MITO informazioni mito

Home mi presento informazioni mito diagnostica malattie mito indirizzi informazioni varie farmaco gratuito depressione deglutizione respirazione glossario in rete medicine periodicoDM referendum sla posta riflessioni mappa sito

 

 

 

 

Una malattia mitocondriale può colpire nell’età infantile come nell’età adulta ed è una malattia multisistemica.

In quasi tutte le cellule del corpo ci sono delle piccole centrali dette mitocondri. La teoria vuole che 1,5 miliardi di anni fa, i mitocondri fossero cellule indipendenti, probabilmente dei batteri, e che siano stati inglobati in cellule di organismi superiori che necessitavano di una fonte rapida di energia. Quello che i mitocondri fanno per la cellula è una "rapida produzione di energia",ATP(ATP si può paragonare al denaro in contante). 

Qualsiasi cosa in grado di compromettere gravemente la produzione di ATP nei mitocondri può danneggiare o addirittura uccidere le cellule e causare così il malfunzionamento dei tessuti e l’apparizione dei sintomi.

Il DNA mitocondriale viene ereditato esclusivamente dalla madre, attraverso i mitocondri del suo uovo; lo spermatozoo non dà nessun contributo. Successivamente ogni uovo e tutte le altre cellule del corpo sono dotate di centinaia di mitocondri, ed ogni mitocondrio può contenere molte molecole di DNA mitocondriale. 

Sebbene la cellula raddoppi approssimativamente il numero dei mitocondri e delle molecole mitocondriali prima di dividersi, la cellula originale non può regolare quali specifici mitocondri vadano ad ogni cellula figlia. Conseguentemente, se un uovo fertilizzato trasferisce una mutazione in qualche frazione del suo DNA mitocondriale (una condizione conosciuta come eteroplasmia) una cellula figlia può ereditare una proporzione più ampia di mitocondri mutati, e le altre cellule possono ereditare una percentuale più alta di mitocondri con DNA normale. 

Un figlio nato da un uovo eteroplasmico può quindi avere alcuni tessuti arricchiti di normale DNA mitocondriale o altri arricchiti di DNA mutante. Inoltre, gli ovuli di una donna con cellule eteroplasmiche possono differire nella percentuale di DNA mitocondriale mutante; i suoi figli possono quindi differenziarsi marcatamente nella estensione e distribuzione di molecole mutanti nei loro tessuti e nella loro gravità, e perfino nel tipo di sintomi che manifesteranno. Individui i quali si ammalano di una mutazione omoplasmatica, comunque, mostreranno tutti sintomi simili.

 

 

 

 

 

 

Membrana e Superficie cellulare

Una sottile membrana, denominata membrana plasmatica, racchiude il contenuto di tutte le cellule viventi e costituisce una barriera fra l'ambiente intracellulare (interno) e quello  extracellulare (esterno). 

La membrana plasmatica è costituita da un doppio strato continuo di molecole lipidiche, dello spessore di 8-10 nanometri (un nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro), attraversato   parzialmente o completamente  da numerose proteine; essa funziona da barriera selettiva, regolando, così, la composizione chimica della cellula. 
La maggior parte degli ioni e delle molecole idrosolubili non è in grado di attraversare spontaneamente questa barriera lipidica e per farlo necessita di una specifica proteina trasportatrice ("carrier") o di un canale, anch'esso di natura proteica. Avvalendosi di questi meccanismi di trasporto, la cellula può mantenere la concentrazione interna degli ioni e delle piccole molecole su valori diversi da quelli che caratterizzano l'ambiente esterno. 
Un altro sistema per operare scambi fra l'ambiente intracellulare e quello extracellulare comporta la presenza di vescicole membranose che si fondono o si distaccano dalla membrana plasmatica; questo meccanismo permette, in particolare nelle cellule animali, di trasportare attraverso la membrana plasmatica macromolecole e particelle di grandi dimensioni, sia  dall'interno all'esterno, sia in direzione opposta.
All'esterno della membrana plasmatica, la maggior parte delle cellule batteriche e vegetali è ulteriormente delimitata da una parete cellulare alquanto spessa e robusta, costituita da polisaccaridi complessi (nel caso delle piante superiori soprattutto da cellulosa). 
Se da un lato questa struttura serve a mantenere la forma tipica della cellula e a proteggerla dagli urti meccanici, dall'altro lato limita i movimenti consentiti alla cellula, come pure l'ingresso e la fuoriuscita di materiali

 

Nucleo.

L'organulo più ingombrante della maggior parte delle cellule vegetali e animali è il nucleo; si tratta di un corpuscolo delimitato da una membrana, di forma e dimensioni variabili a seconda del tipo cellulare. All'interno del nucleo sono conservati i cromosomi, strutture filamentose composte da DNA e proteine e solitamente presenti in coppie, in un numero variabile e caratteristico di ciascuna specie. 
Mentre per gran parte del ciclo cellulare i filamenti cromosomali non sono distinguibili l'uno dall'altro, appena prima della divisione cellulare si ispessiscono e diventano visibili singolarmente. 
In ciascun cromosoma il DNA è presente sotto forma di una singola molecola, molto lunga e avvolta su se stessa a spirale, contenente una sequenza lineare di geni. 
I geni sono depositari dell'informazione necessaria per l'assemblaggio delle molecole indispensabili alla vita e alla riproduzione della cellula.

Il nucleo è delimitato da una doppia membrana, dotata di pori che consentono le comunicazioni tra il nucleo e il resto della cellula (citoplasma). 
All'interno del nucleo si trova una regione specializzata, detta nucleolo, che è deputata all'assemblaggio di particelle chiamate ribosomi, che contengono RNA e proteine e che, una volta sintetizzate, migrano nel citoplasma, dove presiedono alla sintesi proteica. Il nucleo controlla la sintesi proteica inviando nel citoplasma diverse molecole con funzione di messaggeri. 
I geni contenuti nel DNA vengono, infatti, copiati fedelmente all'interno del nucleo in un'altra molecola di acido nucleico, chiamata RNA messaggero (mRNA), che quando è matura passa nel citoplasma. 
Qui, interagendo con i ribosomi e con altre strutture molecolari, viene tradotto nella struttura primaria della specifica proteina per cui codifica il gene copiato originariamente.

 

Cromosomi: 

strutture filamentose composte da DNA e proteine e solitamente presenti in coppie, in un numero variabile e caratteristico di ciascuna specie. Mentre per gran parte del ciclo cellulare i filamenti cromosomali non sono distinguibili l'uno dall'altro, appena prima della divisione cellulare si ispessiscono e diventano visibili singolarmente. In ciascun cromosoma il DNA è presente sotto forma di una singola molecola, molto lunga e avvolta su se stessa a spirale, contenente una sequenza lineare di geni. I geni sono depositari dell'informazione necessaria per l'assemblaggio delle molecole indispensabili alla vita e alla riproduzione della cellula.

 

Citoplasta

  L'intero volume della cellula, con esclusione del nucleo, è occupato dal citoplasma. Esso contiene molte strutture e organuli. L'intero volume della cellula, con esclusione del nucleo, è occupato dal citoplasma. Esso contiene molte strutture e organuli specializzati che saranno descritti in seguito. La soluzione acquosa concentrata nella quale si trovano sospesi gli organuli cellulari è denominata citosol. Si tratta di un gel acquoso, contenente numerosissime molecole di varie dimensioni; nella maggior parte delle cellule esso è il compartimento cellulare di gran lunga più voluminoso (nei batteri è anche l'unico). Il citosol è il sito di molte funzioni importanti ai fini del mantenimento della cellula, compresi i primi stadi della demolizione delle molecole introdotte sotto forma di alimenti e la sintesi di numerose macromolecole che sono le unità costitutive della cellula. Sebbene molte molecole presenti nel citosol siano libere di muoversi per tutte le regioni della cellula, altre hanno una minore libertà di movimento poiché fanno parte di strutture ordinate che conferiscono al citosol un'organizzazione interna utile alle sue molteplici funzioni.

