Gli ELIA di Ancona
... E voi, scettici beffardi, che irridete le gloriose memorie delle nostre battaglie, Voi che dovete l'attuale libertà alla fede da noi sentita e alle lotte da noi sostenute, Voi che educate la odierna gioventù alla negazione di quel sentimento patriottico che fu il culto dell'epoca nostra, Voi che tentate distruggere col freddo sofisma o col gelido e immeritato disprezzo, le pagine più belle e più gentili della storia del popolo nostro, Voi, scettici per opportunismo, leggete questi modesti "Ricordi" ove palpita, freme e grida dolente l'anima mia, un'anima di soldato che ebbe ed ha un solo ideale: la patria! e che vorrebbe che, come una volta, s'effuse sangue generoso, si prodigasse oggi intelletto, operosità e cuore per completarla e mantenerla grande, prospera e temuta. Augusto Elia - Ricordi di un Garibaldino
Da Rai enciclopedia multimediale - biografia Leopoldo Elia, nato a Fano il 4 novembre 1925, si è laureto il 25 novembre del 1947 in giurisprudenza, nella Università di Roma. Funzionario dell'Ufficio Legislativo del Senato, è stato Segretario del Gruppo dei Parlamentari Italiani al Consiglio d'Europa ed all'Assemblea Comune CECA, e ha successivamente svolto funzioni direttive nel Segretariato dell'Assemblea, incaricato di formulare una costituzione per l'Europa. Ha insegnato istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di economia e commercio dell'Università di Urbino (sede di Ancona) dal 1960 al 1963; e , come professore di ruolo, diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Ferrara nell'anno accademico 1962-1963, dell'Università di Torino dal 1963 al 1970 e dell'Università "La Sapienza" di Roma dal 1970 al 1997, tranne che nei periodi in cui è stato posto in aspettativa quale giudice costituzionale e per mandato parlamentare. Il 30 aprile del 1976 è stato eletto giudice della Corte Costituzionale e nel 1981 è stato eletto Presidente della medesima Corte Costituzionale e tale è rimasto fino alla scadenza della carica di giudice (7 maggio 1985). Il 14 giugno 1987 è stato eletto senatore, per il Collegio Roma VIII, per la X legislatura è stato Ministro per le riforme elettorali ed istituzionali nel Governo presieduto da C. Azeglio Ciampi. Il 27 marzo 1994 è stato eletto deputato, nelle liste del Partito Popolare italiano, nella circoscrizione di Lazio 2, per la XII legislatura. Il 21 aprile del 1996 è stato eletto senatore, per il collegio di Milano 5, per la XIII legislatura. Muore a Roma il 5 ottobre 2008 |
LEOPOLDO ELIA era nato ad Ancona
il 29 ott. 1850, in una numerosa famiglia di marinai, il padre Raffaele
capitano e la madre Amalia
Balani
(Raffaele era figlio di Barbara
Petrini e di Pasquale Elia che a sua volta era fratello di Sante (padre di
Antonio e nonno di Augusto Elia che vedremo sotto)). Rimasto orfano di entrambi i genitori, con
altri fratelli, a sedici anni infiammato dalla figura di Garibaldi e
seguendo l'esempio di altri familiari come Antonio, cugino del padre,
fucilato dagli Austriaci nel 1849, e del figlio di questo, Augusto si
unì con il fratello Annibale alla 6ª colonna, comandata da Augusto Elia
nella spedizione del 1867 nell’Italia centrale con obiettivo Roma.
Combatté valorosamente a Monterotondo e a Mentana, ove fu ferito alla
gamba sinistra da un colpo di fucile e quindi fatto prigioniero. Fu
graziato da Pio IX (era un "ex" suddito pontificio) e anche per la giovane
età poté rimpatriare. Non avendo prospettive nella sua Ancona preferì
entrare come volontario nel corpo dei bersaglieri come soldato semplice.
La conquista di Roma per lui ventenne fu il coronamento del suo sogno.
