indice  

 homepage

scrivici:
gicomma@libero.it 

La distrazione: 

La distrazione/ Ecloghe del Corsale

La distrazione/ Immagini (per un  
processo d'identificazione 

Arlette Lawyer

Artemisia Viscoli

Franco Manescalchi

G. Commare, La poesia della 
contraddizione

Cevengur, nella Valle del Belice

In memoria di Sebastiano Timpanaro

Il nome e la memoria (I romanzi
di G. Van Straten)

Tribunale internazionale sul
genocidio in Guatemala

   IN CORPORE VIRI

 L'ULTIMO LIBRO DI GIANFRANCO CIABATTI


  Poesia di pensiero e  d'immagini, l'opera di  Gianfranco Ciabatti  si situa lungo la linea Leopardi-Montale, la  quale  ha come  cifra d'identificazione la necessità di dire la  condizione di essere nel mondo, nel nominare la contraddizione essere/nulla.  
  "Tensione metafisica" ho definito, in un saggio sui  precedenti tre libri (cfr. Allegoria, n.14 del 1993), la forza che anima  la sua  poesia,  come la sua vita. Politica e poesia  non  sono  per Ciabatti la vita, ma strumenti ("utensile, arma"): per rendere la vita degli offesi meno umiliata, piu degna, la prima; per dare un senso  all'esistenza  e  per forzare i  limiti  del  finito,  del caduco,  pur  nella consapevolezza che "il segno  e  inetto  alla cosa",  la seconda. E l'una e l'altra sono atto d'amore. Chi  non avesse  colto la forza di quella tensione e di quest'amore  negli altri  libri  di Ciabatti, ne troverà in questo la  più  evidente rappresentazione:  "canto  la  vita...la vita  che  canta  e  che combatte". Perciò saremmo ingiusti con lui se lo  considerassimo solo  poeta,  grande,  o  solo  politico,  acutissimo  e  giusto. Sbaglieremmo  perché  lo ridurremmo a una parte,  mentre  la  sua radice  piu  profonda, la sua aspirazione più autentica  è  stata vivere,  con volonta determinata e coerente, e con  bellezza,  la vita,  l'integrità dell'essere, poter dire della sua  vita  "Ben 
fatto";  ed  era una lotta, "dar vita alla  morte,  accendere  il gelo",  che lo portava a misurarsi, cosciente della  necessità  e della  limitatezza, con la sete d'assoluto:  "animale  caduco,  /  per  tutta la vita / se la prese con l'assoluto / accusandolo  di non esistere". E' l'Epitaphe che chiude In corpore viri.

  Questo libro postumo si sottotitola 5 esperimenti, formula  che non  richiama certo lo sperimentalismo letterario,  qui  peraltro contestato, quanto piuttosto il metodo galileiano cui si  accenna esplicitamente  nel Colloquio immaginario con un fisico  ("nacque la  scienza  moderna  dal  libero impiego  dei  sensi  muniti  di appositi  prolungamenti contro il principio  d'autorità");  siamo quindi  indotti a congetturare la dimostrazione  sperimentale  di una  tesi.  Sul  titolo si esercita  però l'effetto  straniante, brechtiano,  del  rovesciamento, In corpore viri da  "in  corpore vili".  La  vile cosa che è il corpo  (l'espressione  del  latino 
popolare  rimanda propriamente all'esperimento medico  sul  corpo 
plebeo:  "Faciamus experimentum in corpore vili") per Ciabatti  è "unico  bene  certo", essere, pensiero, vita. 5  modi  di  dirlo, insomma,  per  ribellarsi al ruolo di  vittima  sacrificale,  per riscattarlo  con  la dignità del desiderio e del  pensiero.  Così come  il "vili" della tradizione è riscattato dal "viri",  l'uomo non solo dotato di diritti, ma capace anche di virtù. 
 
