Aspromonte 1862

«Lo scontro tra garibaldini ed Esercito Regio sull’Aspromonte è rimasto traccia dolorosa dell’aspra dialettica di posizioni che s’intrecciò col percorso unitario, appare singolare ogni tendenza a “scoprire” oggi con scandalo come le battaglie sul campo per l’Unità furono ovviamente anche battaglie tra italiani, similmente a quanto accadde dovunque vi furono movimenti nazionali per la libertà e l’indipendenza» (Giorgio Napolitano, discorso alle Camere, 18/3/2011).

alle memorie di Garibaldi 

Alla fine decisi di partire e la fortuna anche stavolta marciò al fianco della spedizione... Come già Giuseppe Garibaldiavevo fatto nel 1860 prendemmo la strada del litorale, diretti a Reggio Calabria. Allora però avevamo di fronte i borbonici, che noi stessi cercavamo per combattere, mentre stavolta i nostri avversari erano Italiani e noi volevamo a tutti i costi evitarli per non essere costretti allo scontro.... Le prime ostilità contro di noi furono commesse da una corazzata che ci regalò alcuni tiri di moschetto. Alcuni distaccamenti inviati da Reggio, assalirono dei nostri che erano in avanguardia e non servì a niente far sapere che non avevamo nessuna intenzione ostile contro di loro. Ci intimarono la resa e giacché noi non avevamo nessuna voglia di farlo non ci restò che fuggire per evitare il combattimento. Io ordinai d'obliquare verso destra prendendo la via dell'Aspromonte....  Questo assalto ebbe l'effetto di spaventare le popolazioni e renderci gli approvvigionamenti ancora più difficili. I miei poveri volontari mancavano d'ogni cosa. Il primo giorno ci nutrimmo con alcune pecore acquistate da pastori, ma in seguito non fu più possibile poiché ci scambiavano per briganti. Questi due giorni di marcia fra i monti furono veramente disastrosi. Oltre che in difetto di cibo eravamo anche senza scarpe e vestiti. La maggior parte di coloro che mi accompagnavano erano giovanissimi, poco assuefatti alla fatica e io avevo l'animo straziato nel vederli. Arrivammo infine in un campo di patate che finirono arrostite per cena. Eravamo circa in 500 e ci accampammo intorno alla casetta forestale. I miei poveri compagni giungevano alla spicciolata in uno stato da far pietà, affranti dalla fatica e dalla fame. Verso mezzogiorno del 29 seppi dell'arrivo degli uomini del comandante Pallavicini; qui commisi un errore che per deferenza alla mia persona non è citato da nessun storico. Se era vero che non volevamo combattere contro i nostri fratelli, perché siamo rimasti ad aspettare la truppa?. Che cosa mi aspettavo, che il comandante mi mandasse parlamentari?. Dovevo invece ben immaginare che il fuoco contro di noi sarebbe incominciato subito senza preavviso. Dovevo andarmene prima ma non lo feci. Perché?. Potrei dire che dovevo distribuire i viveri. Avrei potuto dividere le forze. Nessuna giustificazione reggerebbe e qualsiasi decisione l'avrei dovuta prendere in fretta, cosa che non feci e che fu causa di quanto avvenne quel giorno. Io avevo schierato gli uomini sull'orlo di un bosco. La sinistra era sul monte. Mio figlio Menotti al centro, la destra con Corrao. Così sistemati contemplavamo tranquillamente la veloce marcia d'avvicinamento dei Bersaglieri. Si stesero in posizione e immediatamente aprirono un fuoco d'inferno. Noi non rispondemmo al fuoco: per me quello fu un momento terribile. Mi trovavo di fronte ad una spietata alternativa: deporre le armi e fare la figura delle pecore, oppure sporcarmi di sangue fraterno. Solo i giovani guidati da Menotti non furono capaci di trattenersi e reagirono respingendo il nemico. La nostra posizione era tale da permetterci di tener testa in dieci contro cento. Io che mi trovavo impegnato tra le due linee ad evitare che i miei ragazzi rispondessero al fuoco fui ferito all'anca sinistra e al malleolo del piede destro. La mia gente si era ritirata nella foresta in attesa e accanto a me tutti i miei ufficiali tra cui tre chirurghi.  Giunsero alcuni della truppa italiana che erano stati con me in campagne precedenti. Lessi sul loro volto espressioni di dolore 

