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I FOTORACCONTI DI ALAN 68

Una sera andando alla messa

Lo scoscio

La collega  (HOT!!!)

Racconto di Capodanno  (HOT!!!)

Se una sera d'estate  (HOT!!!)

Pumping Iron   (HOT!!!)

Un pomeriggio al posteggio
Fotoracconto
La incontrò per caso sulle scale del posteggio sotterraneo dove ogni fine settimana si recava per fare acquisti, anche se poi la vedeva tutti i giorni perché lui lasciava l’auto lì per recarsi a piedi in stazione a prendere il treno che lo portava al lavoro.
Era bella, di una bellezza austera e aveva sempre un tono indifferente; sapeva solo che lavorava in un negozio di biancheria intima, faceva la commessa, niente di più.
Si incrociavano sulle scale, un buon giorno detto velocemente e poi ognuno per conto suo, immerso nei propri problemi quotidiani.
Solo che quel sabato fu diverso.
Lei si fermò a metà delle scale, si aprì il cappotto, sollevò la gonna e gli mostrò la sottana nera che indossava, tenendo le gambe avvolte da un arrapante paio di calze nere, leggermente divaricate.
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Puttana, sei proprio una gran puttana !
Fu il suo primo pensiero, mentre la guardava e rimaneva senza fiato per quella inaspettata e gradevolissima visione.
Non era pronto per una cosa del genere e anzi, davvero non se lo sarebbe mai aspettato.
“Guarda, ma non azzardarti ad allungare le mani, capito !” gli disse.
Lui deglutì e mormorò “Che ?”
“Se lo fai mi metto a urlare e dico che stavi cercando di violentarmi !” continuò.
“Tu sei matta, sei completamente matta”.
“Almeno guarda”.
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Si riabbassò l’orlo della gonna facendo scivolare il pizzo della sottana sulle cosce ancora allargate.
Lui allungò una mano per spostare un lembo del cappotto e godersi ancora meglio quello straordinario spettacolo.
“Guarda meglio”, gli disse divaricando ancora di più le gambe, poi lo costrinse ad infilarsi con la testa sotto la gonna dove poté godere di uno spettacolo divino.
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Quella singolare quanto arrapante femmina lo costrinse a godere di uno spettacolo che in molti avrebbero voluto condividere, ma tutta quella inaspettata meraviglia, per fortuna, era soltanto per lui.
“Guai a te se mi tocchi, non ti azzardare !” continuava a ripetere la donna con tono di minaccia.
“Questa maiala è proprio matta” pensò, tenne le mani a posto, con grande fatica, pur di guardare.
Avrebbe voluto farla sua, ma si accontentò di fare quanto gli veniva detto: guardare e non toccare.
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Si avvicinò ancora di più alla passera dove solo un paio di collant lo separavano dalla fonte del piacere, fu dura cercare di contenersi mentre tutto il suo corpo gli ordinava di sottomettere quella singolare femmina..
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Si tirò fuori dopo aver dato un’ultima occhiata a quel fantastico panorama, mentre la donna lo guardava soddisfatto.
“Ti sei divertito?” gli chiese.
“E me lo domandi pure …”.
Si, quella donna era davvero strana, forse era matta come un cavallo, ma per un breve istante gli aveva regalato un pomeriggio diverso dal solito.
Prima di salire verso il supermercato, raggiunse la sua auto, e dopo essersi occultato alla vista della gente, si masturbò pensando alla oramai quasi sconosciuta commessa e al suo gesto di poco prima.
FINE
Un giorno in taxi
Faceva la tassista da tanto tempo oramai che si considerava avvezza ad ogni sorta di stranezza.
Era abituata a scarrozzare per la città ogni genere di persone, dal ricco al borghesuccio e spesso tanti, ultimamente troppi poveracci che arrivavano alla fine della corsa e non sapevano come pagare.

