In questi ultimi tempi sono usciti vari libri che si sono occupati di una pagina tragica della storia italiana sino a pochi anni fa ghettizzata nel chiuso mondo degli esuli giuliano-dalmati: la storia delle foibe e delle sue vittime. Dopo oltre cinquant'anni sembra che di colpo sia maturato il momento di togliere il velo su quei morti e sulla loro storia. Il libro di Guido Rumici si iscrive a pieno titolo in quest'opera meritoria. Lo fa con un lavoro approfondito di ricerca, di compulsazione delle fonti, di analisi dei documenti di archivio e con le testimonianze di sopravvissuti e testimoni oculari in grado di narrare in prima persona il destino atroce di chi veniva gettato, alle volte ancora vivo, nelle voragini carsiche di cui il territorio istriano è ricco.
Innanzitutto Rumici inquadra il fenomeno nei rapporti spesso contrastati tra le varie etnie istriane in cui la componente italiana era maggioritaria nella città e la componente slava (soprattutto croata e slovena) nelle campagne. Rapporti che non furono mai del tutto idilliaci ma che i nazionalismi del XIX secolo portarono inevitabilmente ad uno scontro che il Regno d'Italia ed in particolare il ventennio fascista inasprirono attuando quella politica di omogeneizzazione culturale tipica degli stati nazionali dell'epoca (vedi l'opera di deitalianizzazione operata dalla Francia in Corsica). La guerra scatenata dall'Asse che portò all'invasione della Jugoslavia e l'annessione all'Italia di gran parte della Slovenia e della Dalmazia fornisce il quadro in cui la triste pagina delle foibe funge da corollario una volta che le sorti della guerra mutarono. Così Rumici tratteggia il disfacimento dello Stato Italiano susseguente 1'8 settembre con lo sfaldamento del Regio Esercito (a parte pochi reparti isolati), l'irrompere dell'esercito tedesco e le bande partigiane titine, i nazionalisti croati ustascia, i cetnici serbi, i reparti della Repubblica di Salò ecc.: iniziava quella guerra di tutti contro tutti mentre la popolazione italiana della Venezia- Giulia assisteva indifesa.
Rumici non manca di sottolineare come il destino degli italiani di quei territori di frontiera fosse segnato anche dalle divisioni interne causate da quell'internazionalismo comunista che considerava come non fosse importante "l'appartenenza nazionale, bensì la scelta di classe" dato che i veri comunisti erano "senza patria" ovvero la patria era là dove si conduceva la lotta contro i borghesi ed i capitalisti". Cosa che, se valeva in massima parte per i comunisti italiani di Togliatti, che sposarono appieno tale idea, non valeva per i titini i quali operarono con sistematicità "non solo contro tutti coloro che avevano militato nelle organizzazioni fasciste, gerarchi e semplici militanti, ma pure, più in generale, contro tutte le persone che rappresentavano in qualche maniera lo Stato Italiano. ed i suoi enti locali, visto come il principale nemico da abbattere, ora che il fascismo era caduto"; ed è questo uno dei motivi per cui, come dice lo stesso Rumici in un'intervista al Secolo d'Italia del 15 maggio 2002, è calato un velo colpevole di silenzio sulla vicenda "foibe" poiché: "C'era tutto l'interesse a tenerla nascosta. Nel secondo dopoguerra le etichette affibbiate sia agli esuli ("tutti fascisti") sia ai rimasti ("tutti comunisti"), facevano comodo alla politica del tempo. Regnava il pregiudizio. All'epoca la nostra sinistra era legata allo schema internazionalista comunista. E i misfatti fatti dai partigiani Tito andavano coperti".
