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LA VOCE UMANA

E LA SECONDA PRATICA

di  Annibale Gianuario

(dagli Atti del II Convegno Internazionale di Musicologia - Artimino 1976)

II tema del nostro Convegno « Poesia e Musica nell'estetica del XVI e XVII secolo », è stato determinato, nella scelta e nella enunciazione, dalle risultanze della Tavola Rotonda dell'ottobre 1974, dedicata all’Archicembalo di Nicola Vicentino. Dalle discussioni di allora emerse la necessità di approfondire la conoscenza non solo dello strumento, ma, soprattutto, di ricercare, data per acquisita la ragione che aveva determinato il Vicentino a proporre lo strumento stesso, il rapporto fra PAROLA E CANTO che veniva a configurarsi in maniera diversificata nei vari idiomi al punto tale da spingere il Vicentino a costruire uno strumento da tasto (quindi a suoni fissi) in grado di permettere l'intonazione di quegli intervalli dal comma alla diapason che il Vicentino andava individuando nelle flessioni verbali della dizione modulata in lingua toscana, latina, ungarica, francese, ebraica, tedesca, etc.

Altri elementi determinanti il tema base del Convegno sono state le lettere del 22 ottobre 1633 e del 2 febbraio 1634, scritte da Claudio Monteverdi presumibilmente a G. B. Doni.

Vi è da precisare subito che, con la enunciazione della 2ª pratica musicale, non siamo limitati a ricercare il rapporto fra parola e musica, parola intesa come significato ed enunciazione di un pensiero e musica intesa come interpretazione armonico-ritmica di quanto viene significato dalla parola stessa; né nella seconda pratica possiamo essere portati a riconoscere una mera costruzione sonora diversa da una altrettanto mera costruzione sonora di prima pratica.

Siamo invece, sollecitati a ricercare, nella seconda pratica, le implicazioni armoniche e ritmiche che la parola, in contemporaneità fonica e significante, determina. È’ ovvio, altresì, che prima e seconda pratica si riferiscano essenzialmente alla musica vocale anche perché lo strumentale di allora è chiaramente di derivazione vocale. Lo Zarlino nel riportare il passo di Lucrezio (vedi « Sopplimenti », 1588), « De rerum natura», Lib. I, ci indica esplicitamente il concetto della sua epoca circa la musica; scrive Lucrezio, difatti, che gli uomini tentarono dapprima di imitare con la Voce (primo strumento assolutamente soggettivo) il canto degli uccelli, lo stormir delle fronde, etc. Da tale tentativo vocale si passò a realizzazioni strumentali ad hoc. E’ logico pensare che tutto quanto dovesse essere eseguito su strumenti non potesse non essere di derivazione vocale, non derivare, cioè, da capacità vocali trasferite per imitazione su gli strumenti stessi. Penso per un momento ai madrigali di Luzzasco Luzzaschi (1601) nei quali la Voce esegue passaggi di quasi proibitiva difficoltà, passaggi che si addirebbero senza dubbio a strumenti quali il Flauto o il Cornetto.

Secondo il mio parere con la 2ª pratica si realizza, nel campo dell'Arte Musicale, la ricerca umanistico-rinascimentale di una realtà poetico-musicale di continuità greco-latina. E’ questo convincimento che ci porta ad indicare quale MUSICA RINASCIMENTALE la produzione artistica di 2ª pratica che va posta tra il 1550 ed il 1650. Difatti, determinatosi dopo la metà del '600 l'impoverimento culturale della conoscenza umanistica, l'estetica si rivolgerà alla ricerca costruttiva di armonie che manifestino impressioni ed aneliti trasmessi all'ascolto al quale viene lasciata la più ampia libertà fantastica della ricezione; ed una tale ricerca nulla ha, esteticamente parlando, a che spartire con la profonda introspezione della espressione verbale che viene promossa nel periodo umanistico-rinascimentale, introspezione che porta alla affermazione di quella 2ª pratica che è, appunto, l'alto traguardo del Rinascimento.

Ci troviamo così di fronte a due tendenzialità: il soggettivo-oggettivo della espressione verbale ed il soggettivo-soggettivo della manifestazione sonora; dalla oggettività della introspezione del segnale verbale e musicale, alla labilità della fattura musicale.

