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AWMR Italia - Associazione Donne della Regione Mediterranea

7a Conferenza Internazionale, Italia - Gallipoli 8-12 luglio 1998

Donne e Lavoro nel Mediterraneo

AWMR - Association of Women of the Mediterranean Region

4. Sessione
Donne e lavoro nel Mediterraneo: le differenti esperienze

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4.1. Il lavoro è la forza che muove ogni cosa

di Ninetta Pourou Kazantzis e Maroulla Vassiliou, Cipro

Soprattutto per le donne - per tanti anni tenute da parte, chiuse in casa, con nessuna opportunità di partecipazione alla vita sociale, culturale e politica - il lavoro è diventato sinonimo di libertà ed indipendenza.

Il diritto al lavoro è uno dei fondamentali diritti umani per tutti gli individui sopra i 18 anni ed è quello troppo spesso ed in troppi paesi costantemente violato. Pari opportunità, paro retribuzione e rispetto nell'ambiente di lavoro sono temi di fronte ai quali si trovano la maggior parte delle donne nelle nostre società androcentriche.

A Cipro si stima che nel 1996 le donne hanno contribuito per circa un terzo al reddito familiare. Una recente ricerca del Cyprus Government Research and Statistics Department che esaminava i bilanci e lo status finanziario delle famiglie, analizzava e valutava l'importanza di questo contributo per gli standards familiari ciprioti.

L'analisi è connessa con le caratteristiche socio-economiche e demografiche delle donne stesse e degli altri componenti della famiglia. La scoperta più interessante è che più anziane sono le donne, più basso è il loro contributo in percentuale. Le più giovani tendono a guadagnare di più, le più anziane meno. Ciò è dovuto in primo luogo al fatto che le donne non salgono nella scala gerarchica come gli uomini; pertanto, nell'età giovanile i due sessi occupano posizioni agli stessi livelli retributivi, mentre più avanti negli anni gli uomini occupano posti meglio retribuiti.

Nella situazione economica odierna, là dove manca il lavoro, disoccupazione e sfruttamento colpiscono soprattutto le donne, i giovani e le minoranze. È perciò necessario che indirizziamo i nostri sforzi verso la salvaguardia del nostro diritto al lavoro, alla maternità e alla partecipazione a tutte le forme di vita sociale e politica.

L'AWMR è impegnata a lavorare per il pieno riconoscimento del diritto delle donne al lavoro in tutti i paesi del Mediterraneo, per la giustizia, l'uguaglianza e la pace.

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4.2. Donne e lavoro a Cipro

di Ninetta Pourou-Kazantzis
segretaria generale dell'AWMR

Per capire pienamente la situazione economica di Cipro oggi, bisogna essere consapevoli della situazione politica creata dall'invasione turca del 1974. Cipro, prima di quella data, aveva un'economia fiorente, con un reddito pro capite fra i più alti d'Europa e la struttura sociale era addirittura a forma di rombo: pochissime persone possedevano enormi ricchezze, la maggior parte della popolazione era costituita da classe media e pochi erano in fondo alla scala sociale con scarsi mezzi per vivere.

La maggioranza della gente aveva la casa di proprietà (92% della popolazione nel 1972), il tasso di disoccupazione era di circa l'1,2% (bilancio governativo del 1973) con una agricoltura tendenzialmente in calo, un'industria leggera ed il turismo che erano i tre maggiori settori economici, l'87% delle famiglie possedeva l'automobile ed il 36% di questi ne aveva una seconda (relazione governativa del '73), il 98% delle case aveva elettricità, acqua potabile e linea telefonica, con un costo minimo del consumo. Le donne costituivano il 33% della forza lavoro tendenzialmente in aumento e circa il 67% delle ragazze completava gli studi superiori, proseguendo l'istruzione universitaria all'estero (dati governativi del 1973).

Nel 1974, con l'invasione turca si ebbe l'occupazione del 37% dell'isola (oltre il 60% delle terre coltivate è tuttora occupata), l'esodo di 200mila persone dalle loro case - profughi nel loro stesso paese - la perdita delle nostre importanti aree turistiche di Famagusta e Kyneria, la perdita dell'importante porto di Famagusta, la chiusura del nostro aeroporto internazionale di Nicosia, tuttora controllate dalle forze dell'Onu nella cosiddetta zona cuscinetto.

I duecentomila profughi perdettero le case, proprietà, lavoro, mezzi per vivere. L'economia di Cipro si trovò di fronte ad un problema che pochi avrebbero mai potuto immaginare. Il governo fu costretto a costruire nuove abitazioni per qualcosa come 50mila famiglie, dovette incoraggiare l'industria e il turismo in aree come Limassol e Pafos che erano prevalentemente agricole fino a quel momento, dovette costruire un nuovo aeroporto a Larnaca ed allargare il vecchio piccolo porto di Limassol.

Allo stesso tempo, abbiamo dovuto fornire un lavoro alla gente. Tra il '74 e l'85 molti ciprioti hanno cercato lavoro nei paesi arabi. Ci son voluti più di dieci anni alla nostra economia per avvicinarsi ai livelli di prima del '74. È stato possibile grazie alla creatività e al duro lavoro dei ciprioti. L'industria leggera - specialmente tessile e calzaturiera - ha toccato le punte massime tra il '78 ed il '90. Le esportazioni attraverso la zona franca di Limassol hanno procurato notevoli disponibilità di capitali al governo e le banche "offshore" per stranieri hanno aperto occasioni di lavoro con buone paghe ai ciprioti. Purtroppo la crisi economica europea e mondiale non poteva non colpire anche Cipro. Inoltre i nostri problemi politici sono peggiorati rispetto a prima. L'intransigenza dei leaders turco-ciprioti e turchi, la loro indisponibilità ad accettare una giusta e durevole soluzione al nostro problema nell'ambito di uno stato federale - greco e turco - per vivere in armonia, pace e stabilità ed il fatto che la comunità internazionale non faccia alcuna pressione sulla Turchia in questa direzione, rende la divisione dell'isola una spaventosa prospettiva.