  E 5 sono le sezioni del libro.
  La I è nominata Il corpo del pensiero. Il corpo di desiderio  e bisogno aspira a un suo proprio pensiero, una volta pervenuto  al vero  e affrancato dall'ideologia della scienza che lo  riduce  a vile oggetto di astratta e autoreferente ragione.
  La  II  è appunto Il pensiero del corpo,  del  lucido  animale, uccello  nel campo arioso, la creatura bestia e angelo,  che "nel dolore ha una gloria e una luce", brandelli di splendore.
  La  III  s'intitola Il segno, cioè i nomi  che  duplicarono  le cose,  le  parole  del  dire  "la  bellezza  che  c'inflissero  i proprietari  e il dio", la gelata impotenza a cui Ciabatti  aveva affidato in Preavvisi al reo il compito di "far piazza pulita per spianare alla prassi la strada di farla tacere"  e che ora ammira "il non detto animale che non occulta le cose", il segno  "inetto alla  cosa",  che, nonostante l'amore, non può  ricongiungere  le parole alla gloria del mattino.
  IV  sezione  è  Il tempo, nominato come  amore,  perché  di  un 
canzoniere  d'amore  si  tratta, per la  donna  della  sua  vita, amore  che  è congettura d'armonia, che "distrae  dal  morire"  e induce la cura dell'insidia estrema del corpo in quanto è amato.
  V e conclusiva è La salute (abbozzi d'ospedale), per  paradosso "quanto  ci  è concesso dell'immortalità". Anche qui,  al  limite estremo della guerra dell'esistere, l'hanno in loro potere  "solo un lamento appena percepibile / dell'indicibile dolore astratto / che  s'incarna nel corpo non mistico / degli offesi, o fugace  un barlume / di amore eventuale o di riscatto".
 
  Inoltrarsi  nella  poesia  di Ciabatti non  lascia  illesi.  Le parole obiettano che è presunzione il diritto di capire per  "chi vuole  raggiungere / illeso / il senso... Eppure  ovunque,  prima della  soglia, / è la facilità, / reclamante l'urgenza dei  gesti necessari, / sono i corpi / che dicono aperta in giudizio la loro /  congettura di bellezza / in altro modo." Dunque da lì si  deve partire:  dai corpi, dalla loro congettura di bellezza  detta  in altro  modo.  E dalle cose, che per essere quello che  sono  "non chiedono  il  nostro permesso". Assioma esposto  con  la  massima 
chiarezza già in Preavvisi al reo.
 Il  corpo  è bisogno e, per  manifesta  ascendenza  leopardiana, desiderio e pensiero. Desiderio e tensione alla felicità, fra  le quotidiane  infamie  del  tempo sentita  in  un  soprassalto  del sangue,  senza  ragione alcuna (tra le ragioni  di  felicità,  la migliore). Dal desiderio nasce la congettura di bellezza, che  si scontra  con la disarmonia dello stato presente,  storico,  delle cose.  "Siamo giunti alla lotta attraverso la danza", ha  scritto Ciabatti in Niente di personale, cioè attraverso la congettura di bellezza  che  si esprime anche nella forma della poesia.  Ma  il desiderio  è  anche  tensione  illimitata  che  svela  i   limiti 
dell'esistere  proprio  in quanto tende all'infinito.  Su  questa esperienza  s'innesta il pensiero che scandaglia la realtà  delle cose,  il  confine  fra l'essere e il nulla,  il  proprio  stesso limite.  Il  corpo-pensiero  nasce  dal nulla  e  al  nulla  sarà restituito.  Il corpo-bisogno e desiderio tornerà al tutto  della materia  cui  appartiene. Parafrasando l'assunto  parmenideo,  le cose sono il tutto, l'essere è guerra con il nulla. Lo spazio del soggetto  si  situa sullo stretto crinale che separa  l'inerte  e 
gelida  materia dal nulla eterno. Il suo imperativo categorico  è "essere  per non morire". L'esistenza è un dato, ma la  vita,  la "guerra  dell'esistere",  è un atto di  volontà,   "accendere  il gelo", "mutare la nascita in creazione".
  Questo  materialismo  conseguente  e radicale,  che  supera  la 
posizione  leopardiana  -  da  Ciabatti  definita   "materialismo incompiuto",  non  porta  al nichilismo.  Dopo  che  il  pensiero 
indagatore ha frugato "nello splendore terribile del cuore  delle cose"  e  ha  visto  le fauci divoratrici  del  nulla,  resta  la "congettura  di bellezza", l'illimitato desiderio di  armonia  da cui germinano l'amore e la "congettura di giustizia".
  Aveva  scritto  in Niente di personale: "devi trovare  fuori  / l'io che farai con l'altro / da te." Ma il luogo dell'incontro  è il tempo storico, lo stato presente delle cose, dominato dal modo di  produzione  capitalistico,  che nega  sia  la  congettura  di giustizia  che  quella di bellezza. Perciò, sebbene  avverta  che "nelle offese ci duole /il nostro amore degli offensori",  l'uomo storico  sa che l'amore "non sarebbe bastato, / non  basterà".  Ciabatti, con coerenza e rigore, è stato un poeta che lotta per cambiare lo stato delle cose, un irriducibile marxista. La scelta del  posto  da occupare nel tempo storico è  stata  dunque  nello stesso  tempo naturale e voluta: dalla parte degli offesi,  degli 
umiliati, della vita umiliata, come poeta e come  rivoluzionario. 
Da  miscredente può dire a un credente: "Ti dico io come  sarà
l'aldilà,  /  né paradiso né purgatorio /  ma  solo  inferno,  e 
insopportabile il tuo dolore / per tutti gli umiliati che non hai amato,  / fino al cane accecato / non importa / se per colpa  non tua. / E ora che lo sai, sai come vivere / qui / tutto il  dolore di tutti, con ribellione, / perché non sia di là solo / tutto  il dolore tuo."