Adorava quel mestiere che la faceva sentire viva e non aveva affatto paura, unica donna al volante in un mestiere a prevalenza maschile. Sapeva come difendersi ma non le era mai capitato quello che le accadde in un pomeriggio di fine novembre verso le cinque di un indaffarato giorno feriale, mentre la città era piena di gente che si muoveva per lavoro, sollazzo o semplicemente perché al giorno d’oggi c’è tanta, forse troppa gente a spasso, che siccome non sa cosa fare … semplicemente si muove.
Diede un passaggio a un uomo d’affari molto elegante, il quale dopo aver contrattato il prezzo della corsa ad un certo punto le ficcò in mano una banconota da cinquecento Euro e dopo averla fatta entrare in un parcheggio le chiese di alzarsi la gonna di jeans che indossava e di farsi spaccare il collant.
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Rimase interdetta … il tipo parlava sul serio o stava scherzando ?
Accidenti … cinquecento Euro per una spaccata di collant ?
Che fare – si chiese – denunciare il matto alla polizia o tenersi i soldi e assecondarlo ?
Da donna pragmatica quale era, optò per la seconda possibilità, in fondo, simili opportunità nella vita di tutti i giorni non capitano spesso e se uno era disposto a sganciare cinquecento bigliettoni per rompere un collant da cinque Euro, allora … tanto valeva accontentarlo !
Si alzò la gonna e gli mostrò le cosce e anche se nel farlo si sentì un po’ puttana, ma dai pensò cerca di convincerti che stai solo lavorando, e per non giocarsi un cliente del genere, decise che sarebbe stata disposta a fare anche dell’altro.
In fondo, il tizio aveva pagato in anticipo e non se la sentiva di deluderlo.
Lo guardò, era troppo alto per i suoi gusti e nemmeno troppo bello, ma aveva un che di interessante e poi pagava, quindi decise di assecondarlo.
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Un’alzata di gonna non aveva mai ammazzato nessuno.
Gli chiese soltanto di non farle troppo male e il tizio la rassicurò sfiorandole la guancia destra con un delicato bacio.
Arrossì come una ragazzina alla sua prima esperienza.
Poi il tizio prese il cellulare e cominciò a piazzarlo fra le cosce per fotografarla.
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Il suo imbarazzo aumentò notevolmente di pari passo con la sua eccitazione mentre la suadente voce del cliente le diceva di tranquillizzarsi mentre la riempiva di complimenti e continuava ad accarezzarla.
Adesso le mani del cliente correvano fra le sue cosce spostandosi con movimenti esperti.
Lei cercò di contrastarlo ma non era troppo convinta.
Stava cominciando a lasciarsi trascinare e spalancò le gambe ancora di più per consentire all’uomo di fotografarla meglio.
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Sentì l’eccitazione salire mentre con la mano toccava il pizzo della sottoveste alzata e tesa fra le cosce spalancate, poi vide l’uomo artigliare un lembo del collant e strapparlo con gesto deciso.
Udì il rumore del tessuto lacerato e vide il collant aprirsi come carta velina mentre l’uomo lo tirava con decisione verso di sé.
S’accorse di essere bagnata e che avrebbe voluto farsi scopare da quello strano cliente che l’aveva pagata solo perché lei acconsentisse a farsi lacerare un paio di collant.
Si stava lasciando trascinare da quel vortice di sensazioni che da tempo, da quando suo marito l’aveva lasciata per un'altra donna, non provava più.
Quel singolare individuo, cominciava a piacergli.
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Lo lasciò fare mentre sentiva il calore delle sue dita abili ed esperte, muoversi sulla passera fradicia.
Aveva voglia... molta, molta voglia.
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A quel punto si ritrovò con le gambe completamente spalancate e le mutandine nere in bella mostra.
L’uomo la fotografò ancora, poi passò le sue mani sulle mutandine, accarezzandola con movimenti circolari sempre più insistenti, mentre con le dita si insinuava dentro di lei, e a quel punto si sentì come esplodere mentre inondava le dita di lui coi suoi umori.
Lanciò un grido, mentre l’uomo con decisione le scostava le mutandine, mettendo la passera a nudo.
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Fu lei a saltargli addosso, in quel posteggio e in quel taxi metropolitano che ora faceva su e giù sotto i colpi dell’uomo che finalmente la stava scopando come da tempo desiderava.
Fuori la sera stava calando sulla città immersa nei suoi forsennati ritmi mentre loro due si amavano cullati dal suono delle sirene di auto della polizia e ambulanze che in lontananza correvano chissà dove.
Infine l’oscurità li avvolse come una calda sottana.
FINE