L'Unione Europea, in cui erano investite gran parte delle nostre speranze, sembra essere un altro strumento di pressione nei confronti del governo cipriota perché sia più malleabile per poter diventare in breve tempo membro a pieno titolo. Perciò non possiamo parlare di reale progresso nei diritti delle donne, senza che sia risolto questo problema, senza che la nostra gente riacquisti il diritto alle sue proprietà, le sue case ed il suo lavoro: un diritto di giustizia, uguaglianza e pace.

Esaminiamo ora qual è la situazione delle donne lavoratrici. Il ruolo delle donne nell'economia mondiale è riconosciuto universalmente e costituisce uno dei criteri basilari della parità di genere.

Secondo i dati statistici, a Cipro la partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha, finora, una tendenza all'aumento. In particolare nel 1992 le donne costituivano il 38,2% della popolazione economicamente attiva, mentre nel 1996 era il 38,6%. C'è da notare che questo incremento era dell'1,7% tra l'86 ed il '91, ma ora è circa lo 0,4%. Ciò è da attribuire alla crisi economica generale degli ultimi anni.

La pressione della crisi danneggia prima di tutto le donne ed è un elemento negativo per la loro crescita futura. Un altro criterio basilare è la posizione delle donne nella cosiddetta piramide lavorativa. La partecipazione delle donne al management ed ai posti di amministrazione raggiunge appena lo 0,8% della forza lavoro femminile, mentre gli uomini occupano un 4,7% in posizioni simili.

Su 5590 manager solo 659 sono donne: una percentuale dell'11,78 (dati 1995). Sembra esserci un aumento in percentuale dal 1992, quando le donne costituivano solo il 9%, ma questa crescita non è ancora soddisfacente.

La disoccupazione tra le donne è ancora alta: il 54,89% della forza lavoro disoccupata. C'è da dire che questo dato non subisce variazioni significative tra il '92 ed il '96, e questo elemento è incoraggiante.

In breve possiamo dire che: Il fatto che i datori di lavoro parlino più frequentemente di "flessibilità" del lavoro e la tendenza crescente del part-time sono fattori che causano estrema ansietà, dato che le donne sono le prime ad essere interessate.

Vediamo ora in breve qual è la nostra legislazione relativa al lavoro delle donne.

La legge dell'uguale salario per uguale lavoro a Cipro è stata approvata nel 1992, ma finora non esiste una chiara definizione di che cosa significhi "uguale lavoro" e l'applicazione della legge è del tutto insufficiente. Nei posti alti in gran parte esiste l'uguale compenso, ma nelle fasce lavorative più basse c'è una grande differenza tra i salari maschili e femminili. Per le donne il lavoro è ancora considerato secondario rispetto alla famiglia e potrebbe finire in qualsiasi momento. Il modello "uomo=lavoro=carriera" e "donna=famiglia=figli" è ancora prevalente nella società cipriota, nonostante i seri sforzi delle organizzazioni femminili e dei sindacati per cambiarlo.

Adesso abbiamo la Legge di maternità che tutela le madri e consente 12 settimane di congedo pagato, con la possibilità di prolungare il periodo di altre sei settimane a metà paga, e inoltre permette di ridurre di un'ora la giornata lavorativa per l'allattamento e la cura dei figli per un periodo di sei mesi dopo la nascita. Ancora non si parla di congedo "parentale" per ambedue i genitori e questo è uno dei diritti per i quali ci stiamo battendo. Bisogna che gli uomini si sentano "padri" e si assumano pari responsabilità accanto alle madri nei riguardi dei figli. Inoltre ciò aiuterebbe a cambiare la mentalità riguardante il "modello di donna" di cui si diceva prima.

Abbiamo la Legge contro le molestie sessuali sul lavoro ed un tribunale speciale per giudicare questi casi. Ma dobbiamo dire che le querele sono minime e non consideriamo questo come uno dei problemi più seri.

Un grosso passo avanti fatto dal precedente governo è stata la creazione del "Meccanismo per la promozione dei diritti delle donne e la parità di genere" del quale fanno parte quasi tutte le organizzazioni femminili e sindacali, con funzione consultiva presso il Ministro della Giustizia. Le prossime leggi sulla parità ed i diritti delle donne, come pure le leggi sul lavoro, dovranno essere pensate e concordate con questo Meccanismo prima di essere sottoposte al Parlamento.

Ciò che desideriamo sia fatto ora è la creazione di altri meccanismi simili per monitorare l'applicazione delle leggi nell'ambito di accordi collegiali e promuovere la cooperazione tra lavoratori e datori di lavoro.

Uno dei problemi nuovi che Cipro deve affrontare è quello del lavoro importato. Il fatto che un'alta percentuale di ciprioti sia in possesso di diploma o laurea (il 55,5% dei quali sono maschi ed il 44,5% donne), comporta che essi ambiscono avere solo lavori specializzati e ben retribuiti. Sicché la maggior parte dei posti nell'industria turistica, quelli retribuiti meno, come camerieri, ecc., vengono occupati da stranieri - soprattutto asiatici - che trovano a Cipro migliori paghe e livelli di vita. Oggi, con la crisi economica, molti di questi si ritrovano disoccupati, ma preferiscono comunque restare sull'isola piuttosto che tornare nei loro paesi.

Le leggi li tutelano abbastanza ed i casi di sfruttamento riguardano soltanto i clandestini, le cui condizioni di lavoro e di alloggio non possono essere controllate dalla polizia o dalle autorità.

