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CENTRO STUDI RINASCIMENTO MUSICALE

 

Annibale Gianuario

 

GIAN FRANCESCO MALIPIERO

e

L'ARTE MONTEVERDIANA

Annotazioni tratte da un carteggio

FIRENZE agosto 1973

 

© Proprietà Letteraria Riservata

Questo opuscolo commemorativo è stato stampato in 200 copie numerate

015

Forse fra i vari e numerosi riconoscimenti tributati alla memoria di Gian Francesco Malipiero ne è mancato uno, altamente qualificante, della di Lui personalità di umanista, riferito alla Sua riscoperta dell'Arte monteverdiana.

Si è scritto, invero, anche molto sugli studi e sulle ricerche condotti da Gian Francesco Malipiero e culminati con la pubblicazione, nel Vittoriale degli Italiani, tra il 1926 ed il 1940, dell'OPERA OMNIA di Claudio Monteverdi.

Non si è toccato, però, il lato più pregnante di tali studi e ricerche e si è guardato soprattutto alla mole del lavoro ed al suo valore bibliografico e divulgativo.

Il Centro Studi Rinascimento Musicale crede di far cosa opportuna, puntualizzando, in questo affettuoso omaggio all'insigne Maestro, il portato culturale dei Suoi studi volti principalmente a ritrovare l'essenza fonico-semantica della creazione del Cremonese.

Questo nostro breve quaderno vuole essere, perciò, la maniera forse più gradita all'indole schiva eppur caustica, bonaria eppur dominante di Gian Francesco Malipiero, che ha onorato ed onora il Centro Studi Rinascimento Musicale della propria adesione, di ricordarlo ai Soci offrendo, altresì, ai giovani studiosi elementi validi alla conoscenza dei temi culturali del '500 e '600 che furono alla base del definirsi della espressione musicale di Malipiero.

Ci accingevamo nel lontano 1965 ad approfondire lo studio sull'Arte musicale del XVI e XVII secolo in genere e di Monteverdi in particolare e, dopo aver consultato e schedato tutto quanto era stato scritto sul grande Claudio, eravamo ragionevolmente pronti ad iniziare la vera e propria ricerca su quel periodo fascinoso e sull'artista eccelso.

Un concetto ci aveva particolarmente colpito, un concetto espresso dal Prunières (vedi — Henry Prunières, « La vie et l'oeuvre de C. Monteverdi », Paris 1924-1926; pagg. 7-8): « .... En face de Zarlino, défenseur de la tradition, se dresse Vicentino dont le traité " L'Antica Musica ridotta alla Moderna prattica " (1555), fut le bréviaire des musiciens d'avant-garde » e ripreso con una punta polemica da Malipiero nel suo « Claudio Monteverdi » (Milano 1930): «….Il Monteverdi, senza né punto né poco rinunciare alle risorse infinite dell'intuizione, preferì seguire le teorie di Nicola Vicentino (. . .), ma non si può dire per questo che il   "Monteverdi disponeva male le parti"! . . . (cfr. op, cit. pagg. 26-27) ».

Fu questa la molla che fece scattare il congegno e ci portò a trascrivere i 5 libri del battagliero Don Nicola. L'approfondito studio di questa opera e la conoscenza dei teorici e pratici dell'epoca: Aaron, Agazzari, Artusi, Banchieri, Berardi, Bononcini, Bottrigari, Caccini, Diruta, Foliani, Peri, Lanfranco, Zacconi, Tevo, Zarlino, ecc. e soprattutto l'analisi dei concetti espressi nelle due lettere di Monteverdi del 1633 e 1634 (gli autografi si trovano presso la biblioteca del Conservatorio di Musica « L. Cherubini » di Firenze) ci consentivano una notevole apertura conoscitiva. Ed era questa maturata conoscenza che ci portava a collegarci con Colui che, molto prima di noi e lavorando su basi dedotte da una metodologia indubbiamente ancora lacunosa, era pur riuscito a sollevare il velo sul segreto della 2ª pratica monteverdiana. Il collegamento fu semplice, spontaneo e fortemente stimolante. Il carteggio stringato, essenziale e chiarissimo che ho avuto con Gian Francesco Malipiero doveva fugare le ultime perplessità circa una nuova interpretazione da dare alla semeiografia monteverdiana soprattutto riferita alle alterazioni.