Ora poteva anche iscriversi alla Accademia militare di Modena da cui
uscirà con il grado di sottotenente. Percorse in lungo e in largo
l’Italia coi reparti del Corpo sempre distinguendosi fino al 1887 quando, col
grado di Capitano, riuscì ad entrare nei quadri della spedizione Eritrea
dell’Asinari di San Marzano (l'E. comandava una compagnia del 3º bersaglieri
allora)
che andava per vendicare l’eccidio di Dogali. Qui però contrasse una grave malattia
che lo costrinse al rientro in Italia. Costretto ad abbandonare il Corpo
dei bersaglieri, reagì alla prospettiva di essere destinato ai servizi
sedentari - ruolo non compatibile con la sua indole - con atti che
furono giudicati di insubordinazione, tali da procurargli gli arresti.
In seguito le sue ragioni vennero accolte e reconosciute e fu assegnato, in
servizio di fanteria. Nel 1892 sposò Emilia Bufalini dalla quale, due
anni dopo, ebbe un figlio, Raffaele. Alle avvisaglie del conflitto
Etiopico si offrì volontario nonostante le menomazioni. Si trovò così a
partecipare alla battaglia di Adua. In quelle sfortunate giornate si
condusse ancora una volta valorosamente, e proprio grazie a lui e agli
uomini della sua compagnia si dovette il parziale salvataggio della
brigata del generale Arimondi, caduto sul campo. Il battaglione a cui
apparteneva l'E. fu quasi completamente annientato ed egli stesso
perse la vita il 1º marzo 1896 ad Adua. Le testimonianze unanimi dei
pochi scampati meritarono all'E. una medaglia d'argento al valor
militare alla memoria.
<<<Suo figlio Leopoldo (come il nonno) fu politico e giurista italiano (vedi a sx). |
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ANTONIO ELIA | ||
La famiglia Elia è sempre stata una stirpe, oltre che di marinai anconetani, di patrioti, le cui vicende si intrecciano con la storia per l'Unità d'Italia. Il più noto è ANTONIO ELIA nato il 3 settembre 1803 da Sante e da Caterina Blasi e morto in carcere il 25 luglio 1849, padre di Augusto che vedremo più sotto. La sua popolarità “scoppio” quando assalito dai pirati riuscì a riprendere il comando della imbarcazione, dopo aver ucciso il capo dei pirati e aver liberato se stesso e i compagni da una infausta prigionia o peggio. Così lo descrive Garibaldi in “Cantoni il volontario” romanzo edito da Enrico Politti a Milano nel 1870 - CAP. XXVI - ELIA IL MARINARO ITALIANO - ...Tale era il diciottenne Antonio Elia in quella notte di scirocco, fatto servo alla fiera ciurma dei pirati ....
Scrisse ancora di lui Garibaldi, in una lettera ad Augusto: " Mio caro Elia, Figlio del popolo, il padre vostro merita di essere annoverato tra i grandi Italiani. Oggi, che si avvicina la caduta della tirannide papale noi dobbiamo ricordare agli italiani le vittime della sua ferocia e fra quelle una delle più illustri, certamente, Antonio Elia. Ancona ricordi quel prodissimo suo cittadino che tanto l'onora". Vostro G. Garibaldi. |
Nel 1829 ANTONIO ELIA aderì alla Carboneria e partecipò ai moti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio nel 1831. Nel 1834 conobbe a Marsiglia Giuseppe Garibaldi, con il quale strinse rapporti di grande amicizia. Partecipò ai moti italiani del 1848 che si svolsero nell'alto Adriatico. Proprio Garibaldi, avendo ben considerato il carisma di Antonio nello spronare l'animo del popolo anconetano, lo incoraggerà a tornare ad Ancona a sostegno dell'impresa politica e militare della prima guerra di indipendenza, assegnandogli, involontariamente, lui stesso quel ruolo grazie al quale Elia sarà soprannominato il "Ciceruacchio Anconetano". In quella primavera del 1849 in corrispondenza della quale aveva anche chiesto, lui analfabeta, una patente di medio cabotaggio, si trova rinserrato fra le mura della città sulla strada degli austriaci alternativi ai francesi per il salvataggio del Papa. Antonio, primo nostromo è a capo di venti marinai, destinato a portare rinforzi al fratello Fortunato, che si trova dislocato, con venti cannonieri di Marina, presso la batteria della Lanterna. La città, in stato d'assedio, trova in Antonio uno dei suoi più strenui difensori, anche contro il parere del fratello Pietro, che vedeva la situazione farsi sempre più difficile. Il 5 giugno 1849 è imbarcato come nostromo sul vapore nazionale