Circeo, settembre 1956
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A momenti mi pare che sia la corrente a farla oscillare: comunque proseguo e, sempre attaccato alla corda, pinneggiando leggermente, vado... e già, vado dritto addosso al pescecane che ha abboccato. È un attimo: il bestione appena mi vede con tutto l'amo e la catena in bocca mi si lancia contro. Faccio appena in tempo ad appiattirmi dietro una bassa roccia, che mi passa sopra: per un pelo non mi storce la mano che tiene ancora stretta la corda dell'amo. Prima che la corda si tenda tutta e che lo squalo ripeta la manovra, schizzo fuori dall'acqua, m'aggrappo al motoscafo. Grido: «C'è un pescecane!». A bordo non se l'aspettavano e per un attimo sono presi dal panico. Nessuno sa più che fare: la moglie di Bennati quasi sviene; Bennati parla, si agita senza concludere niente, e nessuno m'aiuta a salire. Io resto coi piedi nell'acqua e le bombole che mi pesano sulle spalle bestemmiando come un turco. Finalmente si ristabilisce la calma e cominciamo a salpare tutto il sistema di corde che avevamo messo in acqua per tirare a galla la bestia. Ci vuole una mezz'ora buona di lavoro prima che il grande squalo appaia in superficie dibattendosi con furia. Prendo il fucile Greener, assicuro l'arpione ad una grossa sagola e sparo: l'acciaio penetra tutto nelle carni della bestia, senza provocarne un sussulto.
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