«Lo scontro tra garibaldini ed
Esercito Regio sull’Aspromonte è rimasto traccia dolorosa dell’aspra
dialettica di posizioni che s’intrecciò col percorso unitario, appare
singolare ogni tendenza a “scoprire” oggi con scandalo come le battaglie
sul campo per l’Unità furono ovviamente anche battaglie tra italiani,
similmente a quanto accadde dovunque vi furono movimenti nazionali per
la libertà e l’indipendenza» (Giorgio Napolitano, discorso alle Camere,
18/3/2011).
alle
memorie di Garibaldi
Alla fine decisi di partire
e la fortuna
anche stavolta marciò al fianco della spedizione... Come già avevo
fatto nel 1860 prendemmo la strada del litorale, diretti a Reggio
Calabria. Allora però avevamo di fronte i borbonici, che noi stessi
cercavamo per combattere, mentre stavolta i nostri avversari erano
Italiani e noi volevamo a tutti i costi evitarli per non essere
costretti allo scontro.... Le prime ostilità contro di noi furono
commesse da una corazzata che ci regalò alcuni tiri di moschetto.
Alcuni distaccamenti inviati da Reggio, assalirono dei nostri che erano
in avanguardia e non servì a niente far sapere che non avevamo nessuna
intenzione ostile contro di loro. Ci intimarono la resa e giacché noi
non avevamo nessuna voglia di farlo non ci restò che fuggire per
evitare il combattimento. Io ordinai d'obliquare verso destra prendendo
la via dell'Aspromonte.... Questo assalto ebbe l'effetto di spaventare
le popolazioni e renderci gli approvvigionamenti ancora più difficili.
I miei poveri volontari mancavano d'ogni cosa. Il primo giorno ci
nutrimmo con alcune pecore acquistate da pastori, ma in seguito non fu più
possibile poiché ci scambiavano per briganti. Questi due giorni
di marcia fra i monti furono veramente disastrosi. Oltre che in difetto
di cibo eravamo anche senza scarpe e vestiti. La maggior parte di coloro
che mi accompagnavano erano giovanissimi, poco assuefatti alla fatica e
io avevo l'animo straziato nel vederli. Arrivammo infine in un campo di
patate che finirono arrostite per cena. Eravamo circa in 500 e ci
accampammo intorno alla casetta forestale. I miei poveri compagni
giungevano alla spicciolata in uno stato da far pietà, affranti dalla
fatica e dalla fame. Verso mezzogiorno del 29 seppi dell'arrivo degli
uomini del comandante Pallavicini; qui commisi un errore che per
deferenza alla mia persona non è citato da nessun storico. Se era vero
che non volevamo combattere contro i nostri fratelli, perché siamo
rimasti ad aspettare la truppa?. Che cosa mi aspettavo, che il comandante
mi mandasse parlamentari?. Dovevo invece ben immaginare che il fuoco
contro di noi sarebbe incominciato subito senza preavviso. Dovevo
andarmene prima ma non lo feci. Perché?. Potrei dire che dovevo
distribuire i viveri. Avrei potuto dividere le forze. Nessuna
giustificazione reggerebbe e qualsiasi decisione l'avrei dovuta prendere
in fretta, cosa che non feci e che fu causa di quanto avvenne quel
giorno. Io avevo schierato gli uomini sull'orlo di un bosco.
La sinistra
era sul monte. Mio figlio Menotti al centro, la destra con Corrao. Così
sistemati contemplavamo tranquillamente la veloce marcia d'avvicinamento
dei Bersaglieri. Si stesero in posizione e immediatamente aprirono un
fuoco d'inferno. Noi non rispondemmo al fuoco: per me quello fu un
momento terribile. Mi trovavo di fronte ad una spietata alternativa:
deporre le armi e fare la figura delle pecore, oppure sporcarmi di
sangue fraterno. Solo i giovani guidati da Menotti non furono capaci di
trattenersi e reagirono respingendo il nemico. La nostra posizione era
tale da permetterci di tener testa in dieci contro cento. Io che mi
trovavo impegnato tra le due linee ad evitare che i miei ragazzi
rispondessero al fuoco fui ferito all'anca sinistra e al malleolo del
piede destro. La mia gente si era ritirata nella foresta in attesa e
accanto a me tutti i miei ufficiali tra cui tre chirurghi.