Con Carla al ristorante … da un insolito punto di osservazione
Andammo al ristorante a festeggiare il nostro anniversario di matrimonio e fino a lì, nulla di strano. Non era certo la prima volta che portavo mia moglie al ristorante a cena o a pranzo per festeggiare le nostre nozze, ma dopo tanto tempo con lei, quando oramai pensavo che nulla della donna che avevo spostato potesse più sorprendermi, ecco che accadde qualcosa di veramente insolito e perché no … assolutamente piacevole!
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Pranzammo a base di pesce, discutendo del più e del meno: il lavoro, i soldi, le spese da affrontare, i progetti, le vacanze da pianificare, e così tra una chiacchiera e l’altra, terminammo le varie portate e arrivammo alla fine del pranzo mentre la sala del ristorante poco a poco si svuotava.
Ci accorgemmo di essere rimasti gli unici presenti nella saletta dove il cameriere ci aveva fatto accomodare per il nostro pranzo di anniversario, mentre il resto del personale si occupava di sparecchiare e risistemare i tavoli per la serata nella sala grande del locale.
Fu allora che Carla mi rivolse un sorrisetto malizioso, frutto di uno strano calore che la stava avviluppando, forse generato dal vino che aveva bevuto, o forse dal fatto che eravamo rimasti soli o che altro ne so …
Mi disse di prendere il telefonino e di cominciare a scattare le foto sotto il tavolo. Non mi lasciai pregare e obbedii.
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Le sue gambe, avvolte dal collant nero, erano ancora parzialmente coperte dalla tovaglia.
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Poco dopo si spalancarono un pochino di più.
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Poi allargò le gambe ancora di più e grazie alla tovaglia leggermente più tirata all’indietro, potei vedere tra le cosce aperte un primo accenno di mutandine sebbene coperte dal cavallo del collant.
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Poi Carla decise di soddisfare il mio desiderio di guardone raffinato e infilando entrambe le mani sotto il tavolo, dopo essersi accertata che nessun cameriere fosse in vista, alzò il lembo mostrandomi le cosce aperte e un lembo di sottoveste teso fra le gambe via via sempre più spalancate.
La mia eccitazione cominciò a salire sempre di più.
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Poi la tovaglia fu sollevata come il sipario di un teatro e così potei vedere il pizzo della sottoveste nera che la mia signora aveva indossato e che faceva bella mostra di se fra le gambe sapientemente spalancate.
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E quando la tovaglia fu completamente spalancata e il panorama in bella mostra mi fu messo davanti agli occhi in tutto il suo splendore, non potei fare a meno di tuffarmi con la testa sotto il tavolo per ammirare da vicino le mutandine nere nascoste dal collant, la gonna tesa e quell’arrapante sottoveste nera che mia moglie aveva indossato al solo scopo di farmi eccitare … quella donna, la donna che anni prima avevo sposato, era una femmina piena di piacevoli sorprese.
Il messaggio era chiaro: capii che lo voleva, ma non lì, il ristorante non era certo il posto ideale per farlo, anche se non mi sarebbe dispiaciuto sbatterla su un tavolo e scoparla come Jessica Lange nel “Postino suona sempre due volte”.
Insomma, se la moglie lo vuole … lo vuole, e il luogo per farglielo assaggiare è assolutamente relativo !
Mi avvicinai bramoso di strappargli quella barriera e di infilare prima la lingua e poi qualcosa d’altro nella sua passera vogliosa, quando un movimento di passi mi fece trasalire.
Rapidamente ritornai a sedermi mentre mia moglie si ricomponeva.
Quel breve momento di intimità fra coniugi che stava per consumarsi nella saletta di un ristorante nella quiete del dopo pasto, fu interrotto dalla brusca voce del cameriere che intanto si era avvicinato al nostro tavolo.
Il ristorante stava chiudendo e l’uomo ci invitò cortesemente ma fermamente ad uscire.
L’eccitazione svanì del tutto mentre la voce dell’uomo mi riportava alla realtà con un laconico:
“Il conto, signori, prego!”.
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FINE

Un giorno al parco
Camminando, capita frequentemente di incontrare donne che indossano aderenti gonne, e spesso la nostra fantasia, inizia a scivolare in quell’eccitante vortice che ci porta a immaginare che cosa le signore indossino sotto una normalissima gonna in tessuto jeans di lunghezza media.

Quel giorno ero al parco e stavo passeggiando godendomi la giornata autunnale un po’ uggiosa ma comunque piacevole, era un sabato pomeriggio e il parco a quell’ora, complice il cielo grigio e una pioggerellina che qualche ora prima si era abbattuta sulla città, non invitava né i vecchi e nemmeno i giovani, ad una frequentazione, seppure fuggevole.

