Le
tartarughe vedevano sempre il Giro d'Italia e alla fine venne anche
a loro la voglia di correre in bicicletta. Difatti comperarono delle
biciclette, con molti sforzi impararono a suonare il campanello e a
montare in sella e, quanto a pedalare, ci misero un po' di più, ma
alla fine ci riuscirono.
Figuratevi che festa, il giorno della partenza! Una dozzina di
tartarughe - scelte per partecipare alla corsa - si erano fatte
dipingere la corazza a strisce di tutti i colori, col numero e la
marca della bicicletta: Bianchetti, Legnetti e più ne hai più ne
metti.
Tutte le altre tartarughe si distesero lungo il percorso, per fare
il tifo. Una tartaruga più grossa delle altre fece la parte
dell'automobile della giuria, e sulla sua schiena presero posto i
giudici e i giornalisti con gli occhiali neri.
Fu dato il segnale della partenza e i corridori cominciarono a
correre, il più piano possibile per non stancarsi.
L'automobile della giuria però non poté partire, perché la tartaruga
autista si era bell'e addormentata. I giurati, troppo pigri per
seguire la corsa con le loro gambe, la imitarono mettendosi ben
presto a russare.
I corridori, fatti pochi passi, si dispersero nel bosco a cercare
qualche mucchietto di foglie secche per riposare. Il pubblico, non
vedendo arrivare la corsa, si stancò di aspettare e si addormentò.
Per farla breve, dieci minuti dopo il segnale di partenza dormivano
tutti quanti. E non si seppe mai chi avesse vinto la corsa, perché
al traguardo non arrivò nessuno.
Povere tartarughe! Ma non somigliano a quei bambini che dicono "Farò
questo, farò quello", e poi se ne dimenticano per la strada?
(da G.
Rodari, "Zoo di storie e versi", Torino, Einaudi, 1995)
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