Giunsero alcuni della truppa italiana che erano stati con me in
campagne precedenti. Lessi sul loro volto espressioni di dolore
Dai resoconti di autori
contemporanei, dalle cronache e dai documenti ufficiali
Al colonnello Emilio
Pallavicini di Priola arrivato nella notte. «Gli ordinai subito di
partire (e) di fare ogni sforzo per raggiungere Garibaldi che dicevasi
accampato sul piano di Aspromonte, e inseguirlo sempre, senza dargli mai
posa, se cercasse di sfuggirgli, di attaccarlo e distruggerlo se
accettasse il combattimento. (...) Gli ordinai anche di non venire a
patti e di non accettare altro fuorché la resa a discrezione» (Enrico
Cialdini). Al comando di Pallavicini sono posti cinque battaglioni di
linea e due di bersaglieri(6° e 25° Macedonio Pinelli). «Mossi per la
strada al mare che conduce a Gallico, e di là mi inoltrai per letto del
fiume che ha lo stesso nome sino a due miglia di distanza dal piccolo
villaggio di Padargoni, ove sorpreso dall’imbrunire accampai nella
notte» (Emilio Pallavicini)
Le truppe regolari nella notte sono arrivate a Santo Stefano. Verso le
11.50 Garibaldi fa togliere il campo dai Forestali di Aspromonte,
dirigendosi verso nord per evitare un incontro. «Sopraggiunte molto
vicine le truppe (4° regg. fanteria, col. Eberhardt; 4° battagl. del
29°; 4° battagl. del 57°; 6° battagl. bersaglieri; due compagnie del 25°
battagl. bersaglieri, comandate dal maggiore Macedonio Pinelli. Verso le
quattro queste cominciano il fuoco, al quale i più giovani volontari,
malgrado il ripetuto divieto di Garibaldi, rispondono. Durante il breve
conflitto Garibaldi è ferito alla coscia e al malleolo del piede destro.
Da parte dei volontari sonvi sette morti e 20 feriti, da parte delle
truppe regolari cinque morti e 23 feriti. Presentasi primo parlamentario
a Garibaldi (per trattare il cessate il fuoco) il tenente di stato
maggiore Rotondo Eugenio Aless. Carlo, che è accolto aspramente,
disarmato e fatto prigioniero; poi il maggiore del 6° bersaglieri,
Giolitti Davide, cui è tolta la sciabola; in fine avanzasi a capo
scoperto il colonnello Pallavicini, e Garibaldi si lascia dichiarare
prigioniero». [Comandini]
La storia continua con la ferita che rimane aperta per tre mesi, prima
che un dottore (Zanetti, il dottore di Curtatone), dei tanti che furono consultati a Caprera, riuscisse a
curarlo. Per quattro
anni Garibaldi resta qui relegato. Per le operazioni in Aspromonte
viene conferita la medaglia di bronzo al 6° e 25° btg.
Medaglia
d'oro al valore individuale per grave ferita al tenente
Ferrari Luigi
del 6°. Comandava il corpo di spedizione il
Colonnello Pallavicini di Priola già
medaglia d'oro per l'assedio di Civitella del Tronto.
L’impresa di Garibaldi è costata al governo italiano 30 milioni,
all’incirca quanto ogni anno frutta allo Stato l’imposta sul sale. Nella
stima della Corrispondenza Franco-Italiana la spesa più rilevante è
stata la mobilitazione dei 60 mila soldati cui si sommano le
requisizioni di Garibaldi in Sicilia. «Con una somma simile il governo
del Re avrebbe potuto far le spese necessarie per inviare 200 mila de’
nostri operai o coltivatori a visitare l’Esposizione di Londra e Parigi,
ovvero a far prosciugare gran parte delle paludi della penisola»
(Corrispondenza Franco-Italiana). [Mon. Bo. 31/8/1862]
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