Gorgone, la storia come pattern
di Vittorio Sgarbi
Non è troppo complicato, per uno storico dell’arte, risalire a un coerente
percorso genealogico che conduca all’arte di Bruno Gorgone, attestatasi
negli ultimi tempi attorno a valori espressivi ben consolidati e,
probabilmente, destinati a conoscere un periodo di duratura prosecuzione.
Credo sia cosa utile, e non solo un’esercitazione filologica da addetti ai
lavori, provare a riprendere le linee di massima di questo percorso, per
capire più dal di dentro il contesto complessivo entro cui si è mosso e
continua a muoversi Gorgone, e quindi poterlo valutare secondo una
dimensione critica che risulti quanto più appropriata alla sua arte.
C’è un precedente da cui tutto parte, almeno nell’ottica del tipo di arte
che Gorgone avrebbe poi fatto proprio. E’ l’ultimo Cézanne, quello di
Aix-en-Provence, delle estreme varianti della Sainte-Victoire, di una natura
che dal dato percettivo perviene all’essenza della sua idea, dominata da un
esprit de géometrie che regola le sue manifestazioni visive, prima
scomponendo, poi ricomponendo per unità di spazio e di colore che
nell’associarsi generano insiemi strutturati, dotati di regolarità, ma di
tipo empirico, emancipati dall’aridità del calcolo e della misura precisa.
E’ il primo, Cézanne, a adottare un metodo intuitivo, profondamente moderno,
per rappresentare in maniera individuale e lirica un qualcosa - la
tendenziale sistematicità della natura – di cui tutti dovremmo prendere
atto, obiettivamente.
Dopo Cézanne il Cubismo, e dietro il Cubismo la Section d’Or di Villon e l’orphisme
di Delaunay, due modi diversi, ma complementari, per affrontare le questioni
formali e intellettuali introdotte da Cézanne. Da una parte il mito della
geometria come via privilegiata a un’astrazione in cui l’arte si potesse
dare come puro linguaggio formale; dall’altra la necessità di mantenere,
almeno a livello empatico, il rapporto con la vitalità primordiale della
natura, e quindi anche con l’irregolarità delle sue estrinsecazioni visive.
Si muove su analoghe direzioni il futurista Balla, sperimentando dinamiche
stilizzazioni delle forze della natura in cui la creatività geometrica e il
formalismo empirico trovano una cifra di sintesi. Negli anni Venti, Balla
perviene all’elaborazione di pattern multicolori, in linea con lo spirito
déco, la cui applicabilità diviene infinita, dalla tela al vestito,
annullando qualunque possibile distinzione fra arti maggiori e minori. Così
avrebbe fatto anche Depero, il “secondo-futurista” più motivato
nell’operazione di trasformazione dell’arte moderna in stile integrale,
capace di comprendere ogni aspetto del quotidiano.
Ma l’adozione di pattern regolari e multicromatici non riguarda, in Italia,
solo i futuristi. Sotto la persistente suggestione della Section d’Or,
rinnovata dal Purismo di Ozenfant e Janneret (alias Le Corbusier), l’Europa
pittorica viene investita da una ventata di astrattismo razionalista che
prende corpo, fra l’altro, nel Suprematismo di Malevic, nel Neoplasticismo
di Mondrian, nei gruppi di Cercle et carré e Abstraction-Création in
Francia, a vocazione internazionale. Lo avvertono, isolati in un panorama
nazionale di dominante ritorno alla figurazione che finisce per coinvolgere
anche Balla, alcuni artisti comaschi - Radice, Rho, Galli – che non a caso
operano a contatto di gomito con architetti razionalisti, compreso quello
che probabilmente è stato il nostro maggiore, Giuseppe Terragni. E’ un’idea
di base comune, il progetto, a legare l’attività del pittore e
dell’architetto, da cui viene derivato un metodo per la sua messa in
pratica, che deve essere lineare e facilmente replicabile, secondo i
caratteri generali della serialità industriale. Intanto, parallelamente
all’astrattismo geometrico, si era sviluppata in Europa anche una linea
differente, il biomorfismo di Arp, Bill, e, per versi differenti, Mirò, che
aveva rivalutato la capacità intuitiva di cogliere e ricreare le forme
archetipiche della natura, per lo più curvilinee e irregolari, incompatibili
con la rigidità della geometria.
Nel Dopoguerra, l’astrattismo italiano riprende il suo cammino fra Roma e
Milano. A Roma, nel 1947, nasce il gruppo Forma Uno (Dorazio, Perilli,
Consagra, Accardi, Sanfilippo, Guerrini, Turcato), che nel documento
costitutivo afferma la volontà di conciliare marxismo e libero formalismo
espressivo, contrapponendosi al realismo politico di Guttuso, trovando in
questa finalità comune la possibilità di affiancare istanze distinte che
contemplano sia il geometrismo, sia il biomorfismo. A Milano, l’anno dopo,
nasce il MAC (Movimento Arte Concreta), promosso da Dorfles, Munari,
Soldati, Monnet, sostenuto direttamente da Veronesi, Radice, Fontana,
indirettamente da Dorazio, Perilli, il tardo-futurista Prampolini, che vede
nuovamente pittori e architetti lavorare all’unisono, secondo le nuove
esigenze estetiche della civiltà industriale. Sia Forma Uno che MAC
dissolveranno progressivamente la loro azione sotto l’avanzare impetuoso
dell’Informale, anarchico, individualista, poco attratto dall’attività di
gruppo, in sostanziale opposizione alla logica di massificazione della
società moderna.
