TamTama, "il Ponte", Marzo 2012
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Tama 1074, 25.03.2012 Scuola, cattiva Maestra
I brutti voti del primo quadrimestre sono un allarme che non riguarda soltanto Rimini. Il dato locale lo avete letto nel bel servizio del numero scorso, intitolato "Pagelle da incubo". In contemporanea sui quotidiani nazionali uscivano le informazioni diramate dallo stesso Ministero della Pubblica (d)istruzione, con la dotta citazione d'uno sconfortante studio sui temi svolti alla Maturità. I nostri studenti che s'avviano al lavoro (se lo trovano in Australia) od all'Università (se non le chiudono per mancanza di fondi), dovrebbero ripartire da zero, almeno per non collocare il povero Leopardi nel primo Settecento. Già anni fa il Magnifico Rettore di Bologna dichiarava che moltissime matricole di Medicina faticano a comprendere il senso dei libri su cui debbono applicarsi. Non mi preoccupa il libro che può essere maltrattato dai ragazzi, all'insegna del vecchio motto "Se non ti spieghi, ti faccio la faccia nera". Mi angoscia la questione che quei ragazzi, impossessatisi della Laurea, esercitino la professione in maniera tale da farci neri della loro ignoranza. Da vecchio, tormentato studente che ha avuto anche una lunga, ereditaria parentesi nell'insegnamento, mi permetto di difendere i ragazzi, anche perché mi sembra una moda troppo forcaiola quella di tirargli sassate e pernacchie, soprattutto da parte di chi per primo dovrebbe agire allo scopo di eliminare lacune ed errori nelle preparazioni individuali. Ed allora, se permettete, rovescio la prospettiva. Partendo dal fondo, dalle solenni parole di un consulente scientifico del Ministero che in poche righe di colonna di giornale ha messo assieme un discorso altamente di cattivo suono (o cacofonico come dicono i dotti), fatto con questi termini: organizzazione, gerarchizzazione, argomentazione, padronanza. Voleva semplicemente (ne siamo sicuri?) dire che i giovani studenti oggi non sanno mettere logicamente in fila le loro idee e comprendere se quello che dicono è una serie di balle oppure non lo è. Egregi ed illustri tecnici ministeriali, dato che "nessuno nasce imparato", sarebbe forse il caso di chiedersi se la nostra Scuola non sia una Maestra piuttosto cattiva che saggia. Non mi è mai piaciuto il tiro al piccione ad occhi bendati diretto agli studenti, nella convinzione che tanto dove si piglia, si piglia bene. E mi rattrista di leggere le storie di brillanti carriere che poi si svolgono soltanto all'estero, perché si sa come vanno le cose qui da noi. [Anno XXXI, n. 1074] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1073, 18.03.2012 Tempo che non passa
La signora Marina Orlandi, vedova del prof. Marco Biagi ucciso dalle Brigate Rosse il 19 marzo 2002, ha ricordato a Bologna il sacrificio del marito: "Era stato abbandonato dalla Polizia, dallo Stato che gli aveva tolto la scorta proprio nel momento in cui era più esposto. Era stato sbeffeggiato da chi doveva proteggerlo". Il 6 marzo sempre a Bologna, sono stati arrestati quattro poliziotti in servizio sulle volanti della Questura, due assistenti capi e due agenti scelti. Le accuse vanno dalla rapina alle percosse e lesioni a danno di spacciatori immigrati. Sulla scena della cronaca, pesa il ricordo della Uno Bianca. Il ministro degli Interni signora Cancellieri ha ragione: è una storia triste che riguarda soltanto quattro agenti, ma se anche si trattasse di uno solo sarebbe gravissimo. La cronaca italiana deve misurarsi sempre con storie che hanno dietro una Storia che sembra non passare mai. Nel 2004 a Grosseto un curatore fallimentare è stato ucciso per aver creduto alla legge, come ha intitolato il Corriere della Sera un pezzo di Umberto Ambrosoli, reso orfano dalla stessa violenza. Una notizia da Palermo: il 19 luglio 1992 il giudice Paolo Borsellino fu ucciso perché si opponeva al patto tra Stato e mafia. La vedova di Borsellino accusa un generale dei Carabinieri, il quale risponde: sono stupide falsità. Un esperto di tali vicende, Francesco La Licata (La Stampa) osserva che c'è mancanza di verità nelle indagini per lo stragismo mafioso tra 1989 e 1994. E cita il procuratore Piero Grasso che parla di una trattativa tra Stato e mafia come progetto per non cambiare gli assetti politico-finanziari. L'ex ministro degli Interni Nicola Mancino dal Corriere della Sera accusa d'esser stato usato e venduto nella trattativa con la mafia. Se è vero che senza chiarezza sul passato, in un Paese non c'è speranza di