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Piccoli Diavoli

Perché sono un diavolo

Si sa, quando un bambino non riga dritto, fa di testa sua, disobbedisce, è dispettoso eccetera, di lui si dice che è un diavolo. "Diavolo di un bambino!". Io a detta di tutti sono un vero e proprio diavolo. A me questa faccenda di essere un diavolo va bene, e vi spiegherò perché. Innanzi tutto è molto divertente e, come è noto a noi bambini piace divertirci. In secondo luogo, ho scoperto che sono davvero un diavolo. Di tanto in tanto, per saggiare le mie capacità espressive (insomma, per fare le smorfie e le boccacce) mi piazzo davanti allo specchio e inizio a storcere il muso a strabuzzare gli occhi a gonfiare e risucchiare le guance in modo eccessivo ed è ovvio che ci prendo gusto. Altrettanto ovviamente anche questa mia innocente attività è criticata e disapprovata: "Se continui a guardarti allo specchio, finirà che vedrai il Diavolo!" questo è ciò che dice mia madre. Sta di fatto che un bel giorno (anzi, una bella sera) il Diavolo l’ho visto per davvero. E’ andata così: dopo tre quarti d’ora di smorfie incessanti m’ero ritrovato con tutti i muscoli della faccia indolenziti. Di solito a questo punto chiudo la sessione con una bella pernacchia (che lascia una miriade di goccioline di saliva sulla superficie dello specchio) e rivolgo la mia attenzione a qualche attività più interessante, tipo distruggere qualche giocattolo o trafugare cioccolatini destinati agli ospiti. Però quella sera indugiai. Il mio volto era così stremato e inerte e l’occhio così spento che sembravo un cadavere. La cosa mi piacque e decisi di fare il cadavere ancora per un po’. Mi accorsi che stando perfettamente fermo il volto riflesso sullo specchio tendeva a sfumare, i lineamenti diventavano sempre più evanescenti mentre gli occhi - fissi da far paura - sembravano fluttuare staccati da tutto il resto. Devo dire che era pomeriggio inoltrato e sicuramente la luce incerta del crepuscolo contribuiva non poco a questi ’effetti speciali’. A un certo punto il riflesso del mio volto parve animarsi di vita propria, assunse delle sembianze abbastanza sinistre e, come se non bastasse, si allargò in un ghigno veramente impressionante. "Ecco il Diavolo!" pensai. Ma non mi mossi. Da quel momento in poi il Diavolo fece del suo meglio, con orribili trasformazioni, per farmi fuggire via terrorizzato. Ma io, fermo. Continuai imperterrito a concentrarmi sugli occhi che, in fin dei conti, erano i miei e dopo qualche minuto di ostinata resistenza mi accorsi che l’immagine mostruosa, come rassegnata, iniziava a dissolversi e dopo un po’ sparì del tutto. La situazione ora era, secondo me, ancora più strana; infatti sebbene continuassi a guardarmi allo specchio non ci vedevo nulla e per ’ nulla’ intendo una nebbiolina ballonzolante. Stavo pensando che tutta la faccenda era ormai finita quando mi sentii come risucchiato all’interno dello specchio. Ora, tutti noi bambini sappiamo che si può passare attraverso lo specchio perché abbiamo letto che Alice, ad esempio, l’ha fatto. E’ chiaro che un grande non lo ammetterà mai, perché i grandi per sentirsi tali devono credere a un certo tipo di cose e pensano che tutte le cose che riguardano noi bambini siano fandonie, fantasie. "Roba da bambini!" dicono con aria di sufficienza. Volete sapere una cosa? A me di quello che pensano i grandi non importa un ficosecco. Oltretutto i grandi che circolano oggi sono diversi da quelli che circolavano un tempo. Ho letto che i popoli primitivi credevano che tutta la natura fosse animata da spiriti. Lo credevano perché li vedevano. Sapevano guardare oltre le apparenze. Per vedere al di là delle apparenze bisogna varcare una soglia. E io l’ho varcata. Nel mondo degli spiriti avevo un corpo spirito e facevo cose inimmaginabili, tipo trasformarmi e volare. Comunicavo con gli esseri spirito di tutte le cose. A un certo punto mi sono imbattuto nello spirito acqua. E attraverso di esso mi sono visto, mi sono specchiato nello spirito acqua. Ciò che ho visto ero io e non ero io: diciamo che sembravo più una capretta che un essere umano; o forse una via di mezzo. Avevo anche un bel paio di corna. Una voce mi disse che ero un Pan. Conoscete quella storia che circola fra noi bambini, quella che parla di Peter Pan? Peter Pan è un bambino spirito che viene di tanto in tanto nel nostro mondo e convince alcuni di noi a seguirlo nel suo paese "il Paese Che Non C’è". Nel senso che non c’è da questa parte della realtà; ma dall’altra c’è, eccome!. Io l’ho visitato. Ho fatto delle ricerche nell’enciclopedia per saperne di più su questo Pan. Pan era, per i nostri antenati, il dio della natura, di tutta la natura e infatti Pan in greco significa ’tutto’. Aveva barbetta corna e zampe di capra. Nei tempi andati Pan era quindi visto come una forza della natura selvaggia. Quando i preti presero il potere nel mondo, dissero che quello era un Demone, anzi, il Diavolo. E per loro il Diavolo era il Male. Le persone che dicevano di vederlo furono perseguitate, torturate e bruciate vive. Queste persone erano esseri magici, perciò vedevano Pan e gli altri spiriti. I preti chiamavano queste persone ’streghe’ e ’stregoni’ e fecero di tutto per sterminarli. Ho cercato nell’enciclopedia il termine ’Demone’. C’è scritto che un sapiente dell’antichità, Socrate, diceva che ognuno di noi ha il proprio demone. Il Demone è la nostra parte immortale, parla direttamente al nostro cuore e conosce il segreto di tutte le cose. Ma i preti non vogliono che noi conosciamo il segreto di tutte le cose, perché preferiscono che noi crediamo di più a quello che dicono loro, così possono tenerci in pugno e prosperare sulla nostra paura. Per loro è meglio essere come delle pecorelle mansuete, che se ne stanno tranquille e contente nel recinto, aspettando fiduciose di essere munte, tosate, uccise e mangiate. Se una pecorella più sveglia delle altre fugge dal recinto ecco che la chiamano ’pecora nera’. Perché la birbona non vuol farsi né mungere né mangiare. Io penso che più che una ’pecora nera’ sia una capretta, con tanto di corna e sorriso beffardo: proprio come Pan, il Diavolo.