Roma; con Augusto, suo figlio, in qualità di timoniere, e Raffaele Castagnola, comandante, catturano una lancia austriaca senza bandiera. Con l’assedio prolungato della città in Giugno tutte le forze vengono vanificate e il 19 dopo 35 giorni di assedio la città viene presa dai papalini. I suoi compagni lo invitarono a fuggire a Corfù su un bastimento anconetano battente bandiera inglese, assieme ad altri che non si reputavano sicuri nel restare in Italia. Egli rifiutò decisamente una fuga che riteneva del tutto inutile e anzi dannosa per il bene della sua famiglia. Dice Augusto: "…rispondeva di avere la coscienza tranquilla, di nulla avere a temere, non volere quindi volontariamente abbandonare la patria e la famiglia, e restò". Le accuse contro di lui vertevano anche sulla sua appartenenza ad una setta di assassini antipapalini, detti anche "omicidiari", la cui utilità era altresì deleteria. Giangiacomi: "Felice Orsini nell'Aprile 1849, mandato in Ancona con pieni poteri, da Mazzini, arrestò in una notte quanti assassini la voce pubblica indicatagli e li mandò alla Rocca di Spoleto. Nove di essi poi vennero fucilati dai soldati del papa nel Lazzaretto di Ancona il 25 ottobre 1852...” A conferma ulteriore sta la confessione di uno dei fucilati del ‘52, resa 4 mesi dopo la sua morte. Allo scopo, vano, di conseguire l'immunità, l'imputato rende una confessione assai completa, rivelando senza alcuna omissione, i nomi di tutti i settari di sua conoscenza, ma mai pronuncia il nome di Antonio. Augusto commenta così l'arresto del padre in Luglio:"Era necessario dare un terribile esempio alla popolazione applicando la legge stataria su uno dei capi del popolo". Non trovando nulla in casa, i militari si accanirono sfondando un condotto fognario dove effettivamente rinvennero un coltello ed Elia fu arrestato, sottoposto ad un processo farsa, ingiustamente accusato di essere uno dei principali appartenenti alla setta degli omicidiari e condannato a morte. Giangiacomi, sulla scorta delle affermazioni di Augusto, suppone che il coltello rinvenuto potesse essere stato gettato nel condotto di scolo appositamente, da chi aveva sporto la denunzia, poiché tale condotto era in comunicazione con tutti i cinque piani sovrastanti l'abitazione della famiglia Elia, abitati da numerosi inquilini; paventa inoltre, tra le righe, l'ipotesi ulteriore che a gettarlo siano stati gli stessi che effettuarono la perquisizione, ma si tratta purtroppo solo della sua opinione non suffragata da alcuna prova. Sembrerebbe illogico, infatti, che un uomo, dopo essersi rifiutato di fuggire per rimanere accanto alla propria famiglia, mettesse in pericolo la sua incolumità personale, a scapito appunto della famiglia, contravvenendo ad un editto così esplicito e nel quale si garantivano pene come la morte e i colpi di bastone ai contravventori. L'esecuzione avvenne il 25 luglio del 1849 nel carcere di Santa Palazia ad Ancona. Sepolto in segreto solo nel 1875 il figlio Augusto poté recuperare le spoglie paterne e collocarle nel cimitero delle Tavernelle. | |
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AUGUSTO ELlA | |
CATTURA E MORTE DI ANTONIO ELIA
dalle
memorie di Elia ... L'8 di giugno (1849) Wimpfen, mandava un messaggio
al comune, che è documento del valore Anconitano, tanto più alto in
quanto veniva dal nemico stesso. "Le truppe imperiali, esso dice,
passarono per le romagne, per le marche senza incontrare ostacoli; ne
trovarono solo avanti Ancona; si arrenda la città se non vuol essere
distrutta". Ancona non si arrese; ma continuò la difesa colla forza
rinnovata dalla disperazione. |
Sunto e rielaborazione tratta dal Dizionario Biografico degli Italiani scheda a firma V.Satta
AUGUSTO ELlA - Nacque il 4 sett. 1829 ad Ancona, da Antonio e da
Maddalena Pelosi. Diciannovenne, seguì il padre al blocco delle forze
navali austriache a Trieste (giu.-ago.1848) e prese parte poi alla
difesa di Ancona durante l'assedio del 1849 (28 mag.-15 giu.) in qualità
di sottufficiale di artiglieria. Nelle repressioni, che seguirono alla
caduta della città, perse il padre, fucilato in luglio, e dovette andare
in esilio. Riparò a Malta, dove intraprese la carriera di mare, fino ad
ottenere il diploma di capitano di lungo corso.
