Il territorio delle Foreste Casentinesi e quelli dei comuni in cui si trova il Parco ha visto nascere numerosi grandi artisti: Andrea del Castagno è originario di Castagno (divenuto appunto Castagno d’Andrea in seguito al fatto che vi è venuto alla luce proprio il famoso pittore) ed è doveroso menzionare anche Piero della Francesca che è nato in una frazione nei pressi di Borgo S. Sepolcro (che, pur non essendo uno dei comuni dell’attuale Parco, si trova in provincia di Arezzo non molto lontano dalle Foreste Casentinesi). Questi grandi artisti, però, hanno sempre operato nelle città (soprattutto Firenze) è non hanno certo lasciato opere nei loro paesi natii (a parte Piero della Francesca, che, oltre a “snobbare” Firenze per città “di provincia”, artisticamente meno importanti, come Arezzo o Perugia, ha lasciato alcune opere nella propria borgata, che, però, non appartiene al novero dei comuni nel cui territorio è compreso il Parco).

 

            Però diversi artisti, anche se originari di altre zone, hanno visitato e trovato lavoro nella zona dell’attuale Parco Nazionale. Il più importante fra questi è addirittura Leonardo da Vinci, che rimase per un certo tempo nella zona di Arezzo, per compiere studi sul corso dell’Arno su commissione dei Medici, i signori di Firenze. Infatti egli progettava di trasformare la Val di Chiana in un grande invaso artificiale, e quindi di allagarla completamente, in modo da utilizzare queste acque per rendere uniforme la portata dell’Arno durante le diverse stagioni (l’Arno, infatti, pur essendo uno dei maggiori fiumi italiani, ha portata molto variabile nei diversi periodi dell’anno e, soprattutto nelle stagioni più aride il suo livello si riduce notevolmente).

            Un progetto tanto complesso ed ambizioso, ovviamente, richiedeva anche una meticolosa conoscenza del territorio ed una raffinata cartografia: infatti Leonardo realizza molte cartine geografiche della Toscana e, di conseguenza, deve salire sulla cima delle montagne più alte (comprese quelle del Casentino) per avere una buona visione panoramica in base alla quale disegnare le mappe delle diverse zone. Elementi del territorio di Arezzo compaiono appunto in varie opere pittoriche del grande maestro, prima fra tutte una delle due versioni de “La Madonna dei Fusi” e, non meno importante, anche nel paesaggio del suo quadro più famoso: “La Gioconda”.

            Ma le sue frequentazioni del Casentino sono anche confermate da uno schizzo, noto come “L’Angelo Incarnato”, che, tra l’altro, è forse ispirato ad alcune antiche tradizioni (probabilmente di origine pagana) di cui si recava ancora memoria proprio alle pendici delle montagne che circondano l’alta valle dell’Arno.

 

            Se il Casentino è stato per così dire “citato” in alcune opere di Leonardo da Vinci, altri artisti hanno invece creato le loro opere proprio per arricchire edifici (soprattutto sacri) in questa zona. È il caso di Andrea della Robbia e della sua bottega di artisti fiorentini noti per le loro terrecotte invetriate, le cui opere compaiono in molti paesi che circondano l’attuale Parco Nazionale (Bagno di Romagna, Balze di Verghereto, Bibbiena, Poppi, Pratovecchio, Stia, Corniolo…) e nelle strutture religiose più importanti all’interno della stessa foresta (Eremo di Camaldoli, santuario de La Verna…).

            I Della Robbia erano molto rinomati a Firenze e, pertanto, erano sicuramente oberati di commissioni e, ancor più certamente, le loro creazioni erano tutt’altro che a basso costo. Eppure notevoli esempi della loro arte (importanti sia per la raffinatezza della tecnica utilizzata sia per le dimensioni) compaiono proprio in luoghi remoti e “selvaggi” del Casentino. Questo certamente a causa dell’importanza, non solo spirituale, ma anche economica, che possedevano quegli ordini religiosi che gestivano monasteri, conventi, abbazie ed oratori in queste zone. Addirittura le terrecotte invetriate dei Della Robbia venivano utilizzate per adornare le “maestà” che si trovavano lungo le “strade dei pellegrini”.