Parlando in generale, dunque, posso dire che tendenzialmente la posizione delle donne nel mercato del lavoro va migliorando.

Care amiche, concludo dicendo: le donne hanno diritto a sbagliare senza sentirsi colpevoli. Ma anche gli uomini hanno diritto ai sentimenti e agli insuccessi.

Non siamo state create da sole e non procreiamo da sole. Se non vogliamo che la prossima generazione erediti il sistema di cose presente, dobbiamo lavorare per cambiare la mentalità nelle nostre società.

Una straordinaria donna greca - Eleni Glykatzi Arveler - qualche tempo fa ad Atene ha detto: "Quando delle donne ignoranti, senza qualifica, semplici e ordinarie saranno elette o nominate a posti pubblici o importanti, allora - e solo allora - la parità sarà un fatto reale".

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4.3. Amal Shihada

della componente araba del Movimento Donne Democratiche di Israele

Parla della situazione della popolazione araba in Israele oggi. Ci sono 2.700.000 donne.
Il tasso di disoccupazione femminile è del 16%. Lo stipendio femminile è il 55% di quello maschile. Le donne arabe guadagnano quattro volte meno.
Il tasso di disoccupazione delle donne arabe è del 84% e le condizioni di lavoro sono peggiori.
La maggior parte lavora nell'industria tessile, dove ricevono un salario inferiore al salario minimo.
La normalizzazione dei rapporti fra Giordania e Israele ha peggiorato la situazione, perché gli stipendi in Giordania sono di gran lunga inferiori.
Noi incoraggiamo le donne a lottare per i loro diritti e a chiedere condizioni di lavoro dignitose.

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4.4. Hana Zand

componente ebraica del Movimento Donne Democratiche d'Israele

Parla della disoccupazione femminile in Israele. Le donne arabe sono le prime ad essere licenziate. La discriminazione salariale su base etnica e di genere è molto diffusa. Secondo un recente studio il 38% delle donne ha paura di avanzare rivendicazioni in quanto teme il licenziamento. La situazione attuale è connotata da una politica di demolizione del processo di pacificazione, creazione di uno stato palestinese efficiente e ricerca di una soluzione al problema dei profughi; ciò pregiudica uno sviluppo economico reale. È necessario che gli accordi provvisori siano attuati e che si ponga termine ai nuovi insediamenti israeliani. Il conflitto con il Libano, ancora in corso, continua ad avere un costo in termini di vittime sia israeliane che libanesi. Israele deve ritirarsi dal sud del Libano e raggiungere un accordo con la Siria. È impossibile andare avanti senza dare una soluzione a questi problemi.

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4.5 Nava Elyashar

Jerusalem Link Batshalom, Israele

Parla della situazione del lavoro in Israele e si sofferma sulla mascherata discriminazione contro gli immigrati dalla ex Russia. Se sei una donna in Israele oggi, non puoi avere molte aspettative, anche se le donne sono più istruite degli uomini. Impedire alle donne di raggiungere il massimo delle loro potenzialità è un vero spreco, specialmente perché le donne vivono più a lungo. Parla anche dei bassi salari e della disparità di retribuzione nei kibbutz.

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4.6. Donne e lavoro in Grecia

di Dina Vardaramatou, AWMR

Ufficialmente la disoccupazione in Grecia è del 10,5%. In realtà questa cifra è sottostimata.
Il governo sta provando a ridurre l'inflazione e a prendere misure per rafforzare l'economia.
Le compagnie vengono vendute a investitori stranieri, come sostiene il governo, per incrementare le casse dello Stato e migliorare l'economia. Il governo cerca anche di vendere le banche e privatizzare le strutture pubbliche, misure che - ormai è provato - contribuiscono ad incrementare il settore privato dell'economia e ad aumentare la disoccupazione.
Nel gennaio 1998 ci sono state trattative fra il governo e i sindacati per un nuovo contratto collettivo nazionale, ma non si è raggiunto nessun accordo e di conseguenza c'è stata una marea di scioperi. Non sono state prese misure a favore dei lavoratori e non c'è alcuna garanzia per il loro futuro.
La Grecia si troverà presto di fronte ad una situazione economica come quella della Gran Bretagna, dove società pubbliche e private possono licenziare i lavoratori per "sostenere" L'economia. Le prime fasce sociali a subirne le conseguenze saranno quelle più deboli, soprattutto immigrati e donne.

Tendenzialmente le studentesse vanno meglio dei loro colleghi maschi, ad ogni livello di studi. Attualmente in Grecia cresce il numero di donne che raggiungono un alto grado d'istruzione ed utilizzano i loro titoli in campi tradizionalmente di dominio maschile. E tuttavia la percentuale di donne non scolarizzate è ancora alta: nel 1993 era del 52% nelle aree rurali, del 43,88% nell'intera Grecia.

Secondo un'indagine condotta dal Ministero del Lavoro, le donne costituiscono il 51% della forza lavoro in Grecia, anche se solo il 35% è attivo. La percentuale di disoccupazione femminile di lungo periodo raggiunge il 40,8%. Nel 1993 il 55,6% delle donne disoccupate era in cerca di prima occupazione. L'età media per sposarsi per le donne è salita a 25 anni, mentre il tasso delle nascite è diminuito enormemente.
Di conseguenza si va riducendo il numero delle persone che dovranno lavorare per mantenere il crescente numero di quelle in pensione. Il governo sta chiedendo alle donne di considerare questo fatto e di contribuire al progresso del loro paese facendo più figli. Ma cosa offre il governo in cambio?
Se guardiamo la legislazione, le lavoratrici madri del settore pubblico con un figlio sotto i 6 anni, possono ottenere di assentarsi dal lavoro per un periodo fino a 2 anni senza retribuzione. Questo non sarà considerato come periodo lavorativo ai fini pensionistici e di sicurezza sociale.
Le donne incinte che hanno bisogno di speciali cure a domicilio per la gravidanza, possono sospendere l'attività lavorativa, ma con retribuzione dimezzata.