futuro, occorre uno sforzo particolare per comprendere le pagine oscure che abbiamo vissuto. Per questo ha ragione La Licata quando osserva: potrebbe essere il Parlamento a cercare di ricostruire il contesto anche politico da cui nacquero le stragi. Di recente si è discusso della minaccia rivolta dall'ex ministro Bossi al premier: Monti rischia la vita, il Nord lo farà fuori. Il caso è stato chiuso con l'accusa di Bossi ai cronisti di non averlo compreso. Il direttore de La Stampa Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi ucciso dal terrorismo, ha scritto: un giornalismo sano dovrebbe ignorare queste provocazioni. Ci sono rimasto molto male. [Anno XXXI, n. 1073] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1072, 11.03.2012 Il vero, prima o poi
La verità viene sempre a galla, prima o poi: meglio prima che poi, come dicevano i nostri vecchi. Quanto possa essere lontano questo poi, dipende da vari fattori. Prendiamo due esempi dalle cronache più recenti. Al lettore lasciamo trarre le conclusioni. Dopo ben 22 anni trascorsi in carcere, il signor Giuseppe Gulotta è stato assolto per non aver commesso il fatto. Era stato accusato di una strage avvenuta il 26 gennaio 1976 alla casermetta dei Carabinieri di Alcamo Marina in Sicilia, con la morte di due militari diciottenni, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Al processo di revisione concesso nel 2009 dalla Suprema Corte (dopo altri nove processi), ed appena celebratosi presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria, sono state raccolte nuove testimonianze. L'ex brigadiere Renato Olino, nel 1976 in servizio al reparto antiterrorismo di Napoli che si occupò del caso, ha riferito che ci furono metodi persuasivi a suo parere eccessivi per far "cantare" un giovane legato a movimenti di estrema sinistra, Giuseppe Vesco, che finì con l'accusare Gulotta e i due amici Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. A carico dei due, nel frattempo scappati in Brasile e condannati per lo stesso eccidio, è in corso analogo processo di revisione. Giuseppe Gulotta, si è letto nei giornali, ha dichiarato: "Mi puntarono anche una pistola in faccia e mi dissero: se non confessi ti uccidiamo". L'accusatore principale di Gulotta, Vesco, è morto suicida nell'infermeria del carcere di Trapani. Impiccato. Di recente, ad appoggiare l'ipotesi che Vesco fosse stato costretto a confessare cose non vere ai Carabinieri, sono giunte le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia siciliano, Vincenzo Calcara. Secondo esempio, ricavato da "Sette" di giovedì primo marzo. Ferruccio Pinotti vi presenta un lungo servizio intitolato "Feltrinelli. Le ombre sotto il traliccio". Il 14 marzo 1972 l'editore milanese Giangiacomo Feltrinelli, classe 1926, salta per aria sopra un pilone della luce a Segrate. Allora si disse che morì mentre stava preparando un attentato. Pinotti presenta una perizia medico-legale sinora ignorata, da cui risulta che alcune ferite sul corpo dell'editore sono incompatibili con le conclusioni dei giudici. In breve: se uno salta per aria preparando una bomba, non può aver conservato integre le sue mani. La perizia, scrive Pinotti, ipotizza con modo garbato e tecnico che Feltrinelli sia stato prima aggredito e poi fatto esplodere. [Anno XXXI, n. 1072] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1071, 04.03.2012 Grecia, anzi Europa
L'inedito e cospicuo piano di salvataggio dell'economia ellenica (130 miliardi), adottato a Bruxelles all'alba del 21 febbraio, significa qualcosa non soltanto sul piano politico. C'è un suo aspetto culturale che lo stesso giorno è stato ben spiegato, nell'editoriale dei lettori sulla "Stampa", da Mauro Artibani, studioso d'Economia dei consumi. Egli sostiene che tutti noi europei abbiamo un debito verso la cultura ellenica: "L'alfabeto greco ci consente di scrivere, noi stessi pensiamo attraverso le parole greche; con la filosofia, che proprio lì nasce, articoliamo quel pensiero", per non parlare della fondazione della democrazia che oggi ci governa. L'articolo termina con una battuta che contiene una grande verità: tra i maggiori indebitati con la Grecia, c'è l'intera "filosofia tedesca". Anche a Rimini abbiamo forti legami e consistenti obblighi con la cultura ellenica. Nel Tempio Malatestiano ci sono le due epigrafi scritte nella lingua greca, considerate da Augusto Campana come le prime testimonianze del Rinascimento sia italiano sia europeo. Nella cappella dei Pianeti del Tempio, c'è l'immagine del "rematore", letta di