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Il Circolo dei Lombrichi

Dal momento che ci piaceva starcene tutti assieme in santa pace senza avere gli adulti fra i piedi, decidemmo di creare un Circolo. Passammo in rassegna un notevole numero di animali per trovare un nome che si confacesse allo spirito del nostro gruppo: il Circolo delle Aquile, delle Tigri, dei Canguri, delle Testuggini, delle Mantidi, dei Batteri, delle Blatte, delle Puzzole ecc. Alla fine fummo tutti d’accordo per Il Circolo dei Lombrichi. Tempo prima avevamo scoperto un rudere nell’estrema periferia della cittadina in cui abitavamo. Della casa che forse in passato era stata una grande villa non restava quasi più niente. In compenso attorno al rudere si estendeva un enorme giardino, perfettamente incolto, impenetrabile come una giungla. Veramente all’inizio non sapevamo né del rudere né del giardino perché sia l’uno che l’altro erano circondati da un muro altissimo. Si intravedevano a malapena le fronde degli alberi più grandi. Inutile dire che sul nostro gruppo quel muro esercitava un fascino irresistibile. Così decidemmo di aprire, con pazienza e tenacia, un piccolo varco nella pietra, sufficiente a sgattaiolarci dentro. Di notte, quando nelle nostre case tutti dormivano, noi ci alzavamo e ci davamo convegno nel lato più nascosto del muro proprio dove cresceva un fitto cespuglio e lì, cacciaviti e torce elettriche alla mano, scavavamo il nostro varco. Avevamo visto parecchi film dove dei carcerati facevano la stessa cosa. Forse anche noi volevamo fuggire dalle nostre prigioni. Come ho detto, quel giardino era veramente grande e pieno di vegetazione quasi impenetrabile. Inoltre vi si annidavano bisce, topi, barbagianni e altri uccelli notturni, pipistrelli, cicale, ragni e ora anche noi, i Lombrichi. Per prima cosa costruimmo una specie di baracca con delle vecchie assi recuperate dal rudere e rami più o meno secchi raccattati lì attorno. Su una tavola di legno scrivemmo con un ferro arroventato
IL CIRCOLO DEI LOMBRICHI
e vi incidemmo il nostro stemma, cioè un lombrico che si avvolgeva a spirale. Dopo di che facemmo il giuramento di Fedeltà e Segretezza. In un primo momento pensammo che i maschi dovessero giurare fra loro e le femmine pure. Ma poi decidemmo di giurare tutti assieme, anche perché i lombrichi non si capisce bene se sono maschi o femmine. Ci riunivamo ogni sabato notte. Avevamo scelto la notte fra il sabato e la domenica perché di domenica ci si alza tardi e noi in pratica stavamo fuori fino all’alba. I familiari per un lungo periodo restarono ignari, però da un certo punto in poi le cose cambiarono e tutto divenne più Evidente. I fatti andarono così. Nei primi tempi, come ho detto, quando ci si riuniva si era tutti presi dalle cose da fare: ricavare uno spiazzo fra la vegetazione, costruire la baracca, accatastare pietre per delimitare l’area dove accendevamo il fuoco e dove sedevamo in cerchio, esplorare il territorio cercando di individuare le specie di vegetali e di animali che vi albergavano, fare mappe particolareggiate, ideare le cantilene da sussurrare quando ci radunavamo attorno al fuoco, ecc. Una cantilena, la più significativa, diceva così:
Lombrichi lombrichi- d’inventiva ricchi- nella terra sguazziamo- così ci divertiamo - Lombrichi Lombrichi - questo noi siamo.
Lombrichi Lombrichi - così ci chiamiamo - Lombrichi Lombrichi
niente temiamo - Lombrichi Lombrichi - la Terra rinnoviamo.
In seguito ci riunivamo quasi esclusivamente per accendere un fuoco e starcene seduti attorno, le schiene appoggiate al muretto circolare di pietra, gli occhi puntati sulle fiamme e sussurrare tutti insieme le nostre cantilene. Una cosa veramente magica. Una notte una femmina, come se avesse avuto un’ispirazione, disse senza distogliere lo sguardo dal fuoco: -I lombrichi mangiano la Terra. Noi mangeremo la Terra!-. E così iniziammo a mangiare piccole quantità di terra. Raccoglievamo le zolle più ricche di humus, quelle più profumate, cedevoli al tatto. Sapevano di buono. Qualche tempo dopo un’altra femmina del gruppo portò con sé una piccola tanica piena d’ acqua e fece con della terra argillosa dei biscotti. Ne diventammo ghiotti. Mi accorsi che il solito cibo del pranzo e della cena non mi piaceva più. Ne parlai con gli altri. Confermarono le mie impressioni. Poi venne la stagione delle piogge. Scoprimmo che sguazzare nudi nelle pozzanghere formate dall’acqua piovana negli avallamenti del terreno era la cosa più divertente che si poteva immaginare. Quando non pioveva bagnavamo la terra e ci avvoltolavamo nel fango. Ormai ci sentivamo dei Veri Lombrichi. Di conseguenza dovevamo rincasare un po’ prima del solito per darci una ripulita prima di infilarci nel letto. Ciononostante qualche traccia di fango finiva col rimanere ugualmente sulle mattonelle o sul piatto della doccia, per non parlare delle lenzuola e delle federe. Questo strano fenomeno, sommato all’altro strano fatto che sempre più rifiutavamo il cibo, soprattutto di domenica, creò un clima di sospettosità nei nostri confronti. Non sto qui a riferire le innumerevoli solite lagnanze che ci toccò sopportare. Voi tutti conoscete bene questo genere di cose. Certo è che per qualche tempo tenemmo duro, inventando scuse sempre più o meno fantasiose o ostentando un’ostinata noncuranza. A dire il vero eravamo proprio cambiati. Era come se la Terra ci avesse trasmesso attraverso lo stomaco e i pori della pelle certe oscure conoscenze, Cose Che Solo Noi Sapevamo. Il mondo degli adulti ci sembrava di una stupidità totale, insipido come il loro cibo, le loro parole, le loro azioni. Noi sapevamo d’essere un’altra cosa, parte della Terra, immensi e forti come la Terra. Sprezzanti. A un certo punto, quando proprio non ne potemmo più, decidemmo di sbaraccare definitivamente. Era inverno, faceva freddo, eppure ci liberammo dei vestiti. Stavamo attorno al fuoco. Avevamo deciso unanimemente che mai più avremmo fatto ritorno alle nostre vecchie case. Gettammo gli indumenti fra le fiamme. Con argille e ocre facemmo degli impasti coi quali ci coprimmo interamente i corpi nudi. Affondammo le mani nelle zolle e ci riempimmo le bocche di terra. Masticavamo lentamente, gli occhi fissi sul fuoco, mentre il vento gelido della notte rapprendeva il fango variopinto incrostato sui nostri corpi. Ci sentivamo invincibili.

