Progetto Nepal


 


CHE COSA STIAMO FACENDO
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Continua il nostro sostegno ai bambini della scuola – orfanotrofio di Tikapur:

-25 orfani hanno trovato casa, cibo, assistenza sanitaria, scuola e affetto

-148 bambini frequentano la scuola e ogni giorno mangiano un  pasto completo

-11 maestri, regolarmente stipendiati, insegnano ai bambini

-personale stipendiato si occupa di cucina e pulizia nella scuola

 

 

Ci siamo impegnati in due villaggi poco distanti da Tikapur offrendo corsi di Non formal education a bambini ex-schiavi non scolarizzati:

-circa 60 bambini imparano a leggere e scrivere. La  “scuola” è all’aperto. Il maestro è stipendiato dalla nostra associazione.

 

 

Aiutiamo con “borse di studio” circa 30 ragazzi a proseguire  gli studi nelle scuole superiori.

 

 

Abbiamo acquistato macchine da maglieria e lana. Una maglierista esperta ha insegnato l’uso dei macchinari  ad un gruppo di donne : hanno imparato a confezionare maglioncini e sciarpe. Li vendono e riescono a garantirsi un minimo di autosufficienza.

Le donne interessate sono circa 30.

 

 

La nostra Associazione è stata riconosciuta ONG dallo Stato nepalese.Il suo nome è: Volunteers without frontiers (V.W.F.)

Indirizzo: P.O. Box 8973 N.C.P. 128 – Kathmandu (Nepal)

 

 

Ci stiamo impegnando per ottenere il riconoscimento ONG anche in Italia.

Se lo otterremo, potremo usufruire di interessanti benefici, anche economici.

 

 

Dal 2000 operiamo in Nepal: i genitori adottivi sono 86 (al 30 giugno 2004) e molte persone sostengono le nostre iniziative con offerte in denaro.

Abbiamo un progetto:vorremmo occuparci di vere e proprie adozioni.

Stiamo organizzandoci per raggiungere questo scopo.NON ABBIAMO FINI DI LUCRO.

Eventuali ritorni economici saranno reinvestiti a beneficio dei bambini di Tikapur.

 

 

Nel 2004 e nel 2005. raccoglieremo offerte,promuovendo diverse iniziative, con l’obiettivo di completare il pagamento per l’acquisto dell’edificio scolastico a Tikapur.

Ci costa 32941,00 euro:contiamo di pagarne la metà entro il 2004 e poi saremo già proprietari della struttura. Non paghiamo più l’affitto.

 

 

15 famiglie si sono impegnate ad aiutare altrettante famiglie in miseria estrema a Tikapur: con un versamento di 5 euro mensili si contribuisce ad assicurare almeno un po’ di riso giornaliero a chi è in difficoltà.

Il numero di Family sarà incrementato: ci sono persone generose che intendono aiutare in Nepal persone anziane o handicappate che non hanno risorse per sopravvivere.

 

E' in allestimento un Progetto sanitario elaborato da medici italiani in collaborazione con il Ministero della Sanità nepalese da attuare presso l'ospedale di Tikapur ,che  è punto di riferimento per 25000 persone. Solo un medico e pochi infermieri sono a servizio  della popolazione.

La nostra  speranza è quella di portare medici italiani volontari a collaborare con una presenza periodica presso l'ospedale.

La parte specialistica e burocratica del Progetto è elaborata dal Dott.Mario Giobbia di Nole che è stato a Kathmandu  e  ha ottenuto l'assenso del Ministero.

 

 

 

TUTTI  I PROGETTI POTREBBERO ESSERE INCENTIVATI SE  LA NOSTRA  ASSOCIAZIONE SARA'   RICONOSCIUTA O N G  IN ITALIA

 

 

 

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ATTIVITA' ORDINARIE

 

Relazione di Grazia, Beppe e Mario sul loro viaggio in Nepal

Nole, 20 dicembre 2005

 

 

Cari amici e sostenitori,

è con gioia che vi racconto del mio ultimo viaggio in Nepal. Questa volta  tutte le nostre aspettative si sono realizzate; all'arrivo a Kathmandu ci siamo subito precipitati all'orfanotrofio "Casa mia", che abbiamo aperto solo ad agosto.

