Circeo, novembre  1964: incontri ravvicinati con lo squalo bianco sulla secca del quadro



Venerdì 18 novembre 1964 due pescatori subacquei, Gino Felicioni e Cesare Polidori, in immersione sulla solita "secca del Quadro" del Circeo, ebbero uno spiacevole e pericoloso incontro con una coppia di grandi squali bianchi
.
Non era la prima volta che su questa grande secca, che si estende per molte miglia quadrate al largo del promontorio del Circeo, subacquei e pescatori incontravano e venivano attaccati dagli squali (casistica culminata con il drammatico attacco mortale al fotografo Maurizio Sarra
 ).

Il racconto dell'attacco e della successiva cattura di uno dei due squali bianchi da parte dei due subacquei ci viene raccontato dal compianto Raniero Maltini, che pubblicò su Mondo Sommerso una accurata descrizione dell'accaduto.

"...a trenta metri di profondità, sulla secca del Quadro, era tutto come al solito quel venerdì 18 novembre. Gino Felicioni e Cesare Polidori vi si erano immersi insieme. Avevano raggiunto la secca a bordo del "Ros": dieci metri, diesel da 50 hp, ecoscandaglio e compressore. Il mare era calmo e l'acqua non era poi neanche troppo fredda .(...) Cesare, quella volta nonostante l'attenzione, aveva però perso di vista Gino, il quale pinneggiava senza far rumore intorno alla tana delle ombrine, e s'era indugiato a studiare una tana con la cernia dentro. Non aveva fretta. Si sentiva molto bene e gli piaceva far le cose con calma. D'un tratto si vide sciamare intorno un plotone di pesci pilota. Si voltò istintivamente e vide venir fuori dalla foschia dell'acqua leggermente torbida uno squalo scuro che avanzava con la massa terrificante del suo corpo mastodontico. In quel momento, pur attanagliato dalla paura, Cesare cercò di non farsi prendere dal panico: pensò rapidamente a tante cose, rimproverandosi anche per essere ritornato al Quadro, ben sapendo della presenza di queste belve, che aveva visto tante volte con i propri occhi.

(...) Si fece forza, e reagì con calma e con decisione: non voltò le spalle allo squalo, ma lo fronteggiò puntandogli contro. La bestiaccia s'allontanò, ma lui non ebbe neanche il tempo di accorgersene, si può dire, ché lo squalo ritornò sui suoi passi e cominciò a descrivere minaccioso dei giri concentrici intorno a lui. Quando Cesare decise di tentare di risalire verso la superficie, i giri s'erano ormai stretti paurosamente. Un estremo tentativo di spaventare il bestione andò a vuoto: infatti il colpo di arbalete sparato da circa due metri, non scalfi nemmeno la pelle dell'animale. Mentre lui saliva verso la superficie, lo squalo s'incollò quasi alle sue pinne e non lo mollò un istante. Quando riemerse si mise a gridare, all'indirizzo della barca. Il "Ros" arrivò velocemente ma, per l'abbrivio, andò a fermarsi 100 metri più in là. (...) Cesare si immerse ancora. E ancora si ritrovò quasi faccia a faccia con lo squalo, che non si era stancato di puntare le sue pinne nere. Quando nuovamente riemerse, la barca era accanto a lui e fu issato rapidamente a bordo dai compagni. Nel frattempo anche Gino era emerso lontano e agitava un braccio. Il "Ros" puntò su di lui e lo prese a bordo. Gino raccontò senza apparente eccitazione, che aveva sbagliato una cernia fuori tana e che quest'errore lo aveva salvato da uno squalo. Dopo il colpo andato a vuoto, aveva recuperato l'asta e ricaricato il fucile e s'era messo a vedere se aveva qualche possibilità di sparare ancora alla cernia da un'altra posizione: perciò fu costretto a spostarsi. Pochi attimi più tardi, proprio nel punto in cui Gino si trovava prima, notò una sagoma scura. Passò lentamente e sparì al limite della visibilità. (...) Mentre Gino si sfilava il corpetto della muta sul "Ros", spuntò dall'acqua una terribile falce nerastra. Uno squalo di proporzioni gigantesche, lungo almeno sei metri e mezzo, venne su per grattarsi la schiena contro il salvagente del "Ros", che era stato gettato in acqua con una cima legata ad un'ancora per segnalare il punto più basso della secca. Lo squalo era a non più di quattro metri quando Gino afferrò il fucile subacqueo e sparò un colpo inutile. La pinna svettava tutta fuori dell' acqua. Era lunga circa ottanta centimetri e forse più. Si trattava d'una enorme femmina con una macchia scura dietro la pinna pettorale destra, certamente era lo stesso bestione che aveva attaccato per un quarto d' ora Cesare Polidori sott' acqua; il maschio invece era quello nel quale s'era imbattuto Gino e che ora stava circolando a poco più di trecento metri, mentre la sua compagna giocava col salvagente".