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In compagnia dei Lupi Mannari

Sono un divoratore di libri. Mio padre lo dice a tutti, continuamente. Quando viene qualcuno a trovarci prima o poi va a finire lì: -Mio figlio è un divoratore di libri!- Certe volte anche: - Mio figlio è un accanito divoratore di libri -. Tutti esclamano - Caspita! mentre mio padre supersoddisfatto chiude gli occhi beato e, voi non ci crederete, dà l’impressione di gonfiarsi un poco. Le prime volte pensavo fosse un effetto ottico, ma col tempo sono arrivato alla conclusione che si gonfia davvero. Penso sia orgoglioso di me. Strano, perché lui non legge affatto libri, tutt’al più qualche giornale sportivo; di quelli con i titoli così voluminosi che vengono fuori dalla pagina. Però ha ragione, i libri mi piacciono davvero; per me non sono mai abbastanza. Quando entro in libreria, divento matto. I primi cinque minuti si può dire che non vedo niente, tanto i miei occhi ballonzolano da una parte all’altra nel tentativo di assorbire il più possibile in quella profusione di immagini, titoli, colori. Sembro una di quelle divinità orientali dalle molte braccia: afferro i libri e li ripongo a velocità supersonica, in modo un po’ convulso, devo dire. A un certo punto mi do una calmata e procedo in modo SISTEMATICO: titoli illustrazioni e una sbirciata al contenuto. Purtroppo il più delle volte mi devo accontentare di questo, perché non sempre ho i soldi sufficienti ad acquistarne almeno uno. Ora vi dico quale è il mio grande sogno: il mio grande sogno è di scriverlo io il mio libro. Ecco, io vorrei essere il primo bambino al mondo che scrive un libro per bambini. E magari, visto che ci sono, prendere il Nobel per la letteratura: Il Primo Bambino Premio Nobel Della Storia! Ho già predisposto un certo numero di fogli di carta extra-strong ripiegati a libretto. Il titolo naturalmente è la prima cosa a cui ho pensato:
IN COMPAGNIA DEI LUPI MANNARI
Ho deciso di intitolarlo così perché ho notato che i libri con la parola ’lupi’ in copertina vendono come il pane. A proposito di copertina, ci sto lavorando sopra. La copertina è fondamentale: deve essere d’IMPATTO. Non è che come disegnatore io sia un granché. Ma quello che conta è l’effetto finale e devo dire che la mia copertina è proprio d’effetto. Ovviamente è gremita di lupi. Siccome i lupi non mi vengono proprio bene ho deciso di fare come un’immensa massa pelosa, tutta nera, con migliaia di occhi lupeschi iniettati di sangue che sbucano da ogni parte. E’ proprio d’impatto, non c’è che dire. La trama è questa: ci sono queste orde di Lupi Mannari assetati di sangue umano che lottano contro orde di Vampiri altrettanto assetati di sangue umano. Ho pensato di metterci i vampiri perché nei libri per bambini i vampiri abbondano. Non riesco a spiegarmene la ragione, dal momento che non sono neanche tanto simpatici; comunque... Il racconto inizia nel punto in cui i Lupi Mannari e i Vampiri sono ai ferri corti: hanno fatto fuori tutta la specie umana e stanno provando a mangiarsi fra di loro. Sta di fatto che si trovano disgustosi. Inutile dire che il cattivo umore regna sovrano. Oltretutto c’è un Fantasma che sghignazza continuamente nella notte, e questo li innervosisce ancora di più. A un certo punto Vampiri e Lupi Mannari mandano una delegazione per chiedere al Fantasma che ha da sghignazzare tanto. Il Fantasma risponde senza tanti giri di parole che mai e poi mai rivelerà il motivo di tanto sghignazzare, perché se lo rivelasse non avrebbe più di che sghignazzare. Allora i Lupi Mannari e i Vampiri si spazientiscono, si dispongono in circolo e, con terribili ululati e urla agghiaccianti evocano la Regina della Notte. La Regina della Notte appare fra lampi e fulmini sotto forma di Strega. Subito l’Orda Famelica implora la Strega di gettare un sortilegio sul Fantasma per farlo parlare. Il Fantasma si prende una strizza tale che appare come un lenzuolo strizzato. Alla fine svela il perché della sua sfrenata ilarità: in pratica li informa che, mentre loro si accapigliano, il Drago se la gode; infatti si è accaparrato qualche migliaio di ragazze e le tiene prigioniere nella sua caverna. Nel sentire ciò Lupi Mannari e Vampiri raggiungono l’apice della furia, decidono di allearsi e organizzano una spedizione contro il Drago per sottrargli tutte quelle succulente ragazze. Ma la Strega interviene mandando scintille: - No!- urla - il Drago non si tocca! Ecco, sono arrivato fino a questo punto, ma francamente non ho ben chiaro come andrà a finire. Ci devo pensare un po’. L’importante è essere originali: l’originalità innanzi tutto! Una volta che il racconto sarà completato lo spedirò di certo ad un editore. L’editore sicuramente dirà che è un capolavoro, ma che ha bisogno di una ritoccatina. Gli editori dicono sempre così:- Ha bisogno di una ritoccatina.-