La 2ª pratica vive della PAROLA e quindi nella VOCE UMANA, perché è una realizzazione sonora sensitiva e razionale (anzi un FATTO sonoro sensitivo e razionale) ed è espressione soggettiva del Pensiero che per la propria razionalità viene captata oggettivamente.

E’ bene chiarire il mio pensiero circa il dualismo SOGGETTIVO-OGGETTIVO e SOGGETTIVO-SOGGETTIVO; lungi dal voler formulare una qualsivoglia preminenza di valore fra le due proposizioni, è ovvio riconoscere la diversificazione in quanto a potere espressivo.

Il fatto artistico che urge nel poeta (intendendo con questo termine, creatore) che è, inteso in senso classico, musico, viene proposto soggettivamente e recepito, nella formulazione significato-suono-ritmo, oggettivamente, perché gli elementi che compongono la formulazione sono razionali pur con differenziate cariche emotive;

captata la formulazione del concetto, il ricevente, partendo dalla base oggettivante della espressione, dà libero sfogo alla propria sfera fantastica. Quando, invece, il fatto artistico è soggettivamente formulato mediante una scelta di elementi sonori non oggettivati da termini significanti, il ricevente capta una sollecitazione che, per non essere qualificabile razionalmente, agisce direttamente nella sua sfera fantastica e provoca, quindi, una sensazione soggettiva che non sempre, e se non per caso fortuito, si riferisce alla sensazione soggettiva dell'emittente. Da qui quella che potremmo chiamare labilità della fattura musicale quale arte del suono in contrapposizione alla poesia-musica espressione fonetica del pensiero perché essenzialmente razionale ed emozionalmente attiva. È evidente che la musica strumentale assolve il compito di suscitatrice di sensazioni e di creatrice di atmosfere sonore, mentre la musica vocale ha, in assoluto, la facoltà di dire, nel canto, le sensazioni e le impressioni; è, cioè, la linea più diretta della comunicazione umana.

Emerge la sottigliezza del Vicentino e degli artisti musici del Rinascimento, proprio quando si pone mente al fatto che essi, non solo andavano ricercando il sempre più stretto rapporto fra la parola-significato e l'armonia ed il ritmo, ma, con la 2ª pratica musicale, andavano realizzando la musicalità del linguaggio ricercando la rilevazione emotiva della dizione modulata che si articola in quei micro-intervalli, captabili dall'orecchio umano, presenti nella realizzazione dell’ ARCHICEMBALO vicentiniano (della sua funzionalità dà notizia sicura anche l’Artusi in Ferrara nel 1600) costruito proprio per riprodurre le accentuazioni e le frequenze differenziate dei diversi idiomi.

Claudio Monteverdi nell'avvertire che tratterà della

« seconda pratica » intorno all'armonia, introduce perentoriamente il concetto di una armonia diversa da quella di « prima pratica » e determinata dalla dizione modulata, cioè dalla PAROLA da cui nasce l'armonia ed il ritmo; difatti il tema della sua lettera del 22 ottobre 1633 (al Doni -?-) è l'asserita realizzazione di una armonia scaturita emozionalmente dalla espressione verbale in particolare fase emotiva e non obbedente a tendenzialità sonore e a ricerca di un equilibrio di architettura armonica che tenesse solo conto delle affinità dei suoni riferibili ad un sistema da ascriversi al formarsi di un linguaggio musicale nel quale la parola, se presente, assume solo carattere esplicativo delle intenzioni emotive proposte dall'autore all'esecutore e, per esso, all'ascoltatore.

Il problema della ricognizione fonico-semantica della PAROLA fu presente a retori, oratori, poeti e musici dell'Alta Antichità (vedasi la « Poetica » di Aristotele, il « De Oratore » di Cicerone, il « De compositione verborum » di Dionigi d'Alicarnasso) e fu recepito indubbiamente, sia pure con deduzioni differenziate, da teorici poetico-musicali del Rinascimento (vedi « Versi e regole della nuova poesia toscana » del Tolomei, « Bamberini ovvero degli ordinamenti del verseggiare » del Chiabrera, le « Opere » del Trissino, l'« Opera Omnia » di Marsilio Ficino, la « Françiade » del Ronsard, i tentativi eloquenti della Pléiade). Non conosciamo quale metodologia dovessero allora seguire i teorici per la soluzione del problema base e dei vari problemi da esso decorrenti; ma è indubbio che risultati validi dovettero essere conseguiti se è vero, come è vero, che le formulazioni acustiche giunte a noi dimostrano verità scientifiche che possiamo validamente confrontare con risultati di indagini condotte con apparecchiature moderne.

