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il Rimino - Riministoria

Marinai riminesi, 1831:
poveri e ribelli

Alberto Silvestro, «Colera, insurrezioni, pescatori e militari a Rimini nel 1831», «Studi Romagnoli», LI (2000, ma 2003), pp. 503-522.
Il saggio presenta documenti inediti dell'Archivio di Stato di Roma. L'autore ipotizza come a Roma ed in Romagna nel 1831 fosse ancor vivo il ricordo dell'insurrezione del 1816: «A differenza dei popolani sprovvisti di armi, o tutt'al più in possesso di quelle raccogliticce strappate alla truppa e alla gendarmeria pontificia, i naviganti dispongono di artiglieria e di armi leggere perché l'incessante minaccia della pirateria aveva costretto già da molto tempo le autorità a consentire d'imbarcare armi sulle navi» [p. 505].
Nel 1831, al termine dei moti riminesi estesisi in altri territori dello Stato romano, «la crisi della marineria pontificia ha ridotto i commerci marittimi quasi esclusivamente al trasporto - poco remunerativo - di legna e carbone», mentre la pesca non fornisce «redditi sufficienti a chi la pratica». Ai nostri marinai («circa 2.000 persone più le famiglie»), le autorità pontificie concedono «numerose agevolazioni tra le quali l'esenzione della tassa del passaporto marittimo», cercando di non scontentarli [pp. 503-504].
«Ora nel momento in cui le istituzioni sono prossime al collasso, non solo la gente di mare è tenuta in considerazione ma vengono disposte provvidenze a favore delle classi più misere della popolazione: i nemici dello Stato sono i borghesi, gli studenti, i militari nostalgici dei gloriosi tempi napoleonici» [p. 505].
Il comandante delle truppe pontificie Domenico Bentivoglio, «paladino della gente di mare» [p. 511], invia al papa una «relazione allarmante sulla situazione a Rimini», chiedendo «provvedimenti urgenti per alleviare la povertà dei marinai, allontanarli da tentazioni rivoluzionarie e renderli favorevoli al governo» [p. 507]. Bentivoglio scrive che occorre blandire «una numerosa e temibile classe di Popolazione, che potrebbe riuscire assai pericolosa», e che merita una ricompensa per «la buona condotta» tenuta nei recenti «sconvolgimenti» [p. 507].
A Roma, il pro-segretario di Stato «vuole evitare ad ogni costo che i marittimi si schierino con i rivoluzionari». Da Rimini l'ispettore circondariale marchese Alessandro Belmonte suggerisce di non dare «una imprudente pubblicità» all'esenzione della tassa del passaporto marittimo: i pescatori marchigiani «che trovansi anch'essi oppressi dalla stessa miseria», potrebbero rivendicare lo stesso trattamento [p. 509].
Secondo Silvestro [p. 522], «il marchese Belmonte è tra i principali esponenti dei democratici ma, più che dalle due convinzioni politiche, il suo comportamento pare dettato dal desiderio di migliorare l'efficienza e la prosperità della marina pontificia e di procurare vantaggi ai marinai».
Belmonte avverte il magistrato centrale della sanità anconetano che le nostre Province sono «minacciate da una nuova insurrezione che solo può fermarsi con una forza imponente». Infatti i pescatori riminesi hanno fatto pressioni per ottenere l'esenzione di altri loro tributi, ottenendo soddisfazione alle loro richieste e provocando una forte diminuzione delle entrate statali. La Sacra Consulta riepiloga al pro-segretario la situazione: i marinai di Rimini addetti alla pesca «sono per loro natura le persone le più garrule, e le più insubordinate di ogni tempo» [pp. 513-514].
A Roma si è consapevoli dei bisogni della «numerosa, e povera Classe de' marinari», come testimonia uno scritto del tesoriere generale: cfr. ibidem, p. 515. Nel contempo, la si definisce «una popolazione querula e tumultuosa, a cui la frequente comunicazione colla marineria Anconitana è ora causa possente di seduzione e di scandalo» [p. 516]. Tralasciamo altri particolari sugli sviluppi della situazione adriatica, così ben documentati dall'autore. Ricordiamo soltanto che due anni dopo, l'esenzione valeva soltanto per i pescatori di Rimini e Riccione, e non per quelli di Cattolica che però l'avevano ottenuta nel settembre 1831 [p. 519].
Nel 1834 i tributi, ripristinati, vengono fatti pagare non ai marinai mai ai proprietari dei legni [pp. 519-520].
Nel 1839 da Forlì scrivono a Roma che nel nostro porto ci sono complessivamente 140 legni da commercio e da pesca, con una popolazione di circa quattromila anime. Rimini «è il primo Porto dello Stato per Bastimenti, e per Gente di Mare», un popolo «così ignaro di tutto, che serve alla Civilizzazione, così fervido, così impetuoso nelle sue iracondie» [pp. 520-521]

In Riministoria sono già presenti molte pagine sulla storia della marineria riminese.
Vedi:
1. Marineria e società riminese nel 1700 ed '800.
Si tratta della relazione al Convegno su Giuseppe Giulietti. Il testo completo sara' presto disponibile su Internet, visto che gli Atti del convegno tardano ad essere preparati.
Vedi poi:
2. Marinai: dimenticati, poveri e ribelli. Sono stati protagonisti della vita riminese tra 1700 e 1800.
3. Le Opere pie per i marinai. Lasciti privati nobiliari nel corso del 1800.

Antonio Montanari


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