Cari Marlene e Gianguido
Cari Marlene e Gianguido,
ecco l’esordio più usato per una
qualsiasi lettera. Cosa significano quelle quattro lettere? Sfogliando il
vocabolario ho scoperto che può essere sostantivo, aggettivo ed avverbio:
quanti compiti affidiamo a due piccole sillabe. Volevo comprare dei fiori ma
erano troppo cari; cari bambini ascoltate...
Le sfumature sono infinite, la parola è la stessa ma suona
banale al mio orecchio. Potrei iniziare questa lettera con:
Miei adorati bambini,
ma c’è anche in questo esordio una
imprecisione: voi non siete “miei”. Vi ho fatti nascere ma non mi
appartenete, vi ho allevati, vi seguirò finché potrò e saprò, ma non siete
“miei”: siete particelle di questo grande universo, particelle che un giorno
di qualche anno fa si sono staccate da me e che viaggiano nel mondo, alla
ricerca della loro strada.
Ed allora inizierò solo con i vostri
nomi.
Marlene e Gianguido,
vi scrivo oggi, mentre siete ancora
piccoli, avete sette ed otto anni, qualche cosa che forse leggerete da grandi e
che spero possa farvi un po’ di compagnia. Mi è difficile trovare le parole
giuste per spiegare quello che sento e che vorrei trasmettervi.
Ma esistono parole per far sentire
l’emozione profonda che provo mentre vi osservo?
La mattina quando vi sveglio, sono
salutata dalle vostre smorfie che mi fanno sorridere: siete così buffi!
Riesco a dirvi ciò che provo mentre vi
abbraccio e vi strappo al sonno che vorreste ancora lungo? Quali sono le parole
giuste per spiegare quello che leggo nei tuoi occhi, Gianguido, quando,
all’uscita della scuola, mi cerchi tra la folla: è tristezza, ansia,
stanchezza? Come posso spiegarlo! Non so cosa sia, so soltanto che poi, quando i
tuoi occhi, scuri come olive mature, incontrano i miei, non hanno più veli,
sorridono ed io con essi.
E’ felicità quella che provo
vedendovi nuotare? Quando ti vedo, Marlene, piccola donna in miniatura,
scivolare nell’acqua, muoverti leggera, girare il capo per respirare e
guardandomi con la coda dell’occhio, sorridere quasi a dirmi “vedi come sono
brava?”
Sì, brava, bravissima, proprio tu che
non volevi entrare in acqua, che urlavi, ora nuoti, parti per ultima, ti tuffi
male ma nuoti, nuoti ed arrivi prima delle altre, perché ti impegni, sei
caparbia e dai tutta te stessa in ciò che fai. Non cambiare mai!
Sovente, prima di dormire, mi chiedete
di raccontarvi qualche cosa: di quando eravate più piccoli oppure un episodio
della mia infanzia; sono molto restia nel raccontare; forse ho paura, paura di
esprimere ciò che sento, timore di essere fraintesa o non capita e quindi
taccio. So di sbagliare, ma sono stata educata così: non si parla dei
sentimenti; anni fa mia madre mi disse che quando si deve parlare troppo per
farsi capire è perché non si è amati: “Chi ti vuole bene - diceva - capisce
al volo.” Con gli anni ho scoperto che non è così, non si può pretendere di
essere capiti “al volo”, bisogna avere anche l’umiltà di chiedere e la
forza di spiegare.
Mentre scrivo mi pervade una dolce
malinconia: è subdola, cresce senza apparente motivo e mi terrà compagnia per
un po’ di tempo; poi passerà così com’è venuta. Forse anche voi,
Gianguido e Marlene, avrete momenti come questo: avrete allora voglia di stare
soli e troverete il tempo ed il modo di pensare, discutere con voi stessi,
soffrire sino a rinascere, ogni volta, nuovamente, un po’ più grandi.
15.12.1997
Mamma