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Ci frequentammo
praticamente ogni giorno. Qualche volta andavo da lei, altre volte veniva da
me. Spesso i week end li dedicava all'attività dei suoi genitori, partiva il
venerdì e tornava il lunedì, ma la cosa non pesava perchè ci restava il
resto della settimana.
A pesare finì invece, col tempo, il fatto che per i suoi io non dovevo
ancora esistere.
Mentalità un po' all'antica, che non permetteva loro di accettare con
tranquillità che la figlia potesse coltivare degli affetti. No. Prima c'era
la laurea da conseguire, nessuna distrazione ammessa.
Lei a modo suo si ribellava a questo. Fuori dalla portata dei loro sguardi
si fumava le sue sigarette, beveva qualche alcoolico da compagnia quando si
usciva, e faceva l'amore anche se i suoi la sapevano ancora vergine.
Le nostre telefonate quando era via erano poco più che clandestine. Nessuna
parolina dolce detta se c'era qualcuno nei suoi paraggi che potesse
ascoltare. Ma la cosa durava poco : un fine settimana si ed uno no.
Quando frequentava le lezioni all'università abitava con una sua amica che
presto frequentò anche lei un ragazzo. Decisero di convivere. Fu allora che
lei venne a stare praticamente in pianta stabile da me, pur continuando a
pagare affitto e consumi dall'amica, perchè per i suoi lei continuava ad
abitare lì.
Ce l'avevo tutti i giorni e tutte le ore con me. Era bellissimo viverla. Io
lavoravo, lei studiava...ma quando tornavo a casa c'era lei ad aspettarmi.
Sembravamo una famiglia esattamente come marito e moglie.
Ma si sa : la scuola non dura tutto l'anno. Venne la prima estate, forse
quella più terribile. Lei tornò dai suoi, c'era la stagione estiva. Da
giugno ai primi di settembre. All'inizio riuscii ad andare da lei un paio di
volte finchè i suoi erano in ferie, ma una volta tornati non potemmo più
vederci per il resto dell'estate. Ci sentivamo tutte le sere, ma rimanevo
invisibile.
Sopportare...resistere...credere...sperare... Da quella sorta di convivenza
alla lontananza forzata. Le proposi di vederci di nascosto se proprio era
troppo presto che i suoi sapessero di me. No, lei non si poteva muovere da
lì nemmeno con una scusa qualunque, nemmeno con una delle tante bugie che
avevo sentito dire da lei "a fin di bene" quando era da me e i suoi la
chiamavano convinti che si trovasse nella sua stanza a casa dell'amica.
Anche il mio passato era indigesto ai suoi. Più volte affrontai questa
questione chiedendole se per lei fosse stato un problema, e lei mi assicurò
sempre che per lei non lo era. Anche se ero stato sposato, anche se il mio
cammino mi aveva portato due figli a lei non importava: con me stava bene,
si diceva innamorata.
Pesava...pesava tanto passare dall'averla tutti i giorni a non vederla per
niente. Cosa si poteva fare? Forse metterci qualcosa di davvero profondo
nelle nostre telefonate, dirci "mi manchi", dirci "vorrei essere lì con te",
dirci "ti amo"...in sostanza fare in modo che qualcosa bilanciasse il vuoto
dell'assenza.
Incisi un nastro-lettera dove misi tutto me stesso per farle sentire che ero
vicino. Ci fu la mia voce, alcune canzoni che le cantai una delle quali
scrissi appositamente per lei, una poesia che mi uscì dal cuore e che misi
in musica. Registrai a sua insaputa una nostra telefonata e la feci
partecipare a quella che voleva essere un modo di esserci, un modo di essere
visibile nell'invisibilità. E gliela mandai. Non so quante volte l'ascoltò
quella cassetta. Forse una solamente o più volte. So che mi ringraziò ma non
ne parlò più.
L'aspettai fino al giorno in cui tornò, e tutto fu come ce lo ricordavamo.
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