È evidente che dobbiamo (e lo possiamo) verificare elementi acquisiti ed elementi ancora in fase di intuizione; elementi che provengono da analisi particolari che possono ancora essere frammentarie e che quindi rimangono valide solo se si considerano entro ragionevoli limiti di tentativi e con piena coscienza che molto, ancora, deve essere lasciato alla intuizione, cioè alla conoscenza diretta ed immediata d'una verità e, perciò, non ancora logica e discorsiva.

I teorici classici e rinascimentali riuscirono, ne abbiamo chiare testimonianze, ad individuare, conoscere ed approfondirne lo studio, i rapporti più sottili, cioè le frequenze; Plutarco e Antonio Lullo, ad esempio, che lo Zarlino cita nel Cap. IX del Lib. VI dei « Sopplimenti Musicali », Venezia 1588. Il tema proposto dal Lull (Lullo Baleario) è l'analisi di un verso di Terentio: IUNO LUCINA FER OPEM - SERVA ME OBSECRO. Scrive lo Zarlino: « ... Il perché volendo egli / il Lullo / incominciare a dimostrare il Genere della Melodia, ch'è composta d'Oratione, Rhitmo & Harmonia; la differenza dei Modi o Tuoni, contenuti nei Versi o Metri de Poeti;

& anco la forza del Parlare; cose che non sono lontane dalla imitatione, dà principio a questo modo: Non si può dire o finger cosa che sia men modulata di quello che esclama quella parturiente di Terentio: IUNO LUCINA FER OPEM; SERVA ME OBSECRO e dice che s'egli dimostrerà il Genere della Melodia, & la forza del parlare, che più niuno dubiterà più d'una cosa certissima. La onde introduce il Monocordo Pitagorico / eccoci ad un sistema metodologico / diviso secondo i tre Generi di Pitagora: nel quale percuote prima la Tritehyperboleon enharmonica, tre fiate ascendendo alla Nete, & di nuovo continuamente ritornando indietro, cessa nella Netediezeugmenon; & così vuole, che la voce piglia la modulazione Frigia di quello Metro. IU—NOLU—CI NAU. Dopoi quel che segue:FERUOUPEM—: muove la Paranete chromatica Yperboleon &- la Trite d'esso tetrachordo, facendo fine nella Netediezeugmenon. Il resto SER—VA—ME OBSEU CROU vuol che sia pronunciata diatonicamente & anco nel modo Eolico nel tetrachordo Diezeugmenon, percossa prima tre fiate la Paranete, & dopoi anco la Nete; & ritornando dopo quello alla stessa Paranete, che la voce venga a continuare, la quale ultimamente manchi nella Trite o Terza ... ».

Da notare, nella disquisizione del Lull, la IMITATIONE riferita al PARLARE, e così, anche, la ricezione del Lul della notizzazione contenuta in una particolare dizione emotiva di quelle parole poste in quella precisa successione. Il Lull recepisce indubbiamente i suoni di una dizione particolarmente emotiva e ne indica la collocazione nel SISTEMA PERFETTO MODALE GRECO acquisendo anche la movenza ritmica dalle lunghe e brevi. Non è pensabile che egli interpreti la emozione indicata dalla parola collocandone la dizione, volontariamente ed arbitrariamente, anzi, nel sistema degli intervalli musicali. Non si spiegherebbe l'avvertimento: «... ch'alcun non si dee maravigliare se questa intenzione di voce ha superato la Sesquialtera, & conclude il Dialetto tra la Consonanza Diapente: imperoche quella non è se non Chiamore e non parlare; & la Femina quanto ella Puote alza la voce ». Evidentemente il Lull ci propone una tesi affascinante: quella della essenza musicale della composizione poetica e della capacità interpretativa, per le implicazioni di conoscenza musicale, del lettore o del recitante.