 

 

Membrana interna

Il nucleo, i mitocondri e i cloroplasti non sono i soli organuli delimitati da membrana, presenti all'interno delle cellule eucarioti. Nel citoplasma si trova, infatti, una serie di altri organuli, ciascuno dei quali è circondato da una membrana ed è in grado di eseguire una funzione distinta. Molte di queste funzioni cellulari hanno a che fare con l'esigenza, da parte della cellula, di portare al proprio interno materie prime, di esportare i propri prodotti e di eliminare le scorie.

Una rete tridimensionale di cisterne delimitate da membrane, denominata reticolo endoplasmatico, costituisce il compartimento cellulare dove avviene la sintesi di gran parte dei componenti delle membrane, come pure dei materiali destinati a essere esportati all'esterno della cellula. 

 

Reticolo endoplasmatico rugoso

Il reticolo endoplasmatico rugoso (RER) è una struttura cellulare costituita da un sistema di pliche impilate e punteggiate di piccoli organelli detti ribosomi. 
Sulle sue pareti avviene la sintesi delle proteine destinate a essere emesse all'esterno della cellula, mentre sui ribosomi vengono sintetizzate quelle coinvolte nelle funzioni metaboliche interne.

 

Apparato di Golgi

Pile di cisterne appiattite, anch'esse delimitate da membrane, costituiscono, invece, l'apparato di Golgi, che riceve le molecole sintetizzate nel reticolo endoplasmatico, le elabora e le indirizza a diversi siti interni o esterni alla cellula.

I lisosomi sono organuli piccoli, di forma irregolare, che contengono enzimi responsabili della digestione di numerose molecole inutili o nocive per la cellula. 

I perossisomi sono vescicole delimitate da membrana, che mettono a disposizione un ambiente isolato e circoscritto per reazioni nel corso delle quali vengono generate e demolite forme particolarmente pericolose e reattive dei perossidi di idrogeno. Inoltre, nella cellula vengono continuamente formate e distrutte piccole vescicole membranose, deputate al trasporto dei materiali da un organulo all'altro. In una tipica cellula animale il complesso degli organuli delimitati da membrana può occupare fino a metà del volume totale della cellula.

sintesi proteica: Il nucleo controlla la sintesi proteica inviando nel citoplasma diverse molecole con funzione di messaggeri. I geni contenuti nel DNA vengono, infatti, copiati fedelmente all'interno del nucleo in un'altra molecola di acido nucleico, chiamata RNA messaggero (mRNA), che quando è matura passa nel citoplasma. Qui, interagendo con i ribosomi e con altre strutture molecolari, viene tradotto nella struttura primaria della specifica proteina per cui codifica il gene copiato originariamente.

 

Centrioli

Citoscheletro

Un sistema di filamenti proteici, denominato citoscheletro, è presente nel citosol di tutte le cellule animali e vegetali. Nelle cellule animali, che mancano di una parete cellulare rigida, questo sistema ha un'importanza particolare, in quanto contribuisce a mantenere la struttura e la forma della cellula. Il citoscheletro fornisce un'impalcatura per l'organizzazione interna della cellula e un punto di ancoraggio per organuli ed enzimi. Esso permette, inoltre, alla cellula di compiere alcuni movimenti e, all'occasione, di cambiare forma. In molti tipi cellulari il citoscheletro è una struttura dinamica, che viene continuamente scomposta e riassemblata. È costituito da tre tipi principali di filamenti proteici: microtubuli, filamenti di actina e filamenti intermedi, connessi sia tra di loro che con altre strutture cellulari grazie a numerose proteine accessorie.

Nelle cellule eucariotiche il movimento dipende per lo più dai filamenti di actina e miosina e dai microtubuli. Molte cellule possiedono sulla propria superficie strutture flessibili, simili a "peli", denominate ciglia o flagelli, contenenti un fascio centrale di microtubuli che funziona da motore del movimento. Ciglia e flagelli si piegano dando luogo a un battito regolare, simile a quello di una frusta, reso possibile dall'energia conservata all'interno dei microtubuli. I flagelli sono responsabili dei movimenti natatori degli spermatozoi; le ciglia che rivestono l'intestino o gli altri condotti presenti nell'organismo dei vertebrati indirizzano, con il loro movimento, i fluidi e le sostanze nutritive in una direzione particolare. Filamenti di actina, raccolti in grossi fasci, si trovano in tutte le cellule muscolari, dove, insieme a un'altra proteina, chiamata miosina, producono le tipiche contrazioni. Negli animali e nelle piante i movimenti associati alla divisione cellulare dipendono dai filamenti di actina e miosina e dai microtubuli, che guidano i cromosomi e gli altri componenti della cellula madre nelle due cellule figlie che si stanno formando.

 

 

 

Mitocondri e cloroplasti

I mitocondri sono fra gli organuli più cospicui del citoplasma e sono presenti in quasi tutte le cellule eucariotiche. Essi hanno una struttura particolare, osservabile al microscopio elettronico: ciascun mitocondrio si presenta come un corpuscolo dalla caratteristica forma a fagiolo, lungo non più di 7 micrometri, delimitato da due membrane separate, la più interna delle quali presenta numerose pieghe (creste).

(Lo studio, condotto da Rosario Rizzuto insieme a Paolo Pinton e Tullio Pozzan, in collaborazione con ricercatori americani dell’Università del Massachussetts, utilizzando un approccio tecnologico innovativo (ossia un microscopio a fluorescenza ultrarapido che permette di acquisire 30 immagini in meno di un secondo), ha ottenuto per la prima volta un’immagine tridimensionale di questi organelli in cellule viventi. I risultati di questo lavoro cambiano una nozione ormai consolidata in biologia: i mitocondri non sono infatti piccoli organelli “a forma di sigaro” distinti e indipendenti, come si era creduto finora, ma un intricato reticolo interconnesso, in rapido e continuo movimento all’interno della cellula. Questo nuovo concetto può servire a comprendere non solo processi importanti nella vita di questi organelli, ma anche come si sviluppano le malattie dovute a mutazioni del DNA mitocondriale. Inoltre è stato possibile dimostrare che i mitocondri sono a strettissimo contatto con un’altra struttura della cellula, il reticolo endoplasmatico, e grazie a questa vicinanza ricevono, al momento opportuno, il segnale di attivazione. Quando una cellula viene stimolata, infatti, il reticolo endoplasmatico rilascia ioni calcio nelle immediate vicinanze dei mitocondri, che li captano prontamente e vengono così attivati. Questo raffinato meccanismo di segnalazione e il ruolo fondamentale degli ioni calcio nel controllo della funzione mitocondriale aprono l’affascinante prospettiva di poterne “modulare” l’attività grazie allo sviluppo di nuovi farmaci che agiscano sul trasporto del calcio.)

I mitocondri sono gli organuli responsabili della produzione di energia necessaria alla cellula per crescere e riprodursi; l'energia proviene dagli ultimi passaggi delle vie metaboliche che portano alla completa demolizione degli alimenti. Queste reazioni, che nel loro insieme costituiscono il processo di "respirazione cellulare", comportano il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica. In assenza di mitocondri molti organismi eucarioti non sarebbero in grado di utilizzare l'ossigeno per ricavare dagli alimenti tutta l'energia necessaria alle loro funzioni vitali. Diversamente dagli organismi aerobi, che non possono vivere in assenza di ossigeno, gli organismi anaerobi prosperano anche, o solo, in assenza di questo gas e le loro cellule sono prive di mitocondri.

 

I cloroplasti sono voluminosi organuli di colore verde, presenti solo nelle cellule delle piante e delle alghe, ma non negli animali o nei funghi. La loro struttura è ancora più complessa di quella dei mitocondri: oltre a essere avvolti da due membrane, all'interno presentano cisterne multiple, delimitate da una membrana contenente clorofilla (il pigmento verde delle piante). I cloroplasti svolgono un'importante funzione ecologica, in quanto sede della fotosintesi clorofilliana, che sfrutta l'energia dell'irradiazione solare per produrre ossigeno e molecole organiche a partire da semplici composti inorganici. L'ossigeno e le molecole organiche prodotte nei cloroplasti vengono poi utilizzate dalle cellule di altri organismi per la produzione di energia. Si calcola che tutto l'ossigeno presente nell'atmosfera sia derivato dall'attività fotosintetica dei cloroplasti.

