Settembre 1860: il re Francesco II di Borbone,
costretto dall'incalzare degli eventi a lasciare Napoli, si ritirava a Capua stabilendo nella Piazzaforte di Gaeta la base delle
operazioni militari. Perduta anche Capua, il re, la
corte ed il corpo diplomatico accreditato presso il governo borbonico, si
rifugiarono a Gaeta.
L'esercito borbonico aveva perduto ogni efficienza
bellica. Battuto più dal tradimento che dal nemico, incalzato
dalle truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini, si apprestava a
difendere la fortezza più per salvare l'onore delle armi che per vincere.
Le operazioni d'assedio iniziarono sul fronte di
terra il 5 novembre 1860.
Il Borgo di Gaeta ed il fronte di terra in una tempera del pittore Carlo Bossoli (1861). Nella rada, le unità navali partecipanti al blocco della Piazzaforte |
Descrivere le varie fasi dell'assedio è opera
lunga e complessa. In questa pagina verranno ricordate
esclusivamente le operazioni navali interessanti l'evento bellico.
Il corpo d'assedio era forte di 18.000 uomini
con 1.600 cavalli e 180 cannoni moderni. Nel porto di Gaeta erano ancorati
pochi avanzi della flotta napoletana (5 unità: la fregata a vela Partenope e gli avvisi Delfino, Messaggero,
Saetta ed Etna), quattro navi spagnole (i due piroscafi da guerra
Vulcan e Colon, la corvetta a
vela Villa de Bilbao, il trasporto a vapore General Alava) ed
una prussiana (il piroscafo da guerra Loreley). Era inoltre presente una
Squadra Navale francese (7 navi), al comando del Vice Ammiraglio Le Barbier de Tinan, che proteggeva
dal mare i borbonici. La squadra francese era composta dai vascelli ad elica Bretagne (nave ammiraglia), Fontenoy, Saint Louis,
Imperial, ed Alexandre,
nonché dai piroscafi da guerra Prony
e Descartes.
Il 19 gennaio 1861, alle ore 16.30,
Fotografo Eugenio Sevaistre - febbraio 1861 |
Altrettanto fecero le altre unità straniere.
Il 20 gennaio la pirocorvetta
a ruote Monzambano (comandante Buglione di Monale) entrò con
bandiera parlamentare nel porto di Gaeta per notificare il blocco alla
Piazzaforte.
Dichiarato il blocco della Piazza, furono poste
in crociera la pirofregata Costituzione
(comandante Wright) e le pirocannoniere
Ardita e Veloce (comandanti Ansaldi e
Cappellini). Poco dopo vi si aggiunsero le cannoniere Confienza
e Vinzaglio (comandanti Di Saint Bon e Burone - Lercari).
L'ammiraglio Persano
era sulla pirofregata Maria Adelaide
(comandante Acton) e da esso
dipendevano direttamente le altre due pirocorvette Carlo
Alberto e Vittorio Emanuele (comandanti Millelire
e Provana) nonché la pirocorvetta
a ruote Monzambano e la fregata ad
elica Garibaldi (ex Borbona).
Il 22 gennaio, contemporaneamente all'azione
delle artiglierie terrestri, alle ore
Nel pomeriggio
Quel giorno furono lanciati da queste navi oltre
4.000 proiettili e tutte, all'infuori della Garibaldi
(comandante D'Amico), della Monzambano e
della Veloce, riportarono parecchie avarie. Fra gli equipaggi si ebbero
5 morti e 9 feriti. Da parte borbonica, si ebbe la perdita per affondamento
dell'avviso Etna
Attacco della pirofregata Garibaldi alle fortificazioni di Gaeta la notte dal 5 al 6 febbraio 1861. (Tempera del pittore Carlo Bossoli - 1861). |
Il 24 gennaio
Per accelerare la resa di Gaeta, che resisteva
strenuamente, il generale Cialdini, comandante delle
truppe d'assedio, d'accordo con l'ammiraglio Persano,
aveva intanto progettato di trasformare la cannoniera Confienza
in brulotto minatore, affidandone il comando al capitano Di Saint Bon. E per procedere a tale trasformazione aveva fatto ricoverare
quella nave nello scalo di Mola, richiedendo contestualmente a Napoli ed a
Torino la maggior quantità possibile di polvere esplosiva.
