La storia è racconto
attraverso i libri
I testi che accompagnano la presentazione sono in
genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che
vengono indicati
34 Prima
parte
Seconda parte>>>>>
Trizzino, nato a Bivona nel 1899 fu pilota fino
alla fine degli anni ’30. Nel 1938 Trizzino fu costretto ad abbandonare l’aviazione
ed entrò nel campo del giornalismo, divenendo critico militare durante il
II conflitto in vari giornali tra cui “Il Tevere” ed “Il
tempo”. |
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Navi e poltrone
di Antonino Trizzino - Longanesi
& C.
1a edizione gennaio 1953 |
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Prima di addentrarci in ulteriori spiegazioni sul
caso Trizzino-ammiragli, (vedi terza parte), è bene chiarire il
significato e la valenza di alcuni termini della vicenda e del libro che
nelle pagine finali riporta il famoso attacco a
Supermarina e S.I.S (servizio informazioni militari della Marina),
definite quinte colonne all’interno della difesa italiana dell'epoca. Il
libro parimenti contiene tantissime (la prevalenza) pagine dedicate al
sacrificio degli equipaggi e alla professionalità, ma anche accuse alla
inettitudine, al disonore e all'ambivalenza dei comandi che furono la
vera causa della incriminazione e del rinvio a giudizio di Trizzino.
Mi colpì,
scrive l’ammiraglio Andrew Cunningham, il fatto che mentre gli italiani
nel complesso dimostravano poco spirito di iniziativa (comune) sul mare,
riuscissero tanto bene in azioni individuali. Certamente essi avevano
uomini capaci delle imprese più ardite.
Trizzino venne condannato e solo in appello parzialmente assolto
dalla motivazione della sentenza. Il fatto che non scontasse la pena gli
derivava dall'ennesima amnistia. Che in Italia esistessero dei traditori
era comunque cosa nota e logica. Non esistevano solo da noi, c’erano in
Germania, in Francia, in Inghilterra etc.. L’accordo armistiziale del
settembre '43 e il successivo trattato di pace definiva queste
posizioni. art. 16:
« L'Italia non incriminerà né altrimenti perseguirà alcun cittadino
italiano, specialmente gli appartenenti alle forze armate, per avere tra
il 10 giugno 1940 e la data dell'entrata in vigore del presente
trattato, espresso la loro simpatia per la causa delle Potenze Alleate o
aver condotto un'azione a favore di detta causa». |
From the Ashes
of Disgrace,
di Franco Maugeri (ammiraglio) e Victor Rosen - Reynal & Hitchcock, New
York 1948:
"L'inverno del '42-'43
trovò molti di noi, che speravano in un'Italia libera, di fronte a questa
dura, amara, dolorosa verità: non ci saremmo mai potuti liberare delle
nostre catene, se l'Asse fosse stato vittorioso".
E poco più avanti
esplicita in maniera definitiva tale concetto:
"Più uno amava il suo
Paese, più doveva pregare per la sua sconfitta nel campo di battaglia...
Finire la guerra, non importa come, a qualsiasi costo".
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Supermarina era l’organo che allo scoppio della guerra sovrintendeva a
tutte le operazioni navali, una specie di sala dei bottoni in cui si
concentravano tutte le informazioni. Stava a Roma sul lungotevere
Flaminio ed aveva a disposizione dei bunker sotterranei in caso di
incursione aerea. Si trasferì alla stazione radiotelegrafica sotterranea
della Marina, in località Santa Rosa sulla via Cassia (20 km fuori Roma)
alla dichiarazione di Roma città aperta (e smilitarizzata). Rimase in
funzione fino al 12 settembre 1943 e venne riattivata a Brindisi dove si
era trasferito il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio De
Courten, con il governo Badoglio. Chi ne era a capo? Gerarchicamente,
toccava al CSM della marina, nel 1940 l'ammiraglio Domenico Cavagnari.
