| Fuori Tama 1071 Nel Tempio di Sigismondo Malatesti
Nel Tama 1071 abbiamo ricordato due cose, a proposito del Tempio Malatestiano di Rimini: le due epigrafi scritte nella lingua greca, e la presenza a Rimini, prima dell'edificazione del Tempio stesso, di Ciriaco de Pizzecolli d'Ancona (1390-1455). Secondo Anthony Grafton, è Ciriaco a comporre le epigrafi riminesi, ispirandosi a quelle napoletane da lui trascritte ("Leon Battista Alberti. Un genio universale", 2003, p. 315). A proposito della figura dantesca di Ulisse, è utile rileggere quanto osservato da Ezio Raimondi ("Le metamorfosi della parola. Da Dante a Montale", 2004, pp. 190-191): "... l'avventura di Ulisse è anche l'avventura vitale di Dante scrittore in esilio". Petrarca sente che la figura di Ulisse "non è Dante ma può servire a dare anche la grande dimensione di Dante". Raimondi si riferisce alla lettera XV, libro XXI delle "Familiares", diretta a Boccaccio. In cui leggiamo questo passo: "In quo illum satis mirari et laudare vix valeam, quem non civium iniuria, non exilium, non paupertas, non simultatum aculei, non amor coniugis, non natorum pietas ab arrepto semel calle distraheret, cum multi quam magni tam delicati ingenii sint, ut ab intentione animi leve illos murmur avertat; quod his familiarius evenit, qui numeris stilum stringunt, quibus preter sententias preter verba iuncture etiam intentis, et quiete ante alios et silentio opus est". ("E in questo non saprei abbastanza ammirarlo e lodarlo; poiché non lingiuria dei concittadini, non lesilio, non la povertà, non gli attacchi degli avversari, non lamore della moglie e dei figliuoli lo distrassero dal cammino intrapreso; mentre vi sono tanti ingegni grandi, sì ma così sensibili, che un lieve sussurro li distoglie dalla loro intenzione; ciò che avviene più spesso a quelli che scrivono in poesia e che, dovendo badare, oltre che al concetto e alle parole, anche al ritmo, hanno bisogno più di tutti di quiete e di silenzio.") Il punto di Petrarca "non civium iniuria, non exilium, non paupertas, non simultatum aculei, non amor coniugis, non natorum pietas", rimanda al c. XXVI, vv. 94-97 dell'"Inferno" dantesco: "Né dolcezza di figlio, né 'l debito amore lo qual dovea Penelope far lieta....". Ecco quindi il citato giudizio di Raimondi: Petrarca sente che la figura di Ulisse "non è Dante ma può servire a dare anche la grande dimensione di Dante". Raimondi prosegue: "L'Ulisse di Dante è una controfigura negativa di Dante stesso. Presenta, sul piano dell'azione di colui che esplora l'ignoto, qualcosa che per Dante rappresenta la sua stessa operazione poetica, e che Petrarca individua subito".
[Per il testo di Petrarca, l'edizione di riferimento è: Francesco Petrarca, Opere, Canzoniere - Trionfi - Familiarium rerum Libri - con testo a fronte, Sansoni editore, Firenze 1975, secondo l'edizione curata da Vittorio Rossi e Umberto Bosco, per l'edizione nazionale nazionale delle opere di Francesco Petrarca, Firenze, Sansoni, 1933-1942 con la traduzione inedita di Enrico Bianchi. Citazione ripresa da: http://www.classicitaliani.it/petrarca/prosa/epistole/boccaccio_dante.htm.] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
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