Pertanto il governo chiede alle donne di fare più bambini, ma senza rendere loro la vita più facile. La legge non fa nessun riferimento alla possibilità di congedi parentali per gli uomini.
È scontato che spetti alle donne stare a casa e prendersi cura di loro restando distaccate dal loro ambiente di lavoro, dalla loro vita sociale. Saranno le donne a sacrificare la loro pensione futura per allevare i figli.

Al contrario, il servizio militare è considerato come periodo lavorativo e viene aggiunto all'ammontare totale degli anni di lavoro. Il fatto è che la famiglia e la crescita dei figli sono visti dal governo e dall'apparato statale come i compiti principali nella vita delle donne. In altre parole le donne sono
considerate le "curatrici ufficiali" che in molti casi sostituiscono l'intervento dello Stato. Il lavoro delle donne è considerato come un loro dovere e non un loro diritto. Il loro reddito è visto come un sovrappiù del reddito familiare. A loro viene chiesto di contribuire ad incrementare la famiglia: ma se entrambi i genitori lavorano chi avrà cura dei figli? Chi svolgerà il lavoro domestico? Le donne tra i 25 ed i 30 anni costituiscono il gruppo sociale con la più bassa presenza nella forza lavoro.
Questo perché o fanno figli, o devono crescerli. Alle donne greche si raccomanda spesso di avere figli intorno ai venti anni, quando hanno la forza e la disposizione: coloro che scelgono la carriera e l'indipendenza economica sono viste come infelici e incomplete. Per molti la cosa peggiore che le donne possano fare nella vita è scegliere di lavorare e non avere figli.

La percentuale dei divorzi in Grecia è aumentata. Di conseguenza il numero delle famiglie greche sostenute da una single o da madre divorziata è molto aumentato.
Secondo le statistiche del 1981, il numero di famiglie il cui capofamiglia era donna era 474.600, pari a una percentuale del 5%. Nel 1991 questo numero è salito, ciò significa che un numero maggiore di donne è diventato indipendente e in grado di sostenere se stesse ed i figli con il proprio lavoro.
In ogni caso le madri sia single che sposate, si prendono cura dei loro bambini. Molte di loro hanno un lavoro part-time poiché hanno difficoltà a permettersi una baby-sitter e ad avere accesso a servizi come gli asili nido.

Il lavoro part-time è abbastanza nuovo in Grecia. La norma è entrata in vigore con la legge n. 1892 del 1990. Attualmente il governo sta provando a stabilire uno status legale che permetterà al settore pubblico e alle società e imprese private di trasformare il 20% dei loro lavoratori in part-time.
Le donne costituiranno la vasta maggioranza di questo 20%. Nel 1993 il 61 % dei lavoratori part-time erano donne. L'ironia è che il lavoro part-time era stato inizialmente istituito per combattere la disoccupazione, la verità è che il lavoro part-time sta creando disoccupazione. La maggiore preoccupazione è che il part-time così concepito contribuisca a diminuire i diritti dei lavoratori.

Un'altra misura che il governo sta prendendo sono i turni di 10 ore. La settimana lavorativa non supererà le 48 ore, ma in alcuni casi ai lavoratori si potrà chiedere di lavorare di più. Si è sostenuto che questa misura aumenterà la produzione e darà lavoro a più gente.
In ogni caso chi sarà capace di lavorare così tanto tutti i giorni? La gente lavorerà per 10 ore al giorno, a cui molti devono aggiungere le ore di viaggio per raggiungere il posto di lavoro. Quando ritornano a casa, ci saranno i figli o anziani di cui prendersi cura, il lavoro di casa e così via.
Quanti lavoratori saranno in grado di fare tutto? Quante donne potranno permettersi un aiuto extra? Quante donne saranno capaci di lavorare per 10 ore, oltre a viaggiare per altre due o tre ore? La loro vita sarà solo lavoro-casa-lavoro. Il romanzo "Grapes of Wrath" non è solo un libro profetico, è la nostra realtà quotidiana.

Le donne greche votano da poco più di 40 anni, avendo conquistato questo diritto negli ultimi anni '50. La Repubblica ellenica ha una vita costituzionale di quasi 150 anni, ma a lungo le donne sono state escluse dalla vita pubblica.
Non potevano andare all'università, in alcuni casi neanche a scuola, non potevano accedere a molti diritti come il diritto di proprietà, o quello di sedere insieme agli uomini in luoghi pubblici senza essere sposate.
Dovevano lavorare dall'alba al tramonto nei campi, dando alla luce i loro figli durante il tempo del raccolto, essere costrette ad un matrimonio combinato, e portare una dote ai loro futuri mariti.

E veramente difficile per una donna che sta in politica essere anche una buona madre, poiché difficilmente trova il tempo e gli obblighi sono molti. Le riunioni tendono a durare sino all'alba e questo probabilmente non è mai stato un problema per gli uomini, i quali non hanno mai dovuto preoccuparsi della cura dei figli.
Ancora una volta tocca alla donna prendersene rinunciando alla politica. La presenza delle donne nei luoghi di potere è bassa. Nelle amministrazioni locali le donne sindaco sono solo l'1% e le donne presidenti dei consigli lo 0,7%.