Ma poiché egli era anche sottosegretario (e in pratica il ministro della
Marina, perché il titolare era Mussolini superimpegnato), capo di
Supermarina era in effetti il sottocapo di SM. Negli ultimi due anni di
guerra, allorché a capo della flotta in mare fu prima l'ammiraglio
Angelo lachina e poi l'ammiraglio Carlo Bergamini, divenne sottocapo di
S.M. l'ammiraglio Luigi Sansonetti. |
Recensione ufficiale: Durante la seconda guerra mondiale, l'Italia aveva un
esercito fiaccato dall'emorragia di mezzi causata dalle guerre di Etiopia
e di Spagna, ma aveva ancora una marina militare in efficienza, che invece
rimase quasi
sempre ferma nei porti, magari a farsi bombardare passivamente come
avvenne a Taranto. Poco dopo la fine della guerra, il libro di un ex
ufficiale dell'aviazione, Antonino Trizzino, "Navi e poltrone", documentò
la connivenza con la Gran Bretagna del Ministero della Marina Militare
italiana dell'epoca (che allora si faceva chiamare pomposamente
Supermarina). Antonino Trizzino fu anche assolto in un processo
intentatogli per calunnia a causa delle sue accuse. Successivamente è
venuta alla luce l'appartenenza di molti ammiragli alle logge massoniche
anglofile. |
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Ora,
nel 1953, quando si dette inizio alla causa, il titolo di spia era un
punto di merito sancito dalle leggi e sicura patente di
antifascismo. A Trizzino al massimo poteva andare la medaglia del pamphlet
da panegirico adulatorio. Diverso il caso di
tutti gli altri tirati in ballo almeno (senza prove come del resto tutto il libro
che all’epoca era un’opera indiziaria) con l’etichetta di incapaci e
pusillanimi*. Questi naturalmente reagirono e reagirono
male anche perché erano
ancora in servizio attivo in uno dei pilastri della Nato, la diga
anticomunista che si avvaleva ora di molte delle ex menti dei passati
regimi. Cosa spingesse lo stato italiano a tenere comunque in
servizio degli incapaci non è dato a sapere, ma non era o sarà la prima
volta. Chi non reagì, lo era per un motivo molto semplice: era inabissato
(incoscio) con le navi tradite. Le accuse di Trizzino nel tempo vennero sì stemperate
ma anche comprovate da nuovi autori. Aggiungiamo noi che all'epoca (1952)
non si conosceva l'esistenza della macchina Ultra che decodificava la
tedesca Enigma, ma anche delle intercettazioni tedesche che rovesciavano
la situazione e non si considerava quella miriade di
canali informativi o disinformativi tipici del costume italiano e le spie
vere e proprie con tanto di patente che non assursero
mai agli onori della cronaca. |
da Angelo Martelli "Una sigaretta sotto il temporale" 1988:
Sospettato n°1:La massoneria di
osservanza inglese
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E' enorme,
disse Mussolini, che funzionari di
altissimo grado frequentino le logge, informino le logge, prendano ordini
dalle logge. Non v'è dubbio che le istituzioni più gelose dello Stato,
quelle che amministrano la Giustizia, quelle che educano le nuove
generazioni e quelle che rappresentano le forze armate, che devono essere
ad ogni momento pronte alla difesa della Patria, hanno subito e subiscono
con alterna vicenda, l’influenza della massoneria. Ciò è inammissibile,
ciò deve finire.
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....... Un episodio riconduce, se pur attraverso una
ricostruzione congetturale, all’intervento massonico nella vita
pubblica e politica italiana. Omicidio del deputato
socialista Giacomo Matteotti: La Corte d’Appello di Roma stabilì
che i mandanti furono Cesare Rossi, Giovanni Marinelli, Filippo Filippelli, e che gli esecutori furono Amerigo Dumini,
Albino Volpi, Amleto Poveromo Augusto Malacria e Giuseppe Viola.
L’elemento dal quale non si può prescindere per restare in un minimo di
chiarezza, è che il delitto Matteotti non fu premeditato; sono troppi e
banali gli errori in cui gli autori sono incorsi per farsi scoprire e
individuare. Si doveva trattare di un avvertimento odi una “lezione”,
molto in voga a quei tempi con o senza olio di ricino, ma la reazione del
deputato Matteotti ha portato, quelli che poi sono divenuti i sicari, ad
un agire incontrollato che ha appesantito la mano sino ad ucciderlo.
L’aspetto massonico della vicenda è abbastanza pesante e vistoso posto
che le due massonerie italiane, quella di Palazzo Giustiniani e di Piazza
del Gesù, si accusarono a vicenda di partecipazione al delitto. Occorre, a
questo punto, considerare che i mandanti del sequestro Matteotti, così
come furono indicati dall’accusa durante il processo, erano Rossi,
Marinelli e Filippelli, tre massoni di Piazza del Gesù; il capo della
banda, Amerigo Dumini, che aveva assolto al collegamento tra mandanti e
sicari, apparteneva anch’esso alla massoneria. Egli, dopo l’adesione alla
loggia giustinianea di Firenze e dopo esser servito da gorilla, nelle
elezioni del 1921, al Gran Maestro aggiunto di Palazzo Giustiniani,
Giuseppe Meoni, candidatosi nel “Blocco Nazionale”, era passato alla
massoneria di Piazza del Gesù. La congettura o l’ipotesi della presenza
massonica nel delitto Matteotti, oltre a validi moventi fra cui quello
destabilizzante del nuovo regime politico
fascista,
venne riproposta da una lettera anonima spedita da Torino direttamente a
Mussolini:
La morte, anzi la soppressione di Matteotti
— scriveva l’ignoto estensore —
fu decretata a Palazzo Giustiniani; vuoi le prove? Fa frugare sotto un
falso piano di un tavolo e troverai i documenti relativi: il tavolo
trovasi in una piccola camera trascurata a destra entrando. Bisognerebbe
fare presto perché sabato sera di notte fu discusso della distruzione dei
documenti o del loro invio al Grande Oriente di Francia per ottenere il
rimborso del pattuito delitto.