Il fenomeno vocale e musicale denuncia la propria caratterizzazione quando di esso si abbia una descrizione precisa ed oggettiva nel dominio del tempo ed in quello della frequenza; se, cioè, il concetto di RITMO può essere associato alla grandezza tempo ed il concetto di ARMONIA e TIMBRO può essere associato alla grandezza frequenza. Il fenomeno vocale, nella sua determinazione dalla razionalità e dalla emotività, ha effettivamente in sé quegli elementi di ritmo, armonia e timbro, determinati dalla scelta razionale di un particolare contesto e la spinta emotiva che esso riceve all'atto della formulazione fonica, che possono essere individuati ed analizzati.

L’ analisi elettroacustica del segnale verbale e musicale ci consente di riconoscere alcuni parametri caratteristici che, espressi sotto forma di grafici, permettono l’interpretazione del messaggio trasmesso, messaggio che la tecnica moderna ci permette di analizzare con più facilità, ma che fu indubbiamente presente alla ricerca tecnica ed estetica dei grandi polifonisti e monodisti del '500 e '600 che, per comodità di espressione e proprietà di classificazione, chiameremo di2ª pratica.

Partendo da quanto scrive il Vicentino nel suo trattato « Della Antica Musica ridotta alla moderna prattica », Roma 1555, Lib. IV, Cap. XXIX: « ...Molti Compositori che nelle loro compositioni attendono a far un certo procedere di compositioni a suo modo, senza considerare la natura delle parole, ne i loro accenti, ne quali sillabe siano ne lunghe ne brevi, così nella lingua volgare come nella latina: et secondo l'uso et le regole de i Latini et de Toscani si dè oservare le pronuntie lunghe e brevi (in esempio) come se nella lingua Franzese, et Spagnuola, et Tedesca, le sillabe loro lunghe fossero pronunziate brevi, et le brevi lunghe, la natione loro riderebbe di tal pronuntia. Il medesimo occorre nelle pronuntie musicali d'ogni natione. Hora il Compositore avvertirà quando comporrà sopra parole Franzese, dè osservare i suoi accenti, et sopra parole latine osservare l'uso latino /.../ et tutti potranno porre in musica il suo modo di cantare con i gradi della divisione del nostro stromento (l’ARCHICEMBALO), che con la musica che hora s'usa, non si può scrivere alcuna canzone Francese, ne Tedesca, ne Spagnuola, ne Ungara, ne Turca, ne Hebrea, ne d’altre nationi, perché i gradi et i salti di tutte le nationi del mondo secondo la sua pronuntia materna, non procedono solamente per gradi di tono, e di semitoni naturali, et accidentali, ma per Diesis, e semitoni, e toni, e per salti Enarmonici; sì che con questa nostra divisione havremo accomodato tutte le nationi del mondo, che potranno scrivere i loro accenti e comporli a quante voci a loro parerà; perché la musica fatta sopra parole non è fatta per altro se non per esprimere il concetto, et le passioni et gli effetti di quelle con l'harmonia... », è ovvio ritenere che il Vicentino stesso e gli studiosi del suo tempo avessero modo di individuare ed analizzare i vari accenti verbali ed anche di riprodurli su di uno strumento musicale. Il Vicentino introduce chiaramente la conoscenza e la riproduzione delle frequenze (concetto di armonia e timbro) e la osservazione acuta del ritmo nelle pronuncie lunghe e brevi, conoscenza, riproduzione ed osservazione da riferirsi alla razionalità della espressione (espressione del concetto) ed alle componenti emotive da realizzarsi nell'armonia (esprimere le passioni et gli effetti di quelle con l'harmonia).

Abbiamo qui già operante il tema creativo (quindi poetico) di un messaggio musicale che non soffre ancora nessuna di quelle costrizioni armoniche e formali che si affermeranno in seguito, nel momento in cui, cioè, si sarà perduto il senso naturistico della espressione basata (l'asserto del Vicentino è perentorio) sui riferimenti fra grandezza tempo e grandezza frequenza dei segnali verbali nella gamma ricchissima delle accentuazioni razionali ed emotive captate in descrizioni precise ed oggettive.

