Tra il settembre del 1943 e la primavera del 1945, i partigiani di Tito massacrarono migliaia di persone in Venezia Giulia, gettandone i corpi, spesso ancora in vita, in profonde voragini naturali: le foibe. Altre migliaia di uomini e donne furono deportati e non fecero ritorno. Gli infoibati, il cui numero viene stimato oggi intorno alle 5.000 unità, furono soprattutto italiani residenti o comandati in zona per ragioni di servizio.
Con documenti di fonte jugoslava, inglese e italiana, testimonianze dirette di parenti e sopravvissuti, fotografie, il giovane storico Guido Rumici, assemblando le ricerche fin qui pubblicate , ha ricostruito in modo puntiglioso nel libro Infoibati, 1943-1945 (Mursia, pp. 498, 22) uno degli episodi più agghiaccianti e controversi della nostra storia. Oggi sappiamo che si trattò di una sorta di epurazione preventiva, diretta a eliminare tutti gli oppositori, anche solo potenziali, al disegno di annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Una tesi che imbarazza ancora e che si fa strada tra le tante concause (la violenza dell'occupazione fascista, lo scontro tra nazionalismi ecc.) che alimentarono il fenomeno.
Frediano Sessi