I bambini, che sono in tutto 11, in età fra i 3 e 9 anni, sono molto belli. La metà circa è orfano di guerra,di una guerra di cui nessuno parla ma che uccide centinaia di persone all'anno. Sono anche molto tristi, con grandi occhi spaventati, anche perchè ognuno di loro ha alle spalle storie drammatiche e abbandoni recenti. Una storia per tutti è quella di Sunita, sette anni. Morto suicida il padre quando aveva due anni. Morta la madre di malattia quando ne aveva 4, è stata affidata allo zio che, in precarie condizioni economiche , ad agosto l'ha abbandonata al nostro orfanotrofio. Sunita è una bambina che non sorride mai, speriamo di poter trovare per lei presto una famiglia che sappia amarla.

Il direttore dell'orfanotrofio ci raccontava che, quasi tutti i giorni, riceve telefonate dai vari comuni: le autorità comunali non sanno dove mettere i bambini in stato di abbandono, anche perché le strutture private sono poche e quelle pubbliche sono strapiene.

Addirittura dagli ospedali si rivolgono a "Casa mia " per portare neonati abbandonati alla nascita. Questo è il dramma più grande:perchè se un bambino può in qualche modo sopravvivere, un neonato è destinato a morire. Speriamo di poter accogliere ancora altri  5 bambini all'inizio di gennaio se il budget ce lo permetterà. Non escludiamo la possibilità di attrezzarci per l'accoglienza di neonati .Vedremo!

Intanto devo spendere due parole per elogiare l'attività di Amar, il nostro referente, che alcuni di voi conoscono personalmente."Casa mia" è stata strutturata veramente molto bene. I bambini sono ben accuditi e ben nutriti,il personale li tratta bene e  vengono accompagnati tutti i giorni chi a scuola chi all'asilo. Ovviamente in strutture private, anche perché la scuola pubblica è inesistente.

"Casa mia", scherzando, la definisco un alberghetto a cinque stelle, ma così deve essere. Almeno un po’ di serenità questi bambini la devono trovare. Ricordo ancora con angoscia l'orfanotrofio di mia figlia, privo di qualsiasi umanità ed accoglienza, con bambini abbandonati e maltrattati.

Questo sicuramente non capiterà ai nostri piccoli.

A Tikapur, la scuola che abbiamo acquistato è veramente molto ben organizzata. I trentuno orfani che vivono lì hanno camere spaziose ed accoglienti, sono ben vestiti e puliti.

Tanti i bambini che vanno a scuola da noi, in tutto 150.

Le aule sono spaziose e tutti i bambini hanno il loro banco, il loro materiale scolastico e le loro divise.

L'accoglienza è stata festosa, con fiori e tanta curiosità .

La situazione sociale di Tikapur invece è disastrosa. La povertà in alcune zone del paese è sconcertante. Capanne di bambù, paglia e fango, prive di tutto: la maggior parte dei bambini che viene a scuola da noi vive in questi poveri villaggi. Per loro andare a scuola e poter mangiare un pasto al giorno è un privilegio .Per noi è un dovere continuare a lavorare per i più poveri e la nostra intenzione è quella di aumentare sia il numero delle classi scolastiche sia i servizi a favore di queste persone.

Stiamo infatti valutando la possibilità di creare una cooperativa agricola per poter aiutare concretamente le famiglie più bisognose. Siamo stati molto colpiti dalla dignità e dalla volontà di queste persone. Al più presto organizzeremo una serata con diapositive sul nostro viaggio, in modo che i nostri racconti appaiano più chiari con le splendide immagini dei nostri bambini e del popolo nepalese.

Un sincero ringraziamento ai miei due compagni di viaggio, Giuseppe e Mario, per la pazienza e la grande umanità.

Nell'augurare a tutti un Buon Natale, ringrazio per la vostra  collaborazione  .

Grazia Beva

 

Un contributo del dott.Giuseppe Togliatto

Un’esperienza sicuramente formativa, di quelle che lasciano un segno.

I dieci giorni passati in Nepal non possono non condizionare il modo di pensare, di lavorare e, più in generale, di vivere di chi ha avuto la possibilità di visitare un Paese estremamente povero e con così poche speranze per il futuro.

La situazione politica particolarmente instabile, l’inesistente interesse delle grandi potenze internazionali, le scarse risorse economiche fanno si che una nazione come il Nepal debba riporre gran parte delle speranze per il proprio futuro su organizzazioni come la nostra; organizzazioni che fanno del volontariato il proprio credo.

Pur sapendo che non è possibile dare cibo sufficiente a tutti i bimbi, o un lavoro dignitoso ad ogni adulto o una casa decorosa a ciascuna famiglia, dobbiamo tutti,ognuno in base alla propria disponibilità di tempo e di denaro, fare qualcosa per aiutare questo popolo dimenticato.