Molte donne negli ultimi decenni sono entrate nel mercato del lavoro retribuito, ma solo poche hanno avuto accesso a posizioni decisionali e manageriali. Le donne che ricoprono posizioni manageriali nel settore pubblico non superano il 10,6%. In definitiva solo il 3% delle lavoratrici ha una posizione di dirigente e solo l'1,98% delle funzioni di alta dirigenza sono ricoperte da donne.

Secondo il WINPEACE Report (1988), mezzo milione di donne greche lavora a casa, 700.000 lavorano in imprese familiari senza alcuna assicurazione sociale. Secondo lo stesso rapporto, ci sono oltre due milioni di donne inattive, un milione delle quali vorrebbe lavorare ma non ha speranza.
La ragione di questa bassa partecipazione risiede nella concezione patriarcale del ruolo che i due sessi hanno o hanno dovuto assumere, l'assenza di servizi sociali come asili nido e centri per gli anziani, il modo in cui le forze di lavoro sono distribuite e, ultimo ma non meno importante, il fatto che il più delle volte sono gli uomini a decidere chi deve essere promosso e chi no.
Lo slogan "uguale retribuzione per uguale lavoro" è quasi un mito: nel 1993 le donne erano pagate dal 20,6 al 28,5% meno degli uomini. Nel 1981 questa differenza andava dal 30,3 al 42,8%.

Quanto all'esclusione delle donne da alcuni settori: non c'è nessun giudice donna nell'Alta Corte, sono pochissime le donne in posizione di rilievo nel settore giustizia, nessuna donna lavora nel Fire Brigade Department, sono donne solo il 5,88% negli uffici di polizia, per fare solo alcuni esempi.
Nel 1994 le donne che lavoravano nel settore agricolo erano 368.653. Dal 1988 fino al 1993 c'è stato un abbassamento del 22,6%. Allo stesso tempo c'è stato un declino del 30,9% nell'industria e un incremento del 20% nel commercio e nel turismo.
Queste cifre indicano la situazione generale in Grecia. L'agricoltura sta morendo lentamente e il settore dei servizi sta crescendo. In altre parole i modelli tradizionali di produzione stanno per essere soppiantati da altri. La Grecia sta subendo, come altri paesi nel mondo, gli effetti della globalizzazione dell'economia. La svalutazione della dracma ha creato una maggiore insicurezza finanziaria nel popolo greco. Il governo sta prendendo misure quali l'aumento delle tasse e tagli al sistema pensionistico e allo stato sociale. Secondo le statistiche fomite dall'ONU, la percentuale di fondi destinati all'assistenza sociale in Grecia raggiunge il 6% del PNL nel 1980 e approssimativamente l'11% nel 1993. La Svezia è il paese che globalmente stanzia la più alta quota, il 23%. Secondo la legge n. 1296/82 ogni cittadino greco, uomo o donna, ha diritto ad una pensione mensile. Il servizio sanitario nazionale è accessibile ad ogni cittadino greco. La legge 2084/92 assicura l'eguaglianza tra i due sessi in termini di sicurezza sociale.
Ci sono molte assicurazioni finanziarie in Grecia che forniscono alla popolazione lavorativa cure ospedaliere, medicine e rilevanti provvigioni. Il problema è che il maggiore ente previdenziale, l'Istituto per l'Assistenza Sociale, sta attraversando tremende difficoltà finanziarie e organizzative. Di conseguenza alla gente si chiede di pagare di più per un beneficio minore.
C'è per esempio una lista di medicine non mutuabili perché classificate come costose. In alcuni casi le somme che i greci pagano per la propria assistenza sociale è veramente alto, ma la qualità del servizio non è altrettanto alta.

Secondo recenti indagini, il 65% delle donne che lavorano hanno subito molestie sessuali nell'ambiente lavoro. Le molestie sessuali oltre ad essere una forma di discriminazione verso le donne è anche indice ineguaglianza. Quello che si dovrebbe e potrebbe fare è rafforzare la legislazione già esistente.
C'è una tendenza negativa dei sindacati a non considerare le molestie sessuali come oggetto delle politiche sindacali. Nel 1998 il numero di donne "corteggiate" dai loro datori di lavoro e che hanno subito molestie sessuali è stato considerevole.
Alcune di queste donne hanno sporto denuncia ed hanno vinto la loro causa ed i mass media hanno presentato il fatto come roba del l'altro mondo e queste donne sono divenute il centro di svariati commenti.

La prima cosa da fare per diminuire la disoccupazione è rafforzare la posizione delle donne. Esse devono essere più consapevoli dei loro diritti, del loro potere, delle loro qualità e del loro contributo.
Questo potrebbe essere fatto, per esempio, attraverso speciali programmi guida e seminari che dovranno puntare a rinforzare l'autostima delle donne, speciali programmi di formazione, aiuti dallo stato per consentire alle madri di lavorare. In ogni caso l'obiettivo più importante è che questi programmi siano accessibili a tutte le donne.
Questi seminari contribuirebbero all'empowerment delle donne rendendole consapevoli dei loro rafforzandole psicologicamente, legalmente, emotivamente. Molte donne non sono certe dei loro diritti e si lasciano sfruttare dai loro datori di lavoro.
Di conseguenza vivono sotto il costante timore di perdere il lavoro e non usano appieno le loro qualifiche. Le donne devono essere informate, devono partecipare alle associazioni femminili. È solo attraverso un'azione collettiva e iniziative organizzate che la voce delle donne sarà ascoltata.
Un passo avanti è stata l'istituzione del Centro d'informazione per l'impiego e la formazione delle che è stato creato dal Centro di Ricerca per le Pari Opportunità con la collaborazione del Ministero per la Parità, con il supporto dell'Unione Europea nell'ambito dell'iniziativa comunitaria NOW (New Opportunities for Women).
È rivolto a donne disoccupate che vogliono entrare o rientrare nel mercato del lavoro, o a lavoratrici minacciate dalla disoccupazione e che vogliono cambiare professione o acquisire qualifiche addizionali. Questo programma mira ad aiutare le donne ad affrontare attivamente la disoccupazione e a rivendicare un proprio futuro personale e professionale. Abbiamo una lunga strada da percorrere e sarà dura.
Gli economisti cercano di spiegare che si sta andando avanti, scienziati sociali ci offrono le loro teorie, i governi stanno rendendo i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Quando comprenderemo il potere che abbiamo nelle nostre mani, quando ci uniremo ed avremo consapevolezza dei nostri diritti, allora cambieremo radicalmente il mondo, avremo un lavoro che non solo ci aiuterà a vivere ma che ci renderà vive e creative in ogni aspetto della nostra vita.

