800: Questione Meridionale

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I Macchiaioli

Mentre si stava costruendo l'Unità d'Italia, gli artisti più sensibili affermano la necessità di un'arte nazionale, capace di intraprendere le istanze più vive del tempo. Gli insegnamenti impartiti nelle accademie di Belle Arti non rispondevano più alle esigenze di un'arte che si vuole avvicinare alla vita reale. I soggetti prescelti dai nuovi artisti non sono più quindi modelli statici o di maniera, ma frammenti di vita contemporanea, della quale si ha esperienza diretta. Ma l'interesse dei pittori Macchiaioli va a tutta la realtà e in particolare a quella quotidiana e degli affetti familiari. I Macchiaioli prendono il loro nome dalla tecnica con la quale dipingono: la macchia.
È Telemaco Signorini a proporre di adottare questo termine, accettando con provocatoria ironia, un aggettivo che la stampa del tempo utilizza a fini esclusivamente denigratori nei confronti del gruppo di pittori che si riunisce al Caffè Michelangelo intorno a Diego Martelli. Durante i loro soggiorni a Parigi, infatti, alcuni di loro osservano le opere e la tecnica degli artisti francesi che affrontano il tema del vero in pittura. Tornati in patria, dipingono su piccole tavole dei paesaggi; si radunano poi al "Caffè Michelangelo" e ne discutono. Il pittore lavora prevalentemente all'aperto e fissa le immagini con macchie di colore, cercando di rendere nel modo più esatto la sua esperienza visiva, che coglie innanzitutto un insieme di luci e colori. La macchia rappresenta il modo più semplice e utile per ottenere quella sensazione che, le nostre percezioni visive colgono grazie alla luce.
Differentemente dalle virgolettature impressioniste, le macchie sono campiture più o meno estese di colori elementari: non c'è disegno e la sensazione complessiva che ne deriva, è quella di gran solidità. Ne risulta grande vivacità e immediatezza: i contorni non ben definiti quasi si mescolano con le macchie confinanti. Le larghe pennellate lasciano intravedere, qua e là, spazi di tela o tavola non dipinta. Il risultato finale è che il nostro occhio, pertanto, viene colpito unicamente dai colori, organizzate in masse contrapposte: i limiti di un oggetto sono allora definiti dal brusco passaggio da un colore all'altro ed è proprio la differenza cromatica che ne determina l'esatto contorno. Tra i più noti Macchiaioli, vi sono il napoletano Giuseppe Abbati (1836 - 1868), il veronese Vincenzo Cabianca, il romagnolo Silvestro Lega, e i toscani: Cristiano Banti, Raffaello Sernesi, Telemaco Signorini (1835 - 1901) e, il più famoso di tutti i Macchiaioli, Giovanni Fattori. Essi propugnano la necessità di creare un'arte nazionale, capace di interpretare istanze più vive della realtà del tempo. Gli insegnanti impartiti nelle Accademie di Belle Arti non li soddisfano. Essi non vogliono ritrarre modelli statici o di maniera, ma frammenti di vita contemporanea. Tra i loro soggetti vi sono naturalmente i grandi avvenimenti del Risorgimento. I Macchiaioli sono però attenti alla realtà quotidiana e a quella degli affetti familiari. Così i loro dipinti sono una fedele testimonianza della vita borghese dell'Italia ottocentesca: valori familiari e lavoro. Le opere di questi artisti, poi, riflettono anche le idee anarchiche e socialiste che, nella seconda metà del secolo, si vanno diffondendo, sia pur lentamente, in Toscana. Un esempio è "La sala delle agitate" di Telemaco Signorini: il pittore ritrae l'interno del manicomio femminile di Firenze, dando prova di grande attenzione per i temi sociali, per i poveri e per gli emigranti. Il movimento macchiaiolo, ha avuto il suo sviluppo tra il 1855 e il 1867, ma i suoi influssi continueranno fino al Novecento. Ecco qui un famoso quadro di Fattori che rappresenta il territorio italiano nei pressi di Magenta, dopo la grande battaglia.

Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta


"Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta" di Fattori Giovanni
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