Proprio nel 1967 (anno del bailamme delle commemorazioni monteverdiane) usciva, per i tipi di Schweiwiller, il caustico « Così parlò Monteverdi » di Gian Francesco Malipiero che il Maestro mi fece pervenire con una dedica quanto mai significativa

che fu per noi incentivo a durare su un itinerario pur estremamente difficile;

itinerario ingombro di pregiudizi, di lezioni male apprese, di incallita e diffusa misconoscenza del reale essere della grande Arte cinqueseicentesca e segnatamente della pratica.

Evidentemente Malipiero non si era crogiuolato nel beato godere del ricercatore soddisfatto; era andato anche Lui approfondendo la propria conoscenza che, rinnovata, (insisto su tale termine evocatore di vivificante divenire) quasi novantenne, trasmetteva in quello stupendo messaggio medianico che è « Così parlò Monteverdi », messaggio che contiene l’imperativo categorico di un ulteriore approfondimento della materia sonora monteverdiana, e di tutto il cinqueseicento, che è lungi dall'esser stata completamente esplorata ed analizzata.

Mi sembra indispensabile per la esatta valutazione degli elementi critici contenuti in quel messaggio, riportare in fotocopia alcuni passi illuminanti del carteggio avuto con il Maestro, senza di che la presente pubblicazione mancherebbe al compito prefisso di commemorazione della figura dell'umanista Malipiero dall'interesse culturale in continuo fermento perché è proprio l'ansia di approfondire la conoscenza che si acclara nel breve e copioso scritto di Malipiero come pure nel prezioso carteggio tenutosi fra noi.

Scrive Malipiero in « Cosi parlò Monteverdi »:

«... il 1967 sarà una gran festa per la musicologia e questa certamente mi farà la festa, eppure ci vorrebbe molto poco per riammettermi com’ero nel consorzio di quei musicisti che parlarono un linguaggio nuovo, ma chiaro e che graficamente ebbero sempre a disposizione il segno corrispondente al suono desiderato . . ».

«... Non ci sono problemi per decifrarmi e i miei editori non ammettevano l’errore di stampa ... ».

«... Non valgono nemmeno i documenti, il più importante è il libretto della "Proserpina rapita " di Giulio Strozzi, purtroppo la musica è andata perduta, ma in esso sono precisati i modi di ogni singola Aria, vale a dire il Frigio, il Lidio, il Missolidio e l'Eolio . . . ».

Ed in APPENDIX Malipiero fa precedere alcune fotocopie da:

«... Da trent'anni insisto pubblicando il fac-simile di queste importantissime testimonianze, ma è troppo comodo annullarle alterando gli accidenti che determinano appunto i modi ai quali gli elaboratori preferiscono le armonie care a Saverio Mercadante ».

Questi concetti collimano perfettamente con quanto ebbe a scrivermi Malipiero, onorandomi della Sua stima, in risposta a miei quesiti pressanti e che riporto qui in fotocopia:

 

Profondamente polemico eppur umano, quanto scritto a pagg. 19 e 20

(« Così parlò Monteverdi »):

«... Il più martoriato fra i grandi musicisti fu ed è tuttora Claudio Monteverdi. Vi sono evoluzioni inevitabili e spesso provocate dallo spirito di conservazione, che il fossilizzarsi è morire e questo fu appunto il caso Monteverdi, innovatore dalla nascita, era fatale che non gli si perdonasse la sua seconda pratica ... ».

E Malipiero fu effettivamente polemico ed umano e polemico anche con se stesso tanto che si potrebbe, nella evoluzione della Sua conoscenza, ravvisare la celebrazione tutta malipieriana di un « processo a Malipiero ». Ciò che più colpisce, difatti, nel Suo carattere è di esser stato e di aver fatto tutto a misura d'uomo; non è il mostro che tutto sa, colui che non sbaglia mai; Malipiero ha esposto i Suoi giudizi e li ha documentati rendendoli ineccepibili e lo ha fatto anche quando poteva con ciò contradire se stesso; alcune Sue valutazioni possono essere discutibili o non condivise completamente alla luce di ulteriori documentazioni che gli sono mancate e non certo per colpa sua. Ma ciò che si evidenzia sempre nella Sua opera è la ricerca della verità e la affermazione di essa.

È così che certe Sue perplessità che lo fecero soffrire nella propria intimità culturale, erano sul punto di essere fugate; una, principalmente, (lo accennava nel 1930 e ne parla ancora nel 1967 ):

«... In molti casi Claudio Monteverdi cambiò le parole riducendo la stessa composizione da profana a religiosa. Senza ammettere la profanazione nell’arte è però in contradizione con se stesso; se, come egli vuole, la musica deve essere schiava delle parole, come può adattarsi la stessa musica a due differenti poesie? ».