Considerando, poi, quanto Monteverdi, come ho già detto, scrive nelle sue lettere del 22 ottobre 1633 e del 2 febbraio 1634 (al Doni -?-): « ...promisi... di far conoscere ad un certo Theorico di prima pratica, che ve ne era un'altra da considerare intorno al armonia, non conosciuta da lui, da me adimandata seconda... ». « II titolo del libro sarà questo: Melodia, o vero seconda pratica musicale. Seconda (intendendo io) considerata in ordine alla moderna, prima in ordine all'antica; divido il libro in tre parti rispondenti alle tre parti della Melodia nella prima discorro intorno al oratione, nella seconda intorno a l'armonia, nella terza intorno alla parte Rithmica; Vado credendo che non sarà discaro al mondo posciache ho provato in pratica che quando fui per scrivere il pianto del Arianna, non trovando libro che mi illuminasse che dovessi essere imitatore, altri che Platone per via di un suo lume rinchiuso così che appena potevo di lontano con la mia debil vista quel poco che mi mostrasse; ho provato dicco la gran fatica che sia bisogno fare in far quel poco ch'io feci d'immitatione... » « ...perloche rivoltai gli miei studi per altra via appogandoli sopra a fondamenti de migliori filosofi scrutatori de la natura, et perché secondo ch'io leggo, veggo che s'incontrano gli affetti con le dette ragioni et con la soddisfatione de la natura mentre scrivo cose praticali con le dette osservationi, et provo realmente che non ha che fare queste presenti regole, con le dette sodisfationi, per tal fondamento ho posto quel nome di seconda pratica... », siamo giunti al convincimento che la pratica fosse la realizzazione della espressione musicale contenuta nel segnale verbale le cui componenti esecutive di tempo e di frequenza rispondevano alla volontà oggettivante ed alla tensione emotiva che determinavano la scelta degli elementi fonico-significanti per la manifestazione di un concetto foneticamente espresso ed oggettivamente caratterizzato. Non, quindi, la collocazione del testo e dell'impressione da esso suscitata, nella costruzione musicale, ma la essenza sonora stessa del messaggio verbale modulato. Ciò ci riporta ovviamente a Platone (Repubblica - Leggi -) sia per il concetto di modalità che di imitazione.

Si afferma, cioè, la MELODIA (oratione - armonia - ritmo) nascere nella mente del poeta-musico in contemporaneità di volontà significante e di tensione emotiva ed essere il messaggio verbale parlato o modulato caratterizzato dalla presenza oggettiva di particolari elementi ritmici, armonici e timbrici propri della intenzione di scelta e di espressione del parlante. Ciò ci porta ancora alla Repubblica di Platone (Lib. III, 398 c, d, e, - 339 b, - 400 b, c, d, -) ed al concetto monteverdiano di pratica musicale in cui armonia e ritmo nascono dalla parola, mentre il concetto monteverdiano di IMITATIONE si riallaccia, in tema di «Lamento d'Arianna», ad esempio, riferito alla realizzazione della Melodia, al «Cratilo» (384 d, & segg.) nel quale Platone pone l'accento sulla derivazione fonico-semantica del SUONO UMANO nella determinazione della PAROLA. Ci troviamo di fronte ad una tesi che indica contemporaneità genetica tra la formulazione razionale della parola ed il suono di essa, per cui non possiamo avere nel « parlar cantando » monteverdiano una traduzione musicale del senso della parola detta, ma abbiamo, necessariamente, una parola espressa con quella particolare emozione che ne ha determinato la scelta lessicale in riferimento al suono ed al ritmo che l'emozione stessa detta.

L'espressione monteverdiana «rivestire di note» è eloquente ed indica la notazione dell'atto creativo; per cui la « imitazione » alla quale si riferisce Monteverdi è da individuarsi nella creazione di un atto di vita (in caso specifico, il pianto di Arianna) nei termini significanti e fonetici in contemporaneità della espressione emotiva ed è la introspezione soggettiva-oggettiva della emozione che determina il rivelarsi della parola modulata (il « parlar cantando ») che dà la variabilità soggettiva agli elementi instabili che si trovano nella costituzione dei suoni verbali sulla costante dei suoni basali; ed è dai suoni basali e dai suoni scaturiti dagli elementi instabili che nasce l'ARMONIA ed il TIMBRO, mentre dai nuclei dinamici da essi costituiti, nasce il RITMO; armonia (e timbro) e ritmo, quindi, di assoluta natura emozionale, determinati dalla formulazione del concetto, l’ORAZIONE, per cui, in ricezione, la espressione viene captata oggettivamente; in caso contrario Monteverdi non avrebbe potuto scrivere, riferendosi alla Melodia: « overo seconda pratica musicale» (lettera cit. del 22 ottobre 1633); si potrebbe dire che Monteverdi, nel « parlar cantando », dilati la verbalità fino a raggiungere la sonorità del CONCETTO. Questo tema del tendere alla rivelazione espressiva della parola nel ricercare in essa la realizzazione della Melodia in cui armonia e ritmo siano determinati e non determinanti, lo troviamo ribadito nella lettera cit. del 2 febbraio 1634 nella quale oppone la naturalità verbale della 2ª pratica (secondo i « fondamenti de migliori filosofi scrutatori della natura... ») alle « presenti regole » e « ai principii de la prima pratica, armonica solamente ».

