|
Voglio menzionare qualcosa della mia vita vissuta.
Mio padre e' stato trasferito all'ufficio postale di Pola l'anno 1925,
io avevo solamente due anni. Terminate le scuole superiori presi un lavoro
d'ufficio. Durante
l'occupazione tedesca decisi di arruolarmi all'U.N.P.A (Unione Nazionale
Protezione Antiaerea ) assieme a mio fratello Domenico e Nicolò,
per non esser
chiamato alle armi. Purtroppo dopo sei mesi circa dovetti passare
la leva, mi misero nel corpo degli alpini e destinato ad un caposaldo,
fuori di Fiume, chiamato Veli-Vrk (Grande Cima ). Ben presto gli abitanti
dei paesi non tanto lontani da noi, seppero ben presto che noi fummo arruolati
contro la nostra volontà.
Quando loro attraversavano il confine le sue ceste alle spalle erano piene di ogni cosa che poi loro le passavano ai partigiani, tutto questo perchè noi chiudevamo un occhio e delle volte tutti e due.
Una decisione ben presto venne presa e cioè di far prigionieri
i tedeschi stanziati assieme a noi, di caricare nelle carrette indumenti
ed altro e di unirci ai partigiani.
Tutto era stato organizzato per bene, purtoppo tutto finì male,
perchè uno dei nostri riportò immediatamente il piano ai
tedeschi e ben presto fummo fatti prigionieri. Ci portarono alla caserma
di S. Caterina (Fiume) dove fummo rinchiusi per due giorni, lì subimmo
pure un bombardamento, qualcuno fù ferito (2 giorni senza cibo).
Il terzo giorno ci misero in un vagone ferroviario, arrivati a S. Pietro
del Carso, alla mezzanotte circa, una forte esplosione causata da una bomba
posta (non si è saputo da chi) sulle rotaie, qualche vagone capovolto
e qualche altro deragliato, per fortuna nessun ferito (terzo giorno senza
cibo). Tutta la notte sdraiati sopra un prato, stanchi, e affamati.
Al mattino del quarto giorno venne un locomotore per prenderci, ma ben
presto arrivarono due apparecchi che cominciarono a mitragliare a rotazione
riducendo il locomotore come un colabrodo, noi non eravamo tanto distanti
però potevamo sentire i proiettili tutto attorno a noi aspettando
che qualcuno ci colpisca da un momento all'altro.
Dopo questo ci fecero camminare attraverso boschi e prati quasi tutto il giorno sempre inseguiti dai due apparecchi che spesso ci mitragliavano. Ogni tanto i tedeschi si fermavano per mangiare e noi niente da masticare non solamente cibo ma nemmeno acqua.(il quarto giorno). Durante il cammino abbiamo attraversato molte campagne, però l' ordine era di non prendere niente altrimenti venivi fucilato. All'imbrunire raggiungemmo un paesetto e lì un treno ci aspettava per portarci a Trieste. Arrivammo alla stazione di Trieste circa a mezzanotte, due o tre automezzi erano pronti per portarci al campo di concentramento di S. Sabba.
Nell'oscurità abbiamo visto un grande stabile di mattoni e fummo
rinchiusi al terzo piano in un grande salone sporco e lugubre. Al mattino
ci portarono un po di caffè nero che sembrava bere veleno, pranzo
e cena consisteva di acqua bollita senza sale (non credo ci sia stato nessun
condimento) e con qualche pezzetto di zucca, ogni giorno la stessa cosa.
Dopo qualche settimana ci chiamarono giù nel cortile, lì
c'erano degli ufficiali tedeschi e diversi ufficiali italiani. Uno dei
tanti ufficiali italiani ci disse: - Voi volevate scappare e unirvi ai
partigiani questo è un reato molto grave. Noi siamo qui per aiutarvi
e liberarvi da questo posto lugubre, perchè speranze non ne avete
di ritornare nelle vostre case, sempre se voi accettate le nostre condizioni.
Per prima cosa dovete arruolarvi al corpo delle brigate nere, secondo dovete
partecipare a tutti i rastrellamenti, voi inoltrerete molti pericoli potrete
pure perdere la vostra pellaccia. Chi accetta faccia un passo avanti -
solamente uno lo fece.
L ufficiale disse : - Mi dispiace per voi, rimarrete qui a marcire.