È la lettera di un maniaco? Non si sa; sta di fatto che anche su questo
oscuro episodio vi è l’ombra della massoneria che avrebbe potuto trarre
vantaggio dal malumore nazionale e dal momento di sbandamento della
credibilità popolare in Mussolini. La massoneria, è di origine
anglosassone e non si può escludere a priori che gli amici sui quali
l’ammiragliato inglese “poteva contare”, presso il nostro Supermarina e di
cui parlò lo stesso Maugeri nel suo libro
(«From the ashes of disgrace» fu pubblicato solo in America),
fossero legati proprio dal “cordone” massonico. In realtà con il
pluralismo confessionale delle logge, la massoneria prescindeva dalle
singole religioni e dalle nazionalità per cui in certo qual modo si poneva
al di sopra di esse per costruire la cosiddetta “Cattedrale laica della
fraternità”. Non si tratta, tuttavia, di una fraternità disinteressata e
pastorale posto che si impone dove esiste lo stato di necessità e dove il
potere pubblico è controllato da affiliati. ….. Ma la legge di Mussolini
del ’25 voleva si conoscessero nomi e indirizzi degli affiliati e un bel
giorno l’elenco con 916 nomi, indirizzi e verbali di giuramenti, oltre a
rubriche e altro,
finì
nel carteggio riservato della segreteria del Duce. Fra questi nomi vi
erano anche quelli di Farinacci, l’on. Edoardo Torre di Alessandria, l’on.
Alessandro Groppali di Cremona, il generale dei bersaglieri Sante Ceccherini, l’on.
Arrivabene di Mantova, Terzaghi di Milano, l’on. Ernesto Tartusio, il gen.
Ugo Clerici, il presidente Raimondi, il prefetto di Trapani, Giuseppe
Gallicano, Giuseppe Lanza principe di Scalea già sottosegretario alla
guerra nel V Ministero Giolitti, il conte Luigi Lusignani di Parma, il
generale Emilio Giampietro, l’on. Umberto Gabbi e tanti altri. Di Roma
facevano spicco nell’elenco i nomi di Edmondo Rossoni, Alessandro
Melchiorri, Giuseppe Mosconi console della milizia, e di Tommaso Tittoni
presidente del Senato. Il 3 gennaio 1925 nell'assemblea dei gran
capi massonici, il generale Luigi Capello (comandante della II armata
diretto superiore di Badoglio al XXVII C.d.A. quello o quelli con la massima
responsabilità a Caporetto ) condannava i “Fratelli” che avevano
tradito i loro ideali di libertà, aderendo al Fascismo. Il generale era
molto attivo nelle relazioni massoniche internazionali che abbinava ad una
notevole attività antifascista, tanto da essere considerato come il capo
ideale di eventuali iniziative militari contro il regime. Ebbe molti
incontri con gli oppositori di Mussolini e, tra questi, come accertò la
polizia, parecchi con l’ex capitano degli Alpini, Tito Zaniboni. Questi,
il 4 novembre 1925, veniva arrestato mentre si apprestava a sparare a
Mussolini. Il Tribunale Speciale fascista condannò a trent’anni Tito
Zaniboni, il generale Capello e altri a pene minori.
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Il tema del libro viene trattato in 6 capitoli di
indagine indiziaria di cui tre fuori dalla sezione ma raggiungibili da
Cap. 4
La notte di Taranto e la beffa di Genova
in Storia
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/40/taranto.htm
Cap.
5
Franco Maugeri nei personaggi
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/maugeri.htm
Cap.
6, nelle schede, la sentenza
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/trizzino.htm
I brani tratti dal libro sono in verde
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Al posto della massoneria nacquero i Rotary, a cui il re prestò la presidenza onoraria. Ciò che egli aveva cercato di cacciare
dalla porta, gli rientrava dalla finestra. Gramsci, ..
una massoneria senza i piccoli borghesi e senza la mentalità piccolo
borghese,
dove l’elemento arcaico e ritualistico è stato superato nel nome di un
efficientismo di elite
rivolto alla produzione. Di qui l’adesione di agrari, industriali e del
potere pubblico. Molti dei 20.000 massoni italiani degli Anni Venti
entrarono nei Rotary. Alla fine del fascismo, quando Mussolini si ritirò
nella repubblichina di Salò e cercava una spiegazione sulla sua ingloriosa
fine, dalle carte del controspionaggio repubblichino uscì fuori quella che
fu considerata la prova schiacciante che dimostrava come la sua
rovina venisse proprio da quelle forze (ebrei e massoni) che era convinto
di aver distrutto. Si trattava di una lettera firmata da Badoglio,
anch’esso grande massone, in cui sbrigativamente era stato scritto: In
ogni modo, nel caso che i tedeschi estendano in Italia la loro occupazione
militare, resta fissata la realizzazione delle ultime direttive
impartiteci dal Grande Oriente di Londra. Provvederò
io stesso a stabilire i contatti con tutti i fratelli che verranno
smistati nei rispettivi posti (25 luglio). Peccato,
scrive il Mola nella sua Storia della Massoneria Italiana, che
quella prova clamorosa, quel documento inequivocabile del tradimento di
Badoglio, sia poi risultata clamorosamente falsa!.