Così, allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza, Augusto rientrava in Italia da New York, dove ancora si trovava, e nel maggio raggiungeva G. Garibaldi a Como con i suoi Cacciatori. Cosi dalle memorie a fianco L'Elia, che dopo il 1849 aveva dovuto emigrare, si trovava a New York quando i giornali diedero la notizia che Vittorio Emanuele aveva sguainata la spada per l'indipendenza italiana. Non perdette tempo, col primo Pacchetto in partenza, il "Devonshire", s'imbarcava per Londra e presa la via di Calais per la Svizzera raggiungeva Garibaldi a Como il 28 maggio e subito si presentava al generale sotto gli auspici del padre, già amico suo fin da quando era in America. All'udire che colui che gli stava davanti era il figlio del fucilato Antonio Elia, volle baciarlo e tenendogli stretta la mano, con accento commosso gli disse parole di affetto paterno e volle che stesse al quartier generale. Da quell'ora l'Elia seguì sempre Garibaldi con venerazione filiale. Combatté a Tre Ponti (presso Brescia), riportando anche una ferita alla testa, dalla quale peraltro si riprese rapidamente. Terminata la campagna, seguì Garibaldi a Modena e poi a Rimini, dove il generale aveva posto la sede del proprio comando. Per le buone prove fornite, e le origini anconetane, l'E. si vide affidare l'incarico di far pervenire un carico di armi ai patrioti marchigiani, primo passo per un moto insurrezionale che avrebbe dovuto giustificare un intervento militare garibaldino (sulla strada di Roma). Il progetto non andò in porto perché del Centro Italia se ne occupò subito Cavour che voleva evitare attriti coi francesi su una unità d’Italia a spese del Papato non contemplata dagli accordi armistiziali. Quindi l'E. accompagnò Garibaldi a Caprera, trattenendosi presso di lui per qualche mese in attesa dell’avvio della spedizione dei MILLE. Nel 1860 fu secondo di N. Bixio sul «Piemonte» in rotta per la Sicilia. A Calatafimi, il 15 maggio, vedendo Garibaldi esposto al fuoco nemico, gli si fece innanzi per proteggerlo, e fu così colpito al suo posto da una scarica di fucileria. Immagini. Gravemente ferito alla bocca, fu immediatamente soccorso dallo stesso Garibaldi, che in seguito gli attestò pubblicamente e ripetutamente la propria riconoscenza. La ferita sarà invalidante ed evidente finché vivrà. Dopo essere rimasto per lungo tempo tra la vita e la morte ed essere stato sottoposto a difficili e dolorose cure (non riusciva a parlare), nel 1863 l'E. poteva considerarsi “guarito”; tornò a combattere assumendo il comando della flottiglia sul Garda nel 1866 (ma nel progetto originario c'era uno sbarco dei Garibaldini in Istria e Croazia (Dalmazia) e per questo servivano capitani di marina per i trasporti) e la sua condotta in quella circostanza gli valse la promozione a Colonnello (vedi sotto nota dalle sue memorie e la guerra sul lago). Nel 1867 partecipò alla campagna garibaldina dell'Agro romano, al comando della 6a colonna; fu presente a Mentana e fece poi la ritirata insieme a Garibaldi. Tornato ad Ancona, l'E. - che nel frattempo si era sposato con Maria Balani - fu uno dei principali esponenti del partito d'azione nelle Marche; nel marzo 1869 intervenne, con la sua autorità e con prontezza di spirito, a sedare una sollevazione contro l'amministrazione municipale per l'abrogazione della tariffa daziaria. L'E. si veniva avvicinando alla Sinistra costituzionale, finché alle elezioni del 1876 (XIII legislatura) per la Camera si presentò con un programma che accettava le istituzioni monarchiche; i repubblicani intransigenti, attestati su posizioni di astensionismo pregiudiziale, lo osteggiarono ma venne ugualmente eletto deputato. Elezioni confermate anche fino alla XIX legislatura che terminò nel 1897. In Parlamento si schierò con A. Depretis poi col suo successore F. Crispi. Colonnello a riposo, tra il 1870 e il 1897 sarà eletto anche Consigliere Comunale e più volte membro della Giunta, Consigliere Provinciale e Vicepr. del Consiglio Pr., membro e poi Pres. della Camera di Commercio. Fu anche, nella XXIV Legislatura del Regno d'Italia, Sottosegretario al Ministero della Guerra nel I Governo Salandra dal 15/10/1914 al 05/11/1914 e nel II Salandra dal 05/11/1914 al 09/07/1915. |