Il comandante della risiera di S. Sabba era Joseph Oberhauser. Lo stabile
dove noi eravamo rinchiusi era composto di diverse e ampie camerate dove
stavano pure rinchiusi gli ebrei, civili e militari destinati alla
deportazione in Germania. C'erano pure le stanze occupate dagli ebrei chiamate
celle della morte. Con il passare del tempo la fame si faceva sentire sempre
più, rinchiusi in quelle quattro mura per di più sapevamo
che da lì non c'era via di scampo, quello era il principio della
fine.
Come al solito ogni mattina venivano due tedeschi (S. S. noi li chiamavamo
i carnefici) a portarci il caffè, l' unica cosa che dicevano era
'aufsten' dopo questo noi ci dovevamo alzare, con grandi sforzi noi ci
potevamo reggere in piedi, perchè in caso contrario con molta probabilità
si poteva andar finire nel forno.
Nel nostro stanzone c'era una sola e piccola finestra da dove si poteva
vedere il cimitero e giù nel cortile gli ebrei che portavano il
carbone per far azionare i forni.
Alla fine del mese di aprile, credo sia stato il giorno 28 ci portarono
fuori dal campo, qualche passante ci disse che la guerra era finita e abbiamo
potuto vedere diversi che si salutavano con il pugno. In fretta e furia
ci fecero salire sopra i tram, questi partirono immediatamente. Io ho pensato
come forse tanti altri, la guerra è finita e questo è il
giusto momento per scappare, per altro io ho pensato chissà dove
ci porteranno. Io, d'accordo con il mio amico abbiamo deciso di gettarsi
fuori dal finestrino mentre il tram era in movimento, subimmo delle brutte
botte però noi non abbiamo sentito nessun dolore, l' importante
era scappare.
Un tedesco vedendoci scappare (era facile individuarci , perche' avevamo
ancora la divisa addosso). Ci raggiunse con la pistola in mano e in procinto
di spararci, per prima cosa ci disse; voi volere scappare; io cominciai
a balbettare dalla grande paura, poi dissi ; andavo a cercare qualcosa
da mangiare, finito di dire questo lui vide molti altri che scappavano,
a questo punto lui ci disse; voi aspettare qui, voi scappare io ammazzare
voi. Cominciò a correre per prendere gli altri, quando fu un pò
lontano siamo corsi via per poterci nascondere prima che arrivasse, però
non è stato facile, perchè tutte le entrate delle case erano
chiuse, fortuna volle che una signora da un stabile non tanto lontano ci
fece cenno di venire. Quella brava donna ci nascose in una cantina però
per noi era come una reggia.
Al mattino dell' indomani quella brava donna (così mi piace
chiamarla, perchè se non era per lei chissà come andava a
finire) ci diede qualcosa da mangiare, un fiasco di vino e degli indumenti
di suo marito. Lo stesso giorno assieme al mio amico, ci dirigemmo all'
ufficio comunale dove gli jugoslavi avevano preso possesso per farci rilasciare
il lasciapassare per attraversare l'Istria con il timbro e la stella rossa.
Dopo questo salutai il mio amico perchè lui andava a Fiume ed io
a Pola. Lì incontrai sei persone che facevano ritorno alle
loro case, abitanti a Pola e dintorni. Lasciato l' ufficio abbiamo preso
il nostro cammino e a tarda sera abbiamo preso riparosotto un porticato.
Al mattino seguente abbiamo ripreso il nostro cammino e nel tardo pomeriggio
siamo giunti al paese di Visinada. Ci fermarono i partigiani jugoslavi
, per primo il commissario ci chiese il lasciapassare, lo guardò
sotto sopra (questo dimostrava che lui non sapeva leggere ), lo passò
ad uno dei soldati e lui ci chiese se eravamo fascisti, io le dissi che
venivo da un campo di concentramento, dopo questo mi disse che la stella
era falsa, perche' aveva solamente i bordi
rossi, abbiamo provato a spiegarli la cosa però' non c'è
stato verso. Fummo rinchiusi in una stanza di un edificio nella piazza
centrale del paese per ben tre mesi.
In quella stanza abbiamo trovato altre sei persone, cosi' tutti assieme
eravamo in dodici. Più tardi apparve un soldato e ci diede un cucchiaio
ciascuno, abbiamo pensato che forse il piatto lo porterà più
tardi, il piatto non è mai arrivato. Quel giorno non ci portarono
niente da mangiare, all' indomani verso mezzogiorno due
soldati portarono un grande pentolone e lo posero nel mezzo della stanza
e se ne andarono, tutti noi verso il pentolone per poter avere la migliore
posizione, i primi erano i piu' fortunati però le loro teste erano
tutte imbrattate di minestra. Un bel giorno ci dissero che noi eravamo
liberi, grazie ad un partigiano che ritornava a
casa e s'era fatto fare il lasciapassare a Trieste e aveva la stella
identica alla nostra. Tra l'altro ci dissero che una autocolonna partiva
da Visinada ed era diretta a Pola e noi potevamo andare assieme a loro.