Si potrebbe andare avanti, guardando anche al di fuori dei confini
nazionali, ma mi fermo qui, ritenendo che il quadro storico così ricostruito
sia già più che sufficiente per quanto mi ero riproposto di fare. Gorgone -
ecco il punctum di tutto il discorso finora affrontato - è figlio legittimo
di quella storia, di quel modo d’intendere l’arte, senza possibilità di
dubbio, e avrebbe poco senso valutarlo criticamente al di fuori della
continuità, non solo ideale, con quel passato di cui egli costituisce
l’attualità, il riscontro ancora vivo nel presente.
Lo aveva capito, per esempio, il compianto Pierre Restany, padre spirituale
del Nouveau Réalisme, critico fra i più vivaci e stimolanti del secondo
Novecento, quando aveva consigliato a Gorgone di adeguare le proprie
inclinazioni alla programmazione digitale, quindi impiegando il computer,
vedendo evidentemente la continuità delle sue esperienze artistiche con
quelle “a progetto” che abbiamo in precedenza evocato. Gorgone è architetto
di formazione, il suo approccio all’arte è fortemente condizionato dalla
progettualità, ovvero dalla possibilità di adottare e applicare un metodo
compositivo che possa essere applicato a più riprese, modificando gli esiti
formali conseguibili attraverso il ricorso a varianti. In ciò consiste,
primariamente, l’arte di Gorgone, in questa sua dimensione non strettamente
concettuale, ma legata comunque alla supremazia dell’idea, dell’elaborazione
mentale, e in secondo luogo alla predisposizione del meccanismo pratico che
permette di concretizzarla in un fatto artistico pienamente compiuto,
rendendola dal punto di vista formale un universo autonomo e del tutto
autosufficiente, senza nulla che possa alludere a qualcosa che si sembri
intentato o non sviluppato. A giudicarle da un punto di vista tecnico, le
opere di Gorgone andrebbero ritenute “decorazioni”. Come del resto le opere
di Kandinskij, Mondrian, Burri, e quanti altri ancora, nel segno di una
nuova concezione della modernità artistica. “La vera pittura è la pittura
decorativa”, aveva solennemente affermato Albert Aurier, sulle pagine del “Mercure
de France”, già nel 1890. «Prima di essere un cavallo da combattimento, una
donna nuda o un episodio qualsiasi, un quadro è essenzialmente una
superficie piana ricoperta di colori messi insieme secondo un certo ordine»,
gli fa eco, nello stesso momento, Maurice Denis. E ancora, qualche tempo
dopo, Henry Matisse: “Per me il soggetto di un quadro e il suo sfondo hanno
lo stesso valore, o, per dirlo più chiaramente, nessuno prevale sull’altro,
conta solamente la composizione, il modello generale. Il quadro è fatto
dalla combinazione di superfici variamente colorate”. Se ai tempi di Aurier,
Denis e Matisse l’arte decorativa era ancora concepita in una valenza
connessa indissolubilmente alla soggettività e alla libertà espressiva
dell’autore, col passare del tempo, e l’avanzare della nuova società
tecnologica, tale valenza ha perso molto della sua forza originaria, a
vantaggio di altre meno individuali, come la programmazione e la serialità.
Gorgone, secondo Restany, avrebbe dovuto insistere su questi secondi
aspetti, sviluppando nel modo più coerente ciò che derivava dalla sua
collocazione critica in un certo tipo di storia dell’arte moderna.
Ma, forse, Restany sottovalutava l’importanza che l’elemento artigianale
esercita ancora nelle opere di Gorgone. La messa in pratica dell’idea
progettuale non soggiace a un meccanismo arido, come fosse una trasposizione
automatica che niente potrebbe aggiungere al suo principio generatore. No,
la messa in pratica è per Gorgone esperienza di fondamentale importanza,
vitale e vitalistica, come se le sue forme e i suoi colori, accostati in
texture infinite, fossero delle concrétions naturelles, parafrasando una
nota espressione di Arp, diretta emanazione dello spirito della natura che
deve passare necessariamente per la mente dell’artista, ma anche attraverso
la sua mano, e le sensazioni che questo passaggio determina. L’atto
pittorico è per Gorgone ancora emozione, contatto con la materia, intimo
piacere creativo che si alimenta da sé stesso, mutevole come la mutevolezza
delle varianti espressive sperimentate, cose che il computer potrebbe
soddisfare solo in parte. Anche se la massima esaltazione dell’elemento
artigianale è riscontrabile nei lavori che Gorgone realizza su vetro,
bellissimi, meritevoli di applicazioni sempre più varie e ambiziose, anche
nei titoli metafore degli universi formali prospettati dall’arte, diversi da
quelli della realtà ordinaria, qualche volta contrapposti ad essi. Lavori,
quelli su vetro, che non sarebbero compresi nella loro necessità interiore
se si ritenesse che l’intervento diretto di Gorgone non sia decisivo nella
loro riuscita.
Quali nuovi orizzonti espressivi si potrebbero consigliare a Gorgone? Forse,
sulla linea di Balla e Depero, e magari senza contraddire Restany, potremmo
suggerire all’artista di sviluppare ulteriormente le capacità ambientali
delle sue “decorazioni”, adottando formati giganti che esulino dagli
standard della pittura di cavalletto e vadano a coprire porzioni di spazio
quanto più vaste possibili, oppure provando la collocazione all’aperto, en
plein air, o, ancora, sperimentando l’applicazione dei suoi pattern a
oggetti plastici, non per forza sculture.
Ma perché consigliare un artista, quando il bello dell’arte sta nel gusto
per ciò che un artista riesce di volta in volta a proporre, conoscendo
meglio di ogni altro la propria condizione ispirativa?
Dal catalogo monografico “Bruno Gorgone”.Marco Sabatelli Editore,2007