            A La Verna sono conservate alcune delle più importanti opere di Andrea della Robbia, tra le quali la Crocifissione e l’Annunciazione. L’opera in terracotta veniva modellata su un’anima di paglia o di stracci. In certi casi l’artista modellava solo le figure principali, mentre quelle secondarie, ad esempio i cherubini di contorno nelle pale d’altare, venivano fatte a calco per velocizzare il lavoro. Questo consentiva di eseguire le opere più rapidamente e quindi di assumere più incarichi contemporaneamente. Si può dire che i Della Robbia avessero fondato, in un certo senso, una piccola industria.

            Quindi l’opera veniva svuotata internamente e le venivano praticati particolari fori, piuttosto ampi, per poter effettuare la prima cottura: tutto questo per non farla esplodere e per fare fuoriuscire i vapori di cottura. Sempre per facilitare la cottura ed il successivo trasporto a destinazione, l’opera veniva suddivisa i più parti: in una pala d’altare, ad esempio, il fondale e gli elementi ornamentali erano frammentati in varie formelle, mentre le figure venivano separate in alcune porzioni tagliandole con un filo metallico. Il punto di giunzione era sempre in corrispondenza di zone facilmente mascherabili, come ad esempio le pieghe degli abiti.

            Una volta terminata la prima cottura con un pennello veniva stesa la cosiddetta “invetriatura”, cioè un composto costituito da vari materiali, ad esempio i pigmenti (le creazioni di Andrea della Robbia erano caratterizzate dai colori bianco ed azzurro) oppure lo stagno, uno dei componenti più importanti della miscela. Quest’ultima era stata messa a punto da Andrea della Robbia (e da lui tramandata segretamente ai figli, suoi più stretti collaboratori) e risultava praticamente perfetta (meno perfette saranno le invetriature prodotte dai figli, in particolare da Giovanni, per opere meno importanti, perché destinate a chiese meno importanti oppure ad essere situate in alto dove eventuali difetti non si notavano).

            Quindi, dopo che l’invetriatura era stata stesa, veniva fissata con una seconda cottura e diventava uno spesso strato di smalto vetroso. Questo, oltretutto, permetteva di preservare le terrecotte dalle intemperie e quindi le rendeva ideali per essere sistemate anche all’aperto (ad esempio a Firenze sulle logge dello Spedale degl’Innocenti, oppure nelle maestà lungo le strade).

            Poi l’opera veniva trasportata ai committenti: il fatto che fosse suddivisa in più parti ne rendeva più facile ed agevole il trasferimento, considerati i mezzi dell’epoca e, soprattutto, la qualità delle strade, e solo una volta giunta a destinazione veniva assemblata. Le opere monumentali commissionate direttamente ad Andrea della Robbia, come ad esempio la Crocifissione a La Verna, venivano montate in situ dall’artista stesso: questo testimonia l’importanza dei francescani e del luogo in cui vivevano in quel periodo storico, se uno degli artisti più rinomati di Firenze, lasciava la città ed affrontava un notevole viaggio per soddisfare di persona le richieste dei suoi committenti.

 

            Tra i figli di Andrea della Robbia è opportuno ricordare in primo luogo Girolamo, forse il più abile e talentuoso tra i diretti eredi dell’artista e della sua bottega. Suo è il crocifisso conservato nella chiesa parrocchiale di S. Piero in Bagno e proveniente dal Palazzo dei Capitani.

            Invece Marco, anche lui figlio di Andrea della Robbia, ha realizzato opere molto più rozze del padre e di minor pregio.

            Un altro figlio, Giovanni, amava usare più colori (accanto al bianco ed al celeste caratteristici compaiono il giallo, il verde, il rosso oppure il marrone) e con tonalità più intense e cariche rispetto al padre. Scultore piuttosto importante ha realizzato varie opere per diverse chiese fiorentine. Una delle sue pale d’altare è conservata anche a Corniolo, nella chiesa di S. Paolo, ed è forse uno dei suoi lavori più belli. Raffigura Maria Assunta in Cielo, con S. Sebastiano, Sant’Antonio Abate e S. Romualdo (o forse un altro monaco camaldolese). Nella parte bassa è conservata quasi per intero la predella.

            In questo caso mentre i santi sono stati modellati direttamente dall’artista la Madonna, raffigurata dentro ad un’ogiva, è probabilmente fatta a calco.

 

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