Non si può affermare che il tradimento degli alti comandi, ai danni di chi
navigava e del Paese, fosse di matrice massonica perché non se ne
conoscono prove concrete, ma nessuno può negare l’esistenza di un movente
più che valido. L’altro movente, ispirato sempre alla sopravvivenza della
massoneria, riconduce alla lotta contro la chiesa e in particolare contro
la Curia Romana che ne era l’espressione, ma sul piano pratico fu tenuta
in serbo perché il governo fascista, ormai unico difensore del
Cattolicesimo, avrebbe colpito duramente qualsiasi espressione massonica;
questa lotta si evidenziò in tutta la sua spregiudicatezza solo nel 1945
quando, dopo la morte di Mussolini, e la Chiesa fu sull’orlo della
capitolazione. ..
La massoneria non si attiene ad una dottrina sistematica
e definita, né tanto meno ad una rigida regola filosofica, anche se dice
di predicare la fratellanza, per cui la vita e l’opera di un massone non
si inquadra in una norma predeterminata né essa può in alcun modo
considerarsi l’immagine, l’identità della massoneria stessa. Non potrebbe
essere diversamente posto che il massone si regola di volta in volta
secondo interesse proprio o dell’organizzazione e in modo quasi
aristotelico, nel senso che può trovare conveniente oggi quello che aveva
giudicato sconveniente ieri.
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Da Gran
Loggia regolare d’Italia Unica Obbedienza Massonica Italiana Riconosciuta
dalla Gran Loggia Unita d'Inghilterra:
Leone XIII, 8
dicembre 1892 «la massoneria (...) nemica ad un tempo di Dio, della
Chiesa e della nostra patria».
Antonio Gramsci alla Camera, maggio 1925 discussione del d.l. per la
soppressione della massoneria «la
massoneria in Italia ha rappresentato l' ideologia e l' organizzazione
reale della classe borghese capitalistica». |
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Storicamente non si può certo dire che la
Massoneria italiana abbia ostacolato la nascita del fenomeno fascista,
anzi, non pochi storici asseriscono il suo ruolo determinante nella presa
di potere da parte del fascismo. I rapporti tra il Fascismo e la
Massoneria quindi, almeno inizialmente furono tutt’altro che conflittuali.
Quando i vertici della Massoneria si riunirono a Palazzo Giustiniani per
l’installazione del Gran Maestro Domizio Torrigiani, che succedeva ad
Ernesto Nathan, la simpatia manifestata dai presenti nei confronti del
movimento fascista fu evidentissima. Solo successivamente, nel percorso
che porterà dal “Fascismo Movimento” al “Fascismo Regime”, si determinerà,
oltre ad una interessante evoluzione nell’approccio al materiale
mitologico, nell’utilizzazione dei simboli e nella realizzazione dei
rituali fascisti, quella inevitabile degenerazione dei rapporti con la
Massoneria, che ne determinò la successiva persecuzione….. I rapporti di
Mussolini con la Massoneria furono contraddittori. Inizialmente, egli
tenta di diventare massone e chiede l’iscrizione alla Loggia Romagnosi di
Milano, che fu rifiutata. Erano gli anni della prima guerra mondiale:
pareva che già nel 1905, a Lugo di Romagna, Mussolini avesse invano
presentato domanda alla Loggia Rinancini, e poco dopo, Losanna, sempre con
lo stesso risultato. L’ostilità di Mussolini nei confronti della
Massoneria comincia a delinearsi già nel 1914 quando, ancora socialista,
al Congresso di Ancona del partito si scagliò contro la Massoneria,
facendo votare un ordine del giorno che diceva: “Può darsi che il
massonismo tenda all’umanitarismo. Ma è tempo di reagire contro questa
infiltrazione. Anzi è il solo e unico problema. Non possiamo
confondere il nostro umanitarismo con l’altro umanitarismo,
elastico, vacuo, illogico, propugnato dalla Massoneria.”… Dopo
che la commissione dei Quindici, nominata per far luce sulle
logge e presieduta da Giovanni Gentile, aveva emesso un giudizio
perentoriamente sfavorevole nei confronti della Massoneria, con
un voto a scrutinio segreto, il 19 Maggio 1925, veniva approvato
dalla Camera il disegno di legge presentato il 12 Gennaio 1925,
e successivamente, il 22 novembre 1925 esso divenne legge. |
Conseguentemente
divenne obbligatorio, per i dipendenti dello Stato, dichiarare non solo se
appartenevano ma anche se avessero mai fatto parte di associazioni
segrete. Di certo l’allontanamento di funzionari pubblici legati alle
Logge costituiva un passaggio obbligato nell’instaurazione del regime
fascista. Con questo atto, la Massoneria era virtualmente fuori legge.
Il 22 novembre Torrigiani emise mestamente un comunicato
dove si rendeva noto lo scioglimento di tutte le Logge.
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Di Badoglio massone così
parlava Cadorna.
Fu proprio il
suo Corpo d'armata (27°) che fu sfondato di fronte a Tolmino, perdendo
in un sol giorno tre fortissime linee di difesa e ciò sebbene il giorno
prima (23 ottobre 1917) avesse espresso proprio a me la più completa fiducia
nella resistenza, confermandomi ciò che già aveva annunciato il 19 ottobre
al colonnello Calcagno, da me inviatogli per assumere informazioni sulle
sue truppe e sui suoi bisogni. La rotta di questo
Corpo fu quella che determinò la rottura del fronte dell'intero Esercito a Caporetto. E il Badoglio la passa liscia!