Dobbiamo quindi convenire che la spiegazione della essenza della 2ª pratica deve essere ricercata mediante l'analisi della PAROLA il profferire la quale è prerogativa assoluta della razionalità manifestata mediante la VOCE UMANA.

Quando Monteverdi cita una « seconda pratica da considerare intorno al armonia » (lettera cit. del 22 ott. 1633) è esplicito l'indice del fenomeno armonico colto da un diverso angolo percettivo di quello da cui era colto il rapporto armonico di prima pratica e poiché egli stesso cita fra i cultori di seconda pratica autori assolutamente polifonisti quale Gesualdo da Venosa, è chiaro che il concetto di 2ª pratica si allarga agli estremi limiti del contesto contrappuntistico e dell'armonia verticale sempre (per ciò che asserisce Monteverdi) di derivazione verbale per cui nella 2ª pratica monteverdiana possiamo individuare, per ciò che ne è della ricerca della dizione emotiva e per le citazioni del Cremonese, un chiaro addentellato culturale ed estetico, oltre che armonico, con la modulazione verbale del Peri, con la ricerca degli affetti di Giulio Caccini, con la raffinatezza della espressività sonora, che quasi illumina il testo, di Marenzio, per raggiungere il da Venosa che, scavando nel profondo della espressione verbale, dà risultati d'ombra alle parole.

Si può pertanto affermare che: a) la intenzione determina la scelta delle parole da dirsi; b) la intenzione controlla, dopo averlo determinato, il modo di dire le parole scelte; c) le parole scelte hanno particolari frequenze; d) il modo di dire le parole scelte determina particolari SUONI caratteristici.

Quando Platone asserisce che non vanno scelti i modi per dire le cose, ma vanno scelte le cose da dire, conferisce, ovviamente alle cose scelte la determinazione dell'Armonia e del Ritmo; analogamente quando asserisce (Rep. III) che fra le parole dette e le parole modulate (cantate) non vi è differenza di struttura, è ovvio che riconosce che parlando e cantando si hanno le medesime frequenze riferite ai fonemi formanti le parole scelte e le frequenze caratteristiche (nel parlato e nel cantato) proprie a quella intenzione che ha fatto scegliere le cose da dirsi o da cantarsi. La SCELTA è, indubbiamente, in funzione della intenzione emotiva e quindi le parole, in tal caso, danno i TEMI della modalità (armonia) nella esaltazione interpretativa (anche questa, frutto di una intenzione in sintonia con la volontà espressiva contenuta nella parola scelta) del poeta-musico, anche (e forse soprattutto, sotto un certo aspetto), se poeta e musico sono due entità pensanti diverse. In questo concetto sta, forse, il tema critico che Monteverdi introduce laddove scrive (lettera cit. del 22 ott. 1633), « illuminasse che dovessi essere imitatore», riferito al «pianto di Arianna», concetto, cioè, di imitazione quale ricreazione dell'atto di vita (il lamento di Arianna nella individuazione ed esaltazione delle parole-significato-emozione).

