Longanesi Pocket 1968 pag
208 e segg. passi.
Esame critico del contenuto del libro
Un primo addebito che la sentenza muove all’autore di Navi e poltrone
investe il titolo e la presentazione editoriale dell’opera: denigratoria è
la metafora di poltrone riferita agli alti comandi; villipendiosa la
vignetta del frontespizio dove campeggia la grassa caricatura di un
ammiraglio bardato di lustrini e decorazioni.
Ma non hanno considerato i giudici della Corte di Assise che in quel
titolo e in quella vignetta è racchiusa la forza evocatrice dell’antitesi
che costituisce il motivo dominante dell’opera. Non hanno considerato che
alle poltrone, ai pochi ufficiali installati negli uffici romani di
Supermarina vengono contrapposte le navi, gli strumenti concreti della
guerra sul mare: le navi che affrontano le insidie mortali di una lotta
senza quartiere. le navi che in un passo del libro sono definite
‘magnifiche”, le navi con il loro carico umano, coi comandanti e gli
equipaggi che combattono e muoiono in silenziosa gara di abnegazione e che
l’autore esalta con l’attributo di valorosi.. Hanno visto l’aspetto
grottesco della caricatura e non hanno voluto coglierne l’amaro
significato allegorico. La distaccata immobilità di quell’ammiraglio in
poltrona, che volge imperturbabile le spalle al mare disseminato di navi,
vuol raffigurare il contrasto tra chi impartisce ordini da lontano e chi
si espone da vicino ai rischi del combattimento: quel contrasto che
l’autore denunzia come sintesi del dramma vissuto dalla nostra marina
nell’ultimo conflitto.
Anche le intestazioni di alcuni capitoli costituiscono per la sentenza
elemento di vilipendio. -Buchi nell’acqua-, e -Gita di ferragosto- sono i
titoli con cui l’autore volge in ridicolo l’attacco dei nostri bombardieri
contro la flotta nemica nella battaglia di Punta Stilo e l’impresa
sfortunata di una squadriglia di aerosiluranti nel porto di Alessandria.
Ed anche qui bisogna dire che l’attenzione dei giudici si è fermata alla
superficie. Quei titoli hanno evidentemente una intonazione sarcastica, ma
il sarcasmo dei titoli trova il suo naturale correttivo nella serietà
delle proposizioni che sviluppano il tema. L’episodio di Punta Stilo offre
argomento all’autore per dimostrare l’inefficacia dei bombardamenti in
quota contro le navi e per deplorare ancora una volta il disinteresse
ostentato dai capi più autorevoli dell’aviazione italiana verso
l’aerosiluro, In quella battaglia, ben 500 bombardieri si avvicendarono
sul cielo della flotta inglese sganciando circa duemila bombe, col magro
risultato che una sola di esse andò a segno su un incrociatore. senza
peraltro arrecargli danni irreparabili. Furono fatti insomma molti buchi
nell’acqua.
L’immagine è pittoresca e forse non si addice al linguaggio misurato dei
critici militari, ma rispecchia una sconfortante realtà: l’inutile spreco
di velivoli e di armi in un’azione di guerra che, condotta con mezzi più
idonei, avrebbe avuto ben altro successo. ‘L’ora del siluro era
scoccata.: esclamava l’autore. ‘Risultò chiaro anche ai ciechi che, se al
posto dei 500 bombardieri avessimo avuto alcune decine di aerosiluranti, e
invece delle migliaia di bombe qualche dozzina di siluri, ben
difficilmente la flotta inglese sarebbe sfuggita ad un disastro. (pag.
90). Conclusione questa che, lungi dal coprire di ridicolo le nostre
forze armate, si offre alla severa meditazione degli esperti.
‘Gita di ferragosto. presenta, a dispetto del titolo, una variazione
altamente drammatica del medesimo tema.
L’attacco con l’aerosiluro contro la flotta inglese di Alessandria fu
ideato dall’alto comando aeronautico con la stessa colpevole leggerezza
con cui, fino alla vigilia del conflitto, era stato boicottato l’impiego
di questo efficace strumento di guerra. Fu concepito insomma come una
piacevole gita: senza adeguata preparazione, senza un minimo di
addestramento, non si esitò, per farsi perdonare tanti anni di inerzia, a
gettare allo sbaraglio un pugno di valorosi piloti contro una delle più
munite basi navali nemiche.