Qui c'entra evidentemente la
massoneria e probabilmente altre influenze, visto gli onori che gli hanno
elargito in seguito. E mi pare che basti per ora!". (Le altre influenze
erano della monarchia). (Ib. pag. 133).
*Aver voluto preservare
— si legge ancora nelle
motivazioni della sentenza d’Appello del processo Trizzino-Ammiragli —
le navi da battaglia per
destinarle a compiti più nobili e decisivi fu una inutile cautela perché
mai,
ad eccezione del breve
scontro di Punta Stilo,
i nostri massimi calibri si
misurano con quelli nemici e gli incontri furono evitati per eccessiva
prudenza anche quando la netta superiorità delle nostre forze avrebbe
potuto assicurarci il successo. La flotta italiana non intervenne neppure
quando la guerra investì il suolo della Patria e l’unica occasione che
le si presentò fu di consegnarsi due mesi dopo, a Malta. Tanto valeva
buttarsi nella mischia e usarle una ultima volta quelle navi che poi dovevano finire in
parte pignorate per insolvenze ministeriali, in parte vendute come ferro
vecchio e in parte cedute al nemico in conto riparazioni.
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*
67 alti ufficiali erano sposati con donne
straniere, quindi facilmente avvicinabili; due importanti ammiragli -
Mario Farangola, alla
guida dei sommergibili, e Vittorio Tur, titolare d'incarichi molto
delicati - avevano mogli inglesi, mentre due capitani di vascello
destinati a una folgorante carriera, Brivonesi e Alberto Lais, erano
coniugati con un'inglese e un'americana.
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... Sembrava che, con le
incessanti perdite di navi mercantili, la sfortuna si accanisse
contro la nostra bandiera; ma non si trattava di sfortuna. La
colpa era del tradimento che si annidava nei massimi gradi della
marina. Da sempre filomonarchica e filobritannica, questa forza
armata aveva nei suoi quadri un gran numero di ufficiali ostili
al regime. A molti di loro, poi, un regolamento cervellotico e
una dirigenza politica troppo accomodante avevano consentito di
restare in servizio pur avendo sposato donne straniere. Gli
ufficiali in queste condizioni erano, tra esercito e marina,
qualche centinaio. Sposato con un’americana, l’addetto navale
italiano a Washington, capitano di vascello Alberto Lais, vende
agli americani il cifrario della marina. Il generale Carboni,
responsabile del servizio spionaggio dell’esercito, figlio di
un’americana dell’Alabama, è un esperto nella disinformazione.
Oltre a gonfiare sistematicamente le forze del nemico, ha
l’opportunità di inserire elementi a lui graditi nelle varie
strutture militari. Ed ecco che a Tolone, nella delegazione
della Commissione Armistiziale con la Francia, troviamo
l’ammiraglio Vittorio Tur, di padre francese e sposato a
un’inglese, il quale, attraverso la resistenza francese, passa
informazioni a Londra. In questo nido di traditori faceva da
cerniera Enrico Paolo Tur, fratello dell’ammiraglio, già
compagno di accademia a Livorno dell’ammiraglio De Feo che
capeggia la Commissione di Armistizio. Non può essere un caso
che, quando viene programmato l’attacco a Malta, il comando
dell’operazione sia affidato proprio all’ammiraglio Tur. Alle
sue dipendenze, alla guida di una delle divisioni che dovranno
sbarcare, la Friuli, c’è di nuovo il generale Carboni, il quale
semina pessimismo e si muove per sabotare l’azione. Dopo il
rinvio sine die dello sbarco e l’occupazione della Francia
"libera" seguita all’invasione alleata del Nord Africa –
novembre ’42 – troviamo il Tur al comando della piazzaforte di
Tolone. In questa stessa città, nel giugno ’43, il fratello
dell’ammiraglio viene finalmente colto con le mani nel sacco dal
nostro controspionaggio. Il responsabile dei servizi, generale
Amè, si presenta con Senise, capo della polizia, al cospetto di
Mussolini e gli mostra i documenti sequestrati al contatto
francese di Enrico Paolo Tur. Visto che i traditori sono
marinai, il Duce passa i documenti al controspionaggio della
marina, senza sapere che lì c’è il capobanda delle spie,
l’ammiraglio Maugeri. Quanto all’ammiraglio Tur, invece di
essere prudenzialmente messo in fortezza, viene trasferito al
comando marittimo del basso Tirreno, con giurisdizione sulla
Sicilia, proprio dove gli alleati sbarcheranno il mese
successivo. Hanno saputo, guarda caso, che la flotta italiana,
per l’occasione, non si sarebbe mossa per ostacolarli. Per le
benemerenze che abbiamo ora ricordato, la spia Enrico Paolo Tur
fu riammesso in servizio e gli fu concessa, nel dopoguerra, la
pensione della marina militare (Libretto n. 397016)...
dal -il franco
tiratore- |
(sospetto è la negatività che
propizia la sconfitta in questo caso il contrario). Navi e poltrone Trizzino pag.10:
Sospettato n° 2: Il siluro e la motobomba |
Corriere della Sera - Sergio Romano - lettere al Corriere
... Trizzino ha uno
stile secco e incisivo, ha lavorato sulle fonti disponibili (ndr: all'epoca) e,
soprattutto, non ha peli sulla lingua. Non sopravvaluta la potenza della
flotta italiana e conosce i grandi meriti di quella britannica. Ma crede
che il rapporto di forze rendesse possibile un migliore equilibrio e
punta il dito contro il vertice della Marina.