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4.7. Avvocato donna

Claudia Romanelli
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari

Partendo da una indagine conoscitiva che la cassa previdenza degli avvocati ha realizzato nel corso dell'ultimo anno, si evince come il numero delle donne avvocato in rapporto al numero degli uomini sia in costante aumento.

Si sa che quanto avviene nell'ordine forense corrisponde a una generale crescita da parte delle donne nell'ambito di ogni lavoro di tipo intellettuale. Negli ultimi concorsi di magistratura il numero delle donne spesso supera quello degli uomini.

Nell'avvocatura il numero delle donne iscritte all'Albo dei praticanti Avvocati ed il numero delle donne che supera l'esame di avvocato tendono ad eguagliare e talvolta a superare quello degli uomini. Rispetto al passato, del resto, la prova di un aumento delle donne avvocato è data dal numero delle pensionate che sono solo 212 rispetto agli uomini che sono 7.224. Attualmente il numero delle donne iscritte alla Cassa è di 13.808 rispetto a 45.210 uomini. Rappresentiamo quindi io 24% dell'intera categoria degli iscritti alla Cassa.

Il numero complessivo degli iscritti negli albi degli avvocati al 31.12.97 è di 89.865 di cui 24.739 sono donne, con una percentuale quindi del 27%. Infine interessante è vedere l'incremento delle iscritte per fasce di età, de fino ai 30 anni le iscritte alla cassa corrispondono al 50%, dai 30 ai 39 si riducono al 38%, di 40 ai 45 diventano il 25%, dai 46 ai 64 il 9%.

Ai dati succitati è seguita l'elaborazione di un questionario a cui tuttavia ha risposto un numero limitato di donne ed i cui risultati possono solo considerarsi parzialmente attendibili anche se permettono comunque una valutazione generale sulla libera professione esercitata dalle donne.

Emerge che se nel nord la percentuale delle donne che svolge l'attività è più alta, nel Centro, ma soprattutto nel Sud, questa percentuale si assottiglia notevolmente per un duplice ordine di motivi. il rimo può essere costituito dalla presenza di infrastrutture quali asili, scuole, ecc., di una maggiore efficienza dei servizi sociali che consentono alla donna di non rinunciare a formare una famiglia; il secondo motivo può essere rappresentato dalla organizzazione degli studi legali, spesso composti da numerosi professionisti che consentono una maggiore e completa collaborazione tra gli associati.

Ne Meridione, invece, l'assenza o l'inefficienza dei servizi sociali e la struttura organizzativa degli studi ancorata a vecchi schemi, rende difficile l'attività professionale da parte delle donne che, se decidono di non rinunciare alla famiglia e di crescere dei figli sono costrette ad allontanarsi dall'attività fatta eccezione per quei rari casi in cui un consolidato studio alle spalle spesso costituito da familiari o una associazione con altri professionisti provveda a mantenere i rapporti con la clientela e a seguire le pratiche.

Per attuare quell'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali, la donna deve contare su una organizzazione del lavoro di studio ed una massima collaborazione da parte dei colleghi.

Non va trascurata peraltro anche la difficile barriera derivante da una mentalità che ancora oggi risulta ancorata a certi schemi e luoghi comuni difficili da superare rispetto ad una professione come quella dell'avvocato che nasce come professione maschile.

Le maggiori difficoltà si incontrano nei rapporti con la clientela che, nelle aree economicamente meno sviluppate, manifesta ancora diffidenza nel farsi assistere da una donna.

La professione dell'avvocato oggi è decisamente penalizzata dall'elevato numero degli iscritti che crea una maggiore concorrenza ed una difficoltà a trattenere la clientela, laddove un qualsiasi motivo impedisca all'avvocato di lavorare con continuità.

Infatti il rapporto personale di fiducia, che si crea tra l'avvocato e il cliente, esige massima e continuativa disponibilità. Se questa continuità si interrompe, il cliente non ha difficoltà a indirizzare la propria fiducia nei confronti di altro collega.

Tali sono i grossi limiti di percorso che la donna avvocato incontra nella fascia di età giovanile tra i 30 e i 40 anni se decide di avere un figlio, considerato che si tratta dell'età che corrisponde senza dubbio al periodo di maggiore crescita professionale per un avvocato.

Ed è per questo che la donna è spesso costretta a decidere di rinunciare all 'attività professionale, almeno temporaneamente, anche perché le convenzioni sociali ancora oggi rendono maggiormente accettabile una donna avvocato che abbia avuto figli, rispetto ad un avvocato che vi abbia rinunciato, suo malgrado, privilegiando le proprie ambizioni lavorative.

Attualmente l'unico intervento legislativo a tutela delle donne libere professioniste è quello della legge 379/90 vigente dal 91, che proprio per tutelare le donne ed il loro diritto a non rinunciare alla maternità, ha previsto la corresponsione di una indennità da parte della Cassa di categoria. Va rilevato che la legge è di qualche mese precedente la famosa normativa dettata in materia di pari opportunità n. 125/91.