(cfr. G. F. Malipiero: « Claudio Monteverdi » — Milano 1930, pag. 35).

E in « Così parlò Monteverdi » a pag. 11:

«... Forse Claudio Monteverdi trasformando l'umanissimo "Lamento d'Arianna" in "Pianto della Madonna" ha dato il cattivo esempio, ma il dolore tiene sempre aperte le porte di tutti i paradisi ».

È stata la Sua perplessità che ci ha spinto ad analizzare queste pagine monteverdiane, imponendoci di trovare la ragione di quelle realizzazioni di Monteverdi, ragione che pur doveva esserci dato che il Cremonese « non faceva le sue cose a caso ».

È, ancora, effettivamente essenziale definire il valore espressivo della alterazione sia per la individuazione della modalità, sia per riconoscerne il genere.

Le asserzioni esatte che Malipiero fa nel 1967 pongono indubbiamente grossi problemi di realizzazione, di interpretazione ed esecuzione e sposta completamente gli angoli di osservazione armonica delle composizioni di pratica (vedi a tale proposito il Cavalieri, il Tropea, il Vicentino, Domenico Mazzocchi, ecc.).

Se è vero, come è vero, (e Malipiero tra il 1930 ed il 1967 ha certamente approfondito la questione) che in Monteverdi (la documentazione è ineccepibile) l’alterazione valeva per la sola nota davanti a cui era posta, ne decorre che molte, troppe pagine monteverdiane sono state lette male e da ciò è derivato un evidente appiattimento della tensione emotiva ed un impoverimento delle espansioni armoniche del « continuo ».

Questo dato di fatto che si desume quale corollario dalla esposizione di Malipiero, è stato il punto di avvio per una nuova impostazione da dare alla esplorazione dell’opera monteverdiana; nuova impostazione alla cui realizzazione il Centro Studi Rinascimento Musicale subito si accinse. Ed ancora e sempre illuminante giunse il parere stringato, quasi lapidario del Maestro che a precise mie domande rispondeva:

Eloquente e oltremodo significativa la chiusa nella sua laconicità e chissà quanti pensieri, volutamente non espressi, affluirono alla mente di Lui mentre vergava il commiato cordiale.

Procedendo da una attenta disamina della prassi semeiografica dell’epoca, seguendo una serrata casistica prettamente monteverdiana e confortati dalle preziose affermazioni espresse da Malipiero nei Suoi scritti dal 1967 in avanti, a quarant’anni dalla pubblicazione maestosa dell’Opera Omnia, dovremmo oggi impegnarci tutti alla redazione di una edizione critica delle opere di Claudio Monteverdi. Scriveva Friedrick Blume nel saluto rivolto al Convegno di Siena del 28-30 aprile 1967 (cfr. Rivista Italiana di Musicologia, Voi. II, 2 -pag. 205, Olschki - Firenze 1967 ):

«... Ma tutti gli sforzi si basano ancor oggi su fondamenta oscillanti, perché ci manca un'Opera omnia critica e fedele alle fonti. L'edizione di Francesco Malipiero iniziò negli anni venti: nessuno misconoscerà i suoi grandi meriti, ed io posso attestare ancor oggi per mia propria esperienza, quale ìlluminazione essa sia stata allora, per noi. . . ».

«... Quasi tutte le edizioni che conosco direttamente, contengono sbagli: errori di notazione, errori nel basso continuo, modifiche arbitrarie, ritocchi, ecc. ecc. . . ».

L'argomento è rimasto di pressante attualità, mentre abbiamo a disposizione la preziosa realtà dell'Opera Omnia ordinata da Malipiero su cui impostare la realizzazione di una completa edizione critica alla luce di prove documentate dalle recenti osservazioni dello stesso Malipiero e dalle positive ricerche seguite a tali osservazioni. Occorre perciò procedere al confronto delle diverse edizioni originali apportando alla monumentale Opera Omnia quelle precisazioni indispensabili alla determinazione indiscutibile del testo esatto.