Per dare una mano a qualche essere umano la cui unica "colpa" è essere nato in questa terra così "sfortunata".

Che questo pensiero ci accompagni durante le meritate vacanze natalizie e ci guidi nel nostro comportamento in futuro.

Buon Natale a tutti.

Beppe Togliatto

 

Un contributo del dott. Mario Giobbia

Ti sembra un viaggio nel passato,un ritorno alla realtà italiana di inizio novecento,nella campagna povera e difficile delle Langhe, del Pollino, o dell’entroterra siculo, della Maremma e del Polesine.

Un tuffo nella natura selvaggia e cruda dei viaggi dei primi esploratori inglesi nel subcontinente indiano.

E nel contempo, almeno nella capitale Katmandu, ti immergi in un mondo culturale e religioso profondamente radicato tra templi indù e costruzioni buddiste, tra edifici imperiali e povere baracche, esemplificazione, in terra, della celeste suddivisione in caste.

Poi ti svegli all’improvviso e scopri, tra l’acuto odore dell’incenso e delle spezie, l’acre fetore della vita di ogni giorno. Il nauseabondo e dolciastro odore degli escrementi eliminati in improvvisate fosse a cielo aperto, l’intenso aroma di fritto, mescolato a sudore e polvere, sulla pelle di migliaia di persone schiacciate come sardine su improvvisati autobus, sgangherati tuc-tuc (specie di Ape diesel), il soffocante e irritante bruciore delle vie aeree causato dalle emissioni, non certo catalizzate, di migliaia di automezzi.

Ed il silenzio delle valli e delle campagne, rotte solo dal rumore della vanga, dalle urla dei bambini o dal verso di qualche animale, contrasta, in maniera stridente, con il suono sfrenato di clacson ("per favore suona, se vuoi precedenza" – si trova scritto sul retro dei camion e degli autobus nepalesi), dal ritmico scampanellio di improbabili risciò e sgangherate biciclette.

Le città ed in particolare la capitale, sono immensi centri di raccolta per una popolazione che fugge dalla struggente bellezza della campagna e della foresta, delle altissime cime dell’Himalaya o dalle colline ricche di acqua e di boschi, ma che soprattutto cerca di allontanarsi da una povertà atroce, dalla guerra, dalla mancanza di assistenza, dalla paura della violenza.

Dei dodici milioni di nepalesi, oltre la metà vive concentrata in 3-4 città. Katmandu, una immensa bolgia sempre in crescita, accoglie nelle sue bidonville, e nel suo sovraffollato centro storico, si dice (non esistono dati ufficiali in un Paese in cui gran parte della popolazione non conosce la propria età, essendo sconosciuta la data di nascita) oltre 5 milioni di persone.

Vi trovano rifugio i tibetani in fuga dalle persecuzioni cinesi, le popolazioni dell’occidente nepalese in fuga – dice il governo – dai ribelli maoisti, in fuga – dicono i maoisti – dal vuoto governativo e amministrativo, alle violenze dell’esercito. Accoglie Katmandu, molti turisti occidentali affascinati dalla maestosità della catena montuosa himalayana, viaggiatori avventurosi in cerca di continue sfide con la natura e con se stessi, ma anche mistici occidentali alla ricerca di una pace interiore e di un Karma in grado di sopravvivere nella civiltà moderna.

Molti comunque solo viaggiatori, in spirito o materia. Poco interessati comunque alla realtà quotidiana del Paese.

D’altro canto del Nepal poco si interessa anche la comunità internazionale. Poco importa al ricco occidente se il re attualmente in carica uccide tutta la propria famiglia per assumere nelle proprie mani un potere dittatoriale assoluto e crudele. Il Nepal non possiede giacimenti petroliferi, non ha miniere di uranio, coltan o diamanti, non è neppure appetibile strategicamente, così schiacciato tra due colossi; da un lato l’immensa e invadente Cina, che dopo il Tibet non perde occasione per premere sui confini del nord per cercare di conquistare nuova terra per soddisfare la fame di spazio del suo miliardo e più di cittadini. Dall’altro l’India, un colosso tecnico-scientifico ed umano che con oltre 7oo milioni di abitanti ha fame di terra e di acqua. L’unica vera ricchezza del Nepal.