 

I mitocondri sono formati da due membrane concentriche: una esterna, liscia, e una interna, ripiegata a formarIe varie creste. All'interno di questa membrana è contenuto un liquido denso (matrice) in cui sono immerse proteine di vario tipo. Le più importanti sono dette enzimi e servono a rendere più veloci, cioè a catalizzare, le diverse reazioni. Una volta ottenuto l'Atp, che è come una cassaforte piena di energia, per aprirla, è necessario l'intervento di un particolare enzima, detto Atpasi. Questo favorisce la rottura di legami chimici all'interno della molecola, liberando così l'energia che serve alla cellula. Ogni molecola di Atp fornisce ben 7,5 chilocalorie.

I mitocondri hanno anche il privilegio (che condividono con i cloroplasti, presenti solo nelle cellule vegetali) di possedere una molecola di Dna autonoma da quella principale della cellula, presente nel nucleo. Inoltre, questo Dna mitocondriale ha forma circolare, come avviene solo nei batteri. " Ciò ha fatto pensare che i mitocondri derivino da un organismo autonomo, simile a una attuale cellula batterica, inglobato miliardi di anni fa da una primitiva cellula eucariote con la quale ha stabilito un rapporto di reciproco aiuto. La cellula infatti ottiene dai mitocondri l'energia per svolgere le sue funzioni, e nello stesso tempo gli fornisce i nutrienti necessari. Il Dna mitocondriale ha anche un'altra particolarità: si trasmette solo per via materna e per questo subisce un numero di mutazioni minori rispetto a quelle subite dal Dna principale.

 

Le proteine sono sostanze fondamentali per la vita degli organismi. Sono numerosissime e comprendono varie categorie. Nell'uomo, per esempio, sono proteine l'emoglobina, gli anticorpi, certi ormoni, i componenti dei muscoli, per ricordarne alcune. Ciascuna cellula di ogni organismo ha il compito di produrre determinate proteine, a seconda delle informazioni contenute nel suo Dna e dall'attivazione di alcuni geni piuttosto che di altri. Il processo di formazione è detto sintesi proteica e avviene nel reticolo endoplasmatico. Questo è un sistema di membrane, che contiene strutture tondeggianti dette ribosomi. Ed è proprio nei ribosomi che comincia la sintesi delle proteine. Si tratta di una specie di catena di montaggio. I ribosomi fabbricano un "semilavorato", che viene portato all'esterno attraverso le cosidette "vescicole di transizione", una specie di mezzo di trasporto che lo conduce in un altro sistema di membrane detto "apparato di Golgi" (dal nome del biologo Camillo Golgi, che per primo lo mise in evidenza nel 1898). " L'apparato di Golgi assomiglia a una pila di sacche appiattite a forma di disco, detta dittiosoma. Qui si ottiene il prodotto finito, cioè le proteine, che vengono successivamente "inscatolate" in vescicole di secrezione, che si distaccano dalla periferia delle sacche portando il loro contenuto fuori della cellula per distribuire le nuove proteine nell'organismo. " Oltre alla elaborazione di sostanze proteiche, l'apparato di Golgi svolge altre importanti funzioni. Innanzitutto, dalle sue vescicole hanno origine i lisosomi, cui è affidato il fondamentale compito di assicurare la "digestione cellulare". Questi elementi contengono infatti numerosi enzimi (idrolasi) specializzati nel degradare (ossia trasformare in molecole semplici) macromolecole e particelle provenienti dall'esterno della cellula. " Inoltre, come avviene per esempio nelle cellule vegetali, l'apparato di Golgi serve alla formazione di particolari sostanze: i polisaccaridi. Fra queste, l'amido, che è una riserva di energia contenuta nei semi, nelle radici e nei frutti, o la cellulosa, principale costituente della parete cellulare delle piante." Dividetevi e moltiplicatevi Mentre state leggendo questa frase, circa 100 milioni delle vostre cellule si sono divise, per moltiplicarsi. " Questo avviene con un processo, detto mitosi, nel corso del quale, partendo da un'unica cellula madre, si formano due cellule figlie geneticamente identiche, cioè con lo stesso numero di cromosomi. " Non tutte le cellule si moltiplicano o lo fanno sempre: dipende dai loro diversi compiti e dalle diverse necessità del tessuto o dell'organo che formano." Per esempio le cellule che costituiscono la nostra pelle, che ha bisogno di costanti ricambi, si dividono continuamente. Invece, i globuli rossi, elementi fondamentali del sangue, non si dividono mai. Il loro numero resta costante poiché quelli giunti alla fine della vita vengono sostituiti da altri nuovi prodotti dal midollo osseo." Una via di mezzo è quella delle cellule nervose, che dopo i primi anni di vita dell'individuo non si moltiplicano più. Anche le cellule del fegato abitualmente non si dividono, ma possono farlo all'occorrenza in caso di lesioni. " Il processo della mitosi inizia quando la membrana che avvolge il nucleo della cellulanucleare si dissolve, lasciando libero il Dna. " Nel frattempo la cellula si allunga, assumendo una forma affusolata, mentre al suo interno si costituisce una struttura con due poli, i centrioli, uniti da tante fibre. Nella regione centrale della cellula si vanno a disporre i cromosomi che costituiscono il Dna. Ognuno di essi si divide in due e ciascuna parte migra verso uno dei due poli." Nell'ultima fase del processo, si duplicano tutti gli altri elementi della cellula; nel frattempo la parte centrale comincia a restringersi fino a dividere la cellula in due. Si ricostituisce la membrana nucleare che va a racchiudere i cromosomi e si formano così le due cellule figlie." Ogni cellula deve sapere alla perfezione con quale ritmo dividersi e se dividersi oppure no: le cellule in cui salta il meccanismo che regola la loro proliferazione vanno incontro a una crescita incontrollata trasformandosi così in cellule tumorali. Il microchip della vita La cellula può essere considerata come un insieme di piccoli reparti di uno stabilimento chimico, ciascuno specializzato per una determinata funzione ma incapace di svolgerla senza la collaborazione degli altri. Tutto ciò è reso possibile da un continuo flusso di informazioni (che avviene sotto forma di uno scambio di molecole) col quale il suo funzionamento viene ottimizzato in accordo alle esigenze dell'organismo." Per rendere visivamente l'insieme di queste interazioni, si può pensare a uno schema simile a quello di un circuito integrato. Se consideriamo che ogni essere umano è composto da circa 200 tipi di cellule per un ammontare complessivo di centomila miliardi, e che tutte queste cellule sono in comunicazione tra loro e devono armonicamente interagire, si capisce la necessità di un continuo scambio di informazioni. " Essendo l'unità fondamentale della vita, ogni cellula deve essere capace di produrre le sostanze necessarie al proprio sviluppo e produrre nello stesso tempo energia; essere in grado di scambiare materia e energia con l'esterno; sapere come e quando farlo in base alle informazioni contenute nel Dna. Il meccanismo di regolazione all'interno della cellula dipende dalla precisione della consegna di queste informazioni, che tiene conto "in tempo reale" delle variazioni biochimiche avvenute nel micro ambiente circostante." Proprio come avviene in un chip, che deve elaborare, smistare e controllare le informazioni sulla base dei diversi comandi che gli vengono impartiti volta per volta dal

programma. "

 


 

Informazioni generali

A volte, le malattie mitocondriali, sono così gravi da risultare incompatibili con la vita, in altri casi danno solo disturbi lievi o impercettibili; nella maggior parte della popolazione, invece, contribuiscono all'insieme dei fenomeni che caratterizzano la senescenza. Le malattie mitocondriali, scoperte da poco più di un decennio, sono diventate subito stelle di prima grandezza nel firmamento delle patologie a eziologia ignota e sono entrate con prepotenza anche tra i mali di cui si pensava di aver capito già molto, quali il cancro o il diabete.
Un difetto più o meno esteso in uno dei trentasette geni dell'anello del DNA mitocondriale può infatti portare a un numero enorme (e la lista è in continua crescita) di fenomeni patologici molto diversi, a seconda che l'anomalia resti confinata in un tessuto o si diffonda a tutto l'organismo.
I mitocondri vengono descritti con ragione come centrali energetiche del corpo, poiché in essi si svolgono i fenomeni biochimici che conducono alla sintesi della principale moneta di scambio energetico di tutte le cellule, l'ATP (adenosina trifosfato), che provvede a più del 90 per cento del fabbisogno dell'organismo. Per questo laddove non funzionano bene sono guai. Visto il ruolo fondamentale che questi organelli svolgono in tutte le cellule, si è capito che proprio i mitocondri potevano rappresentare un elemento comune a malattie anche molto diverse tra loro, quali alcune forme di diabete mellito e l'atassia, l'Alzheimer e la distonia, tutte degenerative. Anche se trovare il bandolo di una matassa così complessa ed eterogenea ha richiesto molto tempo.