Incontrai la signora nel sottopasso che consentiva di attraversare la soprastante strada a scorrimento veloce. Usciva dalla rampa camminando velocemente assorta nei suoi pensieri e non potei non fare a meno di notarla: indossava un’aderente gonna di jeans, un paio di collant neri e un paio di stivali dello stesso colore. La fermai con una scusa banale e subito azzardai un complimento che non so cosa fece scattare in lei, ma la sorprendente reazione che ne seguì, la documentai attraverso le foto che ora inserirò nel mio racconto di quell’incredibile quanto piacevole sabato pomeriggio.
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Eravamo entrambi fermi sulla rampa che portava al sottopasso, la signora davanti a me, in gonna jeans, collant e stivali neri, alla quale chiesi cortesemente di alzarsi la gonna per mostrarmi le cosce.

Mi sarei aspettato un urlo, una richiesta di aiuto perché un ignoto individuo, anche se ben educato, la stava molestando in un luogo pubblico e per giunta, nemmeno molto frequentato ... il luogo quasi ideale per tentare una molestia pesante o uno stupro veloce (una sveltina … tanto per capirci).

Invece accadde qualcosa che mi lasciò di sasso!

Ovvero, fece ciò che non mi sarei aspettato facesse: si alzò l’orlo della gonna mostrandomi il pizzo della sottoveste nera che indossava. Restai piacevolmente sorpreso e non persi l’occasione di scattare la foto.
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Capii che non avrebbe urlato o chiesto aiuto, ma che si sarebbe prestata a quello strano gioco erotico del vedo e non vedo, messo in atto in modo così estemporaneo nel sottopasso di un parco pubblico.

Ma è proprio con l’improvvisazione che accadono le cose più divertenti e piacevoli.

La signora non si scompose, restò in quella posa invitandomi con un cenno del capo ad avvicinarmi per poter fotografare meglio il pizzo della sottoveste che mi stava mostrando dietro mia garbata richiesta.

Armeggiai con il telefonino pregando che non mi piantasse in asso proprio mentre stavo cominciando a divertirmi e scattai la seconda fotografia, mentre la signora osservava con attenzione che attorno al nostro siparietto non si avvicinasse qualche indesiderato frequentatore del parco, magari a quell’ora lì presente soltanto per far fare i bisognini al proprio quadrupede da salotto.

Con mano tremante e col cuore a mille per l’eccitazione scattai un immagine più ravvicinata di quell’eccitante pizzo che la sconosciuta signora mi stava mostrando senza alcuna vergogna.
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A quel punto presi ulteriore coraggio e le chiesi se fosse stata disposta a farsi fotografare le mutandine.

Mi disse che non lo avrebbe fatto e poi mi chiese di seguirla attraverso il parco ove mi avrebbe concesso un’ulteriore serie di scatti se mi fossi impegnato a non esagerare. Compresi che la richiesta delle mutandine era stata eccessiva, in fondo eravamo due sconosciuti e non capita tutti i giorni che una signora accetti di buon grado di farsi fotografare in un parco da una persona che incontra per la prima e forse unica volta.

Avevo collezionato non pochi scatti di donne in gonna o in sottoveste, ma spesso si trattava di foto rubate nei supermercati, per strada o in altri luoghi pubblici, ed era questa la mia prima volta dove trovavo una persona consenziente e disposta a soddisfare – almeno in parte – le mie richieste.

La signora prese a camminare attraverso il parco chiedendomi quali fossero i posti più interessanti per farsi riprendere senza avere occhi indiscreti attorno. Data la scarsa frequentazione per via della giornata autunnale, le risposi che qualunque posto sarebbe andato bene, anche una panchina lungo uno dei vialetti di norma frequentati da pensionati, ragazzi, nonne con bambini o frettolosi impiegati degli adiacenti uffici pubblici le cui finestre si affacciavano sul lato nord del giardino.

Trovammo un luogo idoneo alla bisogna e la signora si sedette accanto a un putto in pietra ricoperto da muschio ed erba. La gonna jeans tesa tra le cosce un po’ aperte, nascondeva quella eccitante sottoveste nera che la sconosciuta mi aveva mostrato con tanta naturalezza all’uscita del sottopasso.

