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il Rimino - Riministoria

Giuseppe Antonio Barbari, un filosofo dimenticato
Nel 1692 Bologna gli propose la cattedra di matematica

Il 5 aprile 1757 Giuseppe Garampi scriveva da Roma al proprio maestro Giovanni Bianchi (Iano Planco) di aver ritrovato fra le «carte di questo mio archivio varie lettere di un tal Giuseppe Antonio Barbari di Savignano scritte a Monsignor Giovanni Ciampini in materie fisiche con un estratto d'un libro da lui pubblicato in Bologna nel 1678 con titolo L'iride, opera fisicomatematica. Di questo Barbari da Savignano io non ne avevo giammai avuta notizia alcuna».
Bianchi conosceva la famiglia Barbari per aver avuto fra i suoi primi scolari don Innocenzo che nello stesso 1757 è curato della parrocchia di Santa Maria del Mare a Rimini: così il 14 aprile risponde a Garampi, aggiungendo che Giuseppe Antonio era parente «di que' Barbari di Verucchio de' quali qui avemmo un Medico, che dimorò in Rimino da trent'anni, e poi ritornò a Verucchio a fare il Mercante da Seta, e che morì due o tre anni sono».
Circa Giuseppe Antonio, Bianchi precisa: «Quel Barbari di Savignano fu in Bologna scolaro del Montanari, e credo anche del Cassini, e fu condiscepolo ed amico del Guglielmini, con quale tenne carteggio per cose fisico-matematiche, e specialmente per cose astronomiche finché visse il Guglielmini. Essendogli morto un figlio in età di 20 anni, ed una sua figliuola essendosi fatta monaca in Roncofreddo mi pare che egli si ritirasse tra Filippini di Cesena. Avea varj libri matematici, che acquistò un tal Venturucci di Savignano, alcuni de' quali passarono nelle mani di Giovanni Maria Cella Mastro di Casa del Sig. Andrea Battaglini, che si compiaceva di cose matematiche. Quel libro dell'Iride del Barbari si ritrova nella Libreria Gambalunga stampato in Bologna l'anno 1678 avendo nell'anno 1677 il Guglielmini stampata una lunga dissertazione sopra una fiamma volante osservatasi in Faenza, ad imitazione della quale il Barberi dovette stampare questo suo libro dell'Iride». (Bianchi non possedeva nella propria fornita biblioteca l'«Iride», il cui titolo completo è «L'Iride opera fisicomatematica di Giuseppe Antonio Barbari da Savignano nella quale si espone la natura dell'arco celeste, e si commenta il testo oscurissimo d'Aristotele De figura iridis nel terzo delle meteore». Il Venturucci di cui parla Bianchi, potrebbe essere il notaio savignanese Giacomo Antonio, di cui in Gambalunghiana si conserva un testamento rogato nel 1699 per Matteo Bertozzi di Borghi, nel quale si legge però il cognome «Venturacci».)
Il breve profilo biografico di Giuseppe Antonio Barbari poteva soddisfare la curiosità di Garampi e fornirgli una prima traccia del percorso culturale compiuto dal savignanese. I nomi indicati da Bianchi sono quelli di figure illustri nella storia della Scienza italiana, come Cassini, Guglielmini e Montanari; e di personaggi di un qualche rilievo nella nostra vita culturale cittadina come Cella. Suo ex allievo e studioso che lo stesso Bianchi considerava erudito «in mathematicis», Cella fece parte del nucleo originario dei Lincei riminese (1745), assieme allo stesso Garampi.
Gian Domenico Cassini (1625-1712) fu il successore per Matematica a Bologna del gesuato (e non gesuita) milanese Bonaventura Cavalieri (1598-1647), dal 1650 sino al 1669 quando si trasferì a Parigi su chiamata di Colbert. A Cavalieri, amico di Galileo, certamente più matematico che astronomo, va il merito di aver dato un contributo decisivo nella diffusione dello spirito galileiano a Bologna. Dalla lista superstite delle lezioni che egli impartì nel 1643 sappiamo che egli insegnava le basi del sistema copernicano e questo solo pochi anni dopo la condanna di Galileo. In Italia ed in Francia (dove la sentenza di condanna della Chiesa nei riguardi di Copernico fu fatta osservare con rigore anche maggiore che non negli stessi domini papali), Cassini ricercò con esiti positivi prove della validità del sistema eliocentrico. Egli esaminò soprattutto la questione della validità o meno, nei cieli, della fisica peripatetica. Affrontare questo problema era legittimo dato che la Chiesa, nel condannare le idee copernicane, si era astenuta dal fare ufficialmente propria questa fisica.
Alla morte di Cavalieri la scuola galileiana bolognese non presentava più personalità di rilievo. In questo periodo emergono figure di spicco non nello Studio, ma fra i Gesuiti. Non mancano, tuttavia, in questo periodo, segnali opposti all'anticopernicanesimo gesuita, come la pubblicazione, proprio a Bologna, delle opere di Galileo, anche se incomplete, mancando, ovviamente «Il dialogo dei massimi sistemi». Si ricollegano al filone galileiano il matematico Geminiano Montanari (1633-1687), ed il medico e biologo Marcello Malpighi (1628-1694), docente di Medicina teorica dal 1666 al 1691, che fu il primo ad usare il microscopio per lo studio sistematico delle strutture animali e vegetali. Nessuno dei due ebbe a Bologna vita facile: Montanari, probabilmente, anche a causa della sua netta presa di posizione contro l'astrologia.