Dai resoconti di autori contemporanei, dalle cronache e dai documenti ufficiali

Al colonnello Emilio Pallavicini di Priola arrivato nella notte. «Gli ordinai subito di partire (e) di fare ogni sforzo per raggiungere Garibaldi che dicevasi accampato sul piano di Aspromonte, e inseguirlo sempre, senza dargli mai posa, se cercasse di sfuggirgli, di attaccarlo e distruggerlo se accettasse il combattimento. (...) Gli ordinai anche di non venire a patti e di non accettare altro fuorché la resa a discrezione» (Enrico Cialdini). Al comando di Pallavicini sono posti cinque battaglioni di linea e due di bersaglieri(6° e 25° Macedonio Pinelli). «Mossi per la strada al mare che conduce a Gallico, e di là mi inoltrai per letto del fiume che ha lo stesso nome sino a due miglia di distanza dal piccolo villaggio di Padargoni, ove sorpreso dall’imbrunire accampai nella notte» (Emilio Pallavicini)
Le truppe regolari nella notte sono arrivate a Santo Stefano. Verso le 11.50 Garibaldi fa togliere il campo dai Forestali di Aspromonte, dirigendosi verso nord per evitare un incontro. «Sopraggiunte molto vicine le truppe (4° regg. fanteria, col. Eberhardt; 4° battagl. del 29°; 4° battagl. del 57°; 6° battagl. bersaglieri; due compagnie del 25° battagl. bersaglieri, comandate dal maggiore Macedonio Pinelli. Verso le quattro queste cominciano il fuoco, al quale i più giovani volontari, malgrado il ripetuto divieto di Garibaldi, rispondono. Durante il breve conflitto Garibaldi è ferito alla coscia e al malleolo del piede destro. Da parte dei volontari sonvi sette morti e 20 feriti, da parte delle truppe regolari cinque morti e 23 feriti. Presentasi primo parlamentario a Garibaldi (per trattare il cessate il fuoco) il tenente di stato maggiore Rotondo Eugenio Aless. Carlo, che è accolto aspramente, disarmato e fatto prigioniero; poi il maggiore del 6° bersaglieri, Giolitti Davide, cui è tolta la sciabola; in fine avanzasi a capo scoperto il colonnello Pallavicini, e Garibaldi si lascia dichiarare prigioniero». [Comandini]

Garibaldi assistito dai mediciLa storia continua con la ferita che rimane aperta per tre mesi, prima che un dottore (Zanetti, il dottore di Curtatone), dei tanti che furono consultati a Caprera, riuscisse a curarlo. Per quattro anni Garibaldi resta qui relegato. Per le operazioni in Aspromonte viene conferita la medaglia di bronzo al 6° e 25° btg. Medaglia d'oro al valore individuale per grave ferita al tenente Ferrari Luigi del 6°. Comandava il corpo di spedizione il Colonnello Pallavicini di Priola già medaglia d'oro per l'assedio di Civitella del Tronto.  L’impresa di Garibaldi è costata al governo italiano 30 milioni, all’incirca quanto ogni anno frutta allo Stato l’imposta sul sale. Nella stima della Corrispondenza Franco-Italiana la spesa più rilevante è stata la mobilitazione dei 60 mila soldati cui si sommano le requisizioni di Garibaldi in Sicilia. «Con una somma simile il governo del Re avrebbe potuto far le spese necessarie per inviare 200 mila de’ nostri operai o coltivatori a visitare l’Esposizione di Londra e Parigi, ovvero a far prosciugare gran parte delle paludi della penisola» (Corrispondenza Franco-Italiana). [Mon. Bo. 31/8/1862]

 


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