Stavo cominciando ad eccitarmi e avevo tanta voglia di allungare le mani ma; se volevo ottenere qualcosa di più, capii che dovevo sottostare al gioco che la signora stava portando avanti con molta tranquillità.
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La gonna jeans, tesa dalle cosce un po’ aperte (segno di esplicita provocazione) mi stava eccitando sempre di più. Feci forza a me stesso per non saltarle addosso in quel preciso istante, desideroso di trascinarla dietro un cespuglio, rompendole collant e mutandine per violentarla in quel parco, incurante delle sue urla o di chi sarebbe eventualmente potuto intervenire in suo aiuto. Ma lo stupro non si verificò e continuai a stare a quello strano ma eccitante gioco.
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Ci appartammo dietro un gruppo di alberi e questa volta la signora si sollevò solo un lembo della gonna jeans, mostrandomi il pizzo della splendida sottana che indossava.
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Raggiungemmo una panchina e lei si sedette, alzandosi nuovamente con tranquillità la gonna per farmi godere della visione di quel pizzo che mi stava praticamente facendo impazzire. Continuai a fotografarla.
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Poi la signora accavallò le cosce per mostrarsi di profilo permettendomi di fotografare meglio quell’eccitante pizzo fuori uscito dall’orlo della gonna jeans.

Gettai uno sguardo attorno a noi per accertarmi che non vi fosse nessun estraneo nelle vicinanze e mi avvicinai per fotografare meglio.

Mi accorsi di tremare per l’eccitazione.
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Fotografai più da vicino quel ben di dio di cosce avvolte da un pesante collant nero e così spontaneamente mostrate, sperando che a quelle foto nel parco si aggiungesse un seguito di ben altra natura …

Ma quando desideroso di spingermi oltre, azzardai un tiepido tentativo di apertura cosce per cercare di fotografare le mutandine, la signora si ritrasse sdegnata.

Mi allontanò guardandomi in cagnesco, chiuse le gambe e si alzò dalla panchina, iniziando a camminare.

Restai pietrificato da quella reazione che ritenni inaspettata anche se razionalmente avrei dovuto prevederla, ma dato che mi sentivo eccitato come un adolescente alla sua prima esperienza, la sottovalutai.

E fu un errore.

Dunque il gioco era finito ?

Sembrava proprio di si, stando alla scena che stavo vivendo in quel preciso istante.

Un fuoco di paglia, eccitante tanto da farmi girare la testa, ma soltanto un semplice fuoco di paglia.

Solo alcuni scatti presi in un sottopasso e un lembo di sottana con un bellissimo pizzo nero mostrata su una panchina ?

Tutto qui ?

Tutto il resto soltanto fantasie scaturite nella mia testa bombardata da una tempesta ormonale in pieno svolgimento.

Mi diedi dello stupido.

E avevo ragione … qualcosa stava per verificarsi ma non secondo quello che la mia mente immaginava.
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Restai fermo guardandola allontanarsi, ma poi ad un tratto, la signora si fermò per bere ad una fontanella e quando ebbe finito di dissetarsi mi fece cenno di avvicinarsi.

Ma il gioco era finito per davvero o stava continuando ancora ?

Decisi di seguirla ma senza importunarla più del necessario.
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Raggiungemmo la sua auto, posteggiata poco distante. La signora mi invitò a salire a bordo chiedendomi di fotografarla sotto la gonna; lì dentro mi disse che eravamo lontani da sguardi indiscreti.

Non mi feci scappare l’occasione e di fronte a questo esplicito invito, la accontentai, pregando sempre che la macchina fotografica del telefonino non mi piantasse in asso proprio adesso, nel momento che tanto avevo desiderato.

Per fortuna, l’evento tanto temuto non si verificò.

La signora si tranquillizzò ed io pure, poi ne approfittai … ma solo per fotografarla.
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Ed ecco il panorama che la donna del sottopasso nascondeva sotto la gonna di jeans.
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Un collant talmente nero e pesante da non lasciarmi intravedere nemmeno una flebile traccia delle mutandine che indossava se poi davvero le indossava.
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Restai col dubbio, però non fu una delusione, in fondo avevo ottenuto tanto … anzi, tantissimo.

Mi pregò di non andare oltre, quasi mi implorò di non toccarla e sebbene dovessi combattere contro la mia eccitazione, lo feci. Mi astenni dall’infilarle le mani nel collant come tanto avrei voluto.

Non fu facile, ma tenni fede alla mia parola.

La signora calò il sipario e la cosa finì, questa volta definitivamente.
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Mi ringraziò con un casto bacio sulla guancia e poi mi chiese di scendere dall’auto.

Obbedii a quella richiesta e lei senza neanche degnarmi di uno sguardo mise in moto e si allontanò lasciandomi avvolto da una nuvola di fumo grigiastro come la giornata che oramai, a parte quella breve parentesi decisamente fuori dall’ordinario, si avviava mestamente ad una conclusione.
FINE