Il modenese Geminiano Montanari (dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Salisburgo, studiò matematica e astronomia a Vienna sotto Paolo del Buono, uno degli ultimi allievi di Galileo. Dal 1661 a Modena fu filosofo e matematico del duca Alfonso IV, alla cui morte due anni dopo, si trasferì a Bologna dove come strumento di misura applica il reticolo al fuoco di un cannocchiale per le osservazioni planetarie, realizzando una splendida «icon lunaris», una delle più accurate e vicine al vero del XVII secolo. Nel 1664, il Senato bolognese lo elesse alla cattedra di matematica dello Studio, dove si trattenne per quattordici anni fino a quando, nel 1678, quando passò all'università di Padova dove, oltre alla cattedra di «astronomia e meteore», creata espressamente per lui, ricoprì vari incarichi pubblici per conto della Repubblica di Venezia. Sia a Bologna sia a Padova si dedicò, con la preziosissima collaborazione alla moglie Elisabetta Dürer, all'ottica pratica e di molatura di lenti per cannocchiali.
A Bologna nel 1655 fondò l'«Accademia della Traccia o dei Filosofi» che già nel titolo riassumeva il proprio scopo, rintracciare «per l'istessa via dell'esperienza la vera cognizione della natura». Essa, ha scritto Marta Cavazza, «svolse una notevole funzione di rinnovamento culturale, per la centralità della medicina nell'ambiente bolognese e per l'influenza esercitata sulla formazione del giovane Malpighi» (p. 891). E Malpighi, come osserva Ezio Raimondi, porta alla nuova cultura un solido contributo, invitando a considerare non «così facile, come altri pensa» il mestiere dell' «osservatore» perché esso richiede, oltre a «grandissime cognizioni per dirigere il metodo, copiosissime serie d'osservazioni per vedere la catena e il filo che unisce il tutto, una mente disappassionata con una finezza di giudicio»: «non è mestiere per tutti».
Geminiano Montanari è uno degli innovatori degli studi matematici: nel 1678 quando si trasferisce a Padova, il suo ruolo passa a Domenico Guglielmini (1655-1710) che diventa lettore dal 1689 al 1698, formando quasi l'intero gruppo che all'inizio del Settecento introdusse in Italia l'analisi. Guglielmini fu Sovrintendente alle acque e collaboratore di Domenico Cassini nel restauro della meridiana di San Petronio: la lunghissima linea che ancora oggi si ammira nel pavimento della chiesa e che andò a sostituire la meridiana realizzata ottant'anni prima, consentì una accuratezza nelle misure pari a quella che sarebbe stata raggiunta con i nuovi strumenti forniti di cannocchiali solo oltre mezzo secolo dopo.
L'ambiente bolognese fa da sfondo alla vita intellettuale di Barbari, non soltanto perché, come scrive Bianchi a Garampi, il savignanese vi era stato «scolaro del Montanari», ma soprattutto perché, secondo quanto si legge in una biografia composta da Giuseppe Ignazio Montanari, ed apparsa nel 1837, nel 1692 Barbari era stato «invitato alla cattedra di matematica» di quella Università. Cattedra a cui rinunciò «per sola umiltà». Ad un bolognese che era stato suo compagno di studi, il generale Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) fondatore dell'Istituto delle Scienze, Barbari lascia il meglio dei suoi scritti. Un cronista savignanese del Settecento, Giorgio Faberj scrisse che Barbari «aveva corrispondenza con li Dottori della Sorbona»: forse il destinatario principale di quelle epistole fu Domenico Cassini che, abbiamo già visto, si trasferì da Bologna a Parigi nel 1669.
Il monsignor Giovanni Giustino Ciampini (Roma, 1633-1698) di cui parlava invece Garampi come corrispondente di Barbari, è uno studioso d'antichità classiche e medioevali, con una vasta produzione di cui si legge che andò a detrimento degli approfondimenti dell'indagine storica. Oggi è ricordato perché la zona di Ciampino deriva il nome da un suo casale, conosciuto attualmente come Villa San Raffaele. Le lettere che Barbari inviò a Ciampini tra 1691 e 1697, furono ricordate da Giammaria Mazzuchelli nel vol. II, tomo primo degli «Scrittori d'Italia» (1758) p. 243. Esse sono in Gambalunghiana tra le carte garampiane, come già annotò Luigi Tonini alla carta 206 del manoscritto 1306, «Memorie di scrittori» riminesi. Di esse sono riuscito a trovare traccia grazie alla dottoressa Paolo Delbianco: sono in SC-MS. 230, «Lettere e documenti vari...». A carta 213 del ms. 1306, Tonini riproduceva passi di due epistole di Barbari a Ciampini del 1691. Nella seconda affronta il tema del «mostro bicorporeo» di cui aveva ricevuto la figura, esponendo la sua opinione: tali fenomeni non dipendono da due uova cadute nello stesso tempo nell'utero, ma da uno solo «composto da due, dome nelle prugne e nelle cerase spesso si vede». L'accenno dimostra l'attenzione di Barbari rivolta ai vari temi scientifici, che appare anche dalla prefazione all'«Iride». Su questa prefazione torneremo per comprendere l'importanza di un filosofo dimenticato, che Luigi Tonini nell'indice delle «Memorie di scrittori» definiva addirittura come «antiquario», cioè studioso d'archeologia.