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Nel paese delle meraviglie

Sono una bambina normalissima! Questo voglio chiarirlo subito. E anche ben educata. Quando mi regalano una bambola io ringrazio sempre, in modo grazioso e gentile. Se poi le bambole le impicco, questo è un altro discorso. Una volta che mi sono state donate le bambole sono mie e posso farne ciò che voglio. Impiccarle, appunto. Se entrate nella mia cameretta ne vedrete un bel numero - quattordici, per la precisione - appese per il collo a scaffali, maniglie, rampini e una, la Barbie, al lampadario. I miei genitori sostengono che sono una svitata. E io glielo lascio credere. Non mi ci provo nemmeno a spiegargli i motivi di questa avversione per bambole e bambolotti, tanto non capirebbero. Cioè, se avessero voluto capire avrebbero capito da tempo. Per loro è del tutto ovvio , quasi una cosa naturale che una bambina, non si sa per quale motivo, se ne deva stare delle mezze giornate a parlare come una scema con una roba di plastica, vestirla farle delle moine e magari identificarcisi. Ma dico, identificarmi con una cosa di plastica! Magari con una col sorriso da deficiente e tutta superaccessoriata. O addirittura dovermi prendere cura di un bambolotto con tanto di pisellino in bella evidenza, facendo finta che ha fame o che gli scappa la popò... Ho altro a cui pensare, io. Mi piace osservare le cose, questo si. Le cose vive. Il mio gatto, ad esempio. Lui se ne sta delle ore sul letto, immobile e altero. Ha dei grandissimi occhi verdi. Io mi siedo ai piedi del letto e lo fisso negli occhi. A volte, senza che neanche me ne accorga, sopraggiunge la sera e calano le ombre. Nella penombra i suoi occhi acquistano una luce più intensa, diventano magici. In quella penombra, in quel silenzio, i nostri occhi continuano a scrutarsi ancora più profondamente. Ho allora come la sensazione che lui mi comunichi delle conoscenze misteriose o che mi racconti storie che appartengono a un altro mondo,ad un’altra realtà. Se sono fortunata capita che un ragno tessa la sua tela in qualche angolo della mia camera. Ragazze, non fatevi scappare l’occasione di osservare un ragno che tira i fili da una parte all’altra seguendo precise geometrie. A un certo punto, quando finalmente ha completato la ragnatela, si mette in disparte e aspetta. Voi penserete che se ne stia lì in atteggiamento speranzoso, pregando in cuor suo che prima o poi, casualmente, un insetto distratto vada ad impigliarsi nella sua rete. Sbagliate. Il ragno non nutre speranze di questo genere. Lui ha la Certezza che quando sarà il momento giusto la preda andrà intenzionalmente - suo malgrado - ad impigliarsi nella sua rete. Voi vi chiederete come faccio a sapere che è così che vanno le cose. Semplice: osservo attentamente il procedere del ragno mentre si dà da fare e capisco che quella è molto più di una intricata rete di fili: è un vero e proprio ordito, carico di potenza magica; per cui se una mosca, mettiamo, capita da quelle parti...è fregata! Viene come risucchiata in quella direzione e zak! è in trappola. La mosca è fortissima, quasi indistruttibile, ma vi assicuro che contro quella trappola magica c’è poco da fare. Avete mai toccato un filo d’erba? Toccate un filo d’erba con delicatezza, tenendo gli occhi chiusi. Voi non immaginate quante cose ha da dire un filo d’erba. Basta cha teniate gli occhi chiusi e posiate un polpastrello sulla sua superficie e vedrete che inizierà a parlarvi dei segreti della Terra. Un filo d’erba è come una tenera lingua, si fa strada fra le zolle e nella sua concavità convoglia la rugiada verso al terra. Non solo assapora la rugiada ma anche la brina la pioggia o soltanto l’umidità trasportata dal vento. Tramite i fili d’erba - piccole tenere lingue - la Terra assapora e si nutre dei doni del cielo. Se toccherete un filo d’erba, assaporerà anche voi. A proposito di polpastrelli: avete mai prestato attenzione al fitto intrico di linee sinuose impresse sulle vostre dita, quelle che nei racconti polizieschi lasciano dappertutto impronte digitali? Bene, di certo non sono state messe lì solo per farci beccare dagli investigatori nel caso commettiamo un delitto: servono a ’leggere’ le cose. Sono come dei circuiti elettronici che trasportano informazioni. Qualsiasi cosa noi tocchiamo loro la traducono in informazioni che mandano al cervello; il cervello le interpreta e ce ne svela i segreti. Si può dire che attraverso i polpastrelli noi percepiamo il mondo direttamente: accarezzandolo, volendogli bene. Potrei continuare all’infinito a parlarvi delle magie del mondo che ci circonda. Perché io vivo in questo mondo e questo mondo è magico. Io sono come Alice: vivo nel paese delle meraviglie.