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sunto da http://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_del_Trentino_(Garibaldi_-_1866) |
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da The Young America
Movement and the Transformation of the Democratic Party, 1828–1861 .... Most Americans were scandalized when they heard the news. George Sanders, the prickly former editor of the Democratic Review, had hosted a well-attended London dinner. Appointed American consul to London by Franklin Pierce (President of Usa), in early 1854 he invited leading European revolutionaries to his home in honor of George Washington's birthday. From Italy, Giuseppe Mazzini came with Garibaldi in tow. Two decades earlier, they had both launched the Young Italy movement as a revolutionary attempt to unite the peninsula's fiefdoms into a cohesive republican state. From Hungary arrived Louis Kossuth, unsuccessful challenger to Habsburg rule over the Magyars. From Paris emerged Alexandre-Auguste Ledru-Rollin, hero of the French barricades of 1848. American minister to England James Buchanan presided, jokingly asking Mrs. Sanders how she felt playing hostess to such flammable elements. For most Americans, and certainly for European monarchs fearful of the democratic example provided by the United States, the Sanders dinner symbolized America's unseemly sympathy with European rebels. By hosting such a mix of dissenters in one place within Europe itself, and by having a senior American representative such as Buchanan present, Pierce's administration sent a menacing signal to European elites. Sanders's 1854 dinner, however, did not represent the first such warning. Since the mid 1840s, Young America Democrats had been prodding successive national administrations to intervene in European political affairs. For them, America's sense of democratic mission implied an obligation to help European republicans achieve freedom on their own soil. Presidenti degli Stati Uniti dell'epoca: Fillmore (1850-1853) - Pierce (1853-1857) - Buchanan (1857-1861) - Lincoln (1861-1865) A Bernardino e Giuseppe Marsini, il Col. Elia leggendario eroe di Calatafìmi, amico intimo di Maraini e loro compagno d’arme, scriveva da Roma (Sett.1915) quando la guerra, la IV di indipendenza come veniva chiamata, era appena iniziata:
“Fratelli d’armi! Come ci aveva invecchiato il dolore di una notte sola, e come ci ringiovanisce una sola mattinata di gioia! Maraini come sono giovani e fresche queste tue pagine! Stamane i miei 87 anni sono i 27! Ho un’altra vita! (Quella che ebbi la vertiginosa gloria di tenere in pugno un istante, e salvare a Calatafimi quella stessa dell’Eroe che non muore) La getto ancora all’Italia immortale! Io piango, Iddio benedica l’Italia!” Roma chiama! “A Roma!”, Rispondono ancora una volta i Ticinesi, e via a raggiungere Garibaldi nell’Agro Romano, e conoscere il dolore di Mentana. Poi, una lunga pausa. L’Italia si raccoglie per il grande sforzo della liberazione di Trento e Trieste...... |
GARIBALDI E LA GUERRA TRENTINA La flottiglia navale garibaldina del Garda aveva il suo quartier generale a Salò, ed il comandante era il T. Col. Augusto Elia e CSM il capitano Alberto Mario. Comandante delle truppe di fanteria della zona del Garda, con sede sempre a Salò, era il generale Giuseppe Avezzana. La flottiglia era composta da due cannoniere in legno varate dall' Ansaldo, il Solferino e il San Martino, una cannoniera a vapore, la Torrione, donata da Napoleone III nel 1859, e il piroscafo a ruote Verbano, ribattezzato poi Benaco (poi catturato). .
"Ricordi di un garibaldino dal 1847-48
al 1900", di Augusto Elia - Roma : Tipo-lit. del genio civile, 1904
La flottiglia austriaca sul lago era composta delle cannoniere
ad elica "Speinthenfel" "Wildfang" "Scharfschiutez" "Raufbold" "Wespe" e
"Nikoke" e dei vapori a ruote "Francesco Giuseppe" e "Hess"e una dozzina
di lance con un armamento complessivo di 62 cannoni e 10 spingarde.