Alla comunicazione degli Studi Romagnoli 2004 del 23 ottobre su
Giuseppe Antonio Barbari.
Alla sezione di Riministoria su Giuseppe Antonio Barbari.

All'introduzione de L'Iride di Giuseppe Antonio Barbari.

All'indice del Progetto «Libri Uomini Idee».

All'indice del Progetto «Le ombre di Galileo», per Barbari.


Bibliografia
U. Baldini, La scuola galileiana, «Storia d'Italia. Annali 3», Torino 1980, p. 493.
R. Calanca, www.coelum.com/calanca/biografia_geminiano_montanari.htm.
M. Cavazza,Accademie scientifiche a Bologna. Dal «Coro anatomico» agli «Inquieti» (1650-1714),«Quaderni storici», XVI, n. 48 (1981), pp. 894-895.
E. Raimondi, I sentieri del lettore, II, Dal Seicento all'Ottocento, Bologna 1994, p. 141.
www.bo.astro.it/dip/Museum/italiano/sto1_10.html.

La lettera di Garampi è in Fondo Gambetti, Lettere al Dottor Giovanni Bianchi, Biblioteca Gambalunghiana di Rimini(BGR). La risposta di Bianchi è in SC-MS 208, Lettere a Giuseppe Garampi, c. 1678, BGR.
Per il testamento del 1699, cfr. in BGR: ad vocem «Bertozzi, Matteo», Fondo Gambetti, Miscellanea manoscritta riminese, e la Scheda Gambetti n. 135 del cartone 12, ad vocem «Bertozzi, Matteo».

Antonio Montanari


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