Alcuni ammiragli sono esplicitamente accusati di codardia. Ma il capo
d'accusa più grave è spionaggio e tradimento. L'autore non può fornire
documenti e individuare precise responsabilità, ma è appassionatamente
convinto che soltanto informazioni provenienti da Supermarina abbiano
consentito agli inglesi di mettere a segno alcune delle loro operazioni
più brillanti. E crede che soltanto l'ipotesi del tradimento possa
spiegare la passività e la lentezza della nostra flotta in circostanze
in cui un rapido intervento avrebbe potuto contrastare efficacemente i
piani del nemico. La prova indiretta, sempre secondo Trizzino, è in un
libro dell'ammiraglio Franco Maugeri, capo del Sis (Ufficio informazioni
della Marina),
apparso dopo la guerra. Nel libro si legge
tra l'altro la frase riportata in testa a questa colonna |
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Dopo la sconfitta, nel luglio del
1947, durante un processo militare a carico del generale Valle, venne alla
luce un rapporto segreto presentato a Mussolini, nell’aprile del ‘41, dal
sottosegretario di stato all’aeronautica del tempo,
generale Pricolo. Questi spiegava
che la mancanza di aerosiluranti era dovuta alla « scarsa fiducia nella
specialità, considerata meno efficace e di minor rendimento delle bombe ».
A questi argomenti se ne aggiungevano altri ancora. E il primo era che non
c’era convenienza ad acquistare siluri, perché con la stessa spesa si
poteva avere un numero di bombe di gran lunga maggiore. « Un siluro per
aerei non potrà costare certo meno di 150.000 lire, senza il
costo dell’esplosivo. La bomba da 500 kg, compreso
l’esplosivo, non costa che 4.000 lire. E mentre con
150.000 lire si portano 150 kg di
esplosivo, con 4.000 lire se ne portano 240; ben
90 in più. Quindi, invece di 100 siluri, che costerebbero 18.000.000, è più conveniente acquistare
30 velivoli da 500.000
lire l’uno, 1.000 bombe da 250 kg (2.500 lire l’una) più 123 bombe da 500
kg
(a lire 4.000 l’una). » Quest’ultima fu la tesi-base esposta nel
numero di marzo 1934 della Rivista Aeronautica da uno dei più alti
rappresentanti dell’aviazione, che si celava sotto lo pseudonimo di
Vultur. A questa tesi se ne aggiungevano altre che consideravano avvilente
l’uso dell’aereo in marina. Era una vecchia ruggine ancor buona della
incomunicabilità e cooperazione interforze. Non cambierà quasi nulla fino
alla fine della guerra. L’Italia già dal '34 aveva dei siluri perfezionati
che altri anche a conflitto iniziato non ebbero. Le spie fecero di tutto
per avere notizie e il nostro alleato tedesco ne ordinò 300. Sempre Valle:
« Avevo, dopo lunghi anni di esperienze, condotte a Guidonia e a Fiume
(siluruficio aeronavale Whitehead) dal ‘35 al ‘38, creato un siluro aereo,
che era riuscito a funzionare anche lanciato da ottanta metri (gli inglesi
dovevano scendere a toccare l’acqua e lanciavano da più lontano) » . Un
lancio da ottanta metri, è un fatto che basta da solo a convincere
dell’efficacia della nuova arma qualsiasi persona competente. Le autorità
aeronautiche avevano « la costante preoccupazione che Io sviluppo dei
reparti aerosiluranti, tanto appoggiato dalla marina, portasse, dato il
mezzo in cui essi dovevano agire, alla dipendenza dalle forze navali ». In
parole povere, poiché gli aerosiluranti erano destinati a compiere lavori
similari a quelli dei mezzi navali, si temeva che passassero agli ordini
degli ammiragli. Nel suo rapporto del 1940, Pricolo lamenta che gli studi
e le esperienze dell’aerosilurante siano stati da tempo abbandonati; ma
non dice che nessun capo dell’aviazione, a cominciare da lui, spese una
sola parola contro quell’abbandono.
Le bombe pesanti presupponevano di
avere squadriglie di bombardieri e obiettivi da bombardare. Noi a Londra
non saremmo mai arrivati e il bombardamento in mare da certe altezze a
confronto era più impreciso e improbabile di una vincita al Superenalotto.
LA MOTOBOMBA
top
secret
1) Tutti gli oggetti lanciati con
paracadute sono da prendere sotto il fuoco delle mitragliere delle navi
.