....Il generale (Garibaldi) il 23 giugno contava di avere con sé seimila
uomini circa, e con questi si metteva in marcia per la via che gli era
stata tracciata, mentre sapeva che il generale Kuhn gli opponeva una
forza superiore. Elia aspettava da tre giorni a Milano la chiamata di
Garibaldi, quando a mezzo del tenente colonnello Francesco Cucchi dello
S. M., riceveva l'ordine di portarsi con tutti i suoi a Salò. Ivi
arrivato Elia presentava al generale i volontari che lo accompagnavano.
Questi lo informò che suo intendimento era di affidare a lui il comando
della minuscola flottiglia del Garda; ma Elia gli fece osservare che
avendo già il maggiore Sgarallino Andrea di Livorno, arrivato prima,
presa la consegna ed il comando per ordine del Capo di S.M., era suo
desiderio di lasciarglielo; solo chiedeva il comando dell'unica barca
cannoniera pronta ed armata "Il Torione", se il generale avesse deciso
di lasciarlo nella flottiglia. Il generale pregò Elia di rimanere nella
flottiglia e gli diede il comando desiderato. Questa flottiglia si
componeva di cinque barche cannoniere armate con un cannone da 24 mm. a
prua, difese da un parapetto di corazza e da 2 da 5 1/3 mm. nei fianchi;
ma quattro di esse erano in riparazione e solo dopo alcuni giorni furono
pronte all'azione.... "Caro Colonnello, Ecco le due guide di tutta confidenza. Ho già detto
loro qualche cosa. Quando crederete voi direte il resto. La vettura sarà
alla vostra porta tra pochi minuti. Buon viaggio e felice ritorno con
più buone notizie. Il sotto Capo di Stato Maggiore. Enrico Guastalla".
“Al Guastalla gli sta in pugno la penna come la spada, è valoroso su tutti e due i campi” (G.Garibaldi). Era questi Michele Isacco Benedetto Guastalla nato nel ghetto ebraico di Guastalla (Reggio E.) il 22 novembre 1826 più conosciuto col nome (o soprannome) di Enrico acquisito in ricordo di Don Enrico Tazzoli, uno dei patrioti martiri fucilati a Belfiore (Mn) nel 1852. Autodidatta, come lo erano in genere gli ebrei, nel 1848 si arruolò nella Colonna dei Bersaglieri Mantovani detti di “Carlo Alberto” dove militavano anche Mameli e Bixio. Dopo la sconfitta ripara dapprima in Toscana nella Legione di Giacomo Medici per sbarrare il passo agli austriaci poi alla Repubblica Romana (1849). Esule come molti da Mazzini ritorna nel 1859 coi volontari garibaldini dove viene nominato sottotenente. Nel 1860 non fa parte della prima ondata quella nota come dei Mille ma con la seconda che sbarca in giugno a Castellamare con 3.550 volontari, 8.000 fucili e 400.000 cartucce raggiungendo Garibaldi a Palermo. Maggiore poi Tenente colonnello andò all’assalto sul Volturno dove venne ferito. Con Garibaldi ancora il 29 agosto 1862 sull’Aspromonte poi nel 1866, nella III Guerra d’Indipendenza al comando del 9° Reggimento e sottocapo di S.M. Dopo il famoso “Obbedisco” di Garibaldi fu l’ultimo a chiudere la marcia di ritirata e nel Tirolo non lasciò sul terreno né un cartoccio da cannone né una cartuccia di fucile. Contro il suo volere venne promosso Colonnello. Un matrimonio “ricco” con la figlia di un banchiere ebreo gli diede una certa tranquillità finanziaria. Nel 1867 infatti egli fu chiamato ad affiancare C. Weill-Schott quale socio e gestore della banca che la famiglia, da sempre vicina alla Sinistra, ed in particolare a Francesco Crispi, decise di aprire a Firenze. Eletto più tardi consigliere comunale, non abbandonò del tutto l'attività politica nazionale e presentò più volte, con scarsa fortuna, la propria candidatura a deputato nel collegio di Guastalla. Con C. Correnti fu ideatore del Museo del Risorgimento di Milano, che trasse origine nel 1884 dal lavoro di ricerca e di raccolta dei materiali per il padiglione dell'Esposizione generale italiana di Torino. Del Museo fu poi vicepresidente e presidente, e in tale veste, oltre a tenere discorsi e commemorazioni, curò l'incremento dei suoi fondi archivistici e documentari. Il G. morì a Milano il 27 sett. 1903. |
