Il feudo di Caccuri dal XVII al XX secolo

                                                      
                                                                          

       La storia del feudo di Caccuri nel periodo compreso tra la seconda metà del Seicento e gi inizi del Novecento è assai interessante e spesso, come vedremo, incrocia e si fonde anche con la grande storia del Regno meridionale e del Regno d'Italia. In pratica si ripete un po' quello che si verificò nel XV secolo quando l'incontro tra i Ruffo, signori di Caccuri e Francesco Sforza, il figlio di Muzio Attendolo e futuro duca di Milano, consentì l'ascesa alle più alte vette della politica nazionale ed europea della famiglia Simonetta e di Cicco, il più illustre esponente della casata.

                                                        
                                                      
Francesco Sforza                                           Cicco Simonetta
               


       Nel 1651 il barone cosentino Antonio Cavalcanti, nato l'8 marzo del 1608, comprò  all’asta con Regio Assenso del 17-3-1651, il feudo di Caccuri che apparteneva ai Cimino e che lo avevano perso pare per i molti debiti che avevano accumulato. Uno di loro, il barone Francesco, poco tempo prima della morte che lo colse a Roma nel 1608, a detta del Barrio, aveva donato la somma di 3.000 scudi annui  al seminario dei Carmelitani Scalzi di S. Maria della Vittoria. (1) A Roma il barone Cimino, che aveva in mente di far costruire una struttura nella quale accogliere i ragazzi turchi catturati dai cristiani per insegnare loro la religione cristiana, convertirli e rimandarli in patria come missionari a diffondere il cattolicesimo, incontrò lo spagnolo Giovanni di sant’Eliseo, Roldàn, che lo convinse a finanziare il  recupero del Monte Carmelo, la residenza dei Carmelitani impegnati nella loro missione di redimere gli infedeli. (2) Erano tempi nei quali la povera gente di Caccuri moriva di fame costretta a spaccarsi la schiena sui campi dei baroni e a pagare ogni sorta di balzello  al feudatario e la decima alla Chiesa, i bambini caccuresi morivano di stenti e di malattia, uomini, donne, vecchi, bambini, animali vivevano promiscuamente nelle grotte di Filezzi e, i più fortunati, in qualche tugurio del Trabucco o della Iudeca, ma il nobile barone Francesco destinava cospicue risorse alla redenzione degli infedeli.  Così  il pubblico incantatore del Sacro Real Consiglio procede a vendere la Terra di Caccuri preso atto del fallimento del barone Giovanbattista Cimino aggiudicandolo al barone Antonio Cavalcanti del quondam Marzio. Il valore complessivo del feudo viene valutato in 54042 ducati comprese le entrate burgensatiche quelle, cioè, provenienti da terreni posseduti liberamente e non per concessione regia. L'estensione era di 1524 ettari pari a quasi un quarto dell'attuale estensione del Comune; il resto delle terre era quasi tutto mano alla Chiesa. 
   

                                              
                                   
Stemma araldico dei Cavalcanti

                            
    
Il Cavalcanti, appena acquistato il feudo provvide immediatamente a ristrutturare la dimora situata nella parte più alta del paese nel luogo ove si   presume possa essere stato costruito nel VI secolo dopo Cristo un castro bizantino a difesa della valle del Neto dall'invasione longobarda. All'interno della dimora il duca fece erigere anche una bellissima cappella privata e, nel 1669 ottenne l' "indulto caratteri privati in domo sua habitatonis", in pratica la consacrazione della chiesetta privata. 

                    
  
Palazzo dei calavcanti di Caccuri (Castello Barracco)- Stanza del Peccato originale