La legge 379, che da alcuni sondaggi effettuati dalla Commissione delle pari opportunità, non è conosciuta dalla stragrande maggioranza delle libere professioniste delle varie categorie, stabilisce che le iscritte alla Cassa di previdenza possono richiedere una indennità pari all'80 % di 5/12 (per i due mesi prima della data del parto e i tre mesi successivi), calcolata sulla base del reddito dichiarato dalla professionista il secondo anno precedente dalla data del parto.

Tale previsione normativa consente alle donne professioniste un sostegno economico, evitando una radicale riduzione del tenore di vita, che il lavoro le ha consentito da raggiungere e soprattutto che alla maternità si ricolleghi uno stato di bisogno economico.

Quindi duplice tutela da parte della normativa: da un lato la salute della madre e del nascituro attraverso l'astensione dal lavoro, dall'altro evitare una diminuzione del tenore di vita in modo che non operino rispetto alla gravidanza ostacoli e remore.

Tuttavia dopo i primi anni di applicazione della legge sulla indennità di maternità sono emerse già le prime perplessità.

Parlando di avvocati si sa, che fatta eccezione per singoli casi, il reddito non è certo rilevante in giovane età e comunque non è costante in considerazione del particolare tipo di attività condizionata dai tempi lunghissimi del sistema giudiziario.

Pertanto, la professionista spesso è costretta a lavorare anche durante quei cinque mesi, nel corso dei quali invece, la legislazione in materia di maternità prevede l'obbligatoria astensione dal lavoro, a tutela della salute della madre e del figlio.

Del resto il riconoscimento dell'80% del reddito dichiarato due anni prima della richiesta di indennità sarebbe giustificata dalla autonomia e flessibilità con cui la professionista può organizzare il proprio lavoro. Si dice che il lavoro libero professionale non sia soggetto a pressioni direttive, di programmi, di orari, di attività obbligatorie come viceversa sarebbe per il lavoro subordinato.

Si tratta in realtà di stereotipi non generalizzabili che mal si adattano alla complessa realtà effettiva del lavoro nella società moderna ed alla assai variegata realtà del lavoro libero professionale. Basti pensare all'attività forense i cui termini processuali, le decadenze oltreché le date di udienza, difficilmente tengono conto delle esigenze dei singoli avvocati.

Così come l'allontanamento dalla professione indotto da una gravidanza o malattia o crescita del bambino, non viene minimamente tutelato laddove si prolunghi oltre i termini consentiti dei cinque mesi.

Nel lavoro autonomo manca una tutela economica della malattia, ma la maternità non può essere equiparata alla malattia perché necessita di una tutela speciale.

A fronte di una disparità di trattamento, qualche volta ci si nasconde o si resta quanto meno inattivi per difficoltà di ordine pratico o facendo riferimento a sistemi contributivi che non consentono una pari tutela. Ma queste giustificazioni non possono essere condivise.

È necessario che il legislatore riveda la legge 379/90 per tutelare più compiutamente la maternità.

D'altronde questo era l'auspicio della Corte Costituzionale che, con sent. 150/94, se da un lato si asteneva dal dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art.7 della L. 903/77, nella parte in cui riconosce al padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa per sei mesi nel primo anno di vita del bambino solo nella ipotesi in cui la madre sia lavoratrice subordinata e non anche nel caso in cui sia autonoma, dall'altra riconosceva la necessità che il futuro legislatore perfezioni la normativa vigente nel senso di una maggiore protezione del valore della maternità anche a favore delle lavoratrici autonome.

Secondo alcuni autori che si sono interessati dell'applicazione della legge in concreto, la indennità andrebbe commisurata alla riduzione effettiva del reddito. Si sostiene che chi può continuare a lavorare, difficilmente riduce del 20% la propria attività, mentre chi non ha la possibilità di lavorare, per difficoltà incontrate nel corso della gravidanza o nella crescita del bambino non potrà contare che sull'importo limitato dell'80 % dei 5712 del reddito. Tuttavia, verificare la effettiva riduzione del lavoro della professionista in corso di gravidanza e puerperio non è agevole.

Allora una possibile soluzione potrebbe essere quella di stabilire un importo fisso a titolo di indennità di maternità, eliminando il meccanismo della percentuale sul reddito e permettendo così a tutte le donne, un dignitoso sostentamento nel corso dei cinque mesi che eventualmente possa anche essere esteso ad un periodo più lungo, per i casi di maternità a rischio che impongano un riposo forzato della gestante.

Del resto tale meccanismo sarebbe anche più legittimo se consideriamo che per tale indennità, contribuiscono annualmente tutti i professionisti, uomini e donne, in misura fissa.

Il Consiglio dell'Ordine di Bari, del quale ho l'onore di far parte quale unica rappresentante femminile, quest'anno ha istituito presso di sé il Comitato delle Pari Opportunità, in conformità alla L. 125/91. il Comitato si propone preliminarmente di effettuare una indagine conoscitiva a livello territoriale sul numero delle donne iscritte, sull'età delle donne che svolgono l'attività, (in modo da capire se vi è un allontanamento dalla professione ed in caso affermativo quali siano le motivazioni), su quante donne svolgano l'attività in modo continuativo, sulle loro difficoltà professionali e responsabilità familiari, sulle difficoltà delle giovani praticanti ad inserirsi negli studi professionali, così da poter assumere iniziative atte a creare le effettive condizioni di pari opportunità nel percorso professionale individuando quelle espressioni e situazioni che provochino anche indirettamente una discriminazione tra i due sessi.