La parola scritta viene presa da Monteverdi quale emblema letterario ma egli, e questo è il momento realmente qualificante, ne capta l'essenza fonico-semantica e ne intuisce la sua portata emotiva rispetto alla verità dell'evento naturale. L'Arte è facoltà intuitiva dell'evento naturale e noi dobbiamo (e possiamo) cercare di verificare, mediante i mezzi a nostra disposizione, il grado di avvicinamento dell'evento artistico all'evento naturale. Questo grado di avvicinamento alla verità è verificabile nel concetto di IMITAZIONE secondo Platone (Rep., Lib. X, 596 b): abbiamo l'IDEA (l'essenza) del letto; abbiamo il costruttore del letto; abbiamo il riproduttore del letto; la distanza del riproduttore dell'immagine dalla verità è facilmente recepibile; meno facile è comprendere la imitazione in riferimento, ad esempio, al pianto di Arianna, abbiamo: pianto di Arianna (verità), trascrizione emblematica del pianto nel testo, riproduzione dell'emblema letterario del pianto in quello musicale; un tale procedere nella composizione porterebbe tutt'al più ad uniformarsi al soggetto; Monteverdi, invece, compie il tragitto inverso; dalla trascrizione emblematica del pianto nel testo risale all'Idea primigenia del pianto stesso e ne rivela (questa è la sua imitazione) la emotività razionale e fonica; in altri termini ricrea nella dizione, cioè nella parola-suono, l'Idea atto del pianto di Arianna.

Credo che, dopo le varie considerazioni ed osservazioni formulate, non possano sussistere dubbi sulla capacità dei teorici e pratici, dall'Antichità al '600, di individuare le flessioni emotive della dizione riproponendone l'ascolto. La dimostrazione del Lull e quanto scrive il Vicentino a proposito delle caratteristiche del suo Archicembalo sono prove eloquenti. Aggiungerò, a proposito della dimostrazione del Lull, che la prova più valida in quanto a capacità di recezione e possibilità di verifica ci è data da quanto riporta lo Zarlino (e che ho già menzionato) «... introduce il Monochordo Pitagorico diviso secondo i tre Generi di Pitagora; nel quale percuote la Tritehyperboleon ... ».

È evidente che il Lull è riuscito ad intonare la dizione del verso in esame ai rapporti noti dei generi eseguibili sul monochordo (lo Zarlino riporta anche le lunghezze delle corde riferite all'altezza dei suoni della diapason). E’ evidente, altresì, che sia il Lull, sia il Vicentino dimostrano la possibilità e la capacità di eseguire vocalmente il diesis enharmonico ed il comma.

Questa disquisizione sul tema « LA VOCE UMANA E LA 2ª PRATICA » e quanto sono andato dimostrando ed ipotizzando vuole essere la formulazione di una nuova metodologia di indagine sulla praxis compositiva di 2ª pratica e sulla praxis esecutiva di opere che per essere essenzialmente decorrenti dalle prerogative espressive della Voce umana, possono ricevere maggiore attendibilità interpretativa da opportune verifiche degli elementi acustici (di origine fisiologica, psicologica e razionale) che compongono il tessuto significativo e sonoro delle esposizioni artistiche in un adeguato inquadramento estetico.

È’ questa mia esposizione un primo passo verso la instaurazione di una metodologia impostata scientificamente onde lasciare, nella ricerca, il minimo di aleatorietà possibile ed offrire allo studio i mezzi più idonei alla individuazione dei temi compositivi ed esecutivi di opere alle quali troppe volte e con troppa facilità si assegnano caratteristiche assolutamente contrarie alla loro essenza.

Desidero insistere sulla opportunità di una ricerca di studio mediante analisi elettroacustiche che ci offrono la possibilità di verificare la attendibilità di intuizioni interpretative. Il fatto, ad esempio, che la tecnica moderna abbia messo a disposizione dello studioso numerosi strumenti elettronici che analizzano il segnale vocale, registrato su nastro magnetico, e consentono la sua descrizione nel dominio del tempo e delle frequenze, deve servire di incentivo per la ricerca, attraverso l'analisi dei diagrammi, sonogrammi, ecc., di tutti gli elementi espressivi, ricercati e realizzati dai cultori di 2ª pratica, contenuti nell'opera analizzata; anche quelli che sfuggono alla nostra comune attenzione (condizionata da una diversa estetica), ma non certamente alla sensibilità dell'apparecchio. La conoscenza della Voce umana e delle sue possibilità caratterizzanti è forse la chiave della conoscenza della 2ª pratica, conoscenza che si può raggiungere solo a prezzo di un approfondimento del mondo estetico nel quale si è attuata l'opera da analizzare.