    Sul feudo gravavano numerosi vincoli o jus a favore dell'Abazia florense o della Mensa Vescovile di Cerenzia, diritti a volte ceduti dall'Università di Caccuri  sia al barone che alla Chiesa, vincoli che don Antonio, a differenza dei suoi discendenti, rispettò.
    Nel 1676, alla morte di don Antonio gli successe il figlio primogenito Marzio che assunse il titolo di Duca di Caccuri. Don Marzio, a differenza del padre, entrò in conflitto con gli abati commendatari dell'Abbazia florense per la sua pretesa di far pascere gli animali nei terreni dell'Abbazia  concessi a suo tempo all'abate Giocchino dall'imperatore Enrico VI. Memorabili le battaglie condotte in passato tra i monaci basiliani del monastero dei Tre fanciulli che si ritenevano spogliati dei loro beni dall'abate di Celico e i florensi, ma altrettanto memorabili furono quelle che videro i religiosi sangiovannesi contrapposti ai duchi caccurese condotte a base di sequestri e bastonature di porci e di vacche.
   Il 26 gennaio del 1694 moriva don Marzio e gli succedeva il figlio quarantenne Antonio, che assunse il titolo di 2° Duca di Caccuri e che, come il padre, riprese immediatamente le ostilità contro i monaci sangiovannesi. 
      Il 9 settembre dello stesso anno  ordinò a un suo dipendente di condurre una mandria di 33 maiali in un pascolo di Vorga Negra  di proprietà dell'Abbazia. I guardiani florensi, prontamente accorsi a difendere i confini, sequestrarono le bestie e le condussero a San Giovanni in Fiore. Il Duca, appresa la cosa, spedì prontamente un gruppo di suo scherani a vendicare l'offesa e a punire i temerari, ma "gli angeli della vendetta" riuscirono solo a mettere le mani su di una ottantina di altri porci di mercanti sangiovannesi che tornavano dalla fiera di Molerà (3) e a condurli trionfalmente in Caccuri. Al momentaneo pareggio caccurese seguì il nuovo vantaggio sangiovannese che si concretizzò, il giorno dopo, con la cattura di numerose vacche del Cavalcanti che fecero a loro volta un trionfale ingresso in San Giovanni in Fiore. Questa ennesima bravata costò cara ai discendenti di Gioacchino, 36 dei quali finirono agli arresti per una quindicina di giorni. Per fortuna la controversia fu risolta anche grazie all'intervento di  mons. Muzio de Gaeta, governatore di Loreto che potrebbe essere un quinto vescovo caccurese o, quantomeno un vescovo di origini caccuresi. Purtroppo non sono riuscito a trovare riscontri inoppugnabili a questa tesi e la supposizione si basa solo sul fatto che quando Marino Marzano, principe di Rossano, figlio di Covella Ruffo  e cognato del re di Napoli Ferdinando I d'Aragona, nel 1459 si ribellò al sovrano, fra i ribelli vi era un tale Hector de Cayeta da Cacurro in seguito perdonato anche a seguito di un autorevole intervento di di Cicco Simonetta (tum maxime per respecto del magnifico Cecho secretario dell' Ill.mo Sig. Duca di Milano per respecto del quale volimo che esso Hector è parente del dicto Cecho, siano favoriti et guardative dal fare lo contrario per quanti avite nostra gratia cara."(4) Ciò farebbe pensare all'esistenza di una famiglia di de Gaeta a Caccuri della quale don Muzio potrebbe essere un discendente.  L'intervento del monsignore era stato sollecitato dal fratello Ottavio che era cognato del duca Don Antonio. 
     Le controversie tra i Cavalcanti e i religiosi si protrassero per oltre un secolo, ma né i nobili caccuresi, né quelli cerentinesi riuscirono mai a avere ragione dei florensi che, in ogni udienza e davanti ad ogni autorità del Regno tiravano sempre fuori le vecchie carte del XIII secolo grazie alle quali incamerarono tutti i beni del basiliani. 
   Il 3 novembre del 1709, all'età di 55 anni, si spegneva il battagliero don Antonio a succedergli fu il figlio primogenito don Marzio juniore, 3° Duca di Caccuri. Il nuovo duca aveva due fratelli, Francesco Antonio, nato  a Caccuri il  22 ottobre 1695   e Domenico Andrea, nato a Caccuri il 26 ottobre del 1698; entrambi sarebbero poi diventati arcivescovi; il primo di Cosenza, dal 1743 al 1748, il secondo di Trani. 
   Don Marzio ebbe diversi figli. Il primogenito, Antonio,   rinuncerà al diritto di successione per diventare cavaliere di Malta. Nacquero poi Rosalbo, futuro duca dopo la rinuncia del fratello, Maria Teresa, Maria Gabriella, Maria Battista e Maria Michela, tutte monache professe nel Monastero di Santa Chiara di Cosenza. Fu don Marzio juniore che il 4 gennaio del 1750, con un ridondante documento "Dato in Caccuri dal castello di nostra residenza" donò alla Congregazione del Santissimo Rosario di cui era priore il figlio Antonio il fondo Vignale.
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La cappella del SS. Rosario