Non fa neppure scalpore se, nel conflitto tra governo e maoisti, sono morti sulle mine, in attentati quotidiani, in corso di rastrellamenti o di rappresaglie migliaia di civili nepalesi. E neanche si indigna l’opinione pubblica internazionale per le quotidiane violenze sulla popolazione inerme, per le migliaia di violenze sessuali su donne e bambine –esercitate da entrambe le parti in lotta, accomunate da una assoluta mancanza di considerazione per la donna (il Nepal è tra gli ultimi Paesi al mondo, secondo l’ONU, relativamente all’emancipazione e promozione della donna) -, per le centinaia di soldati bambini strappati, a 8–10 anni dalla famiglia per imbracciare un fucile contro gli stessi parenti. D’altro canto per i giovani maschi nepalesi provenienti dalle classi sociali più povere, le alternative per ottenere un livello minimo di sopravvivenza, per se e per la famiglia, sono solo due; arruolarsi nell’esercito governativo o tra le file dei ribelli maoisti.

La povertà materiale e l’arretratezza culturale di questi combattenti spiegano poi la crudeltà, mai raccontata – se non in brevi reportages di Amnesty International – che entrambe le parti in lotta esercitano sui rispettivi avversari. Stupri, torture, rapine, oltraggi a cadaveri di fronte ai familiari sopravvissuti, eccetera, sono sempre più frequenti, ma non scalfiscono i giornali o le televisioni europee od americane. Troppo poveri e troppo lontani. Il Burundi con i suoi 900.000 morti ha fatto scuola.

Il Nepal come molti altri Paesi del terzo mondo di scuote dentro, ti scatena un’indignazione profonda verso le ingiustizie così evidenti e così ignorate, contro la corruzione e l’arroganza dei governanti e delle migliaia di burocrati che esercitano dalle loro sedie senza reale importanza, angherie e soprusi fatti di permessi, concessioni, attestati, assolutamente ridicoli ma al contempo essenziali per qualsiasi attività quotidiana. Occorrono visti per viaggiare, permessi per intraprendere qualsiasi misera attività lavorativa e, come accade anche in molti altri Paesi senza risorse, concessioni ed autorizzazioni anche per gli aiuti internazionali. Si pagano tasse d’ingresso per i farmaci di prima necessità, si pagano i visti per poter esercitare la propria professione di medico, infermiere, ingegnere, anche se in veste di volontario, si pagano le strutture statali per concedere l’autorizzazione ad attuare piani di sviluppo sociale per la popolazione. Le varie ONG sono sottoposte a strettissimo controllo per evitare che eccessiva scolarizzazione, promozione della donna, sviluppo di progetti economico finanziari, possano sollevare troppo la condizione socioeconomica del Paese; sarebbe una grave perdita di entrate per i governanti e la burocrazia parassita che su tasse e balzelli ha costruito la propria esistenza. Pare un assurdo, ma proprio l’estrema povertà della popolazione, che conduce le varie organizzazioni di volontariato mondiale ad investire finanze e risorse umane in Nepal, costituisce una delle prime fonti di reddito per il governo nepalese; che fra tangenti ed imposte legali, sottrae importanti quote di denaro agli aiuti internazionali.

E quando chiedi a qualcuno di questi sfortunati che lavorano come bestie per 14-16 ore al giorno per un salario da fame perché non si lamentino, non si ribellino a questi soprusi, ti rispondono sottovoce, quasi a scusarsi che "hanno finito le lacrime".

Lo abbiamo visto bene negli occhi dei genitori che hanno perso, davanti a noi, il loro bambino di pochi anni per una banale infezione polmonare, o nello sguardo della signora che di fronte ad una diagnosi di morte inevitabile a breve, per una occlusione intestinale – il solo chirurgo disponibile si trovava a duecento chilometri di distanza, ovvero ad un giorno e mezzo di autobus ed almeno 50 euro di troppo dalle magre finanze della famiglia – ha semplicemente fatto dietro front e ringraziandoci per la visita è andata serena verso la propria abitazione.

La vita, in Nepal assume un valore ben diverso; così pure la morte. Ma ti accorgi che forse il loro modo di concepire il vivere ed il morire è molto più vero, più profondo, o forse soltanto più cosciente della finitezza umana.

Mi hanno chiesto che cosa mi abbia maggiormente colpito in questo viaggio.

Gli occhi fieri e la dignità di un popolo che dal Medioevo del ventunesimo secolo ha ancora, nonostante le grandi sofferenze e l’estrema povertà, il coraggio di scommettere sul futuro. Gli occhi di quei bellissimi – e numerosissimi - bambini che abbiamo incontrato.

Mario Giobbia

Nole, 20 Dicembre 2005

 

 


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