Oltre a uno dei gatti, la sola cosa
in movimento che Elena aveva veduto durante il pomeriggio era il riflesso
dell'acqua dal canale, quella specie di pulsazione, spettri di fiamme
inquiete sulle pareti alte, sulle travature del soffitto.
Così inizia il secondo paragrafo
di Rosso veneziano. Niente di clamoroso, lo vedo bene, eppure
ricordo ancora, a distanza di tanti (tantissimi) anni, la vertiginosa
sensazione che provai nel leggerlo la prima volta: una sensazione d'amore,
di quell'amore che stava nascendo in me per questo autore e per la sua
scrittura. Quell'immagine - ma forse bisogna essere nati o almeno vissuti
a Venezia per capirlo - è di una autenticità tutta speciale,
racchiude la poesia e il senso tutto della mia città. Quei riflessi
d'acqua silenziosi che danzano sulle alte pareti di una vecchia casa veneziana,
quante volte nella mia infanzia si sono dipinti su altrettanto alte pareti
di una altrettanto vecchia casa veneziana, quella dei miei nonni, nei
pomeriggi in cui si accostavano le imposte scrostate per favorire il riposo,
e io me ne stavo lì imprigionata ma obbediente e le osservavo fluttuare
e cambiare colore e forma, e ci costruivo sopra le mie prime, incantevoli
storie.
Da queste righe ho sentito subito che quello sarebbe stato uno di quei
romanzi che prendono il cuore e non lo lasciano più. E così
è stato: Rosso veneziano è diventato uno dei libri
che più hanno formato la mia ispirazione e la mia formazione in
un'età in cui è proprio di queste che si cerca. Racconta
la storia di molte storie che si concatenano secondo legami affettivi,
casuali o temporali e si muovono sullo sfondo di Venezia nell'imminenza
della seconda guerra mondiale: in quel periodo di incertezze e foschi
presentimenti, si collocano alcuni giovani personaggi appartenenti a famiglie
di borghesia benestante e intellettuale, confrontandosi con adulti che
fanno ormai parte di un mondo lasciato indietro ma indubbiamente più
sereno e armonioso. La trama segue principalmente la vicenda sentimentale
di due di loro, segnata dalla tragedia, ma si dirama in rivoli continui
che descrivono molte altre trame, molti altri caratteri, col tono di una
narrazione discorsiva, di un racconto a voce che non disdegna
di disperdersi, divagare a ruota libera e creare connessioni, fino a diventare
corale. Questo è il tratto caratteristico di tutti i romanzi di
P.M.P., e riproduce il tipico parlare veneziano senza schemi, slegato,
un po' languido, ricorrente come placide onde di risacca che si formano
e si sfanno, sormontandosi. Venezia è una piccola isola, e la sua
natura unica fa sì che i suoi abitanti vivano ritmi particolari,
ritmi in armonia con quelli delle acque; come addossate sono le case e
vicine le finestre, così le loro storie si intrecciano facilmente
e familiarmente, in una rete di conoscenze e parentele che si sviluppa
dai balconi ai campielli col suono di voci e passi che nessun traffico
cittadino può sovrastare. I personaggi di Rosso veneziano sopravvivono
al romanzo, e alcuni di essi ricompaiono di passaggio o sullo sfondo anche
nei successivi, confermando quel senso di continuità e familiarità
che è tipico delle saghe.
Pasinetti, veneziano di nascita ma come molti veneziani viaggiatore e
cittadino del mondo, più che raccontare di persone racconta, con
affetto, leggerezza e a tratti pacata ironia, di una città unica
e diversa da tutte; ne racconta l'anima, le nostalgie, il sentire, i mali
e la poesia, le memorie comuni, l'atmosfera sommessa, le ricchezze e le
malinconie. Anche nel successivo
Il ponte dell'Accademia, il mio preferito, sebbene la vicenda
si svolga oltre oceano, in una realtà moderna e tecnologica che
efficacemente mette in risalto la diversità e l'estraneità,
centrale è il ricordo di Venezia, la città delle radici,
delle certezze istintive, del conforto. Una Venezia che assomiglia a noi
che ci siamo nati e che si spiega a chi la conosce da straniero molto
meglio e con più veridicità di qualunque guida turistica.
Dello stesso Autore leggi anche la recensione
di
Il ponte dell'Accademia
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