2) Sulle navi debbono essere approntati gruppi di fucilieri
3) Approntare reti per il recupero dei siluri che, a causa del cattivo
funzionamento, rimangono in superficie...
4) Ancorare barconi ed imbarcazioni intorno alle navi per protezione
[...]. |
Verso la metà degli «anni trenta» sia la Società
Whitehead di Fiume che il Silurificio Italiano erano riusciti a mettere a
punto siluri navali da 533 mm (tipo nuovo) capaci di sviluppare 50 nodi
per la corsa da 4,000 metri e siluri da 450 con velocità di 42 nodi
sulla corsa di 3,000 metri. Gli acciarini di cui erano dotati tutti i
siluri italiani erano del tipo «universale a pendolo», ovvero ad urto diretto
dell'arma contro la carena nemica (con un limite operativo di 15 gradi e 5
nodi). Tale tipo di acciarino rimase quello «standard» per quasi tutta la
durata del conflitto; solo nel 1942 cominciarono ad essere introdotte in
servizio armi, soprattutto da 450 mm., dotate di acciarino magnetico. Nella stessa epoca cominciarono ad
essere impiegati dai sommergibili italiani anche siluri elettrici tipo «G.7e»
da 533 mm. con acciarino magnetico ceduti dai tedeschi; si trattava di
armi «senza scia» articolarmente efficienti disponibili però in
quantitativi molto limitati.
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Così gli inglesi la
descrivevano dopo i primi impieghi (considerati deludenti dagli italiani
che non avevano quasi ricognizione per controllarne gli effetti) del giugno
1941 e l’ultimo dell’agosto del 42 (Spartivento) in una direttiva
top
secret
ai comandi marittimi della Cirenaica, dell’Egitto e del Mar Rosso:
Descrizione delle bombe - Il nemico impiega piccoli siluri con moto
rotatorio contro navi nei porti. Essi vengono lanciati con paracadute da
una altezza di circa 180 metri [...] Il siluro si muove o sulla superficie
o al di sotto di questa … con spostamento automatico del
timone di direzione ogni 4 minuti …. due spolette e dispositivo per l’autoaffondamento
al termine della corsa. Misure precauzionali: vedi a fianco<<<<<<
La motobomba FFF, dal nome dei suoi creatori (Freri ex bersagliere già
inventore del paracadute Salvador, Filpa Fiore) derivava dal siluro elettrico navale
(dopo un breve percorso rettilineo in acqua eseguiva una rotta a
spirale che andava sempre più espandendosi;
un’arma particolarmente adatta
contro formazioni navali serrate e grossi convogli o rade portuali), del conte
Elia. Il “siluro Elia”, trasformato in bomba d’aereo, giungeva in acqua
rallentato nella discesa da un paracadute agganciato al corpo centrale
dell’arma. Una volta in acqua, entrava in funzione un sistema di
propulsione costituito da un motore elettrico alimentato da batteria a
secco che poneva in rotazione un’elica spingente poppiera. Il motore da
3,5 hp imprimeva all’arma una velocità di 6 m/s (circa 12 nodi) per una
durata variabile fra i 15 e i 30 minuti. Disponeva di una carica di 120 kg
di esplosivo; il diametro del corpo della bomba era di 500 millimetri ed
il suo peso totale di 360 kg.; per questo motivo la designazione completa
dell’arma fu Mb.FF (120-500-360).
Già prima dello scoppio della guerra la funzionalità di questa bomba era
stata messa in forse, da esperimenti malriusciti e dalla impossibilità di
avere bombardieri a largo raggio, per arrivare ad Alessandria e Gibilterra
(dall’Italia). Un solo tipo di velivolo aveva un raggio di azione
sufficiente, l’SM82 (marsupiale), ma di questo aereo erano stati approntati solo pochi
esemplari per le necessità del trasporto. In tutta la durata del conflitto
furono prodotte per la Regia Aeronautica circa 500 bombe, ma ne furono
impiegate meno.
I tedeschi chiesero di poter avere una presentazione dell’arma in Germania
e l’allora T.Col. Freri si recò a Travemùnde, sul Baltico, sede del centro
sperimentale della Luftwaffe, per gli opportuni accordi. La presentazione
fu poi effettuata nel golfo di Lubecca ed ottenne pieno successo, tanto
che le autorità germaniche chiesero di poter acquistare un certo numero di
bombe prodotte a Roma dalla Ditta Contin. Fu in breve stipulato un accordo
in base al quale i tedeschi potevano acquisire 2.000 bombe Mb.FF a
condizione che fornissero alla ditta le necessarie quantità di materiali
definiti strategici e rari. I tedeschi, per parte loro, acquistarono 2.000
motobombe ed insignirono il colonnello Freri della onorificienza
dell’Aquila Imperiale. La ditta Contin già dall'inizio del 43 riforniva
quindi i tedeschi che usavano le bombe italiane per colpire Tripoli in
mano inglese, dopo il 24 gennaio, poi Algeri e Bona (Algeria) per colpire
il naviglio alleato sbarcato sulle coste del Nordafrica. Quando gli
americani sbarcarono in Sicilia anche Siracusa venne colpita con queste
bombe. A Bari i tedeschi, nel dicembre 43, colpirono navi cariche di
agenti chimici e fu un disastro.
