Michel Houellebecq

 

Estensione del dominio della lotta
1994 - Feltrinelli, pag.152


 

l'inizio...

Venerdì sera sono andato a una festicciola a casa di una collega di lavoro. Eravamo una trentina e passa, tutti quadri di medio livello, tra i venticinque e i quarant'anni. A un certo punto una scema ha cominciato a spogliarsi. Si è sfilata la maglietta, poi il reggiseno, poi la gonna - il tutto facendo delle smorfie incredibili. E' rimasta così qualche secondo, ad ancheggiare in mutandine; poi, non sapendo più che fare, si è rivestita. Peraltro è una che non la dà a nessuno; il che sottolinea l'assurdità del suo contegno.
Dopo il quarto bicchiere di vodka kho cominciato a sentirmi malissimo e sono andato a sdraiarmi su un mucchio di cuscini dietro il divano. Poco dopo, due tizie sono venute a sedersi proprio sul divano. Faccio presente che si tratta di due tizie tutt'altro che belle, anzi, due racchie totali. Vanno sempre a mensa in coppia e leggono libri sullo sviluppo del linguaggio nei bambini, non so se capite il genere.
Appena sedute hanno cominciato a commentare l'evento del giorno, cioè che una delle impiegate era venuta in ufficio con una minigonna assurdamente mini, raso-chiappe.
Come la vedevano, questa faccenda della minigonna assurdamente mini? La vedevano bene. Le loro sagome assurdamente ingrandite si stagliavano come ombre cinesi sulla parete sopra di me Le loro voci mi parevano piovere dall'alto, a mo' di Spirito Santo. Il fatto è che stavo da cani.
Per un quarto d'ora hanno continuato ad infilare una banalità dietro l'altra. Tipo che quella tizia aveva tutto il diritto di vestirsi come le girava, e che mettersi una mini assurdamente mini non aveva niente a che fare col desiderio di sedurre i maschi, e che era solo per avere un buon rapporto col proprio corpo, per piacere a se stessa, e via di seguito. Tardive e deprimenti scorie del femminismo infranto. A un certo punto ho sentito questa stessa frase pronunciata stentoreamente dlla mia voce: "Tardive e deprimenti scorie del femminismo infranto." Ma loro non mi hanno sentito.
Anch'io avevo notato la ragazza con la minigonna. Difficile non notarla. Tant'è che persino il capufficio era in stato di arrapamento.

***

frammenti...

 

I gradi di libertà secondo J.-Y.Fréhaut

Torno in sede. Mi viene riservata una bella accoglienza; a quanto pare sono riuscito a ristabilire la mia posizione in azienda.
Il mio capufficio mi prende da parte, mi rivela l'importanza di questo contratto. Sa che sono un ragazzo di carattere. Dedica qualche parola di amaro realismo al furto della mia automobile. E' una specie di conversazione maschia, accanto al distributore automatico di bevande calde. Vedo in lui un grande professionista delle risorse umane, dentro di me tubo.Lo vedo più bello che mai.

Più tardi nel pomeriggio assisterò alla festa d'addio per Jean-Yves Fréhaut. E' un elemento di valore che lascia l'azienda,sottolinea il mio capufficio; un tecnico dai grandi meriti.Senza dubbio ,nella sua futura carriera,egli andrà incontro a successi quantomeno equivalenti a quelli che hanno contrassegnato quella precedente;è tutto il male che gli augura. E,quando ne avrà voglia,che torni pure liberamente in azienda a bere il bicchiere della amicizia! Il primo impiego,conclude con tono salace il mio capufficio, è qualcosa difficile da scordare; un po' come il primo amore. A questo punto mi chiedo se costui abbia bevuto un po' troppo.
Breve applauso. Intorno a J.-Y. Fréhaut si crea un certo movimento; lui gira lentamente su se stesso, con aria soddisfatta.Questo ragazzo lo conosco un po', siamo entrati in azienda contemporaneamente, tre anni fa; stiamo nello stesso ufficio.Una volta abbiamo discusso di civilizzazione .Lui sosteneva- e per certi versi ci credeva davvero- che l'aumento del flusso d'informazione all'interno della società sia di per sé una bella cosa. E che la libertà non sia altro che la possibilità di stabilire diverse interconnessioni tra individui, progetti,organismi,sevizi. Secondo lui il massimo di libertà coinciderebbe con il massimo delle scelte possibili. Servendosi di una metafora basata sulla meccanica dei soldi, queste scelte le chiamava gradi di libertà.
Ricordo che eravamo seduti vicino all' unità centrale.Il climatizzatore emetteva un leggero ronzio. Lui paragonava la società a un cervello e gli individui alle cellule celebrali, per le quali è in effetti auspicabile stabilire il massimo delle interconnessioni .Ma l'analogia si fermava lì.Perché lui ,essendo un liberale, non spingeva a denunciare ciò che davvero manca al cervello : un progetto di unificazione.
La sua vita ,come avrei appreso dopo quella conversazione, era estremamente funzionale. Abitava in un monolocale nel quindicesimo Arrondissement. Il riscaldamento era compreso nell'affitto .Lui si limitava a dormirci, giacché in effetti lavorava molto; spesso ,fuori dall'orario d'ufficio,leggeva Micro-Systèmes .Per quanto lo concerneva, i famosi gradi di libertà si riducevano alla scelta del menù della cena tramite Minitel ( era abbonato a questo servizio,nuovo per l'epoca,che assicurava la consegna a domicilio di piatti caldi a orari estremamente precisi e con un preavviso relativamente breve).
La sera mi piaceva guardarlo comporre il menù sul Minitel posato sull'angolo sinistro della scrivania.Lo stuzzicavo sulle messaggerie rosa; ma in realtà sono convinto che fosse vergine.
In un cero senso era felice.Si sentiva, a buon titolo,attore della rivoluzione telematica. Davvero percepiva ogni crescita di forza del potere informatico, ogni passo avanti verso la globalizzazione della rete, come una vittoria personale.Votava socialista. E, stranamente, adorava Gauguin.

 

 

 

il prossimo è Le particelle elementari

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