 

Troppo pochi dieci anni di studi

Infatti, anche se è noto fino dal 1963 che i mitocondri hanno geni propri racchiusi in molecole circolari presenti in molte copie in ogni mitocondrio, solo alla fine degli anni ottanta sono giunte le prime dimostrazioni di un collegamento tra alcune neuro e miopatie ereditarie e un'alterazione di questo particolare DNA. Queste scoperte sono principalmente opera di Douglas Wallace, direttore del Centro di medicina molecolare della Emory University di Atlanta, e di Salvatore Di Mauro, direttore del Dipartimento di malattie neuromuscolari della Columbia University di New York. Fino a quel momento, i malati hanno continuato a vagabondare da un reparto di neurologia all'altro non solo senza che nessuno fosse in grado di curarli, ma anche senza che fosse possibile fornire loro una spiegazione della propria condizione.
«Innanzitutto si è cercato per molto tempo un difetto nucleare, nessuno considerava più di tanto gli organelli intracellulari. Inoltre il ritardo è stato causato dalla modalità di trasmissione del DNA mitocondriale che, a differenza di quello nucleare, non viene ereditato da entrambi i genitori ma solo dalla madre attraverso l'oocita» spiega Monica Sciacco, neurologa del Centro Dino Ferrari del Policlinico di Milano, che ha lavorato per alcuni anni con Di Mauro e che si occupa di malattie mitocondriali. «Quindi anche se, all'incirca, la cellula uovo raddoppia il numero dei propri mitocondri prima di dividersi, non può in alcun modo controllare la loro qualità: se è presente anche una sola mutazione puntiforme, passerà in modo più o meno preponderante alle cellule figlie. Qui, man mano che l'embrione cresce, i mitocondri difettosi resteranno in un tessuto, oppure saranno trasmessi a un certo numero di distretti, o ancora dappertutto, con conseguenze più gravi negli organi che hanno più bisogno di energia, cioè il cervello e i muscoli, cuore compreso». Come se ciò non bastasse, la natura tende a eliminare le anomalie: se, quindi, metà delle cellule cercherà di riparare il difetto, l'altra metà farà di tutto per uniformare i propri mitocondri sul modello errato, anche se questo a volte si traduce in un vero e proprio suicidio.
E non è tutto, perché la mutazione può intervenire dopo il concepimento dando patologie non ereditarie, somatiche, di solito letali o molto gravi ma, per fortuna, altrettanto rare. Inoltre nell'adulto, via via che si procede con gli anni, le delezioni e le mutazioni mitocondriali si accumulano, contribuendo a rendere l'organismo sempre meno efficiente. Secondo uno studio effettuato anch'esso presso l'Ospedale maggiore di Milano da Guglielmo Scarlato, e pubblicato sulla rivista Science (Tempo Medico numero 647, pagina 12), il danno arrecato ai mitocondri ha conseguenze che vanno ben oltre la carenza energetica: un organello che non funziona bene produce radicali liberi, che a loro volta danneggiano varie strutture, con esiti che vanno dall'invecchiamento fisiologico alle patologie degenerative della terza età.

 

Indizi difficili da decifrare

A poco più di un decennio dalle prime scoperte, sono centinaia le malattie in cui è stato riscontrato un difetto del DNA mitocondriale, molte delle quali rarissime e altre assai comuni quali il diabete, il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer e il cancro (vedi riquadro). Ma come riconoscerle? Nelle patologie più tipicamente mitocondriali, l'esordio molto spesso avviene attraverso un deficit visivo, che deriva da una degenerazione della retina - non a caso la retinite pigmentosa è presente in molte di esse - o del nervo ottico, oppure attraverso una manifestazione neurologica o neuromuscolare, o con entrambi gli eventi. «In letteratura sono descritti i casi di alcune famiglie con uno spettro di malattia davvero ampio» spiega Sciacco. «Con ogni probabilità esiste un valore soglia per cui in una stessa famiglia alcuni membri, che non lo raggiungono, hanno disturbi di poco conto, mentre i fratelli che passano il limite a volte non sopravvivono, oppure sono malati molto gravi. Ma non c'è una regola valida per tutti: ci è capitato di avere un paziente di ottant'anni che era sempre stato bene e che a un certo punto ha iniziato ad avere una ptosi palpebrale bioculare, che è rimasta l'unica manifestazione della sua malattia mitocondriale». Per orientarsi e per capire per tempo che quello che non va è nel piccolo anello di DNA delle minuscole dinamo cellulari è quindi indispensabile eseguire una serie di indagini strumentali e di laboratorio, oltre all'osservazione clinica. «Nel 40 per cento dei pazienti si riscontra un aumento della creatinfosfochinasi sierica, e in quasi tutti vi sono livelli di acido lattico molto alti, sia a riposo sia dopo uno sforzo» ricorda la neurologa del Policlinico. «Inoltre l'elettromiografia, l'elettroencefalogramma e la TC consentono di inquadrare la situazione e di tenerla sotto controllo. Ma ciò che forse è di maggior aiuto è l'esame istologico: nei tessuti interessati i mitocondri sono enormi oppure in numero molto superiore alla media. Se poi si fa una biopsia muscolare spiccano, in caso di positività, quelle che vengono chiamate le fibre stracciate o ragged red, forse la caratteristica più tipica delle malattie mitocondriali. Il tutto viene poi completato da un'analisi genetica».

 

Pochi centri specializzati in Italia

Purtroppo, però, sono ancora poche le strutture dove vengono eseguite tali biopsie, e il Centro del Policlinico è un riferimento per molti medici del Nord Italia, che inviano lì i pazienti per una conferma diagnostica (il riferimento per il Centro sud è il gruppo di Pietro Tonali del Policlinico Gemelli, di Roma). «Al nostro centro giungono i malati provenienti dagli ospedali con cui siamo collegati, e non solo. Per alcuni il riconoscimento è stato abbastanza rapido, mentre molti altri hanno subito non poche peripezie prima che qualcuno pensasse ai mitocondri» riferisce Monica Sciacco. Ed è proprio grazie al fatto che a Milano arrivano molti pazienti che i neurologi sono riusciti a studiare più di 200 di loro, identificando ogni singola mutazione e cercando di collegarla al quadro clinico e biochimico delle diverse malattie.
«Questo lavoro è indispensabile, non solo per saperne di più ma anche per poter aiutare il paziente» sottolinea la neurologa. «Infatti, se conosciamo il tipo di difetto genetico possiamo, per esempio, dare indicazioni sul rischio che un eventuale figlio lo erediti. Inoltre il controllo periodico salva molte vite, soprattutto per quella percentuale di malati che ha già, o presumibilmente avrà, un danno cardiaco, che possiamo sottoporre a bypass e tenere sotto stretto controllo. Purtroppo, infatti, gli unici strumenti terapeutici a tutt'oggi validi sono la prevenzione e il tentativo di rallentare l'inesorabile progressione di queste patologie».
Non ci sono medicine per curare un mitocondrio difettoso e l'unico rimedio valido è quello di somministrare molecole che neutralizzino i radicali liberi e che migliorino lo sfruttamento di quel poco di ATP che viene prodotto, come il coenzima Q10. In futuro, forse, si cercherà di sostituire i geni difettosi, ma per ora la conoscenza dei processi che portano al difetto del DNA mitocondriale è troppo lacunosa.

