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Alessandro Miani

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Miani & Feet (amr277)...

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Miani & feet
Alessandro Miani
(2006)


Questo è un lavoro aleatorio, nulla è stato scritto a priori, le registrazioni sono uniche e non vi è alcun tipo di elaborazione.

Il procedimento è semplice: si improvvisa una base che può essere di batteria o chitarra (è capitato in [02] che la prima registrazione fosse quella della parte melodica), ma rigorosamente senza metronomo, sopra poi, senza riascoltarla viene eseguita la parte melodica. Ne risulta tanta freschezza esecutiva, accentuata dall’errore (elemento quindi indeterminato) valorizzando ancor più questo lavoro, che già di per se è “veramente suonato”.

Nel disco non vi è alcuna intenzione di creare un qualcosa di piacevole e già sentito (almeno sul piano chitarristico). Paradossalmente, pur essendo un lavoro per (quasi) sola chitarra, non è affatto un disco chitarristico; esclusione fatta per [10] col chiaro intento imitativo di alcuni fraseggi chitarristici, e le citazioni sarcastiche di [15], che in gergo giovanile (ed usato in questo contesto) significa “che siluro!”, ovviamente riferito alla velocità della grancassa e delle note sparate a 1000 all’ora dai solisti nel metal!

A differenza del precedente Alessandro Miani (2005), questo lavoro segna l’avvio alla ricerca di un proprio linguaggio, non più limitato al solo livello semantico (il disco precedente girava tutto attorno alla citazione), ma propriamente tecnico ed espressivo. Questo è riassumibile in “un chitarrista che non suona come tale”, molta importanza è data alla multi e poliritmia, con un grande utilizzo di pause staccati e legati. Linguaggio nato dalle appoggiature di Mozart, dalla multimetria di Stravinskij e dalla polimetria di Ligeti, nonchè dall’utilizzo dell’atonalità di Schönberg, ma non dodecafonia, in quanto il mio lavoro non è stato precedentemente scritto e quindi organizzato.

Il disco è diviso in due parti, parte acustica e parte elettrica, la prima ha un carattere più intimo, caldo, si sente il legno, la seconda purtroppo è più fredda e meno caratteristica, avvicinabile per la sonorità al grande lavoro di Captain Beefheart (Trout mask replica).

Di non poca importanza è l’elemento rumoristico, come può essere il rumore del computer e della sedia, questa usata anche ritmicamente in [06] prima del motivetto più accattivante. Ed anche la chitarra viene usata come generatore di rumore, ma soprattutto come strumento a percussione, andando a pescare effetti tipo xilofono in prossimità del ponte. Non manca nemmeno l’indeterminazione di Cage, con il telefono che suona in [13] e gente che urla ([03]), questi divantano quasi feticci, al limite del Kitsch!

È l’utilizzo degli stilemi dei vari generi a creare le sfumature lungo la linea continua dell’atonalità, [16] è un esempio di come pur non avendo alcun riferimento tonale, il pezzo può essere catalogato come reggae, [13] una love ballad e [09] un brano blues. Prticolarmente interessante questo, in quanto le tre chitarre hanno un loro flusso ritmico indipendente.

In questo lavoro si dimostra che una buona forma (come può essere [04]) o una ritmica marcata e caratteristica ([05] omaggio a Stravinskij) ed un linguaggio ben definito, concorrono al risultato finale pur tralasciando la “bella melodia”; l’opera è compatta (per quel che riguarda la prima parte). Possiamo dire che è un disco “free”... free non so cosa, ma free!


Prima parte di [01] dopo la breve introduzione

 

 

Struttura ritmica di [09]

 

 

 

Melodia accattivante di [06]

 

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