Questo è per l’autore il significato dell’episodio. Si potrà dissentire,
se si vuole, ma l’ironia scanzonata del titolo non deve distogliere
l’attenzione dall’impeto di sdegno che sale attraverso le pagine del
racconto: sdegno per una cosi flagrante prova di disprezzo della vita
altrui. E d’altra parte, a riscattare quella ironia basterebbe, se ve ne
fosse bisogno. l’amara riflessione che l’autore pone a suggello del
capitolo: .Fallita l’impresa si stimò opportuno non fame parola. Ai
valorosi equipaggi non fu consentito nemmeno di veder menzionata nel
bollettino di guerra l’azione in cui avevano rischiata la vita. (pag. 94),
Come possa essere rivolta in ridicolo un’azione, della quale si
denunziano, sì, gli aspetti negativi ma si esalta alla fine il valore
sfortunato dei protagonisti, è difficile comprendere. La rampogna non
manca, ed è beffarda e spietata; ma tocca soltanto i capi, gli ideatori
sconsigliati di quell’impresa, i responsabili del suo fatale insuccesso.
Ugualmente fallace è il metodo di attingere la materia del vilipendio ad
un florilegio di frasi espunte qua e là dalle pagine del libro. Sono brevi
battute di commento salace, dove l’indignazione si rifugia nel sarcasmo.
similitudini ricche di colore e vivacità figurativa, talvolta grossolane e
spesso irriverenti che testimoniano di uno stile, risentito e polemico, di
una scontrosità aliena dagli eufemismi.
Navi e Poltrone Longanesi Pocket pag 242 e segg da sentenza
Censure roventi contro Maugeri
11) Pantelleria
ed
Augusta sono le ultime tappe attraverso le quali l’autore perviene alle
gravi conclusioni del sedicesimo capitolo: quelle che sono state
interpretate come un’accusa di intelligenza col nemico rivolta
indiscriminatamente a tutti i capi della marina.
Occorre subito chiarire che non si tratta di accusa indiscriminata contro
tutti. i capi: intanto rimangono esclusi dal sospetto, per la stessa
costruzione logica del libro, i comandanti in mare, che l’autore considera
vittime delle perfidie del centro. segue ..... |
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segue E’ Supermarina l’oggetto dell’attacco, e neppure con tutti i
suoi componenti: per esempio: l’ammiraglio Somigli, che attribuiva gli
insuccessi delle nostre armi ad un complesso di inferiorità degli Stati
maggiori. l’ammiraglio Sansonetti, che si duoleva con Cavallero per le fughe
di notizie sui movimenti delle nostre navi, l’ammiraglio Girosi, che si
rammaricava con Cavallero della crisi della marina e diceva che bisogna
rimontare la corrente, riattivando il mordente per combattere i mezzi nemici.
appaiono evidentemente immuni da sospetto. Anche a proposito dell’agguato di
Matapan, l’unica volta che afferma in termini categorici la certezza del
tradimento, l’autore si rifugia nel dubbio sul nome del traditore: tradimento
di un singolo, dunque, non tradimento collettivo anche se il concorso delle
oscure circostanze di quel tragico episodio sia tale da allargare la cerchia
dei sospetti. E quando si chiede se l’ammiraglio Maugeri fosse anche lui tra
quelli che desideravano la sconfitta per liberare l’Italia dal giogo della
dittatura, l’autore propone con tutta evidenza un problema di numero e di
identità.
