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Pochi giorni
prima del suo rientro da Praga trovò anche il modo di scrivere una mail ai
suoi genitori, raccontando loro il suo desiderio di trascorrere un paio di
giorni con me prima che iniziasse la stagione lavorativa invernale. Mi inviò
copia della loro risposta. L'accusarono di averli messi di fronte al fatto
compiuto circa la mia presenza a Praga, e le dissero che dopo due mesi di
distanza doveva rientrare a casa, disapprovando così qualunque intento.
E così fu. Il 18 dicembre l'aspettai all'aereoporto dove potei
riabbracciarla. Ancora una volta il suo entusiasmo fu al di sotto delle mie
aspettative, ma oramai ci avevo fatto l'abitudine. Passammo qualche ora
assieme e poi la portai a casa, con una certa amarezza.
Ma era oramai una questione di tempo. Presto avrebbe conseguito la laurea e
poi, come tante volte ci eravamo detti, avremmo potuto pensare ad una vita
assieme più da vicino, con la possibilità di potersi svincolare da un
contesto famigliare troppo limitativo.
Passò ancora un po' di tempo, ma accadde qualcosa di molto diverso.
Lei si legò a quella sorta di abitudine a non avermi lì. La cosa divenne
consuetudine, come se desse adito al proverbio "lontano dagli occhi, lontano
dal cuore". Non sapeva comprendere il bisogno di ricevere un segnale,
piccole dimostrazioni che c'eravamo ancora e che nonostante tutto
l'intenzione di andare avanti c'era.
Cercai sempre di lasciare questo alla sua spontaneità, alla libertà di
esprimersi. Ma venne il momento che mi trovai costretto a farle notare
queste cose, fino quasi a chiederle qualche frase...qualche messaggio che mi
parlasse del suo cuore. Lei ci provava ma erano messaggi ciclici, sempre gli
stessi, e sembrava non le mancassi in modo significativo.
Ne parlai con una sua amica, quella presso cui abitava durante gli studi.
Anche secondo lei mancavano delle dimostrazioni efficaci. Una volta mi
confidò di una accesissima discussione che ebbe con i genitori circa la mia
presenza a Praga, e per il fatto che quindi apparisse evidente che la sua
verginità era oramai compromessa, anche se non fu certo per "mano mia",
visto che già non lo era. Ciò che mi dispiacque di più fu che più volte,
sospettoso dell'influenza diretta o indiretta dei suoi, le avevo chiesto se
fossero mai venuti in discorso, e lei aveva sempre negato. Saperlo per tempo
mi avrebbe dato modo di atteggiarmi con maggior comprensione.
Ma la pazienza continuava a non mancarmi, e la fiducia su un futuro assieme,
per quanto duramente provata da quella sua politica di rinvio ad affrontare
qualsiasi problema, continuava a sopravvivere piena di speranze.
La sessione di marzo, per la sua laurea, le svanì per una manciata di
giorni. Tutto fu rimandato a luglio. Nel frattempo mi prodigai in discorsi,
fatti e rifatti, sull'importanza di raggiungere piano piano un'indipendenza
psicologica che le permettesse di far valere i suoi desideri, la sua volontà
di operare determinate scelte. Ma rimaneva per lo più ancorata lì, ferma
sulla linea di partenza...lasciandomi alla stazione di un treno che, non
essendo partito, non sarebbe nemmeno arrivato.
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