Il Di Saint Bon, con una delle numerose navi
parlamentari entrate nel porto durante l'armistizio, venne
mandato nella città assediata per esplorare le difese a mare. Ben presto fu in
grado di elaborare un piano. Aveva infatti notato che
il porto non era chiuso da alcuna protezione, a dimostrazione che i borbonici
non sospettavano una sorpresa del genere. Al momento opportuno, con "bonaccia
assoluta" ed in "una notte senza luna", doveva
guidare la nave, trasformata in un'enorme bomba semovente, fino a 300 -
Dalla breccia praticata sarebbero entrate le
truppe da sbarco. Queste furono infatti opportunamente
preparate, destinando allo scopo quattro battaglioni di bersaglieri, imbarcati
ciascuno sopra una cannoniera e muniti di scale a corda.
Dalla prima cannoniera dovevano inoltre scendere
a terra 24 artiglieri per inutilizzare i pezzi in batteria e 24 zappatori del
genio opportunamente muniti di esplosivo per far
saltare le porte e le serrande. Infine, come eventuale rinforzo, fu stabilito
di far seguire una grossa barca con una compagnia di marinai.
Analogamente alla Confienza,
un simile lavoro di trasformazione in brulotto si operava per la pirocannoniera Curtatone,
destinata invece a demolire un punto più centrale delle mura del cosiddetto
Fronte interno di mare.
Il fronte interno di mare delle fortificazioni di Gaeta. In primo piano il relitto
dell'avviso borbonico Etna, affondato durante il bombardamento del 22
gennaio. Fotografo Eugenio Sevaistre - febbraio 1861 |
Fortunatamente per la città e per la
popolazione, i successivi eventi e la resa della Piazza fecero sospendere e poi
abbandonare il progetto dei brulotti minatori.
Il 13 febbraio 1861, Gaeta capitolava e nelle
prime ore del mattino del 14 le truppe piemontesi prendevano possesso della
piazzaforte.
La batteria piemontese dell' Atratina. Sullo sfondo, ben
visibili, le unità della Squadra Navale partecipanti al blocco della
Piazzaforte di Gaeta. In secondo piano, a
sinistra, il campanile della Chiesa di S. Maria di Porto Salvo (o degli Scalzi). Fotografo Eugenio Sevaistre - febbraio 1861 |
Veduta generale di Gaeta dopo la resa. Litografia di C. Perrin - 1861. |
L'evacuazione del Borgo di Gaeta durante l'armistizio Litografia di C. Perrin
- 1861. Le due litografie riproducono con notevole
fedeltà |
Il re Francesco II di Borbone,
con la regina Maria Sofia, partiva da Gaeta imbarcandosi sulla corvetta
francese Mouette, fatta venire appositamente da Napoli. Il monarca, salutato con la
salva reale di 21 colpi della Batteria Santa Maria e con il triplice ammainarsi
della bandiera borbonica di Punta Stendardo, prendeva "la
dolorosa via dell'esilio da quella terra che l'aveva visto nascere".
Con la resa della piazzaforte, nascevano così
l'Italia e
Il 17 marzo 1861 veniva
proclamato il regno d'Italia, stato unitario, nazionale ed indipendente.
Testi consultati:
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Domenico Mastrogiovanni
Prematuramente scomparso il 13 febbraio 2005,
giorno del 144° anniversario della resa di
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Carlo Di Nitto
Gruppo A.N.M.I. GAETA
Febbraio 2005