A Ortona era festa e la prima persona che lo accolse fu suo fratello Simplicio. Tutti gli domandavano del destino degli altri ortonesi partiti per la guerra. Dopo 4 anni di assenza Pietro non ritrovò il fratello Duilio che si trovava ancora in Africa. Al suo ritorno si recò a casa di “ Strambl”, suo cognato. Venne accolto con grande emozione ..…. la stessa intensa emozione che Pietro manifesta mentre ci racconta la sua vita. Intanto la nipote Anna andò ad avvisare la mamma Sabetta del ritorno del figlio, visto che da quasi tre anni non aveva più sue notizie.

 

Il dopoguerra fu difficile anche a Ortona, per questo Pietro decise di tornare a Frascati, dove ritrovò Antonio e Aurelio “Picchin”. Qui dovette adattarsi, infatti dormiva in una “magnatora” (la mangiatoia per gli animali), con paglia e una coperta. Rimase a Frascati per tutto l’inverno del 1947, e qui svolgeva un lavoro stagionale. Nello stesso anno Pietro ricevette una lettera che lo informava del ritorno del fratello Duilio dall’Africa; partì e i due si incontrarono a Brindisi. Successivamente Pietro ritornò in Puglia da suo fratello, che intanto aveva intrapreso il viaggio di ritorno verso Ortona.

Qui a Ortona, Pietro cominciò a pensare di costruirsi una famiglia. Il 14 ottobre 1949 sposò Angelina nella Chiesa di San Pasquale. Ricorda che fu Padre Augusto a celebrare il matrimonio e che il pranzo di nozze fu fatto secondo l’usanza. Pietro aveva 29 anni e sua moglie 20. Dopo il matrimonio Pietro tornò a Frascati una sola volta perché decise di rimanere per sempre a Ortona insieme a sua moglie. Mentre chiacchieriamo dimostra l’orgoglio di aver lavorato una vita. Ricorda che addirittura lasciò un pranzo di nozze per andare in montagna con la mula. Appena sposato cominciò a fare il contadino e nel 1952 intraprese l’attività di muratore. Il suo primo lavoro fu l’attuale casa di Sandro Taglieri, in via dell’Officina, poi la casa di Alessandro Mancinelli, in via Venti Settembre.

A Ortona in quel tempo non c’era l’elettricità e Pietro cominciò a fare i primi impianti elettrici nel paese, prima con le piattine poi con il cavetto. Aveva imparato tutto questo durante la prigionia. Intorno al 1953 aggiustò il mulino, situato sotto la torre, distrutto durante la guerra. Dal 1954 trascorse per lavoro un lungo periodo a Monte Sacro, a Roma, e nel 1956 partecipò alla costruzione della galleria “Olmo di Bobbi” a Scalera. Lavorò anche a Sulmona e a Scanno e cominciò a costruire i loculi nel cimitero di Ortona. Inoltre ci dice di aver sempre soddisfatto i suoi clienti e di essere stato sempre ben pagato. A questo punto gli domandiamo, curiosi, il motivo per cui gli è stato “affibbiato” il soprannome V’rzella. Sorridendo risponde che V’rzella in ortonese significa persona veloce e lui è stato soprannominato così perché nella vita è stato sempre un lavoratore instancabile, che non si è mai fermato. Del dopoguerra Pietro ricorda soprattutto la miseria che colpiva la popolazione in quel periodo. Alla guerra appena terminata si aggiungeva il fatto che la gente non sapeva lavorare ancora la terra. Le cose migliorarono con l’esperienza.

Pietro è stato muratore ma soprattutto un contadino. Un episodio che ricorda in particolar modo si riferisce a quella  volta in cui di notte, riscendendo dalla montagna, poiché c’era la luna piena che illuminava il cielo, decise di mettersi a zappare la “r’stoppia” (paglia che resta conficcata nel terreno dopo la mietitura) di…un campo che era stato mietuto solo la mattina! ( Da “v’rzella” quale era, svolge un lavoro che di solito i contadini, occupati nella mietitura, svolgono con calma e, inoltre, lavora di notte!). Da sempre le sue giornate sono molto piene…..Ci dice di non essere mai stato un uomo di piazza e di bettola, tanto è vero che mangia volentieri una ciambelletta piuttosto che bere un bicchiere di vino. Gli domandiamo cosa farà a fine intervista e ci risponde che andrà a casa di Don Antonio a rimettere le galline e a sbrigare qualche faccenda all’orto. Pietro ci dice che la sera è solito addormentarsi molto tardi nonostante la sua sveglia al mattino suoni di buon’ora. Quando stiamo per andar via gli regaliamo ciambellette e cioccolata……………..mentre l’emozione traspare dai suoi occhi il suo pensiero volge nuovamente alla guerra, che ha segnato la sua vita. Dice: “La guerra è una cosa indegna, vigliacca, lasciata dagli antenati: l’ignoranza di chi comanda ha portato alla guerra. È importante il bene tra le persone e nel mondo.”

 

 

Ortona dei Marsi, 20 maggio 2006

 

nonno Pietro è stato intervistato da Antonella, Enzo, Francesca e Selenia

 

 


nonno Pietro ha lasciato i suoi cari e noi tutti il 17 novembre 2007

 

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