Naturalmente, poiché si tratta di un problema insolubile per lui, non resta
che rivolgersi all’impersonalità di Supermarina. Ma il ragionamento del
Trizzino segue un filo conduttore che è stato tracciato da altra mano: prende
le mosse, da una frase rivelatrice che si legge nel libro dell’ammiraglio
Maugeri pubblicato in lingua inglese da un editore americano (From the Ashes
of Disgrace): .L’ammiraglio (ato) inglese aveva una quantità di amici tra i
nostri ammiragli di alto rango e nello stesso ministero della marina Io
sospetto che gli inglesi erano in grado di ottenere informazioni autentiche
dalla fonte. Rivelazione gravissima, come si vede, e tanto più grave in quanto
proviene da una fonte qualificata: da colui che fino all’armistizio fu a capo
dell’ufficio informazioni della marina, resse cioè le fila del servizio di
controspionaggio. Il Maugeri ha poi ripudiato la prima parte della frase,
attribuendola a involontario travisamento del suo pensiero da parte del
pubblicista americano che redasse il testo del libro sulla traccia di appunti
presi nel corso di vari colloqui diretti a raccogliere il materiale occorrente
per la stesura. Ma non ha ripudiato la seconda parte, e questa non, ha senso
se non è collegata concettualmente con la prima: giacché è chiaro che
l’ammiragliato britannico non avrebbe potuto ottenere notizie autentiche dalla
fonte, cioè dallo stesso ufficio di Supermarina che custodiva i piani segreti
delle operazioni militari, senza l’ausilio di quegli amici fidati che contava
nell’ambiente degli ammiragli italiani.
Comunque, anche mutilata della prima parte, la rivelazione si afferma con
tutto il peso del suo valore indiziario e trova riscontro in altri indizi
specifici e particolarmente nelle tenebrose circostanze di episodi
inesplicabili, come l’agguato di Matapan, il bombardamento di Genova, la
perdita degli incrociatori Giussano e Da Barbiano, gli affondamenti del
Perseo, del Foscolo e dell’Ariosto.
Esula dalla materia di questo giudizio ogni apprezzamento sulla condotta del
Maugeri quale capo dell’ufficio informazioni. E perciò la Corte a proposito
della decorazione americana conferitagli per i preziosi servizi resi agli
alleati in tale qualità, non deve interloquire nel dissenso tra il giudizio
del magistrato ordinario, che vide nella motivazione di quella decorazione la
prova del tradimento del Maugeri, e il decreto di archiviazione del magistrato
militare, che ricondusse la prestazione di quei servizi all’epoca della
cobelligeranza (cosa poi non risultata vera).
Tuttavia non può esprimersi dal rilevare che l’ammiraglio Maugeri, come
scrittore italiano in terra straniera, si è mostrato poco pensoso della
dignità nazionale e dell’onore dei capi della nostra marina, dando adito a
sospetti di tale gravità. Egli cosi prosegue nel suo libro di memorie: ..l.’inverno
del l942-43 trovò molti di noi, che speravano in un’Italia libera di fronte a
questa dura, amara, dolorosa verità: non ci saremo potuti liberare delle
nostre catene se l’Asse fosse stato vittorioso. e precisa meglio il concetto.
Più uno amava il proprio paese, più doveva pregare per la stia sconfitta sul
campo di battaglia. Se tali erano i sentimenti di molti di noi, in quel triste
inverno, bisogna pur pensare che tra il pregare per la sconfitta della patria
e l’agire in maniera da affrettarla. il passo è breve.
E questo, dice il Trizzino, può valere per la resa di Pantelleria e per la
caduta di Augusta, avvenimenti posteriori alla stagione dei dubbi indicati
dall’ammiraglio (pag. 245). Ma egli risale indietro nel tempo e’ crede di
ritrovare in questo nuovo concetto dell’amor di patria, la chiave di tutte le
nostre sventure.
Evidentemente si è lasciato trascinare dalla foga polemica. Questa
generalizzazione di sospetti è eccessiva e ingenerosa, manca di equilibrio e
di misura: non considera adeguatamente
tutte quelle circostanze che consentono nella maggior parte dei
casi di trovare una spiegazione plausibile dei nostri rovesci nella
impreparazione, nella superficialità, nel dilettantismo dei capi senza bisogno
di arrivare al tradimento. Non considera soprattutto che all’inizio della
guerra la speranza di una facile vittoria poteva alimentare le ambizioni dei
capi e determinare in essi fermezza di propositi e adesione spirituale
al[avventura bellica, mentre nell’inverno del l942 lo spettro dell’inevitabile
sconfitta incombeva sugli uomini e sugli eventi, e l’ansia di concludere
comunque e ad ogni costo quella tragica avventura era al vertice di ogni
sentimento. |