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4.8. Katarina Belobrkovic

del Centro di consulenza per le donne vittime della violenza, Belgrado

Parla delle opportunità per le donne nell'Europa dell'est. La situazione sta enormemente modificandosi. Nel loro Centro hanno lavorato con oltre 2.000 donne vittime della guerra e della violenza.
Sulla totalità di lavoratori che hanno perso il posto di lavoro il 75% è costituito da donne. Le donne subiscono la violenza del governo e quella domestica.
Il Centro di consulenza di Belgrado ha riscontrato che molte donne continuano a subire abusi in casa perché non hanno indipendenza economica. Cercano di fornire a queste donne lavoro e formazione, ma il loro progetto incontra molti ostacoli perché c'è poco lavoro e perché le organizzazioni governative tendono a snobbare le Ong.
Molti, rimasti per anni senza lavoro, hanno cercato di avviare imprese private assumendo ragazze di bell'aspetto senza dare loro i contributi sociali e spesso abusando di loro sessualmente.
L'unica possibilità è spesso rappresentata dal lavoro di servizio nelle case e l'assistenza agli anziani, con paghe molto basse. Le giovani rimangono a casa a lungo.
Molte si prostituiscono per poter uscire dalle mura domestiche e dalla dipendenza. La situazione in Serbia non è rosea e le prospettive sono misere.

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4.9. Rojin Tanrikulu

rappresentanza del Kurdistan a Roma

Ringrazia a nome delle donne Kurde l'AWMR per averle dato la possibilità di parlare senza preavviso. Gli ultimi 25 anni sono stati molto difficili per le donne kurde non solo in Turchia ma anche in altri paesi, compresa l'Italia. Ci sono 40 milioni di kurdi nell'area della Mesopotamia. Essi sono stati continuamente oppressi ma hanno conservato la loro cultura mesopotamica.
Purtroppo non sono ancora in grado di creare un proprio stato e sono divisi tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran dopo il trattato di Losanna, firmato anche dall'Italia. I kurdi non essendo riconosciuti come stato non hanno alcun diritto, hanno subito perfino il genocidio. Non possono dare nomi kurdi ai loro figli, ai loro villaggi e città, ai loro fiumi. Violenza ed aggressioni aumentano contro di loro in Turchia e la gente ha molta paura.
Tale situazione è totalmente contraria ai diritti umani, eppure ci sono paesi che continuano a sostenere il governo turco. La popolazione maschile è diminuita e gli uomini sono o in prigione o nella clandestinità. Le donne non possono resistere così facilmente, donne e bambini sono le prime vittime.
Ogni giorno l'esercito attacca i villaggi, le donne sono picchiate e violentate, i loro figli uccisi ed i villaggi distrutti. La cultura patriarcale kurda relega le donne in una posizione d'inferiorità, ma sono esse che hanno conservato la cultura nazionale. Il sistema politico e sociale opprime le donne e questo le ha rese più vulnerabili all'invasione turca.
Per la continuità della cultura nazionale kurda, da un punto di vista politico, economico e sociale, le donne hanno un ruolo centrale. Sono donne più della metà dei componenti dei gruppi politici e questo fa sì che esse non siano limitate più al ruolo di mogli e di madri ma lavorino per la libertà e la liberazione.
Con la loro esperienza ed il coraggio, le donne vanno avanti. Il governo non vuole che le donne combattano contro lo stato coloniale. Così soldati chiedono alle donne di spogliarsi le torturano e le violentano. Molte preferiscono suicidarsi.

Una campagna europea è stata lanciata per portare i colpevoli davanti al tribunale dell'Aja. Ogni giorno migliaia di donne vengono torturate, e questo è stato riconosciuto dal tribunale come un crimine. C'è bisogno del sostegno dell'Awmr poiché questi processi sono costosi, per quanto gli avvocati si paghino molto poco.
Le donne sono il 20% della popolazione detenuta e sono tenute in isolamento più degli uomini. Leyla Zana che è da lungo tempo in carcere è divenuta un simbolo. Ella ha dichiarato che non lascerà la prigione e non abbandonerà le sue compagne detenute.
Uno scambio di delegazioni sarebbe buono per stabilire un dialogo tra le associazioni femminili. Il Kurdistan non è molto lontano da qui ed è una vergogna che i media tacciano questo problema. Ciascuno può fare qualcosa per sostenere la causa del Kurdistan.

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4.10. Emna Soula Atallah

Rete delle giornaliste del Mediterraneo, Tunisia

Interviene sul modo in cui le donne della Tunisia sono presentate dai mass media, riferendosi ai risultati di una sua ricerca. Non è chiara l'immagine del ruolo che le donne hanno nel suo paese. C'è il rischio di ricevere un'informazione distorta poiché i media non sono veritieri.
In Tunisia i fondamentalisti perpetuano i problemi nella società. Essi contribuiscono a rafforzare gli stereotipi del ruolo delle donne. I media fanno la loro parte. Le donne non rappresentate nei media. Presenta statistiche che si riferiscono alle donne e al lavoro, i modelli culturali ed il loro ruolo.
Abitualmente l'informazione è fatta dagli uomini e per gli uomini. C'è un grosso gap tra le donne e l'informazione. Solo pochi articoli si riferiscono alle donne dando un'immagine non solo non chiara ma addirittura falsa.
Essi si limitano alle assunzioni tradizionali sul ruolo che le donne hanno o dovrebbero avere. Perciò i media non contribuiscono all'evoluzione della donna tunisina.

Nella sua ricerca ella analizza sia il ruolo tradizionale che quello moderno e cerca di rispondere a domande come: qual è il ruolo della donna? Oltre a non essere rappresentate nei media - sia nazionali che internazionali - esse non hanno accesso alle nuove tecnologie.

Le giornaliste donne si sono attivate per cercare di eliminare questa attitudine, mettendo al centro la formazione di una nuova immagine di donna che sia più rappresentativa e perciò più produttiva.


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