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La Setta dei Seguaci della Befana

E’ ora che il mondo lo sappia: noi bambini ci dividiamo in due grandi categorie: i seguaci di Babbo Natale e quelli della Befana. I primi formano il gruppo più nutrito e numeroso. E’ facile individuarli: sono pasciuti e sempre sorridenti, sprizzano autocompiacimento da tutti i pori, amano il chiasso l’allegria i dolci a profusione i giocattoli a vagonate. Coltivano i buoni sentimenti: il loro ideale è compiere una buona azione il più spesso possibile. Estroversi e amiconi, dispensano a tutti pacche sulle spalle. Non sanno parlarti senza stropicciarti con le loro manone mentre ammiccano rubizzi e sparano battute che per loro sono il massimo della comicità. Vogliono essere simpatici a tutti i costi, insomma. Fischiettano e cantano a squarciagola canzoncine veramente melense: questo perché si sentono ottimisti e pii. Noi che apparteniamo alla setta dei seguaci della Befana siamo, al contrario, abbastanza desolanti. Magri, scarni, emaciati, ossuti, pallidi, musoni, taciturni. Insomma, un vero disastro. Non ridiamo, ghigniamo. Di cantare poi, non se ne parla nemmeno. Ci guardiamo attorno con aria un po’ schifata; al massimo lanciamo occhiatacce di sbieco. Tanto i seguaci di Babbo Natale sono lindi e lustri, tanto noi siamo trasandati e discretamente sporchi, con le facce annerite dal carbone e le tasche piene di cenere. La verità è che odiamo l’acqua: per noi è una nemica mortale. La saponetta poi ci appare come una piccola bestia pericolosa che sa ne sta acquattata, bavosa e schiumante, pronta a saltarci addosso ed aggredirci. Però siamo dei tipi tosti, non c’è che dire. Camminiamo in modo dinoccolato, guardandoci attorno col fare di chi la sa lunga. Ci puliamo le unghie con i temperini, tanto per capirci. Le nostre anime sono nere come il carbone e le nostre emozioni tiepide come la cenere. Quando saremo più grandi, diventeremo punk, dark, dandy, nel peggiore dei casi; nel migliore ladri in calzamaglia nera o assassini assetati di sangue. Le femmine, dal canto loro, sono tutte aspiranti streghe, nel migliore dei casi; nel peggiore, femministe. Di stringere amicizie non se ne parla nemmeno: ci piace starcene per i fatti nostri. E’ già tanto se, saltuariamente, ci troviamo fra di noi per scambiare qualche frase monosillabica. I giocattoli li schifiamo: sono roba per mocciosi; invece ci piace leggere, sopratutto storie dell’orrore: più agghiaccianti sono meglio è. E questo perché amiamo il mistero, l’intrigo, le tenebre, le presenze inquietanti della notte. Nel nostro gruppo c’è uno che scrive cose veramente impressionanti. Non è contento se nei suoi racconti non ci sono almeno due o tre persone morte ammazzate. Quando ce li legge dà alla sua voce un tono da oltretomba e in più non manca di sottolineare le azioni con sinistri scricchiolii, paurosi ululati, urla disumane. Si fa chiamare ’Il Poeta Stramaledetto’ ed ha anche dedicato una poesia alla Befana:

Truce mi sbirci spigolosa torva
adunca e sdenticante slazzi
decrepita de-crepitante balzi e svolazzi
simile in tutto a scornacchiante corva.

Se mi schino compito al tuo cospetto
lesinando da te lumi lunari
e implorando pondati argomentari...
tu mi rimandi modulando un peto.

Astrusa: di sopra puntuta di sotto svasata
secchigna mordace turlupe e sboccata
dispargi gramigne fra i tuoi doni grami
del tuo nero ordito a noi sputi i cascami.

Sei quanto di peggio si possa ponzare
ciò che è edificante ci godi a disfare
nemica giurata di ciò che conviene...
ma forse è per questo che ti voglio bene.

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I bambini bisbigliano nella notte

Una delle cose che noi bambini amiamo fare quando se ne presenta l’occasione è sussurrare le nostre storie, le nostre avventure immaginarie, le nostre più segrete aspirazioni, al buio. A notte fonda capita che ci svegliamo, e allora sibiliamo un ’psss’ di richiamo. Se nella nostra camera dorme qualche altro bambino, ad esempio, un nostro fratello o sorella o un amico ospite di passaggio, immancabilmente arriva un altro ’psss’ di rimando. E’ come se ci si svegliasse nello stesso momento, quasi lo si fosse concordato in precedenza. Ma di rado è così. Di solito ci si sveglia simultaneamente, come rispondendo ad una misteriosa necessità. E la necessità è quella di comunicare a briglia sciolta, protetti dall’oscurità, ciò che abbiamo in animo, sussurrando fitto fitto, quasi fossimo una strana specie di uccelli notturni che cinguetta in modo sommesso. Lanciamo i nostri fievoli cinguettii e li affidiamo al buio che ci circonda impenetrabile: per un attimo sembra che spariscano nell’oscurità, forse per sempre, quasi che il buio - scambiandoli per dei vermiciattoli iridescenti che lo attraversano come guizzi repentini- se ne cibasse prima ancora che possano giungere a destinazione. Ma infine, quando dopo qualche attimo di abissale silenzio sentiamo che dall’oscurità arriva il bisbiglio di risposta, allora tiriamo un sospiro di sollievo. L’effetto di tutto questo bisbigliare nell’oscurità è anche visivo. Le parole ci arrivano come stelle filanti, penetrano nella nostra mente e si ricompongono come immagini fantasmagoriche sullo schermo buio che ci sovrasta. Così le fantasie e i sogni ad occhi aperti ci appaiono simili alle immagini di un film: scorrono man mano che le storie vengono narrate, quasi fossero dei fuochi d’artificio sommessi o dei fiori che sbocciano nel nero campo della notte, innaffiati dalla nostra immaginazione. Se la nostra camera è condivisa da più persone, ecco che il bisbigliare rassomiglia a un brusio ingarbugliato. In questi casi preferiamo radunarci tutti in un punto, ad esempio su un letto o un tappeto, alla luce di una torcia o di una candela. L’effetto è molto suggestivo perché, illuminati da quella luce incerta, sembriamo esseri arcani e misteriosi. Allora anche le nostre storie acquistano un che di stregato, di magico. C’è una mia cuginetta che spesso viene a trovarci. Per me è una festa condividere la mia camera con lei, perché le sue storie sono straordinarie. Lei le chiama ’Storie Misteriose’. Le ho chiesto di trascrivere il racconto della prima delle sue Storie Misteriose, in modo che anche voi possiate conoscerla perché secondo me dice delle cose molto importanti.
La Prima delle Storie Misteriose
