Una valigia fatta troppo in fretta

 

Possiamo pensare che la vita non sia eterna, possiamo pensare che la morte sia una causa naturale, una tappa obbligatoria del nostro viaggio, ma quando questa arriva troppo presto, quando arriva a 23 anni, possiamo avere un atto di forte ribellione.

Matteo ci ha lasciato e noi ci stiamo chiedendo, tutti sconcertati, “PERCHE’?” ma non ci sono risposte, non c’è nessuno che possa avere parole di conforto per i genitori, per coloro che l’anno conosciuto e amato.

Matteo, 23 anni, ragazzo che adorava la vita e che la vita lo aveva privato della salute facendogli il dono della Duchenne; Matteo, ragazzo che avrebbe voluto sfondare nel mondo dell’informatica, portato in modo esaltante per il computer, aveva convinto anche me a prenderlo e, spesso, mi spiegava, solo per telefono, le cose che dovevo fare, i programmi che non riuscivo a comprendere.

Matteo che amava la velocità e la sua unica super macchina era la sedia a rotelle che, spesso, pensava di far truccare per correre un po’ di più.

Matteo, capace di vivere la vita giorno dopo giorno, senza infierire contro il destino che era stato con lui troppo avaro, che non gli aveva offerto che delusioni e privazioni, che non gli ha mai dato la gioia d’essere come tutti i ragazzi della sua età, che non ha mai potuto sapere cosa potesse essere la gioia di andare a ballare, di andare ad un cinema in compagnia di una ragazza, di fare il ragazzo “NORMALE”; ci ha lasciato per intraprendere un viaggio prematuro, un viaggio senza ritorno.

E’ partito troppo improvvisamente, senza darci il tempo di capire che era fra noi e che potevamo ancora fare delle cose per lui.

E’ partito, troppo in fretta, con il suo bagaglio fatto di una grandissima forza di volontà, di dolcezza.

Non ci ha lasciato tempo sufficiente per potergli dire il nostro grande affetto. Si rimandava sempre al giorno dopo, senza rendersi conto che con lui, anche il tempo, era divenuto tirchio e passava troppo in fretta.

Ci manca, ci manca tanto e non possiamo più tornare indietro, non possiamo più averlo qui per dirgli le tante cose rimaste da dirgli, lasciate in sospeso.

Rimandavamo pensando che il tempo non fosse il suo e il nostro nemico.

La convinzione di averlo per lungo tempo fra noi, ci ha fatto solo male perché tutto è rimasto nell’aria, è rimasto sospeso e non abbiamo più nessuna opportunità per fargli sentire la nostra voce che urla perché ci possa sentire, in qualsiasi posto ora esso sia.

Ora, se vediamo una rondine che vola felice nel cielo azzurro, possiamo pensare che sia lui,  privo di un corpo martoriato dalla distrofia e non solo.

Lo porteremo sempre dentro noi, perché è con noi che vogliamo che rimanga, per poterlo coccolare, per poterlo amare sempre ancora molto, come abbiamo fatto quando era qui, lo sentire accanto per tutta la nostra vita.

 

Nadia Minardi