solito come raffigurazione dell'anima di Sigismondo, scesa agli Inferi e risalita in Cielo. Essa ci sembra però riassumere la storia dell'Ulisse dantesco ("Inferno", c. 26, vv. 90-142) che ai compagni d'avventura con la sua "orazion picciola" ("fatti non foste a viver come bruti"), lancia un "manifesto pre-umanistico", come lo definisce un noto studioso dell'Alighieri, Franco Ferrucci. Ulisse insegna che la nostra dignità sta nel "seguir virtute e canoscenza", anche se ciò può costarci un naufragio in cui però si salva l'uomo. L'uomo di ogni tempo, e non soltanto quello dell'età e delle pagine di Dante. La smorfia del volto del "rematore", richiama l'Ulisse dantesco. I due isolotti rimandano alle colonne d'Ercole. I venti ricordano il "turbo" che affonda la "compagna picciola" (vv. 101-102). Alla corte di Rimini nel 1441 prima dell'edificazione del Tempio, era giunto Ciriaco de Pizzecolli d'Ancona (1390-1455). Ciriaco ha frequentato i circoli umanistici di Firenze, ed è un "lettore di Dante" che per la sua ansia di sapere ama presentarsi nei panni d'Ulisse, come leggiamo in Eugenio Garin. A Ciriaco potrebbe attribuirsi il suggerimento del tema di Ulisse da inserire nel Tempio, quale parte del discorso umanistico già accennato qui (nella rubrica n. 1066) per la cappella delle Arti liberali. [Anno XXXI, n. 1071]
Fuori Tama 1071 Nel Tama 1071 abbiamo ricordato due cose, a proposito del Tempio Malatestiano di Rimini: le due epigrafi scritte nella lingua greca, e la presenza a Rimini, prima dell'edificazione del Tempio stesso, di Ciriaco de Pizzecolli d'Ancona (1390-1455). Secondo Anthony Grafton, è Ciriaco a comporre le epigrafi riminesi, ispirandosi a quelle napoletane da lui trascritte ("Leon Battista Alberti. Un genio universale", 2003, p. 315). A proposito della figura dantesca di Ulisse, è utile rileggere quanto osservato da Ezio Raimondi ("Le metamorfosi della parola. Da Dante a Montale", 2004, pp. 190-191): "... l'avventura di Ulisse è anche l'avventura vitale di Dante scrittore in esilio". Petrarca sente che la figura di Ulisse "non è Dante ma può servire a dare anche la grande dimensione di Dante". Raimondi si riferisce alla lettera XV, libro XXI delle "Familiares", diretta a Boccaccio. In cui leggiamo questo passo: "In quo illum satis mirari et laudare vix valeam, quem non civium iniuria, non exilium, non paupertas, non simultatum aculei, non amor coniugis, non natorum pietas ab arrepto semel calle distraheret, cum multi quam magni tam delicati ingenii sint, ut ab intentione animi leve illos murmur avertat; quod his familiarius evenit, qui numeris stilum stringunt, quibus preter sententias preter verba iuncture etiam intentis, et quiete ante alios et silentio opus est". ("E in questo non saprei abbastanza ammirarlo e lodarlo; poiché non lingiuria dei concittadini, non lesilio, non la povertà, non gli attacchi degli avversari, non lamore della moglie e dei figliuoli lo distrassero dal cammino intrapreso; mentre vi sono tanti ingegni grandi, sì ma così sensibili, che un lieve sussurro li distoglie dalla loro intenzione; ciò che avviene più spesso a quelli che scrivono in poesia e che, dovendo badare, oltre che al concetto e alle parole, anche al ritmo, hanno bisogno più di tutti di quiete e di silenzio.") Il punto di Petrarca "non civium iniuria, non exilium, non paupertas, non simultatum aculei, non amor coniugis, non natorum pietas", rimanda al c. XXVI, vv. 94-97 dell'"Inferno" dantesco: "Né dolcezza di figlio, né 'l debito amore lo qual dovea Penelope far lieta....". Ecco quindi il citato giudizio di Raimondi: Petrarca sente che la figura di Ulisse "non è Dante ma può servire a dare anche la grande dimensione di Dante". Raimondi prosegue: "L'Ulisse di Dante è una controfigura negativa di Dante stesso. Presenta, sul piano dell'azione di colui che esplora l'ignoto, qualcosa che per Dante rappresenta la sua stessa operazione poetica, e che Petrarca individua subito".
[Per il testo di Petrarca, l'edizione di riferimento è: Francesco Petrarca, Opere, Canzoniere - Trionfi - Familiarium rerum Libri - con testo a fronte, Sansoni editore, Firenze 1975, secondo l'edizione curata da Vittorio Rossi e Umberto Bosco, per l'edizione nazionale nazionale delle opere di Francesco Petrarca, Firenze, Sansoni, 1933-1942 con la traduzione inedita di Enrico Bianchi. Citazione ripresa da: http://www.classicitaliani.it/petrarca/prosa/epistole/boccaccio_dante.htm.] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
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