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Sulla vicenda Mentana |
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Scambio
di lettere fra Augusto Elia e Jessie Meriton White Mario « Carissimo Amico« Spero di essere in tempo, rubandolo per brev'ora al mio umile lavoro sulla «Vita» del nostro Maestro, a regalare a Voi, fratello maggiore de'suoi discepoli, la seguente lettera da me lungamente desiderata. Nessun vivente può parlare coll'autorità di Elia, il ferito di Calatafimi, il comandante di 3000 romagnoli nel 1867, intorno alle cause della disfatta di Mentana. Il mio Alberto (Mario), vicecapo di S.M. durante la campagna del 1867, e sempre in giro per affari di servizio, mi diceva parecchie volte di non sentirsi giudice competente nella materia. E avendo egli, nella sua “Vita di Garibaldi “, accolta in certo modo l'affermazione di Garibaldi stesso, fondata sul rapporto di suo figlio, che i Mazziniani, per ordine di Mazzini stesso, disertarono il campo,stava assai impensierito sul vero o sul falso, dopo una lunga discussione avvenuta a Milano in casa di Pietro Bellini, con Ergisto Bezzi. E mi disse queste precise parole : « ho visto le dichiarazioni di Fabrizì, ma anch'egli era occupatissimo nel servizio. Se Elia comproverà colla sua testimonianza che il fatto delle diserzioni proveniva da altre sorgenti, sarà mia prima cura,nella seconda edizione della «Vita di Garibaldi», di chiarire questo fatto capitalissimo.« Abbiatemi sempre Vostra Jessie vedova Mario ». |
« Isole di Tremiti, 12 novembre 1885. Carissima Signora,« Sono stato per qualche tempo poco bene in salute e non ho potuto risponder subito alla gradita vostra.« Voi mi domandate se è mia opinione che la catastrofe dì Mentana fosse causata dall'abbandono dei Mazziniani prima del combattimento - abbandono ordinato da Mazzini? A me consta il contrario: la verità è che - ritornati a Monte Rotondo dopo la ricognizione fin sotto le mura di Roma – dei miei tre battaglioni, ognuno dei quali numerava più di 1000volontari e coi quali si era formata la sesta colonna da me comandata, non ne rimasero che gli scheletri. Sparsosi frale file dei miei volontari il Proclama del re Vittorio Emanuele, tutti quelli che temettero di esser considerati ribelli,ed altri ancora che avevano abbandonato impieghi e famiglie, convinti, dopo la ritirata, che a Roma non si andava, deposero le armi e si ritirarono. E fu con vivissimo dolore che io vidi assottigliarsi le file dei miei battaglioni in modo tale che, allorquando li riunii per farli marciare secondo le istruzioni avute, dei 3000 e più volontari che li componevano non ne rimanevano che setto od ottocento in tutti ! E dei rimasti,che fecero bravamente il loro dovere, molti professavano principi repubblicani e pagarono di persona, come il capitano Grassi (morto a Mentana), gli ufficiali Tironi, fratelli Zerti, Occhialini, feriti gravemente, od altri volontari feriti e morti,i nomi dei quali stavano inseriti nel rapporto sulla parte presa dai miei nel combattimento trasmesso al capo dello stato maggiore, generale Nicola Fabrizì, la cui perdita oggi deploriamo. "E non professavano principi repubblicani Canzio, Valzania, Mayer, Frigyesi, Stallo, Missori, Burlando, Bezzi e il compianto Mario, vostro consorte, e tanti altri che condussero alla pugna i pochi volontari rimasti e fecero pagare sì caro le meraviglie dei Chassepots del Generale De Failly ?" Questa è la verità, che del resto è conosciuta da quanti si trovarono al, se non fortunato, certo non inglorioso combattimento di Mentana, ed io non ho mai inteso che si sia detto il contrario.« Le cause, secondo il mio avviso, che fecero ritornare alle loro famiglie un numero sì forte di volontari, furono diverse; ma due ebbero grande prevalenza: la prima, la credenza che, dopo la ritirata a Monte Rotondo, non si andava a Roma: la seconda, che a molti non piaceva di essere considerati ribelli e temevano le conseguenze. « Vi prego credermi sempre Devotissimo vostro Augusto Elia. » Biografia di Jessie Meriton White Mario e di suo marito Alberto http://digilander.libero.it/fiammecremisi/carneade/meritonwhitemario.htm |