Ecco alcuni parametri estratti da una analisi elettroacustica del segnale verbale e musicale della frase « Lasciatemi morire » tratta dal Lamento d'Arianna di Claudio Monteverdi, espressi sotto forma di grafici.

La frase è stata pronunciata recto tono, con dizione emotiva e nella notazione monteverdiana. Associando alla grandezza tempo il concetto di ritmo ed alla grandezza frequenza quello di melodia (accezione moderna del termine) e timbro, si deduce che la traduzione quantitativa dei parametri elencati consente allo studioso di musica una descrizione precisa ed oggettiva del fenomeno vocale e musicale.

Nelle figure 1a, 1 b, 1c, si riportano i sonogrammi della frase in esame e nelle tre pronuncie. Sull'asse delle ascisse è riportato il tempo, mentre, su quello delle ordinate, è riportata la frequenza; gli annerimenti sono relativi alla presenza di energia in un certo istante ed in una certa banda di frequenze. Si ottiene in sostanza una rappresentazione, nel dominio tempo-frequenza, della concentrazione di energia sonora che fornisce lo spettro del segnale. L'analisi è stata eseguita impiegando un filtro a banda stretta (di 40 Hz) al fine di evidenziare le armoniche del segnale analizzato (linee nere orizzontali). Sull'asse del tempo sono state riportate, in corrispondenza dei relativi annerimenti, le parole pronunciate; per ogni lettera, in senso verticale, è rilevabile lo spettro: la prima riga dal basso corrisponde alla frequenza fondamentale e, procedendo verso l'alto si incontra la seconda, la terza armonica e così di seguito.

La presenza più o meno marcata delle linee procedendo in senso verticale denota la presenza di zone formantiche che individuano la vocale e la consonante sonora caratterizzandola anche dal punto di vista timbrico. L'andamento nel senso orizzontale delle linee armoniche caratterizza l'andamento melodico (accezione moderna del termine) della frase nel senso che ad un abbassamento di questo corrisponde un abbassamento della melodia (accezione moderna del termine).

Nelle figure 2 a, 2 b, 2 c, si riportano, in funzione del tempo, gli andamenti della intensità con cui vengono pronunciate le singole sillabe che costituiscono la frase. Dall'andamento dell'intensità è possibile dedurre l'accentuazione della pronuncia.

Il quesito di base è questo: data una intonazione di assetto X, si pronuncia la frase in oggetto: a) senza particolari accenti emotivi; b) con una emotività riferibile alla intenzione del messaggio; c) nella modulazione notizzata da Monteverdi. Si riscontra dai sonogrammi ottenuti che: sia la dizione realizzata con una emozione riferita alla intenzione del messaggio, sia la dizione modulata, monteverdiana, rimangono aderenti alle caratteristiche oggettive della dizione semplicemente parlata. Ciò denota nei tre casi una costante, nel dominio tempo-frequenza, che dimostra come la notazione monteverdiana proponga la esatta rappresentazione grafica dell'evento emotivo che Arianna vive in un preciso momento drammatico, senza forzature melodiche (accezione moderna del termine). E questa costante è chiaramente operante indipendentemente da quelle incidenze timbriche o di varia altra natura che possono intervenire, riferibili anche alle caratteristiche vocali del parlante.

Emerge da questa analisi che la versione modulata e notizzata da Monteverdi, secondo i temi estetici di 2a pratica, realizza (ed è il parlar cantando in contrapposizione al cantar parlando - lettera allo Striggio del 9 dic. 1616) l'emotività di Arianna nella espressione del proprio dramma oggettivato nella parola; non vi è un motivo sonoro su cui si pronunciano parole, ma, viceversa, è evidente l'espressione fonetica del pensiero: è pura espressione poetica dell'evento drammatico.

Si ringrazia il Dott. Ing. Raffaele Pisani dell'Istituto Nazionale "Galileo Ferraris" di Torino di aver condotto, per il Centro Studi Rinascimento Musicale, l’ analisi elettroacustica che ha consentito di condurre una indagine che, pur in termini, ancora, di informazione, evidenzia che la voce umana nel profferire la vocale, la consonante, la sillaba, la frase, emette energie acustiche determinate dalla scelta lessicale e dalla emozione; energie acustiche che troviamo identificate ed operanti nel frammento monteverdiano di Arianna.

 

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