Mi ero svegliata nel cuore della notte e non mi ricordavo più dove mi trovavo. Pensavo di essere a casa di amici, ma mi sbagliavo: ero nella mia cameretta. Comunque, di questo mi accorsi più tardi, nel frattempo avevo mandato un mio ’psss’ di richiamo. Solo che anziché arrivarmi il solito ’psss’ di risposta mi giunse all’orecchio un suono simile a un battito ritmico molto ovattato e, subito dopo, un frullare d’ali. Devo dire che mi spaventai. Che fosse entrato un pipistrello? Stavo per accendere la lampada ma poi , chissà perché, ci ripensai. Aprii il cassetto del comodino e afferrai la pila. Scandagliai con la lama di luce qua e là. Poi, attirata da un nuovo frullare d’ali puntai la pila verso un angolo della volta. Fu così che vidi quella splendida, enorme farfalla notturna. Come fu investita dalla luce spiccò un volo e mi raggiunse sul letto. Che bella falena! esclamai. Lei mi scrutava con i suoi grandi occhi neri; sembrava si sforzasse di comunicarmi qualcosa, sentivo che nella mia mente si articolava - no dei suoni. Alla fine mi parve di afferrare queste parole: Non sono una falena, o meglio, sono anche una falena...ma diciamo che sono la tua anima. - Tutto questo mi sembra un po’ assurdo - dissi io - Sei sicura di quello che dici? - Nessuna risposta. - Va bene, ammettiamo che sei la mia anima, non dovresti startene tranquilla dentro di me? - Dentro di te dove? - Ma, non so, da qualche parte. Che so, nel cervello, forse. - Che schifo! In mezzo a tutta quella materia grigia. - In ogni caso, perché te ne vai in giro anziché starmi vicina? E poi, mi spieghi come faccio a vivere senza la mia anima? - Guarda che avere un’anima non è obbligatorio, sai. Molti vivono benissimo facendone a meno. In ogni caso a noi anime non piace starcene rintanate da nessuna parte. Ci piace sgranchirci le ali, dal momento che le ali ce le abbiamo, noi. C’è tanto da vedere in questo vasto mondo; sapessi quante meraviglie! Mica come voi persone che passate la vita a pensare a cose piccine piccine, tipo: ’cosa mi metto oggi’ ’devo fare un po’ di dieta’ ’ Si, ma cosa mangio?’ ’ Ho prestato il mio anellino a quella sfacciata e non me lo ha ancora restituito’ ’ Quel bambino mi piace un sacco ma lui nemmeno mi nota’ ’Ecc. ecc.’ - Non pensavo che le anime fossero così criticone! - E’ che non ci date spazio. Il vostro mondo di tutti i giorni vi assorbe completamente. - Anche a noi bambini? - Beh, con voi bambini è diverso. Voi date maggiore importanza ai vostri sogni, alla vostra libertà. Ma poi, man mano che crescete siete sempre più presi da cose banali, materiali. Vi...inaridite. E così noi anime ci stufiamo e voliamo lontano.- Detto questo svolazzò lontano davvero. - Non voglio inaridirmi! Torna subito qui! - E no, carina. Non è così semplice: la propria anima bisogna conquistarsela. Mica è gratis. E per conquistarla ci vuole una vita- Rispose mentre continuava a svolazzare. - Che devo fare per conquistarti? - Devi solo usare un po’ d’attenzione. Noi non chiediamo altro, solo un po’ d’attenzione. - Ma allora è facile! - No, non lo è. Mi ha detto questo ed è volata via, nella notte. E ora io la cerco. Tendo le orecchie, aguzzo la vista. Ogni tanto sento che mi svolazza attorno, e mi rincuoro. Altre volte la sento lontana, distante. E allora mi dispero. Ma certe notti, nel dormiveglia sento che mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio storie misteriose.

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I Nonsense Illustrati di Gatto Mammone