L'autocolonna era formata di cinque autocarri, guidati da prigionieri tedeschi,
quattro erano carichi di materiale la quinta era vuota, su questa siamo
saliti noi. Arrivati a Pisino invece di continuarre diritti e seguire il
resto dell' autocolonna il nostro autocarro girò a sinistra, una
piccola stradella che portava alle foibe. Immediatamente abbiamo pensato
che questo fosse stato tutto un tranello,ci guardavamo senza dire una parola,
pallidi dalla paura, il cuore batteva cosi' forte che sembrava scoppiasse
da un momento all' altro, questa era la nostra fine. Due soldati jugoslavi
con l' autista tedesco si avviarono verso un ripostiglio e ritornarono
con un carico di camere d'aria e copertoni e le posero nell' autocarro.
Ripartirono verso la stessa stradella che a noi ci ha portato tanto spavento.Questo
spavento è stato molto peggiore di quello provato a S. Sabba. Arrivati
a Dignano ci dissero che l' autocolonna ripartiva per Pola all' indomani.
Sfinito, magro e debole, pero' ho avuto la forza di andarci a Pola
un po camminando e un po correndo. Arrivai a casa alla mezzanotte circa,
mio fratello Domenico
(Mimi) prese un mastello, lo riempì d' acqua e cominciò
a lavarmi (per ben tre mesi non mi sono lavato una sola volta) perchè
nella stanza dove eravamo rinchiusi non c' era nessun rubinetto dell' acqua.
L' acqua diventò non solamente nera e sporca ma era pure carica
di pidocchi. Dopo questo al letto per un buon riposo e alla mattina quando
mi svegliai ho pensato se tutto questo fosse stato un sogno.
La storia e' un po troppo lunga ma purtroppo non ho potuto farla molto
breve, perche' avrebbe perduto molti dettagli, se le fa piacere la legga.
La ringrazio per avermi dato questa opportunita' di poter rievocare certi
avvenimenti. Non mi rimane altro che di salutarlo, le auguro ogni bene
per il futuro.
Angelo Silvano de Angelini.
|
Angelo Silvano de Angelini nato il 22 Maggio 1923 a Rovigno in via dell'Istria,
al Cristo ( Villa Nobile ).
Mio padre Angelo de Angelini ( 1886-1969 ) si è sposato con
Elena Zanelli ( 1888-1956 ) il giorno 18 Febbraio 1912.
Sopranome del padre ( Nuobile ) della mamma ( Pasto da virze ).
P.S. - Mia nonna ( Sponza ) era sposata con un calabrese e non mia mamma, Elena porta il nome del papà ( Zanelli ).
La famiglia era composta di 4 fratelli e due sorelle.
- Domenico 5-11-1912 deceduto 2000 San Pedro California.
- Nicolò 8-1-1916 Australia.
- Maria 2-10-1920 deceduta 11-2-1994 Australia.
- Angelo Silvano 22-5-1923 Australia.
- Lidio 28-6-1924 deceduto 18-2-1998 Torino Italia.
- Gemma 14-2-1926 Australia.
Ho lasciato la città di Pola il 14 febbraio 1947 diretto
a Venezia, appena arrivati abbiamo avuto un'accoglienza piuttosto fredda
e con molte parole offensive, come
Fascisti, Austriaci affamati etc., da lì siamo andati
a Brescia, e lì l'accoglienza è stata ancora peggiore, se
non fosse intervenuta la polizia non so cosa sarebbe potuto succedere,
dopo di che ho preso la residenza a Gorizia fino alla fine del 1949. Il
6 dicembre 1949 son partito per l' Australia.
Il 31 Marzo 1956 mi son sposato con Liliana Catalinich (una donna di molte doti) . Da questo matrimonio son nati 2 figli.
- Daniele de Angelini ( 4 Marzo 1957 ) residente in Queensland - Australia.
- Adriano de Angelini ( 7 Maggio 1958 ) ' In Victoria - Australia.
Liliana è nata il 5 Marzo 1926 - deceduta il 14 Febbraio
2001 - Australia.
|
|
|
|