  La   poesia,  come  la  vita,  è  per  Ciabatti   luogo   della contraddizione, in primis tra parola e prassi, ma in quest'ultimo libro essa investe in modo piu radicale il rapporto tra la parola e le cose: "Quanta bellezza e nel mondo / nei poeti e  triviale". Si  manifesta  con  maggiore evidenza che nelle  altre  opere  la nostalgia di un tempo in cui l'essere integro è solo gesto, atto, e non parola, quello intuito nei "dolci animali": "Ma di tutto  è più bella l'oscura caduta, e più splende / il non detto animale / nell'integrità  dell'abiezione sua / che gloriosi il dolore e  il piacere  - le accuse dirette - / leva contro i creatori, /  senza 
occultare le cose." 
 La coscienza della lacerazione non gli vieta, anzi ne esalta  la gioia,  e nel momento della malattia e del dolore la  commozione, di  un  rapporto libero e autentico con la  bellezza  del  mondo, detto con pudore, precisione e misura: "Montagna, alberi, luce, / respiro che, salendo al vostro abbraccio, / fedele si  regolava".   La congettura di bellezza è il presupposto fondante il  bisogno di  perfezione,  del "ben fatto" come parola e come  gesto  (agli amici  può dire la paura e il dolore perché l'amore  gli  dà  il diritto  di  affliggerli,  ma con   "assolutamente  /  una  bella forma"). Non è estetismo, è volonta di dominare la necessità,  di 
dare  forma  e  senso alla vita (e anche  alla  morte). 
  Il recupero della eredità alta e regia della lingua e il cozzare  di 
questo  registro nobile con quello ignobile dei saperi tecnici  e 
dell'economia  politica,  che secondo  Fortini  caratterizzano  i 
precedenti  libri  di Ciabatti, in questo ultimo  si  distillano, 
sospese le intenzioni pedagogiche, in una lingua personale che ha 
la forza dell'autenticità, in quanto essenziale e necessaria. Una 
lingua denotativa e rarefatta che nomina tanto le cose necessarie 
quanto  le ultime e resiste all'urgere del sentimento  per  mezzo 
del  pudore  e dell'ellissi. Anche in In corpore viri  lo  scrittore 
resiste,    vittoriosamente,   alla   tirannia   della    metrica 
tradizionale e, soprattutto, come dichiarava, dell'endecasillabo; 
e il ritmo della poesia si fa anch'esso essenziale e  necessario, 
affidato com'è, esclusivamente alla sintassi dell'argomentare  in 
forma  dialettica  e all'enucleazione  di  parole-immagine,  che 
producono  un sistema di cesure molto vario, ma  sempre  coerente 
con il bisogno di dire in "bella forma" i diversi modi in cui  si 
manifestano  la  contraddizione  e l'amore per  la  vita,  che  è
desiderio  d'armonia.  La "bella forma", in  conclusione,  è  uno 
degli strumenti della lotta per tentare di ricondurre a unità  la 
scissione dell'essere nel mondo della contraddizione.