 


 

 

Incontro con Salvatore Di Mauro


E’ sempre un grande piacere ospitare sulle pagine di DM Salvatore Di Mauro, responsabile del Centro di Ricerche Cliniche “H. Houston Merritt” della Columbia University di New York, già presidente della Commissione Scientifica di Telethon e attualmente membro del Consiglio di Amministrazione del Telethon stesso.
Uno scienziato vero, che ha dato importanti contributi alla letteratura riguardante alcune patologie neuromuscolari e che da molto tempo dedica il proprio lavoro alle malattie mitocondriali, delle quali è considerato uno dei più autorevoli esperti al mondo.

Professor Di Mauro, quali sono i principali settori di ricerca di cui si è occupato nella sua carriera?
Per capire lo sviluppo della mia carriera, è importante considerare che ho avuto maestri eccezionali: studente di medicina a Padova, ho avuto la fortuna di lavorare nell’Istituto di Patologia Generale, sotto la guida di Massimo Aloisi e di Alfredo Margreth. Nel 1968, frustrato dalle difficoltà di conciliare il lavoro clinico con quello di ricerca, andai a Philadelphia, dove, presso il Dipartimento di Neurologia dell’Università di Pennsylvania, incontrai un altro maestro eccezionale, Lewis P. Rowland, grande sostenitore della ricerca clinica, quel tipo di ricerca che inizia al letto del malato e che continua al bancone del laboratorio, spesso usando tessuti bioptici.
Per circa vent’anni sono stato una sorta di “cacciatore di enzimi” (o meglio, di difetti enzimatici) in pazienti con malattie neuromuscolari metaboliche ereditarie. Queste patologie bloccano o riducono la produzione di energia che nel muscolo è necessaria non solo per mantenere le funzioni cellulari “basali”, ma anche per produrre contrazione, cioè movimento, la funzione specifica di questo tessuto. Due sono le conseguenze cliniche principali dei blocchi metabolici a livello muscolare: miopatie croniche con debolezza muscolare progressiva; “crisi” miopatiche acute e transitorie, con crampi, necrosi muscolare e, spesso, mioglobinuria. Associando l’osservazione clinica ai dati di laboratorio e allo studio morfologico della biopsia muscolare, ho cercato di trovare l’enzima “colpevole” in un gran numero di pazienti coi sintomi testé descritti, in un appassionante lavoro quasi “poliziesco”. I risultati sono stati gratificanti. Esaminando le tre vie biochimiche direttamente coinvolte nella produzione energetica - quella preposta all’utilizzazione dei combustibili glicidici (glicogenolisi e glicolisi), quella preposta all’utilizzazione dei combustibili lipidici (attivazione e trasporto di acidi grassi all’interno del mitocondrio e beta-ossidazione) e quella responsabile per la produzione finale di energia chimica in forma di ATP (la catena respiratoria mitocondriale) - il mio gruppo ha identificato nuovi difetti enzimatici in ciascuna di queste vie metaboliche.
Già nel lontano ’73 abbiamo scoperto il difetto di CPT, un enzima (anzi oggi sappiamo un sistema enzimatico) responsabile del trasporto di acidi grassi a media e lunga catena all’interno del mitocondrio. Questa osservazione ha una certa importanza storica perché il difetto di CPT fu il primo errore biochimico del metabolismo lipidico ad essere descritto. Successivamente abbiamo identificato due nuovi difetti enzimatici della via glicolitica (il difetto di fosfoglicerato chinasi e quello di fosfoglicerato mutasi).
Durante gli anni passati a Philadelphia, ebbi l’opportunità di collaborare con il prestigioso gruppo di esperti mitocondriali diretto da Britton Chance, per cercare di definire a livello biochimico un nuovo gruppo di malattie neuromuscolari, le cosiddette miopatie mitocondriali. Da allora, pur restando fedele alle glicogenosi, il mio interesse primario si è rivolto all’affascinante microcosmo dei mitocondri, queste meravigliose “batterie intracellulari”, superstiti di antichi organismi autonomi e per questo dotati tuttora di un loro proprio DNA (il DNA mitocondriale o mtDNA).
Dal 1985, l’attività di ricerca del Centro dedicato alla memoria dell’illustre neurologo H. Houston Merritt, che attualmente dirigo, si è concentrata sulle malattie mitocondriali, patologie che quasi sempre coinvolgono il muscolo, ma spesso anche molteplici altri tessuti “avidi di ossigeno”, soprattutto il cervello, donde il termine di “encefalomiopatie mitocondriali”.
Posso dire senza falsa modestia che il nostro gruppo - composto sia da clinici che da ricercatori di base - è uno dei migliori al mondo nel campo delle malattie mitocondriali e se ho iniziato parlando dei miei maestri, voglio concludere ricordando i miei collaboratori, senza i quali la mia attività si sarebbe esaurita molti anni fa. Numerosi giovani di tutto il mondo (ma con una netta prevalenza di italiani) sono passati per i nostri laboratori, e molti di loro sono tornati ai Paesi di origine, dove hanno creato a loro volta gruppi di ricerca di prim’ordine.

A che cosa sta attualmente lavorando?
Prevalentemente sulla caratterizzazione dei difetti molecolari e dei meccanismi fisiopatologici di un gruppo di malattie mitocondriali che abbiamo definito “disturbi della comunicazione intergenomica”, cioè del “dialogo” che necessariamente si svolge tra il DNA nucleare e il subalterno mtDNA. I dati che stiamo raccogliendo ci rivelano interessanti quanto inaspettati meccanismi che controllano sia il numero che l’integrità dei genomi mitocondriali.

Sembra che oggi si debba addirittura parlare di una vera e propria medicina mitocondriale...
I mitocondri sono presenti in tutti i tessuti e il metabolismo ossidativo che essi controllano è indispensabile per il corretto funzionamento di ogni tessuto. Come accennavo poco fa, alcuni tessuti sono particolarmente dipendenti dal metabolismo ossidativo perché hanno alte richieste energetiche (muscolo scheletrico, muscolo cardiaco, sistema nervoso centrale, retina, rene) e di conseguenza sono anche particolarmente vulnerabili a blocchi, anche parziali, della funzione mitocondriale. Ne consegue che varie malattie mitocondriali sono multisistemiche e non di puro interesse neurologico.
Oggi si parla di “cardiopatie mitocondriali”, di “diabete mitocondriale”, insomma di medicina mitocondriale, un termine coniato da Rolf Luft dell’Università Karolinska di Stoccolma, il quale, nel 1962, descrisse la prima paziente con una chiara malattia mitocondriale. Quando poi le mutazioni responsabili della patologia in questione colpiscono l’mtDNA (oltre cento mutazioni puntiformi dell’mtDNA sono state descritte), sia la trasmissione che la gravità della malattia obbediscono a regole diverse da quelle descritte dall’abate Mendel per il DNA nucleare. E’ così che un nuovo capitolo di genetica umana (la genetica mitocondriale) è entrato a far parte della pratica medica.
Schematicamente, le differenze fondamentali tra genetica mendeliana e genetica mitocondriale sono tre. Innanzitutto, nella fecondazione i mitocondri (e l’mtDNA) vengono trasmessi all’embrione solo dalle cellule uovo, non dagli spermatozoi. Quindi l’mtDNA (ma anche, ahimè, le sue mutazioni e le malattie che ne conseguono) si ereditano per via strettamente materna. In secondo luogo, poiché l’mtDNA è presente in ogni cellula in migliaia di copie, le mutazioni deleterie possono interessare tutte le molecole (una situazione che si chiama omoplasmia) oppure solo una parte delle cellule di mtDNA (eteroplasmia). Di conseguenza, l’espressione della malattia dovuta a quella particolare mutazione dipenderà dalla proporzione di mtDNA mutato e normale. E’ intuitivo, a questo punto, che ci vorrà una minima quantità critica di mtDNA mutato in un tessuto (o, estrapolando, in un individuo) prima che la disfunzione mitocondriale e i sintomi della malattia si facciano manifesti. Questo fenomeno è stato chiamato effetto soglia.