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I silurifici operanti in Italia nel 1940 erano tre:
Silurificio Whitehead di Fiume dal 1860
Silurificio Italiano di Baia-Na in attività dal 1915
Silurificio Motofides a Livorno dipendenza di Fiume dal 1937.
Complessivamente, dal 10.6.1940 all'1.9.1943, furono impiegati 546
siluri nel 1940, 1,185 ne1 1941, 1,600 nel l942, 350 nel 1943
L'utilizzo di siluri su idrovolanti
(Cant. Z 506)
visse il lasso di tempo di notorietà che questi
ebbero dopo le trasvolate.
Seconda parte>>>>>
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Da navi e poltrone di Trizzino: Era stato sempre un problema
insolubile apprestare la quantità di siluri che sarebbe stata necessaria a
volta a volta. Si andava avanti in aeronautica con quelli che prestava la
marina, la quale, d’altra parte, non nuotava tanto nell’abbondanza da
indursi alla prodigalità. Il maresciallo Cavallero, volenteroso
intermediario tra marina e aviazione, accenna sovente nel suo diario alle
fatiche che gli toccava compiere per armare un minimo numero di
aerosiluranti. Ai primi di agosto del ‘41, egli fece appello alla marina
per una maggiore considerazione dei bisogni dell’aviazione, ma si sentì
rispondere che nei magazzini non c’erano siluri in soprannumero e che
40 in corso di allestimento sarebbero stati pronti soltanto tra il
dicembre e il gennaio, « mentre il problema è agosto (di quest’anno) »,
annota sfiduciato Cavallero. Poi probabilmente qualcuno si commosse alle
sue insistenze ed egli, infatti, può annotare in data 12 agosto 1941: «
Riccardi comunica che di 28 siluri di cui dispone ne darà dodici
all’aeronautica). Francescamente si divideva il poco che c’era. Spesso i
siluri della Sicilia erano mandati con aerei da trasporto agli aeroporti
dell’ Egeo e da qui magari rispediti in Sicilia e poi in Sardegna,
seguendo gli spostamenti delle navi nemiche, perché erano i soli
disponibili e con essi si doveva far fronte a tutte le necessità. I pochi
siluri che si riusciva a racimolare bastavano appena all’attività di un
giorno o poco più, e spesso l’indomani non ce n’erano altri. Così si
spiega come azioni in pieno sviluppo, di cui già si delineava il successo,
non potessero essere né intensificate né continuate. « Se continuasse
l’azione - scriveva Cavallero mentre gli aerosiluranti erano impegnati a
mezzo giugno 1942 - saranno presto esauriti i siluri della Sicilia e della
Sardegna. Sono in corso lavori per apprestare cinque siluri che sono a
Roma, mentre la ditta conta fornirne altri 5 entro due giorni. »
Entro due giorni, mentre il problema richiedeva una soluzione immediata. A
piccole dosi, dunque, arrabattandosi alla meglio, dal principio della loro
attività fino all’agosto del ‘42, gli aerosiluranti della Sicilia
riuscirono a lanciare complessivamente 83 siluri !!!!, quelli della
Libia 80, quelli del1’ Egeo 134 e quelli della
Sardegna 195: in tutto 492 siluri in due
anni!
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Le operazioni navali che si svolsero nel Mediterraneo dimostrarono
abbastanza presto che gli scontri tra unità di superficie, sebbene
spettacolari, raramente avevano effetti decisivi e che il controllo del
mare veniva assunto da chi era in grado di imporre la propria supremazia
aerea. Tutto ciò fece si che il peso della lotta gravasse sempre più sulla
Regia Aeronautica. Il 27 Agosto 1940 il Ten. Buscaglia eseguì la prima
azione aerea con il siluro contro unità nemiche in navigazione e da quel
momento i reparti aerosiluranti (stranieri e italiani) divennero il più
temibile mezzo di offesa. Intanto il Reparto
Sperimentale Aerosiluranti, costituito a Gorizia all’inizio del 40, venne
equipaggiato con il Savoia Marchetti SM.79, il "Gobbo Maledetto", che pur
non essendo espressamente studiato per l’impiego aerosilurante, era un
aereo robusto, veloce e maneggevole, un vero gioiello della tecnica.
L’anno dopo andò un po’ meglio (9 centri pieni) ma 14 perdite. Alla fine
della guerra le statistiche diranno che ogni equipaggio compiva in media
tre missioni prima di essere abbattuto dalla contraerea. Il lancio
avveniva, di norma, ad una velocità di 300 km/h alla quota di 30-40 m, in
queste condizioni il siluro entrava in acqua con una inclinazione di 30° e
dopo essere sceso 10 m sotto la profondità di regolazione si stabilizzava
in 160 m sul percorso subacqueo stabilito. da regiamarina: Adattato da "Le
Armi delle Navi Italiane Nella Seconda Guerra Mondiale" di Erminio
Bagnasco Edizioni Ermanno Albertelli - |
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