I due subacquei decisero di organizzare una battuta di pesca nei giorni successivi, per tentare di catturare i due squali e, con altri amici e con una seconda imbarcazione, armarono una lunga coffa, ancorata sul fondo, dotata di galleggianti per farla orientare in base alla corrente, a cui attaccarono catene di varie lunghezze con grossi ami da pescecane. Gli ami furono innescati con carne di cavallo o mammella di vacca intrisa di sangue. L' ancoraggio di questo sistema di coffe venne effettuato mediante un grosso bidone riempito d'acqua, per evitare la possibilità che lo squalo, una volta abboccato all'amo, potesse esercitare troppa forza contro un ancoraggio fisso e strappare la catena o il nylon con cui erano collegati tra di loro i barili galleggianti. Tra un bidone e l'altro c'erano circa 20 metri e le catene a cui erano collegati gli ami erano di diverse lunghezze, per poter arrivare a profondità diverse e aumentare la possibilità della cattura. Vi sono vari tipi di esche e di inneschi e ogni pescatore ha il suo modo, più o meno segreto, per dare la massima efficacia all'esca e per attirare le prede. Chi usa pasturare con bidoni pieni di sangue, chi con sacchetti pieni di spugna intrisa di sangue, chi mediante ultrasuoni o pesci feriti.

Il racconto della battuta di pesca riprende poi così:

"Il "Sayonara" trovò ben quattro ami strappati, mentre il quinto era intatto. In realtà, tra la catena e il bidone galleggiante era stato messo del nylon che lo squalo aveva potuto spezzare seguendo un sistema ingegnoso, già osservato sui palombi. Mettendosi col corpo lungo la catena, l'animale stringe questa sotto la pinna pettorale, mette in tensione la coffa, quindi dà dei terribili colpi secchi con la coda fino a che riesce a tagliare il nylon. Dei due ami del "Ros", uno era stato anch'esso strappato dallo squalo.
Il "Sayonara" rimase in mare quasi tutto il giorno, e dalle sette del mattino a mezzogiorno un grosso squalo gli girò intorno ininterrottamente; aveva una macchia scura sotto la pinna pettorale destra! Il "Sayonara" aveva di poppa una boa con la catena e con l'amo innescato con carne di cavallo. Lo squalo si faceva annunciare da un sordo rimescolio d'acqua; una mezza dozzina di pesci pilota giallo-arancione a righe nere, che potevano pesare dal mezzo chilo al chilo, lo precedevano di un paio di metri. Due volte l' animale si avvicinò al "Sayonara" e due volte Giustiniano gli sparò col "Greener" senza colpirlo. Dopo il lungo carosello con tutta la sua numerosa corte di pesci pilota, lo squalo s'allontanò definitivamente." (...)
Dopo questa infruttuosa battuta, fu deciso di riprendere il mare il martedì successivo, e una barca portò le coffe nuovamente nel punto dove erano stati avvistati in precedenza gli squali. Questa volta non venne fatto l'errore di unire la cima di nylon alla catena, che fu agganciata direttamente ai bidoni galleggianti. Il gruppo, a bordo delle due imbarcazioni, decise di passare la notte a guardia dei bidoni, alternandosi di guardia per dare l' allarme nel caso i pescecani avessero abboccato.

"...verso le due e mezzo, prima ancora di ancorarmi passammo in rassegna le varie coffe, sia nostre che del "Sayonara", ma tutto era tranquillo e niente lasciava prevedere ciò che sarebbe successo da lì a poche ore. L'ultimo turno di veglia venne fatto da Guido Tigri. Il freddo era intenso e Guido faceva degli sforzi per non battere i denti. (...) Alle cinque e mezzo, quando le prime strisce di rosa incominciavano a rigare il mare, dal "Sayonara", che nel frattempo era arrivato, partirono alcuni colpi di fucile. Guido fu l'ultimo a svegliarsi sul "Ros", rimasto per diverso tempo senza guardia. Dal "Sayonara" vedevano un impermeabile giallo fuori dalla tuga che si agitava come un ubriaco e non riuscivano a capire come mai non rispondevamo ai segnali. Il mistero fu svelato quando spiegammo che si trattava soltanto d'un impermeabile giallo appeso fuori dalla tuga che faceva strani movimenti mosso dal vento. Dal "Sayonara" smisero di sparare quando si accorsero di aver attirato la nostra attenzione. Uno dei tre bidoni, quello di mezzo, era semi-affondato ed il "Sayonara" era vicino a questo. Gli altri due erano perfettamente a galla. Il bidone di mezzo non sembrava opporre molta resistenza. Faceva vagamente sospettare un peso all'estremità della catena, che venne salpata piano piano. La sensazione che uno squalo fosse afferrato all'amo in fondo alla grossa catena fu improvvisa. La resistenza aumentò man mano che la catena saliva. Sul "Sayonara" si vissero momenti di sospensione. Tutti e quattro gli uomini erano come uniti loro stessi alla catena. Finché si cominciò a scorgere dalla profondità una testa enorme appiattita e le larghe pinne pettorali dello squalo. Un amo gli trapassava la guancia. Era rimasto attaccato a quell'amo per qualche ora e doveva essere stanco di tirare.