   
A don Marzio, morto il 5 agosto del 1752 succede, come ho già detto, il secondogenito Rosalbo.  Fu durante il ducato di don Rosalbo che un incendio scoppiato per cause fortuite il 1° luglio del 1769 distruse quasi completamente la chiesa di Santa Maria delle Grazie.
    Alla morte di don Rosalbo, il 21 febbraio del 1781 gli succedette il figlio Gaetano Maria, quinto duca di Caccuri. Gaetano Maria arricchì la cappella del castello con un altare rococò impreziosito da stucchi. Din Gaetano sposò in prime nozze la nobildonna Teresa Passalacqua e, alla morte della prima moglie, convolo a nozze con  Vittoria Folgari.  Dalla seconda moglie, il 19 gennaio del 1792, a Cosenza, nacque la figlia Marianna, ultima duchessa di Caccuri della famiglia Cavalcanti. 
    Marianna, infatti, sposò un personaggio molto importante, il marchese napoletano Giuseppe Ceva Grimaldi di Pietracatella, futuro Ministro dell'Interno del Regno delle due Sicilie  e poi Primo ministro del Regno sotto Ferdinando II. Dal matrimonio nacquero due figlie, Maria e Rachele prima che la duchessa caccurese morisse giovanissima, all'età di 25 anni, nel 1809. 
    Giuseppe Ceva Grimaldi, ebbe un ruolo fondamentale, per molti anni, nella politica del meridionale e fu uno dei più potenti ministri del Regno delle due Sicilie.  Nato a Napoli nel 1777, fece gli studi umanistici nella sua città, quindi iniziò la sua brillante carriera come Intendente  (carica corrispondente all'attuale prefetto) dell'Abruzzo ultra, poi della Basilicata e di Terra d'Otranto. Era senz'altro un conservatore accesso che nei suoi scritti aveva espressioni sprezzanti per i ceti meno abbienti,
contrario alla scuola pubblica e ai  lavori pubblici.  Per meglio capire la personalità di questo "caccurese acquisito" che, probabilmente non mise mai piede nel feudo Cavalcanti, forse è utile leggere cosa di lui scrisse il poeta Luigi Settembrini : « Presidente dei Ministri è il Marchese di Pietracatella uomo di mani nette, di sapere poco, storto e gesuitico, d'indole fiera: amico della tirannide più che del tiranno, vorrebbe risuscitare i baroni e il Santo Uffizio, e, non potendo, rodesi e stassene lungi degli affari maledicendo il progresso e il commercio; incapace di far bene, o non fa nulla, o fa il male. »
(6) Va tenuto comunque presente che si tratta di giudizi di parte espressi da uno scrittore antiborbonico e filo mazziniano che militava, quindi, dall'altra parte della barricata  e che tali affermazioni vanno contestualizzate come tutti i fatti storici. D'altra parte nemmeno il barone Nicotera, per non parlare di Crispi, una volta al potere si rivelarono grandi esempi di governanti illuminati e tolleranti.  Anche la sua pretesa ostilità verso le classi meno abbienti non sembrerebbe adeguatamente documentata,   se è vero che il suo apporto  all'approvazione  delle nuove direttive contenute nei decreti del'11 genn. 1831 con i quali il governo dimezzò il dazio sul macinato istituito nel Mezzogiorno nel 1827 e diminuì i dazi che gravavo  sulle classi popolari fu determinante. Ciò non significa, ovviamente, che non avesse idee antiquate e anacronistriche. 
Del suo governo facevano parte, tra gli altri, politici del calibro di Francesco Saverio del Carretto, Giuseppe Lanza e Giustino Fortunato, prozio del più celebre omonimo meridionalista. 
   Ceva Grimaldi fu intransigente nel pretendere la condanna a morte dei fratelli Bandiera che nel 1844 avevano tentato di fare insorgere i Calabresi contro  il legittimo Re delle due Sicilie e che erano stati catturati proprio dopo aver appena attraversato il feudo della sua prima moglie. 

   
 Giuseppe Ceva Grimaldi di Pietracatella

    Fu  la figlia Rachele, ultima erede dei Cavalcanti di Caccuri, nata  il 7 maggio del 1808  a subentrare alla madre nel possesso delle terre di Caccuri e nel titolo di duchessa e, quando sposò il patrizio napoletano Francesco Petra, il titolo di Duca di Caccuri si trasferì a questa famiglia. Francesco, però, morì prematuramente e la duchessa sposò in seconde nozze il cognato, Raffaele.  Dopo la morte di Rachele, il 15 novembre del 1853,  diventa duca di Caccuri Carlo Petra, nato il 10 maggio del 1830 e, alla sua morte, il 3 aprile del 1889, il titolo passa al figlio Raffaele Petra, nato il 5 novembre del 1856 e, alla morte di quest'ultimo , al figlio Carlo nato il 24 gennaio del 1883 e morto nel 1967.
    Rachele Ceva Grimaldi  fu, in realtà, l'ultima effettiva duchessa di Caccuri, ovvero l'ultimo erede dei Cavalcanti ad avere l'effettivo possesso delle terre e del castello di Caccuri. Nel 1830, infatti, volendosi costituire una dote adeguata, vendette il feudo dell'estensione di 4.571 tomolate (circa 1500 ha) e il castello al barone Barracco per 52.816 ducati
(7) per cui i suoi discendenti conservarono solo formalmente il titolo di Duca di Caccuri. 


1) Gabriele Barrio, De antiquitate et situ Calabriae

2) Silvano Giordano, I Carmelitani Scalzi e le missioni  dal sito http://www.ocd.pcn.net/mission/mis_hIt.htm

3) Antica fiera di bestiame che si svolge, da temi antichissimi, nel mese di  settembre nel territorio di Roccabernarda

4) P. Maone, Caccuri monastica e feudale, A.G. Mercurio, Portici 1969, pag. 22

5) G. Marino, Caccuri e la sua storia, Abramo Cz, 1983, pag. 20

6) Luigi Settembrini, Una protesta del popolo del Regno delle Due Sicilie, Capo IV "Il governo

7) Marta Petrusewicz, Il Latifondo, Saggi Marsilio, 1990, pag. 35