Ad esempio: il « Lamento d'Arianna » monodico esiste in un unicum del 1623 (Biblioteca dell'Università di Gent) la cui stesura non trova esatta corrispondenza con quello contenuto nell'Opera Omnia; così dicasi (sempre ad esempio) per l’« Orfeo » di cui esistono due edizioni originali del 1609 e del 1615 fra le quali non vi sono differenze degne di nota, mentre l’« Orfeo » dell’Opera Omnia (come tutte le edizioni moderne di esso) ha una stesura che sembra esser stata redatta sulla scorta di un esemplare del 1615 (Biblioteca di Wrocław - Polonia) nel quale furono apportate correzioni a mano visibilmente apocrife.

Procedendo ad un auspicabile perfezionamento della conoscenza di Monteverdi, ci veniamo a trovare di fronte al rinnovato problema del « continuo»; e su questo tema la musicologia ufficiale segna indubbiamente il passo, irretita come è in cognizioni inesatte della tecnica armonica dell'epoca e dei cultori di pratica. Il « continuo » era certamente un semplice sostegno alla espressione verbale (in caso contrario l'autore lo avrebbe realizzato) e può darsi che fosse da improvvisare. Comunque è solare che l'Armonia del cinqueseicento era molto più ricca e complessa di quanto per strana ed inveterata consuetudine si continua a credere, basando i giudizi sulle realizzazioni del settecento e sulla non conoscenza della seconda pratica che è una luminosa parentesi fra il mondo contrappuntistico che si dissolve e l’instaurarsi di una estetica che avrà le proprie assisi nelle formule della regola d’ottava e nella pararmonia con la completa perdita della individuazione fonico-semantica della espressione verbale. È necessario allora procedere ad un completo riesame della praxis compositiva dei Marenzio, Mazzocchi, Peri, Caccini, Luzzaschi, Frescobaldi, di Venosa (il quale, fra l'altro, scriveva come scriveva non perché i mezzi finanziari e patrimoniali gli permettessero di fare il gigione o perché non conoscesse il contrappunto e l'armonia, come qualche buontempone in vena di facezie ha creduto poter ravvisare nelle composizioni del Principe, ma forse per far dispetto … ai posteri largamente battuti sull’…anticipo!) e prendere in seria considerazione la non peregrina eventualità che il mondo contrapuntistico di seconda pratica doveva pur in qualche modo esser presente nelle individuazioni armoniche delle composizioni monodiche; ricordando che senza voler qui entrare nel merito di chi avesse torto e chi ragione, la dura polemica Monteverdi-Artusi è pur sempre una bella ed eloquente testimonianza dell'affrontarsi di due mondi, l’affermarsi di uno dei quali doveva portare la musica a sfociare in quelle armonie di cui tutto sommato ed a ben guardare Saverio Mercadante non fu e non è il solo … patito!

L'argomento e la natura e l’opera dell’Uomo la cui memoria intendiamo onorare con questo pur umile scritto, portano prepotentemente alla polemica;

polemica con ciò che si è fatto male, polemica con quanto ancora non ci si decide a fare, polemica, soprattutto, con la peccaminosa tendenza ad adagiarsi nel comodo servizio di revisione, rielaborazione, ecc., che ha portato alla deturpazione del volto sublime dell’Arte monteverdiana. Due spunti di Gian Francesco Malipiero:

«... La musicologia è forse un istituto di bellezza a rovescio? ... ». «... e in questo fu un precursore degli specialisti raddrizzatori di musica antica, persino di quella che va diritta al cielo e appunto perché pochi riescono a seguirla, per comodità le tarpano le ali ... »

due spunti che ci dicono ancora quale e quanta fosse l'ansia del Maestro di ritrovare il vero Monteverdi da Lui presentito fin dal giorno (il 28 agosto 1902) in cui alla Marciana consultò il « Nerone » (cioè l’« Incoronazione di Poppea ») del Cremonese; due spunti che giustificano il tono particolare di questo atto commemorativo volto a fissare la validità culturale dell’opera di Gian Francesco Malipiero.

Solo una pur necessaria breve rassegna di vari tipici momenti del progredire della conoscenza può, quasi sottile filo d'Arianna, guidare verso la verità e conferire all’apprendimento quelle luci e quei chiaroscuri, fatti di cose note, di cose da scoprirsi e di cose da correggere, fra cui si staglia e da cui balza evidente il sapere.

Gian Francesco Malipiero rimarrà lo scopritore più valido dell'Arte monteverdiana ed occorre, ora, far sì che dal seme da Lui gettato mezzo secolo fa, fiorisca la conoscenza completa del grande Claudio.

ANNIBALE GIANUARIO

Firenze, agosto 1973

 

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