Oltre ad un elenco puntuale delle vittime, Rumici non manca di analizzare il fenomeno delle Foibe nella sua essenza, operando una prima grossa distinzione tra le vittime della prima ondata nell'autunno del 1943, ascrivibili in parte ad un moto spontaneo di rivolta contro l'ex classe dominante in cui c'era una componente di jaquerie popolare a cui partecipò sia l'elemento slavo delle campagne che elementi italiani delle città ed in cui non mancarono delazioni e vendette personali anche per meschini interessi personali; dagli infoibamenti più sistematici e mirati operati a partire da 1945 in cui si può intravedere la volontà politica di Tito di risolvere una volta per tutte il contrasto etnico istriano, terrorizzando la popolazione italiana ed inducendola a quell'esodo che ne stravolgerà per sempre la fisionomia, che era sostanzialmente passata indenne attraverso i più svariati regimi. Sempre nell'intervista al Secolo d'Italia Rumici puntualizza che "si cercò di colpire tutte quelle persone che rappresentavano in qualche modo lo Stato italiano.
Andando a confrontare nelle varie località chi fu eliminato, si vede che grosso modo furono uccisi appartenenti alle stesse e significative categorie. Insegnanti, segretari comunali, rappresentanti delle forze dell'ordine, carabinieri, poliziotti. Non esclusivamente fascisti in quanto tali, quindi, ma cittadini espressione dell'Italia sul territorio". Il che porta Rumici a sostenere la tesi, avvalorata da tante testimonianze e da tanti documenti doverosamente citati nel libro, che non si trattò soltanto di un moto popolare di reazione a vent'anni di fascismo, come vorrebbe certa storiografia di parte, ne un'esplosione incontrollata di vendette personali, ma si trattò soprattutto di un preciso, preordinato progetto tendente all'eliminazione dell'elemento italiano colpendo in particolare tutti coloro che per cariche pubbliche ricoperte, per prestigio personale o per aver lottato contro il fascismo potevano vantare il diritto di opporsi all'annessione dei partigiani comunisti slavi. Pertanto fu essenzialmente un disegno politico di distruzione della classe dirigente italiana, vista come un ostacolo all'affermazione del nazionalismo sloveno e croato, con la finalità ultima di costringere il popolo minuto, senza più alcun punto di riferimento e senza più alcuna certezza, a prendere la dolorosa via dell'esilio.
Una ultima doverosa menzione va fatta alla sezione Documenti, posta in appendice all'opera di Rumici, che mette a disposizione del grande pubblico la preziosa "Relazione", stilata dall'Ufficio "J" del comando Militare Alleato di Pola, dell'interrogatorio del maresciallo dei Vigili del Fuoco di Pola Arnaldo Harzarich, che si occupò dell'esplorazione delle foibe e del recupero delle vittime, ove possibile, tra il 16 ottobre 1943 ed il 2 febbraio 1945. Rapporto che ci fornisce, in uno stile asettico e burocratico, la tremenda drammaticità delle foibe, il nero inghiottitoio, in cui sono scomparsi migliaia di italiani.
Certo il lavoro di Rumici è un primo passo, seppure importante, per svincolare l'analisi del fenomeno delle Foibe da interessate interpretazioni di parte; va detto però che una approfondita analisi degli archivi di stato italiano, croato, serbo e sloveno è ancora da fare perché ancor oggi tanti documenti essenziali per capire il fenomeno giacciono ben occultati e solamente quando tutti gli omissis verranno tolti e tutti i documenti verranno aperti ai ricercatori (come per esempio l'incartamento Masserotto) si potrà avere sia un elenco più esaustivo ed attendibile delle vittime e sia un'analisi degli elementi "politici" che scatenarono gli eccidi; resta il fatto che "Infoibati" è l'opera che, meglio di tutte quelle apparse sinora, fornisce il quadro più attendibile del fenomeno e rimarrà a lungo una pietra miliare per chi abbia la voglia di approfondire quella lontana e tragica pagina della nostra storia nazionale.
Gianclaudio de Angelini
pubblicata sulla Fiume "Rivista studi Adriatici"(6) Anno XXII -n°7/12 -Lugl-Dic 2002 da parte di Gianclaudio de Angelini.