In bilico fra intelligenza e follia
di Ezio Giacobini per La Stampa, 13 marzo 1996
Due nuove ricerche confermano la connessione tra
genialità e malattia psichica
Esiste una relazione tra genio
e malattia mentale? Possono la depressione o lo stato maniacale
influenzare la produzione di un artista? O la psicosi maniaco-depressiva
contribuire al suo successo? Da vent’anni psichiatri e psicologi
cercano di rispondere a queste domande esaminando centinaia di
casi di artisti famosi, documentati dalle loro cartelle cliniche.
Riesaminando i principali studi pubblicati sulle riviste di psichiatria,
si può giungere alla conclusione che un reale rapporto
tra genio artistico e malattia mentale sia un’ipotesi sostenibile.
Ciò sembra esser vero in particolare per le forme maniaco-depressive,
usando però criteri epidemiologici non si può affermare
che un disturbo grave di tipo affettivo porti necessariamente
al genio artistico. Sappiamo che circa l’uno per cento della popolazione
soffre di quella forma particolare di psicosi maniaco-depressiva
detta bipolare per l’alternarsi di alti e bassi. Essa si contrappone
alla forma chiamata unipolare ad andamento esclusivamente depressivo,
che corrisponde al 5 per cento della popolazione. Il 60-70 per
cento degli individui che commettono suicidio sono affetti da
una di queste due forme. Durante la fase maniacale l’individuo
si sente su di giri, dorme di meno, ma è più attivo,
molto produttivo anche se talvolta più irritabile o addirittura
paranoie. Munito di una incrollabile fede di essere nel giusto,
può intraprendere qualsiasi avventura e correre qualsiasi
rischio. Grandiosità, impulsività e scarso giudizio
sono tra le caratteristiche principali di questo stato d’animo,
che si è tentato appunto di associare a una maggiore creatività
artistica. Uno degli studi più importanti è quello
dell’americano A.M. Ludwig, che esamina la vita di ben 1005 artisti
del XX secolo, molti dei quali sono dovuti ricorrere a terapie
psichiatriche. I dati rivelano una incidenza maggiore di malattie
mentali ( psicosi in genere e forme depressive o maniaco-depressive
) tra scrittori, musicisti e pittori rispetto alla popolazione
generale. La differenza è di 2 o 3 volte. Maggiore è
anche la percentuale di suicidi e tentativi di suicidio, alcolismo
e uso di droga. I poeti sembrano maggiormente affetti da forme
maniaco-depressive e psicosi in genere, con una frequenza di suicidi
18 volte maggiore. Un secondo recente studio è quello di
Jamison su 47 artisti ( scrittori e pittori) inglesi, che riporta
una frequenza di quasi il 40 per cento di trattamenti psichiatrici
di vario tipo. Tra questi troviamo molti nomi famosi, come, ad
esempio, Lord Byron. Tennyson ed Edgar Allan Poe, che di se stesso
dice: “ la gente dice che sono pazzo, in effetti non si sa se
la pazzia non sia invece una suprema forma di intelligenza “.
Tra i pittori e i compositori ricordiamo Van Gogh, Gauguin, Robert
Schumann, Ravel e Mahler. Tra gli scrittori si possono citare
come casi psichiatrici Ernest Hemingway, Tennessee Williams, Ezra
Pound, Mark Twain e Virginia Woolf. Il caso di Van Gogh è
certo tra i più studiati, con l’attribuzione postuma di
diagnosi quali schizofrenia, intossicazione da assenzio, Porfiria
intermittente, psicosi maniaco-depressiva e morbo di Menière.
Poiché la forma maniaco-depressiva è caratterizzata
da cicli di umore basso e alto, come si riflette il tono mentale
sulla produzione artistica? Il caso più esemplare è
certamente quello di Schumann e della sua produzione musicale.
A un periodo discreto, con un anno ( 1832) che lo vedeva produrre
quattro lavori musicali, segue un tentato suicidio a una fase
di bassa creatività. Dopo vari periodi di alti e bassi,
troviamo un picco di alta produzione ( 1840, 26 lavori ) durante
una fase ipomaniacale durata circa un anno. Altri bassi e alti
poi un nuovo periodo maniacale ( 1849 ) che coincide con il massimo
livello di produzione dell’artista ( 28 opere in un solo anno
). Infine, nel 1854, arriva a un crollo con un secondo tentativo
di suicidio seguito da ricovero in ospedale psichiatrico; un periodo
artisticamente sterile, che finisce con la morte del musicista.
Mettendo su un grafico i vari periodi, si manifesta una corrispondenza
quasi perfetta tra lo stato mentale e la produzione. Rimane da
considerare il problema dell’ereditarietà del genio e della
malattia mentale. Il figlio di Schumann fu lui stesso ricoverato
per un periodo di trent’anni per disturbi analoghi a quelli del
padre. La psichiatria moderna tende a suggerire che psicosi maniaco-depressiva
e genio artistico abbiano una tendenza a ricorrere in certe famiglie.
Vari studi compiuti sui gemelli tenderebbero a confermarlo, tuttavia
un gene collegato a tale malattia non è stato ancora trovato.
Un buon esempio di ereditarietà è quello della famiglia
di Lord Tennyson, probabilmente affetto da malattia mentale: il
padre, il nonno, due bisnonni e ben cinque dei sette fratelli
soffrivano di grave melanconia, depressioni e fasi incontrollabili
di iperattività. Una relazione tra forma maniaco-depressiva
e produttività non dovrebbe stupirci. Caratteristiche comuni
sono la possibilità di creare molte opere originali, poche
ore di sonno, la capacità di mantenere la concentrazione
fissa su un determinato progetto senza alterarne il livello e
soprattutto l’abilità di sentire profondamente una varietà
straordinaria di emozioni e stati d’animo, gli ingredienti più
utili all’artista per finalizzare l’opera. Il tono maniaco-depressivo
non sarebbe in fondo altro che un’esaltazione della sensibilità
e della reattività comune prodotta da un sistema nervoso
operante al massimo livello e in grado perciò di registrare
cambiamenti minimi e rispondere al mondo esterno con uno spettro
di reazioni emotive e intellettuali di alta tonalità e
colore. Qual è il compito dello psichiatra di fronte al
genio artistico? Ovviamente duplice: alleviare la sofferenza specie
nella fase depressiva senza estinguere la creatività nella
fase maniacale.