Ma che tipo di patologie sono in generale le malattie mitocondriali?
E’ chiaro, a questo punto, che esse sono le più varie sia dal punto di vista genetico che da quello clinico. Geneticamente, possono essere ereditarie o sporadiche. Se ereditarie, possono trasmettersi per via mendeliana o materna. Clinicamente, possono colpire molti tessuti o uno solo (per esempio il muscolo scheletrico). Poiché il meccanismo patogenetico di base è una “crisi energetica”, si tratta in genere di malattie a decorso progressivo e con prognosi spesso infausta.

Come si collocano in particolare le miopatie mitocondriali in questo panorama?
A volte, la disfunzione mitocondriale interessa solo il muscolo scheletrico e causa delle miopatie pure. Perché? Ci sono due spiegazioni principali. Se si tratta di mutazioni in geni nucleari, queste possono coinvolgere proteine espresse solo nel muscolo. Se si tratta invece di mutazioni nell’mtDNA, queste possono essere in numero sufficientemente alto da superare la “soglia” critica solo nel muscolo, mentre in altri tessuti sono presenti in quantità minore e quindi sono clinicamente “mute”.
Spesso le miopatie mitocondriali coinvolgono i muscoli extraoculari e palpebrali, causando paralisi dei movimenti oculari (oftalmoparesi) e palpebre cadenti (ptosi). In altri pazienti, la miopatia mitocondriale si manifesta con facile e prematuro affaticamento, anche dopo un esercizio modesto e, talvolta, con crisi di mioglobinuria dopo uno sforzo più intenso.

Ci sono delle terapie?
Purtroppo la terapia delle miopatie mitocondriali è ancora poco efficace. In genere si prescrivono dei “cocktail” di vitamine e cofattori, quali la L-carnitina e il coenzima Q10, che proteggono contro le conseguenze metaboliche dei difetti della catena respiratoria. Nonostante questo possa apparire paradossale, l’esercizio aerobico moderato (sotto la guida di fisioterapisti preparati) non solo protegge contro il decondizionamento da riposo forzato, ma anche migliora le prestazioni muscolari. In altre parole, anche un muscolo malato può essere allenato a fare meglio.
Per le miopatie dovute a mutazioni dell’mtDNA, una grande speranza è quella di riuscire ad abbassare la proporzione dell’mtDNA mutato e aumentare quella dell’mtDNA normale, sia pur di poco. Proprio a questo vari gruppi - incluso il nostro - stanno lavorando.

Guardando più in generale alle malattie neuromuscolari, per quali di esse si possono intravedere i progressi terapeutici più importanti?
Domanda difficile perché i ritmi della scienza sono sempre imprevedibili. Nonostante lo straordinario progresso nelle nostre conoscenze delle cause molecolari delle malattie neuromuscolari, la comprensione dei meccanismi patogenetici rimane infatti incompleta. Questa ignoranza preclude efficaci interventi “a valle”, cioè diretti non alla causa prima della malattia, ma intesi a bloccare una o più delle sue conseguenze patologiche (risultati modesti si sono ottenuti con i corticosteroidi nella distrofia di Duchenne).
La terapia genica resta una speranza, anche se a volte appare inafferrabile. Promuovere l’espressione di proteine affini a quella deficitaria (per esempio l’utrofina al posto della distrofina) è un’altra possibilità che appare promettente. Infine, l’uso di cellule staminali è la nuova grande promessa, ma è troppo presto per fare previsioni sui tempi.

Di fronte ai grandi sviluppi della genetica, che hanno saputo riconoscere cause del tutto diverse per malattie del muscolo prima accomunate da una dicitura generica, ha ancora senso parlare oggi di una ricerca rivolta in generale alle malattie neuromuscolari e proporre questo settore di ricerca come un ambito unitario?
La genetica, per quanto entusiasmante, non ha cambiato la realtà clinica. Oggi, come cent’anni fa, il clinico fa diagnosi di miopatie dei cingoli, tanto per fare un esempio, non di deficienza di caveolina 3. Lo stesso clinico, se attento e aggiornato, chiederà che si faccia uno studio di varie proteine, inclusa la caveolina 3. La conoscenza della proteina deficitaria aiuterà nell’assistenza genetica e, speriamo presto, nella scelta di una terapia mirata. Ma finché non avremo risolti tutti i problemi relativi alle malattie neuromuscolari, la ricerca su questo gruppo di infermità resta giustificata ed importante.
 

 

" Articolo tratto da DM, periodico dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. http://www.uildm.org "

 

 


Le tre fai della respirazione cellulare

La respirazione ha luogo in tre fai: glicolisi, ciclo di Krebs,  catena respiratoria; la prima fase ha luogo nel citoplasma,le altre due nei mitocondri.

Nelle prime due fasi gli atomi di idrogeno vengono staccati dal carbonio e trasferiti a composti detti accettori di elettroni. Gli accettori di elettroni che operano nella glicossi e nel ciclo di Krebs sono il NAD(nicotinide-adenin-dinucleotide) e il FAD (flavin-adenin-dinucleotide); ambedue hanno una struttura nucleotidica, come l’ATP. Sia il NAD che il FAD hanno la proprietà di accettare due atomo di ifrogeno.

Nella terza fase della respirazione ha luogo un trasporto di elettroni da livelli energetici più alti a livelli energetici più bassi. Il processo si compie mediante passaggi sucessivi attraverso una serie di composti trasportatori di elettroni, detti citocromi.  I citocromi hanno la struttura chimica simile a quella dell’emoglobina: un anello porfirinico al quale è unita una lumga coda proteica. La serie di citocromi costituisce la catene respiratoria, che è localizzata nei mitocondri ed è collegata agli enzimi che operano la ricarica dell’ADP, trasformandolo in ATP.

Glicolisi

Durante la glicolisi la molecola del glucosio, a 6 atomi di carbonio,, viene scissa in 2 atomi di piruvato, conposto da 3 atomi di carbonio: la scissione del glucosio ha luogo mediante una serie di 9 reazioni distinte, che costituiscono altrettante tappe durante le quali 2 molecole di ATP si trasformano in ADP e 4 atomo di idrogeno vengono trasferiti al NAD.

        
              

                                         

Tappa 1. La glicolisi ha inizio con la liberazione di energia, dovuta alla trasformazione di 1 molecola di ATP in ADP. Il radicale fosforico terminale dell’ATP viene trasferito in posizione 6 della molecola di glucosio; una parte dell’energia liberata viene impiegata per il decorso della reazione e un’altra parte viene posta in riserva nel legame chimico che unisce il fosfato alla molecola dello zucchero. La reazione è catalizzata dall’enzima specifico esochinasi.

L'esochinasi è un enzima che dipende molto dalla presenza di magnesio, infatti questa molecola è presente nel proprio sito attivo, ed è specifica per ogni esoso; tuttavia a dispetto di altri enzimi specifici questo ha un'affinità anche per altri zuccheri(ad es. il mannitolo)(la sua Km si aggira su 10 − 6M). L'atomo di magnesio è in grado di formare dei complessi con i gruppi fosfato della molecola di ATP.
Sono note almeno sei varietà di esochinasi. Una di esse, la glucochinasi, ha una Km di circa 102M. Il glucosio intracellulare è spesso in concentrazione molto alta, tale da saturare l'esochinasi; in tal caso allora interviene anche la glucochinasi come supporto. Il glucosio-6-fosfato che si viene a formare è in grado di inibire l'attività dell'esochinasi ma non quella della glucochinasi.
Il glucosio-6-fosfato può avere differenti destini in quanto può andare avanti con la glicolisi ma può anche essere inserito nella glicogenosintesi o formare una scorta che permane all'interno della cellula.