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L’AVVENTURA ECONOMICA | ||
Il libro della White Mario su Garibaldi è già uscito nel 1885 e le precisazioni di Augusto servono per la II ristampa riveduta e corretta (come si usa dire) ma anche per il "Della vita di Giuseppe Mazzini" che è già alle bozze e deve uscire l'anno dopo per i tipi di Sonzogno. La risposta di cui sopra viene dalle Isole Tremiti e il perché lo si capisce dal brano qui a fianco in cui la salute di Augusto ha poca o nessuna importanza. |
L'indole avventurosa dell'E., sempre sul versante marino lo portò sulle Isole Tremiti dove costituì una società per lo sfruttamento delle risorse agricole ed ittiche. Era per l’epoca sicuramente un paradiso naturale ma non certo umano (o turistico come oggi). Queste isole venivano, come altre usate come penitenziari o domicili coatti (lo saranno anche durante la guerra di Libia del 1911). I suoi progetti avevano bisogno di soldi e per questi ricorse al banchiere B. Tanlongo tramite Depretis. Era un’epoca allora come oggi dove i banchieri spregiudicati non mancavano. Il suo investimento comunque sembrava andar bene salvo rimostranze coi locali e col Demanio. Deluso pensò di chiudere ma non aveva fatto i conti con la giustizia e lo stato (di cui lui era comunque un esponente). Augusto dovette accettare infine una sfavorevole transazione. La sua amicizia con Tanlongo non gli giovò quando si scoprì lo Scandalo della Banca Romana (Tanlongo ne era governatore). Uno scambio di informazioni fu alla base dei suoi guai. La commissione parlamentare d'inchiesta, detta dei Sette, ritenne che l'on. Elia avrebbe dovuto astenersi dallo scrivere al Tanlongo su vicende parlamentari riguardanti la legge sugli istituti di emissione che allora erano più d'uno in assenza di un istituto unico nazionale; confermò però d'altra parte la piena regolarità dei rapporti finanziari intercorsi fra l'E. ed il Tanlongo, già riconosciuta dal tribunale di Roma che lo scagionarono del tutto. La caduta di Crispi e l'avanzare degli anni indussero nel 1897 l'E. a ritirarsi a vita privata lasciando la camera. Da allora l'ormai anziano colonnello si dedicò alla stesura delle proprie memorie, incentrate sul suo passato garibaldino (edite nel 1904). I suoi trascorsi garibaldini furono solennemente celebrati dalle autorità di Ancona nel 1912 alla presenza dello stesso (che nel frattempo si era trasferito a Roma) ed ebbero grande riliévo nelle cronache dell'epoca. Nella circostanza l'E., apparso ancora in buona salute, tenne un breve discorso nel quale, tra l'altro, espresse la propria approvazione per la guerra Libica. Dal vecchio patriottismo, in questo periodo inclinava sempre più verso il nuovo nazionalismo, come si vede dalla lettera aperta di adesione da lui fatta pervenire a D'Annunzio in occasione della manifestazione di Quarto alla vigilia della Grande Guerra, alla quale l'E., invitato, non poté recarsi di persona perché ormai troppo anziano. Si spense a Roma il 9 febbraio 1919. | |
Si ringrazia la Sig.ra Giovanna Caporaloni per l'assistenza data sulla genealogia degli Elia e di altre figure risorgimentali: Le sue ricerche sono visibili al sito http://xoomer.virgilio.it/gabriele.talevi/storia_famiglia_elia.htm |
Per saperne di più http://cronologia.leonardo.it/gariba/capitoli.htm il libro della Jessie White su Garibaldi http://www.gutenberg.org/files/35405/35405-h/35405-h.htm 1 parte Le memorie di A. Elia http://www.gutenberg.org/files/35716/35716-h/35716-h.htm 2 parte “ http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=265 la lezione sulla libertà |
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