lo squalo bianco sta per essere catturato Lo squalo si fece alare quasi sotto la barca senza opporre molta resistenza. Quando il suo naso, le fauci socchiuse e gli occhi spuntarono dall'acqua egli ci apparve in tutta la sua mostruosità e mi venne in mente la definizione che ne aveva dato William Travis, in un suo famoso libro : "il più perfetto meccanismo di distruzione creato dalla natura". Non appena fu tirata sottobordo, la bestia si scosse improvvisamente cominciando a menare furiosi colpi di coda; in barca scoppiò allora il caos. Chi correva a destra, chi correva a sinistra. S' intralciavano a vicenda mentre a pochi metri di distanza, impotenti e sbigottiti, assistevamo all'azione. Lo squalo sembrava aver recuperato in pieno la sua forza scatenata. (...)

Giustiniano però mantenne chiare le idee. Afferrò la prima arma che gli venne sottomano e sparò al bestione, che stava si e no a un metro di distanza. Il colpo della doppietta calibro 12 sparato a lupara investì lo squalo sulla testa, ma i pallini si fermarono a fior di pelle formando una larga macchia nera. Giustiniano allora caricò il "Greener" e mirò questa volta dietro le branchie. L'arpione s'infilò nella dura pelle come se fosse burro e penetrò in profondità. Un fiotto di sangue tinse di rosso l'acqua tutt'intorno. Lo squalo perse rapidamente le forze e incominciò a sussultare. Ora davvero era agli ultimi suoi istanti di vita. Richiamato dal sangue del compagno morente in quel momento apparve vicino al "Sayonara" il secondo squalo, la femmina. Sei, forse sette metri di lunghezza, cominciò a girare indecisa intorno alla barca. Un giro, due giri, sempre più vicino, poi un terzo passaggio questa volta sotto la barca. Giustiniano preparò il "Greener". Man mano che si avvicinava, la grande pinna caudale tendeva a sparire sotto il pelo dell'acqua. Ancora un po' e lo squalo sarebbe ripassato sotto la barca. In altri momenti le pinne dorsale e caudale emergevano nettamente dall'acqua. Ma ora la sorte del compagno rendeva prudente la femmina che raramente sfiorava la superficie, mostrando il dorso. Era a circa otto metri dal "Sayonara" quando Giustiniano lasciò partire il colpo di "Greener". L'arpione saettò velocissimo e s'andò ad infilare subito sotto la pinna dorsale. Per due secondi abbondanti non vi fu reazione. Il tempo sembrò essersi fermato come in una fotografia, quindi la grossa sagola di nylon cominciò a filare velocemente. Finiti i cinquanta metri del nylon, la boa di segnalazione, lanciata in mare partì come un razzo sollevando una scia di spuma sull'acqua. A bordo del "Sayonara" la confusione era scomparsa; interpretando intuitivamente un loro gesto ci gettammo all'inseguimento della boa con il "Ros". Aumentammo l'andatura sempre più, senza però riuscire a raggiungere la boa che correva come un motoscafo. Continuò la sua corsa per circa 250 metri. quindi rapidamente scomparve sott'acqua. Quando riemerse, dopo alcuni secondi, galleggiava immobile. Ci precipitammo a recuperarla. Attaccato all'arpione c'era un largo brandello di carne. Lo squalo purtroppo se n'era andato.

Felicioni e lo squalo catturato Ricomparve più tardi, mentre stavamo trainando lo squalo catturato, che avevamo legato con una cima a poppa. La femmina si manteneva sempre ad una notevole distanza dalle barche, e ci seguì fin quasi nel porto di Terracina. non scoraggiata nemmeno da un altro colpo di "Greener" in un momento in cui, ripresa confidenza, si era nuovamente avvicinata. Il colpo però non era andato a segno. (...) Quando mancava poco al porto vedemmo la femmina, indecisa, rallentare l'andatura, farsi più lontana, scomparire infine. " Lo squalo catturato era un maschio di Carcharodon carcharias della lunghezza di 320 cm. e del peso di 380 chilogrammi. La femmina dello squalo bianco, dopo ripetute ricerche lungo la secca del Quadro, non venne più avvistata.

Fonte: "Squali del Mediterraneo" A.Giudici - F.Fino -- ATLANTIS


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