  Nella poesia italiana del secondo Novecento, eccezion fatta per 
il  religioso Luzi, che quindi ricerca su tutt'altro versante,  e 
per lo sperimentale Zanzotto, che ci gioca cercando vie di  fuga, 
per  coerenza e forza Ciabatti sta solo a mostrare con ragione  e 
passione,  senza  romantici  compiacimenti, il  nudo  vero  e  la 
faticosa lotta per dare senso all'esistere.

G. Ciabatti, In corpore viri, Marsilio, Venezia 1998, pagg.  116, 
Lire 22.000. 

                                                                 Giovanni Commare

(in Allegoria, n.34-35, anno XII, gennaio-agosto 2000) 


 Gianfranco Ciabatti (1936-1994)
POESIE
Da In corpore viri, Marsilio, Venezia 1998

Hommage

Fratelli e sorelle caduti 
in guerra contro i vostri cuori, 
mentre sul fronte esterno 
sopra voi pochi troppa la guerra 
sostenevate degli oppressori, 
precipitati dilaniati logori, 
chi vi avrebbe salvato? 
Bastava un po' d'amore. 
Sono l'unico che lo sa 
tra quelli che sanno 
che non sarebbe bastato, 
che non basterà. 

Preferiscimi a tutti

Preferiscimi a tutti 
nei pomeriggi d'amore, 
ma anche nelle partite a carte. 
Scegli il tuo doppio in me 
per tutti giochi che si fanno a coppie, 
il compagno migliore 
nei lavori per due. 
E quando vedi giungere 
chi meglio di me conosce la regola 
e l'arte, 
non mi lasciare con metà di te, 
ma intera 
te 
sottràimi, 
e solo intero 
lascia me a me stesso. 

(1964) 

Gratuità

Tra le infamie del tempo 
quotidiane 
che sovrani gli assassini e i frodolenti 
somministrano, 
di soprassalto il sangue scopre di essere 
felice 
senza alcuna ragione, 
                                   e che questa, 
tra le ragioni di felicità, 
è la migliore, 
                      e che di questa assenza 
di ragioni 
fa parte la tua presenza. 

Petit testament

In piena capacità 
di intendere e di volere 
il mio spirito vivo commette il mio corpo morto 
ai bisturi ai vetrini alle provette, 
augurandogli d'imbattersi, tra i sopravvissuti, 
in un fratello suo, che sagace ricerchi, 
quello che sempre, ovunque, sarà l'unico 
provveduto di vista e di amore. 
Tutti gli altri si occupino, poi, 
dei resti con discrezione, 
affinché il mio spirito sia restituito 
al nulla, e al tutto il mio corpo, 
con dignità. 

Da Preavvisi al reo, Manni, Lecce 1985

Dal di dentro

Poiché dobbiamo viverci, 
teniamo pulita la nostra prigione, 
apriamo i vetri all'aria del mattino zufolando 
immemori 

che un giorno il sole ci accecherà 
e la strada sarà troppo larga, per noi, 
tremanti passi di convalescente 
deboli sotto la madida pelle. 

Noi dovremo allora richiamare 
gesti antichi alla mente, ricusare 
la pace connivente con la legge del silenzio, 
tollerare la dura libertà. 

bisogna mi convinca

bisogna mi convinca che l'atteggiamento 
volontaristico non mi si addice, 
e che quanto si vuole da me è sempre meno 
di quanto si vuole dall'idea che io stesso 
mi son fatto di me 

perché ha qualche chance solo chi si vedrebbe 
meglio nei boschi seguire un sentore di femmina 
provvisto di una gamma 
di idee tra il gongolante e il lamentoso, il miglior porco, 
tutto l'opposto dei porci comuni 

(cànone a un aspirante poeta)

Guàrdati dal volto teso 
delle emozioni che serrano in gola. 
Tu stesso puoi vedere le nostre ore, simili 
a quelle di tutti, 
e il tramonto non è che un fatto astrale, 
un sole che compie il suo turno iterato 
senza sognarsi minimamente 
di annegare nel proprio sangue. 
Distingui la tua lingua 
dalle menzogne dei tonfi nel cuore: 
la sua finzione sia premeditata. 

Si tratta, per noi, di dar vita alla morte, di accendere il gelo. 

Né giorno né notte possiedono l'anima che noi 
gli tributiamo. 


Mail to: gicomma@libero.it 
                                                                             indice   homepage