 

 

 

Tappa2. La molecola viene riorganizzata, ancora con l’aiuto di un particolare enzima, e l’anello esagonale del glucosio diviene l’anello pentagonale del fruttosio.

Glucosio e fruttosio hanno lo stesso numero di atomi C6H12O6 , e differiscono solo per la disposizione spaziale di tali atomi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa3. Questa tappa è simile alla prima e consiste nell’unione di un altro gruppo fosfato alla molecola di fruttosio, che diviene fruttosio-1. 6-Difosgùfato, cioè fruttosio con 2 radicali fosforici, in posizione 1 e in posizione 6. Anche questa reazione è catalizzata da un enzima specifico(i nomi degli enzimi si riconoscono perche terminano col suffisso -asi).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 4. In questa reazione l'enzima aldolasi catalizza la scissione del fruttosio-1,6-bifosfato in diidrossiacetone fosfato e gliceraldeide-3-fosfato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 5. La gliceraldeide-3-fosfato è la molecola che va avanti nella glicolisi ma essa è facilmente intercambiabile, ad opera di una trioso fosfato isomerasi, con il diidrossiacetone fosfato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 6.  Con questa reazione si entra nella seconda parte della glicolisi.
La gliceraldeide-3-fosfato viene mutata in 1,3-bifosfoglicerato dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi.

Si tratta di una reazione in cui ad una ossidoriduzione (che porta alla formazione di NADH dal NAD+) si accompagna una fosforilazione. Il potenziale di ossidazioe viene conservato sotto forma di potenziale riducente presente sul NADH, il quale cederà i suoi elettroni alla catena respiratoria per la produzione di molecole di ATP. L'1,3-bifosfoglicerato è un composto ad altissima energia con un ΔG di idrolisi di circa -49,4 KJ/mole

 

 

 

 

 

 

Tappa7. A questo punto inizia la vera fase di recupero. L'1,3-bifosfoglicerato cede un gruppo fosfato ad una molecola di ADP per generare ATP. La reazione è catalizzata dalla fosfoglicerato chinasi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 8. Ad opera della fosfoglicerato mutasi il gruppo fosfato presente sul C3 viene spostato sul C2. In pratica, l'enzima viene fosforilato su un residuo amminoacidico, il gruppo fosfato viene trasferito sul C2 e il fosfato presente sul C3 viene trasferito sull'enzima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 9. Questa reazione, catalizzata dalla enolasi, porta alla formazione di fosfoenolpiruvato, un composto ad alta energia, ed acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tappa 10. Nell'ultima tappa il fosfoenolpiruvato, ad opera della piruvato chinasi, viene idrolizzato in enolpriuvato ed il gruppo fosfato viene ceduto ad un ADP per formare ATP.

 

 

 

La forma enolica del piruvato possiede un potenziale energetico alto ma è molto instabile, quindi tramite una tautomeria cheto-enolica, con la dislocazione degli elettroni dall'atomo di ossigeno all'atomo di carbonio, viene trasformato in piruvato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla glicolisi al ciclo di Krebs.

In presenza di ossigeno le 2 molecole di purivato vengono scisse completamente, fino ad anidride carbonica e acqua, liberando la restante energia contenuta nei legami chimici. Queste reazioni, che costituiscono il ciclo di Krebs e la catena respiratoria, hanno luogo nei mitocondri. Prima di passare a queste fasi finali ciascuna delle 2 molecole di purivato (a 3 atomi di carbonio) viene ossidata dando luogo alla formazione di 1 molecola di anidride carbonica ed a un gruppo detto acetile (a 2 atomi di carbonio). L’acetile si combina poi con 1 composto chiamato coenzima A (CoA):  

Questa reazione produce 1 liberazione di energia, poiché una molecola di NAD diviene NADH (NAD ridotto) anche i grassi e gli amminoacidi possono essere scissi per ricavarne energia, nel qual caso pure essi vengono convertiti in acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs insieme all’acetil-CoA derivante dagli zuccheri.

 

 

Il catabolismo delle molecole "combustibili" di glucosio e di acidi grassi, tramite la Glicolisi e la beta ossidazione, produce Acetil-CoA, un gruppo acetile legato al coenzima A. L'acetil-CoA è il principale input del Ciclo, ma non meno importanti sono i cofattori ossidati NAD+ e FAD. Il Citrato è sia il primo che l'ultimo prodotto del Ciclo (Fig. 1) ed è rigenerato attraverso la condensazione dell'Acido ossalacetico con acetil-CoA.

 

             

  1. Catabolismo proteico
  2. Catabolismo dei grassi
  3. Carboidrati
  4. Amminoacidi
  5. Acetil-CoA
  6. Piruvato
  7. Ciclo dell'Acido citrico

           

             

            

        

http://it.wikipedia.org/wiki/Glicolisi

  

Con il termine "catabolismo" s'intende l'insieme dei processi metabolici che hanno come prodotti sostanze strutturalmente più semplici e povere di energia.  I prodotti finali del catabolismo sono detti cataboliti. Il loro smaltimento è detto escrezione.

 

 

          

 

 

 

Il ciclo di Krebs.

Nel ciclo di Krebs il gruppo acetile si distacca dal CoA e si unisce ad una sostanza di 4 atomi di carbonio, l’acido ossalacetico, formato da 1 composto da 6 atomi di carbonio, l’acido citrico. Durante il ciclo di Krebs l’acido citrico viene ossidato finio ad anidride carbonica e acido ossalacetico; l’energia ricavata da questo processo viene impiegata per ottenere 2 molecole di ATP (da NAD). La molecola di glucosio è ora completamente ossidata.

L’cido assalacetico che si forma nell’ultima tappa del ciclo di Krebs viene nuovamente impiegata per essere unita a un nuovo gruppo acetile e il ciclo si ripete indefinitamente. L’esistenza di sistemi ciclici, come quello ora descritto, consente alla cellula di operare con grande efficienza ed economia. In un laboratorio chimico per ottenere per ottenere un determinato prodotto terminale si ha di solito una quantità notevole superiore di sottoprodotti e di sostanze di rifiuto (motivo per il quale diviene così pressante il problema dell’inquinamento industriale). Nella cellula, invece, i prodotti di rifiuto (anidride carbonica e acqua, nel caso del ciclo di Krebs) sono di norma in quantità ridotta e facilmente facile da smaltire.

 

Catena respiratoria.  

Nella catena respiratoria gli elettroni accettati dal NAD e dal FAD durante le precedenti reazioni passano attraverso 1 serie trasportatori di elettroni. Procedendo nella catena dei trasportatori, gli elettroni passano a livelli energetici inferiori e l’energia liberata viene trasferita a molecole di ATP. Alla fine della catena respiratoria gli elettroni, insieme ad altrettanti protoni (ioni idrogeno), si combinano con l’ossigeno per formare acqua. Ogni volta che una coppia di elettroni passa dal NAD all’ossigeno si formano 3 molecole di ATP da ADP e fosfato; ogni volta che una coppia di elettroni passa dal FAD (che evidentemente li mantiene a un livello leggermente inferiore) all’ossigeno si formano 2 molecole di ATP. Complessivamente, come risulta dalla tabella 1.1, la scissione di una molecola di glucosio produce la formazione di 38 molecole di ATP. Il processo della respirazione cellulare ha luogo in tutte le cellule, dai semplici organismi unicellulari, come l’ameba e il paramecio, alle cellule specializzate dei vari tessuti che costituiscono i più complessi organismi pluricellulari, come l’uomo. In tutte queste cellule, così diverse tra loro, almeno in apparenza, operano le stesse strurrure, i mitocondri, e gli stessi corredi enzimatici. La scoperta delle tappe attraverso le quali procede la respirazione cellulare è una delle più grandi conquiste della biochimica; la natura dei rapporti esistenti tra i trasportatori di elettroni e gli enzimi che operano nella trasformazione dell’ADP in ATP non è stata completamente chiarita ed è tuttora oggetto di studio. L’universalità del processo che, ad eccezzione di alcuni casi particolari si verificano con le stesse modalità in tutte le cellule viventi ed è un altra dimostrazione dell’efficienza e della precisione con le quali la cellula svolge la sua attività.

 

                                    Tab. 1/1    

Glicolisi

 

2 NADH   -------> 6 ATP   

                                          ] ------------>  8 ATP

                            2 ATP                           

Da piruvato

ad acetil-CoA

 

1 NADH  -------> 3 ATP   ------------->     (x2)   6 ATP

 

Ciclo di Krebs

 

3 NADH  ------->  9 ATP  

1 FADH   ------->  2 ATP   ] --------->   (x2)  24 ATP

 

                            1 ATP

 

              

 

                                 ATP

    

 O=ossigeno (8)

 P=Fosforo (15)

 N=Azoto (7)

 H=idrogeno (1)

 C=carbonio (6)

 


 

 

Amminoacidi o aminoacidi

Le proteine alimentari, a parte alcune eccezioni, non sono utili in quanto tali, ma come fonte di amminoacidi. Infatti l'organismo scinde tramite la digestione le proteine alimentari negli amminoacidi che le costituiscono, per poi ricostruire le proprie proteine e altre molecole di importanza biologica.
Inoltre non tutti i venti amminoacidi sono necessari, ma solo nove, poiché gli altri possono essere sintetizzati dall'organismo a partire da altre sostanze.

Gli aminoacidi non servono solo nell'anabolismo muscolare; alcuni di essi vengono anche utilizzati a fini energetici. Il processo (gluconeogenesi) per il quale alcuni aminoacidi vengono trasformati in glucosio (poi usato come fonte energetica) dipende dall'intensità del lavoro e dalla durata: in un lavoro leggero di circa 40' solo il 4% dell'energia proviene dalle proteine, mentre in un lavoro intenso della stessa durata si arriva a un contributo del 15%; dopo 4 ore di lavoro leggero ben il 45% del glucosio liberato dal fegato proviene dalle proteine. Particolare importanza per il processo che ottiene energia dalle proteine rivestono i tre aminoacidi ramificati, (isoleucina, leucina, valina), così chiamati per la loro struttura.

 

Amminoacidi essenziali

Gli amminoacidi che l'organismo non è un grado di autoprodurre si chiamano essenziali e sono in tutto 8: triptofano, fenilalanina, lisina, treonina, valina, leucina, isoleucina e valina. I neonati non sono in grado di sintetizzare anche arginina e istidina.
Il fabbisogno di amminoacidi essenziali è massimo durante i primi mesi di vita, e diminuisci con l'età in quanto l'organismo diventa sempre più efficiente nel riciclare gli amminoacidi essenziali. Anche il fabbisogno di amminoacidi totali (e quindi di proteine alimentari) diminuisce con l'età, ma in misura minore rispetto a quello di amminoacidi essenziali.

Gli amminoacidi ramificati sono: la leucina, l'isoleucina e la valina.

C'è chi sostiene che gli integratori di BCAA (ramificati) bypassino il metabolismo epatico per arrivare direttamente nei muscoli.

I ramificati hanno funzioni energetiche, aumentano la resistenza muscolare, hanno un'azione anticatabolica.Se presi dopo le sessioni di allenamento, velocizzano di conseguenza il recupero.

C'è chi sostiene che gli integratori di BCAA (ramificati) bypassino il metabolismo epatico per arrivare direttamente nei muscoli.

Consiglio l'utilizzo degli aminoacidi ramificati negli allenamenti dimagranti, negli allenamenti di definizione muscolare, negli allenamenti dove prevale la resistenza muscolare.

Dosaggi dei  BCAA: 10-15 grammi a stomaco vuoto con 10 grammi di miele, metà prima dell'allenamento e l'altra metà subito dopo.

 

 

la fase anticatabolica di definizione in cui si segue una dieta ipocalorica per perdere tutto (o più) il grasso guadagnato nella precedente fase. Assieme a questa perdita di grasso vi è anche una perdita di massa magra, questa perdita dovrebbe essere minima e si dovrebbe limitare ad un rapporto di 2:1 (1 Kg di massa magra persa ogni 2 Kg di grasso perso).

 

L’anabolismo è il processo per cui una cellula viene “costruita”, partendo dai nutrienti semplici ottenuti dal suo ambiente. Poiché l’anabolismo ha come risultato la sintesi biochimica di nuovo materiale, è spesso chiamato biosintesi.

Il catabolismo è il processo per cui le sostanze chimiche vengono degradate e l’energia rilasciata

Il metabolismo è il risultato complessivo delle reazioni anaboliche e cataboliche.

 

 

 

Viene definita gluconeogenesi la produzione di glucosio partendo da precursori non saccaridici.

La gluconegenesi serve per sopperire alle mancanza di energia

La gluconeogenesi avviene prevalentemente nel fegato e, in minima parte, nella corteccia renale.
La gluconeogenesi è energeticamente costosa, la reazione che consente di sintetizzare glucosio partendo dal piruvato

Per quanto riguarda il fenomeno della gluconeogenesi, e cioè di quel meccanismo per cui l'organismo produce zuccheri smantellando le proteine corporee, va detto che esso non insorge immediatamente ma solo dopo un digiuno totale prolungato per diversi giorni.

Prima che si consumino le riserve di grasso passa del tempo. Inoltre la produzione di zuccheri ed energia attraverso la lisi delle proteine (e quindi dei muscoli in assenza di cibi proteici) è un meccanismo che l'organismo utilizza solo dopo che viene messo proprio alle strette.

l'organismo sintetizza il glucosio a partire dagli aminoacidi, dai grassi e dai corpi chetonici, tramite la gluconeogenesi (sia gli aminoacidi che i grassi presentano carbonio, idrogeno ed ossigeno, necessari alla formazione dei carboidrati).

 

 


 

 

 

Tavola periodica degli elementi

 

Gruppo

1

2

3

 

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

 

Periodo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1

1

H

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2

He

2

3

Li

4

Be

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5

B

6

C

7

N

8

O

9

F

10

Ne

3

11

Na

12

Mg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

13

Al

14

Si

15

P

16

S

17

Cl

18

Ar

4

19

K

20

Ca

21

Sc

 

22

Ti

23

V

24

Cr

25

Mn

26

Fe

27

Co

28

Ni l

29

Cu

30

Zn

31

Ga

32

Ge

33

As

34

Se

35

Br

36

Kr

5

37

Rb

38

Sr

39

Y

 

40

Zr

41

Nb

42

Mo

43

Tc

44

Ru

45

Rh

46

Pd

47

Ag

48

Cd

49

In

50

Sn

51

Sb

52

Te

53

I

54

Xe

6

55

Cs

56

Ba

57

La

*

72

Hf

73

Ta

74

W

75

Re

76

Os

77

Ir

78

Pt

79

Au

80

Hg

81

Tl

82

Pb

83

Bi

84

Po

85

At

86

Rn

7

87

Fr

88

Ra

89

Ac

*
*

104

Rf

105

Db

106

Sg

107

Bh

108

Hs

109

Mt

110

Ds

111

Rg

112

Uub

113

Uut

114

Uuq

115

Uup

116

Uuh

117

Uus

118

Uuo

  

* Lantanidi

58 Ce

59
Pr

60
Nd

61
Pm

62
Sm

63
Eu

64
Gd

65
Tb

66
Dy

67
Ho

68
Er

69
Tm

70
Yb

71
Lu

** Attinidi

90
Th

91
Pa

92
U

93
Np

94
Pu

95
Am

96
Cm

97
Bk

98
Cf

99
Es

100
Fm

101
Md

102
No

103
Lr

 

Serie chimiche della tavola periodica

Metalli alcalini

Metalli alcalino terrosi

Lantanoidi

Attinidi

Metalli del blocco d

Metalli del blocco p

Metalloidi

Nonmetalli

Alogeni

Gas nobili

 

 

 

 

 

Home | mi presento | informazioni mito | diagnostica | malattie mito | indirizzi | informazioni varie | farmaco gratuito | depressione | deglutizione | respirazione | glossario | in rete | medicine | periodicoDM | referendum | sla | posta | riflessioni | mappa sito

Ultimo aggiornamento: 21-06-06